Si gioca in politica al rimpallo della palla: l’AIA accusa il Ministro Nordio di non aver firmato il mandato di arresto del criminale libico. Nordio accusa i giudici di “incongruenze procedurali ” L’intero mondo afferma invece che l’Italia non ha piu’ il senso della morale

 

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La liberazione del criminale libico, rimpatriato in Libia con aereo di Stato, costerà probabilmente la poltrona della premier Meloni e di oltre mezzo governo se  l’Italia vorrà avere un credo      politico onesto e corretto

Il confronto tra l’Esecutivo e i giudici della Cpi si gioca su un piano tecnico / procedurale in una vicenda costata l’iscrizione nel registro degli indagati  di mezzo governo,del ministro Nordio per favoreggiamento e omissioni di atti di ufficio dopo una denuncia trasmessa dalla Procura di Roma al tribunale dei ministri.

Si apprende che il ministro Nordio adesso , come annunciato in Parlamento, vuol inviare  all’Aja un documento per chiedere alla Cpi spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto del  criminale /generale libico. Il 5 febbraio in Parlamento, Nordio ha parlato di errori e di “nullità” del mandato di arresto spiccato il 18 gennaio dalla Corte. “E’ arrivato in lingua inglese senza essere tradotto, con una serie di criticità che avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello” di Roma

. Un atto – secondo il  ministro che oggi  informa di essere più determinato per  “andare avanti” sulla riforma della giustizia – caratterizzato da “incertezza assoluta” a cominciare, ha sottolineato, “dalla data in cui sarebbero avvenuti i crimini: si dice a partire dal marzo 2015 ma nel preambolo si parlava del febbraio 2011, quando Gheddafi era ancora al potere”. Nell’atto che verrà trasmesso all’Aja, il ministero potrebbe fare riferimento agli “incomprensibili salti logici” presenti a dire del ministro nel dispositivo della pre-trial Chamber della Corte penale internazionale. “Le conclusioni del mandato di arresto risultavano differenti rispetto alla parte motivazionale”…

All’Aja potrebbero arrivare anche altre denunce dopo quella presentata da un cittadino sudanese vittima delle torture del generale libico e in cui si tirano in ballo, oltre al ministro della Giustizia, anche la premier Meloni e il ministro Piantedosi. Secondo la segnalazione, non consegnando il generale alla Cpi, il presidente del Consiglio e i ministri “hanno abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali”.

L’iniziativa del rifugiato potrebbe avere molti esempi similari  . “Stiamo valutando di presentare altre denunce alla Corte”, annuncia l’avvocato Omer Shatz, direttore di Front-Lex. Sul fronte interno, intanto, muove i primi passi l’indagine del tribunale dei Ministri dopo l’invio degli atti da piazzale Clodio. I giudici procederanno in primo luogo all’acquisizione e all’analisi degli atti in attesa della memoria difensiva da parte degli indagati. Favoreggiamento e peculato i reati contestati a Meloni, Piantedosi e al sottosegretario Mantovano.

 

Per Nordio il procuratore della Capitale, Francesco Lo Voi, individua anche condotte omissive. Fattispecie che sarebbero legate alle “mancate interlocuzioni” con la Corte d’Appello di Roma e anche al non avere firmato la richiesta di un nuovo mandato di cattura per il generale libico.

Una iniziativa che gli uffici di via Arenula avevano suggerito di fare inviando al ministro Nordio una bozza il 20 gennaio, 24 ore prima della liberazione del cittadino libico. Del profilo penale previsto dall’articolo 328 del codice, non citato nella denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, è stato lo stesso Nordio a parlarne nel corso dell’informativa.

Ricostruendo il mosaico emerge che il 18 gennaio la Cpi comunica informalmente che sta per emettere un mandato di cattura per Almasri che verrà inviato all’Italia e ad altri sei Paesi. Il mandato viene emesso qualche ora dopo e inviato al magistrato di collegamento. All’atto è allegata una nota in cui i giudici dell’Aja chiedono di essere informati in caso di problemi per l’esecuzione del mandato. Il giorno dopo l’incartamento è trasmesso a via Arenula dove, nel frattempo, era stata inviata la comunicazione della Digos di Torino sull’arresto. Il 20 gennaio la Corte d’Appello informa dell’errore procedurale, ossia di non avere informato il ministero prima del fermo, e si sollecita un intervento: un nuovo ordine d’arresto che viene redatto ma non firmato dal capo del dicastero..