BENI CONFISCATI AI BOSS SANTAPAOLA-ERCOLANO,CESAROTTI,ALTRI, PER CIRCA 7.700 MILA EURO

 

Catania Bicocca - Visita della UIL nella Casa Circondariale - La relazione
Il carcere di Bicocca

 

Il Tribunale di Catania-si apprende – ha applicato la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di beni nei confronti di Benedetto Santapaola, Aldo Ercolano, Giuseppe Mangion, Giuseppe Cesarotti e Mario Palermo, 

I militari del Ros hanno eseguito la confisca. Il provvedimento scaturisce dagli esiti del procedimento penale, indagine “Samael”, nel corso del quale era stato possibile individuare parte del patrimonio occulto direttamente riconducibile ai vertici della famiglia Santapaola Ercolano,  gestito mediante prestanome e imprenditori contigui all’associazione mafiosa (Palermo, Cesarotti).

L’indagine ha vissuto una prima fase esecutiva lo scorso 3 dicembre 2019, quando le aziende ed i beni immobili, oggetto dell’odierno provvedimento giudiziario, sono stati sottoposti a sequestro preventivo: Tropical Agricola Srl con sede legale in Catania; GR Transport Logistic Srl con sede legale a Mascali (CT); LT logistica e Trasporti Srl con sede legale a Mascalucia (CT); nr. 12 immobili siti in Mascali (CT) ed in Massannunziata frazione di Mascalucia (CT). Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a circa 7.700.000 euro.

Benedetto Santapaola - WikiMafia

Nella foto d’Archivio Benedetto Santapaola. Oggi ovviamente, è anziano, e -si apprende -molto malato.

Note informative biografiche sul Boss che dominò a Catania per oltre un trentennio , che proveniva dalle scuole Salesiane, che teneva ogni notte tra le mani la Bibbia, e nel suo giardino aveva pure una chiesetta con la Madonna dove pregava.

Nitto Santapaola, il cui vero nome è Benedetto, nasce il 4 giugno del 1938 a Catania, nel quartiere di San Cristoforo, in una famiglia di umili origini. Dopo aver frequentato una scuola salesiana, intraprende fin da giovane la strada della criminalità, dedicandosi a rapine. Nel 1962 viene denunciato per la prima volta, per associazione a delinquere e furto. Dopo essere stato affiliato nella “Famiglia di Catania”, dove è vicecapo di Giuseppe Calderone, viene costretto al soggiorno obbligato nel 1970; cinque anni dopo è denunciato per contrabbando di sigarette, anche se nel frattempo è stato (almeno ufficialmente) venditore di oggetti da cucina e titolare di una concessionaria di automobili della Renault. Alla fine degli anni Settanta Nitto Santapaola, in accordo con i Corleonesi, uccide Calderone, per  assumere il comando di Cosa Nostra in città. Nell’agosto del 1980, egli viene ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari: fermato dai carabinieri in macchina insieme con Rosario Romeo, Francesco Mangion e Mariano Agate, viene arrestato ma immediatamente scarcerato (senza essere sottoposto al guanto di paraffina).

Nel 1982, dopo l’omicidio a giugno di Alfio Ferlito, nemico di Nitto Santapaola (ucciso insieme alla scorta che lo sta portando da Enna al carcere di Trapani, nella cosiddetta “strage della circonvallazione”), a settembre va in scena l’agguato aL GENERALISSIMO  Carlo Alberto Dalla Chiesa,, in servizio a Palermo da pochi mesi, che rimane ucciso nella strage di via Carini insieme con l’agente Domenico Russo e la moglie Emanuela Setti Carraro.
Indagato per l’omicidio, Santapaola inizia la sua lunga  latitanza. Nello stesso periodo il suo clan inizia ad allargare i propri interessi nel Nord Italia: riesce, tra l’altro, a far assegnare la gestione del casinò di Campione d’Italia al presidente della Pallacanestro Varese Ilario Legnaro, rappresentante del gruppo di imprenditori che si appoggia a lui. Nel frattempo, la rivista “I Siciliani”, fondata dal giornalista Giuseppe Fava rende noti i rapporti tra il clan di Santapaola e i cosiddetti “quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” (in questo modo vengono definiti sul primo numero del giornale, in copertina, del mese di gennaio del 1983): si tratta di Mario Rendo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Carmelo Costanzo, cavalieri del lavoro impegnati nella gestione dell’imprenditoria edile siciliana di quel periodo. Fava viene ucciso il 5 gennaio del 1984, a Catania, davanti al Teatro Stabile: quasi vent’anni dopo Nitto Santapaola verrà condannato come mandante dell’assassinio.

Il boss catanese è anche ritenuto uno degli organizzatori della strage di via D’Amelio, che il 19 luglio del 1992 costa la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti che compongono la sua scorta (Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Eddie Walter Cusina ed Emanuela Loi).

Nel 1993, il 18 maggio, Nitto Santapaola viene arrestato nel corso dell’operazione denominata “Luna piena”, nelle campagne di Mazzarrone, da parte degli uomini del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato: a favorire la sua cattura sono intercettazioni telefoniche delle conversazioni dei suoi figli. I poliziotti che lo catturano si trovano davanti un uomo che non reagisce in maniera scomposta, ma anzi si mostra sereno e flemmatico: non sorpreso dalla venuta degli agenti, chiede di poter fare colazione insieme con la moglie Grazia; quindi, esce dalla villa con le manette ai polsi, dopo aver preso in mano e baciato la Bibbia che tiene in camera da letto, sul comodino. Gli agenti scoprono, con sorpresa, che nel giardino della villa in cui latitava si era costruito un altare di piccole dimensioni, con una chiesetta, una statua della Madonna, alcune panche e addirittura un campanile.

In seguito all’arresto, Mario Tornabene e Natale D’Emanuele diventano reggenti del clan Santapaola: verranno catturati a loro volta nel 1995 (anno in cui la moglie di Nitto, Maria Grazia Minniti, verrà uccisa in un agguato). Nel frattempo nel 1994 Maurizio Avola, pentito autoaccusatosi di oltre settanta assassinii, svela che Santapaola aveva organizzato l’omicidio di Claudio Fava, ma era contrario all’uccisione di Giovanni Falcone per non acuire la lotta contro  lo Stato. Sempre secondo Avola, Santapaola avrebbe avuto frequentazioni con Saro Cattafi e Marcello Dell’Utri: con il tramite di quest’ultimo, avrebbe addirittura investito denaro nelle attività Fininvest.  Dellì’Utri verrà poi assolto, definitivamente nel 2021 e prosciolto da ogni accusa di natura mafiosa.

Il 12 maggio del 1995 Benedetto Santapaola viene condannato a diciotto mesi di isolamento diurno per associazione mafiosa, mentre il 26 settembre del 1997 viene condannato all’ergastolo per la strage di Capaci in primo grado: la sentenza viene confermata in appello due anni e mezzo più tardi, il 7 aprile del 2000. Nel frattempo, nel 1998 Santapaola era stato condannato all’ergastolo, nel 1998, anche per la morte di Giuseppe Fava, in appello: la sentenza sarà confermata il 14 novembre del 2003 in Cassazione. Infine, il 9 dicembre del 1999 egli viene condannato all’ergastolo nel corso del processo Borsellino-ter, a Caltanissetta, insieme con altri 17 boss mafiosi (tra cui Raffaele Ganci e Giuseppe Calò) in primo grado: in appello, il 7 febbraio del 2002, la condanna viene ridotta a venti anni.

A FIRENZE IL GIUDICE DEL LAVORO REVOCA I LICENZIAMENTI, IN SICILIA DOVE VI SONO AFFINITA’ CON I “SILURAMENTI” DEI LAVORATORI DELL’ISTITUTO IPPICO, PROBABILE UNA DECISIONE EGUALE

 

Le I cavalli dell'Istituto senza foraggi Musumeci lancia raccolta fondi BlogSicilia – Quotidiano di cronaca, politica e costume

Licenziamenti GkN  dovranno essere tutti revocati per decisione del Giudice. Il tribunale accoglie il ricorso sindacale della Fiom Cgil..  L’azienda non può più tenere in vita gli atti inerenti l’illegittima procedura di licenziamento collettivo

DI       R.LANZA

Istituto Incremento Ippico, otto dipendenti messi alla porta. La Regione non torna indietro. Cgil: «Impegni non rispettati» - MeridioNews

 Il Tribunale di Firenze accoglie il ricorso sindacale  e condanna la società a “revocare la lettera di apertura della procedura di licenziamento collettivo” del 9 luglio scorso.

Specificatamente il   Tribunale,  condanna Gkn “a porre in essere le procedure di consultazione e confronto previste dall’articolo 9 parte prima del Ccnl e dall’accordo aziendale del 9 luglio 2020 indicato in motivazione; a pubblicare il testo integrale del presenze decreto a sue spese e per una sola volta sulle edizioni nazionali dei quotidiani  omissis omissis’; al pagamento in favore del sindacato ricorrente delle spese di giudizio che liquida in complessivi 9.300 euro oltre Iva, cpa e contributo spese generali”.

Anche in Sicilia la sentenza è stata accolta favorevolmente dai lavoratori in mobilità o licenziamento provvisorio” dell’Istituto Incremento Ippico perchè anche qui sono tutti -compresi i sindacati- in fermento per la decisione del Giudice del lavoro di Catania che fra alcuni giorni si pronuncerà sulla nota  vicenda della “revoca del provvedimento di licenziamento o messa in disponbilità” dei sette dipendenti.      Vi sono affinità giuridiche – è  coro unanime -con la vicenda di Firenze  perchè anche la nota riunione del 13 luglio scorso dei sindacati regionali siciliani e dirigenti generali della Regione Sicilia compreso l’Assessore al ramo Agricoltura Scilla hanno posto in luce il difetto dei necessari requisiti formali di Contrattazione sindacale quali ad esempio il verbale di registrazione e trascrizione dei pareri sindacali.      E, anche se i sindacati- lì per lì forse intimiditi o narcotizzati dai potenti della Regione,e non hanno preventivamente richiesto il verbale di trascrizione, era l’Amministrazione regionale con il suo segretario della seduta, se nominato, che aveva l’obbligo primario  di porre in essere gli adempimenti  contrattuali e rituali. L’omissione , anche se non tempestivamente contestata, non ha consentito  alle forze sindacali presenti di poter vincolare la controparte dirigenziale ,.

AGGIORNAMENTO :  Sul ricorso contro la Regione siciliana della legge n.17 del 2019 che rimodula la pianta organica dell’Istituto Ippico  ,il  Giudice del Lavoro  di Catania – informano  stasera i legali dei dipendenti interessati – si pronuncerà il 15 Dicembre prossimo.   Il  ricorso è quello dell’Avv Buscemi presentato da diversi dipendenti che non hanno aderito alle idee del Sindacato Cgil 

GKN e l'industria italiana a pochi giorni dallo sblocco dei licenziamenti
ILLEGITTIMA LA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO DELLA SOCIETA’ GKN

“GLADIATORI E SCHIAVI” IN VENDITA

 

Stasera in tv Spartacus il film di Kubrick: il capolavoro di Stanley Kubrick stasera in tv su Iris Spartacus

Come nel film di Kubrick:   I gladiatori e Spartacus

NEL MARASMA GENERALE L’ISTITUTO INCREMENTO IPPICO DI CATANIA: PERSONALE “IN DISPONIBILITA

 

DI  RAFFAELE  LANZA

 

Il coro è unanime, la conclusione è univoca  L’Istituto Incremento ippico di Catania non è più l’ente museo, cavalli in mostra e carrozze di altri tempi da ammirare: è ,in questo momento, soltanto l’arena in cui  si combatte per il mantenimento del posto o l’ottenimento di vantaggi . L’interesse generale –pur nella nobile presenza della baronessa/principessa Caterina Grimaldi  la cui famiglia si occupa da diverse generazioni dell’allevamento di equini– è da tempo fuori di ogni attenzione. 

  I suoi dipendenti, un tempo veri gladiatori dell’ente,li conosciamo tutti, uno ad uno, ricordiamo che dimostravano di essere davvero valorosi rispetto alla controparte(direzione) oggi malgrado l’  azione di contrasto , l’ente autonomo li ha tramutati in  “schiavi” di un sistema ammalato,che ha mostrato una grave  frattura, difficilmente colmabile, forse del tutto incolmabile al punto  essi sono arrivati.. 

 

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I dipendenti ci telefonano in redazione, in tanti ricordiamo insieme i momenti belli in cui curavamo un impegno sindacale regionale molto comunicativo ed efficace, la direzione dell’ente , prima con il dott. Paladino poi con il dott. Alessandra e Bentivegna,rispettava e riscontrava le nostre richieste sindacali diffuse all’opinione pubblica. Oggi la situazione generale è catastrofica,troppa tensione sociale, e mancanza di coraggio nelle decisioni -oneste- da assumere. 

Come vedete abbiamo pubblicato una foto che ritrae il leggendario  attore statunitense  Kirk Douglas interpretare “Spartacus”     Ma chi  è oggi  l’interprete vero, spontaneo, deciso,altruista,  degli interessi dei lavoratori dell’Istituto Incremento ippico?   Dov’è un uomo come Spartacus, signori mei?   Non  vediamo proprio alcun soggetto capace di  interpretare un interesse generale   Ricorsi, denunce penali per “distrazione provvisoria” delle somme destinate al pagamento dell’Istituto Vacanza contrattuale-oggi quasi interamente pagata, dipendenti intimiditi  dalla direzione,lettere, richieste al Prefetto, ricorso amministrativo d’urgenza, dialogo con diversi e noti avvocati.       Questo ente è divenuto una coda impropria del Tribunale di Catania

 

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Credo che anche i sindacalisti siano d’accordo oggi nel ritenere che le determinazioni dirigenziali che suscitano tanta indignazione siano il prodotto di una politica che vuole-purtroppo- il rilancio dell’ente tramite  tanta, tanta obbedienza cieca.   Da parte di tutti: dal commissario ad acta al direttore fino agli ex stallieri, attuali istruttori direttivi.  Parola d’ordine: “Fate silenzio, via gli striscioni sindacali dai balconi, sotto i tacchi le “contrattazioni sindacali” (francamente neanche poi neanche molto risolute,chiare e contrastanti), ignorate le proteste. Obbedite e basta”      Ricordiamo i punti essenziali  di un recente ‘intervento sindacale a firma della FpCgil, Uil, Sadirs, Ugl.

Eccolo:    “Senza alcun criterio logico, in forza di provvedimenti adottati d’imperio e unilateralmente, l’Istituto Incremento Ippico di Catania ha posto in eccedenza con la illegittima e illogica delibera del Commissario ad acta n. 1 del 9.3.2021 (All.2), i lavoratori che non hanno deciso volontariamente di “ricollocarsi” in categorie inferiori, dalla C di istruttore alla A di operatore, procedendo a declassare anche coloro che hanno confermato la disponibilità a svolgere le mansioni di sempre. Si è proceduto inoltre a mettere in disponibilità quelli che non fossero in possesso di un requisito non meglio definito di adeguata professionalità, rimasto incompreso ai più, dando mandato al direttore dell’Istituto stesso di adottare i provvedimenti attuativi a ciò consequenziali.
Il tutto condito da una informativa sindacale e da una forma di confronto che l’Istituto Ippico ha reso inutile, nulla riferendo in ordine alle reali possibilità di ricollocamento del personale e abbandonandosi a intendimenti generici circa l’eventuale mobilità presso altre amministrazioni regionali, rimasti solo sulla carta, anche a causa della chiusura totale su ogni soluzione del genere da parte dell’Assessorato regionale di competenza.
I dipendenti, abbandonati a un destino inesorabile, hanno proclamato lo stato di agitazione (All.3) oltre che esperire i mezzi legali più idonei (All.4) per bloccare la situazione venutasi a creare che rischia di mettere fine a trent’anni e più di attività lavorativa prestata sempre con massima diligenza e passione verso i fini dell’Istituto.
Da qualche settimana a questa parte, all’interno dello stesso Istituto si è diffuso un clima di incertezza e di precarietà, che sta ulteriormente destabilizzando l’ambiente.
Da qualche giorno, infatti, circola tra i dipendenti una determina dirigenziale (All.5), datata 14.5.2021, a firma del direttore dell’Istituto, non pubblicata all’Albo pretorio, né notificata al personale dipendente interessato o alle organizzazioni sindacali, che ha disposto “d’ufficio” il collocamento nelle categorie A e B, o il mantenimento nella categoria di appartenenza C, di parte dei lavoratori in servizio, in applicazione di criteri assolutamente arbitrari, soggettivi e palesemente discriminatori. Con la stessa determina si è proceduto a collocare in disponibilità una parte del personale con criteri arbitrari, discriminatori, basati perfino su una accertata inidoneità fisica di alcuni di loro, circostanza che dovrebbe piuttosto indirizzare a tutelare il personale interessato per le sue fragilità.
Alla circolazione del predetto provvedimento, non pubblicato sul sito istituzionale dell’Ente, è seguita una riunione col personale dipendente, estromettendo le organizzazioni sindacali, in cui pare che sia stato richiesto a chi interessato dai cambi di profilo di “mettere per iscritto” il proprio consenso, pena la revoca di quanto già disposto!  Veramente, si ritiene che si stia oltrepassando ogni accettabile limite”.

Da questo marasma emergono lucidamente tre perdenti: i dipendenti loro malgrado, in tensione e preoccupazione quotidiana di non ritrovarsi presto il posto pubblico;  i cittadini -offesi ed ignorati- ed i politici nazionali e regionali c he vivono a Catania incapaci di manifestare una volontà.    La partita è molto delicata.   Bisogna provare a stringere un “patto sociale”  -Prefetto  e Assessore regionale alla Funzione pubblica ad es. – per non rischiare di tagliare fuori dal mercato del lavoro, questi dipendenti dell’Istituto incremento ippico-    Superfluo -ricorderemo agli ex gladiatori- presentarsi dal Prefetto senza la presenza di un rappresentante politico regionale.     Si verificherebbe il definitivo tracollo dell’ente autonomo.

Colpito dalle Fiamme gialle il Capo boss referente di Scordia Rocco Biancoviso -di alta pericolosità sociale- legato al Clan dei Capi Santapaola-Ercolano

 

 

Sequestro di beni ingenti – 10 milioni di euro delle Fiamme gialle  del comando provinciale di Catania a Rocco Biancoviso, ritenuto  come il Capo referente a Scordia     dal Clan mafios o Santapaola-Ercolano e accusato di avere gestito, per conto del clan, le estorsioni ad imprenditori

Il provvedimento, emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania su richiesta della locale Dda, si basa su indagini del Gico del Nucleo Pef delle Fiamme gialle di Catania. Nell’ambito dell’operazione ‘Caimano’, sigilli sono stati posti a supermercati, terreni, villa con piscina, disco pub e auto di lusso per un valore complessivo di 10 milioni di euro.

Il boss Biancoviso, già destinatario di due ordinanze di custodia cautelare in carcere per la sua partecipazione, quale referente per il territorio di Scordia, all’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata clan “Santapaola-Ercolano”, ritenuto dagli investigatori di alta pericolosità sociale; dall’altro, la sproporzione tra il profilo reddituale del nucleo familiare che in alcune annualità ha dichiarato redditi pari a zero, e il complesso patrimoniale, composto da terreni, da una villa con piscina e dalle disponibilità finanziarie riconducibili al proposto, anche se intestate ai familiari
(come il disco pub “Eden”, di cui risulta proprietaria la moglie).

Nel dettaglio il Tribunale ha disposto la confisca dei seguenti beni a Scordia, alcuni dei quali già sottoposti a sequestro: nove terreni, otto fabbricati, due auto, compresa una Porsche Cayman, circa 66 mila euro in contanti e quote sociali e relativi compendi aziendali di due società proprietarie di altrettanti supermercati. “L’attività delle Fiamme gialle di Catania – sottolinea in una nota la Procura distrettuale etnea – si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte da questo Ufficio e dalla Guardia di Finanza volte al contrasto sotto il profilo economico-finanziario, delle associazioni a delinquere di tipo mafioso, al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, e di partecipazione al capitale di imprese sane, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica”.

Indagini delle Fiamme gialle: patrimoni illeciti (non guadagnati: droga ed estorsioni) sequestrati ad affiliati di spicco dei Clan mafiosi

 

 

 

NAPOLI,

Un successo di non poco conto delle Fiamme gialle registriamo a Napoli per l’entità del patrimonio sequestrato.Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli ha infatti posto sotto sequestro, tra la Campania e l’Abruzzo, un ingente patrimonio del valore di oltre 10 milioni di euro, riconducibile a G. B., 75 anni, affiliato di spicco del clan DI LAURO.

Il provvedimento ablativo, che ha riguardato beni immobili tra i Comuni di Napoli, Melito di Napoli e Castel di Sangro (L’Aquila), è stato emesso dal Tribunale di Napoli – Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione – su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea, ed è stato eseguito dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli.

In particolare, gli specialisti del G.I.C.O. hanno sequestrato fabbricati e terreni dopo aver ricostruito come le risorse accumulate nel tempo dalla famiglia erano state favorite dal rapporto di parentela fra il B. e il cognato R. P., protagonista del c.d. “Cartello Scissionista” nel periodo di erosione della struttura organizzativa del clan DI LAURO.

Prima della contrapposizione armata tra i DI LAURO e gli Scissionisti, B. G., grazie al rapporto di “rispetto” con il cognato, aveva goduto di un canale privilegiato attraverso il quale gli venivano affidate ingenti somme di denaro di provenienza illecita derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti e dalle estorsioni che, attraverso una propria struttura organizzata, “reinvestiva” in operazioni di usura, riciclaggio e reimpiego nell’Economia legale.

Le capacità manageriali del B. nella gestione del vasto giro di usura sono state presto riconosciute, oltre che dal cognato P. R., anche da altri sodali apicali del clan che gli avevano affidato le proprie risorse illecite per farle fruttare.

Le indagini di natura patrimoniale hanno sfruttato le evidenze investigative acquisite in precedenza dalle stesse Fiamme Gialle: l’appartenenza del B. al sodalizio criminale, le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e infine la totale inconsistenza economica dei componenti del suo nucleo familiare, del tutto sprovvisto di fonti lecite di guadagno in grado di giustificare il valore economico del patrimonio.

Indagini Fiamme gialle e sequestri patrimoniali di beni di “Cosa Nostra”

 

 

CATANIA

Gli accertamenti della G.di Finanza danno buon esito e si sequestrano i patrimoni dei mafiosi. Troppa sproporzione tra redditi dichiarati e attività svolta. Nell’ambito di attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno infatti eseguito un provvedimento di sequestro patrimoniale in materia antimafia – emesso dal Tribunale etneo, Sezione Misure di Prevenzione – relativo a una ditta individuale, operante nel settore della coltivazione agricola e della ristorazione, e il relativo terreno, per un valore complessivo di circa 60 mila euro.

Si tratta dell’esito di ulteriori accertamenti patrimoniali, svolti dal GICO del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania e dalla Compagnia della Guardia di finanza di Caltagirone, nei confronti di noto esponente di “Cosa Nostra” e dei suoi familiari, tutti residenti a Palagonia (CT), già destinatari, a ottobre 2020, di un provvedimento di sequestro relativo a terreni, una villa e conti correnti per circa 270 mila euro.

In particolare, le indagini hanno consentito di:

  • da un lato, confermare la pericolosità sociale dell’affiliato a “Cosa Nostra”, condannato, tra l’altro, per associazione a delinquere di tipo mafioso e molteplici “reati fine” (estorsioni a danno di imprenditori del catanese), nonché, con sentenza definitiva, per gravissimi reati quali rapina e omicidio;
  • dall’altro, la sproporzione tra il profilo reddituale del nucleo familiare del soggetto destinatario della misura patrimoniale, che in alcune annualità ha dichiarato redditi pari a zero, e il complesso patrimoniale.

Nel dettaglio, le indagini svolte dalla Guardia di finanza di Catania hanno posto in luce, in primo luogo, la pericolosità sociale del soggetto proposto al fine dell’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali. Sotto questo aspetto – in aggiunta alla condanna definitiva per rapina e omicidio – di rilievo è risultata l’appartenenza del proposto all’associazione a delinquere di tipo mafioso denominata “Cosa nostra” e, in particolare, alla “famiglia” di Caltagirone.

Al riguardo, è emerso che il proposto – condannato dal GIP di Catania a 13 anni e 6 mesi di reclusione – ha partecipato ad almeno quattro summit tra esponenti di punta delle famiglie catanesi e calatine di “Cosa nostra” (clan Santapaola, Ercolano e Floridia per il clan Nardo di Lentini), nell’ambito dei quali, tra l’altro, è stata discussa la nomina del “rappresentante provinciale” dell’associazione criminale e la ripartizione dei proventi delle estorsioni (7 episodi di estorsione nei confronti di imprenditori catanesi, operanti nel settore delle costruzioni, del movimento terra e delle onoranze funebri).

Le investigazioni condotte dal GICO della Guardia di finanza di Catania e dalla Compagnia di Caltagirone si sono poi concentrate sul profilo economico-finanziario del proposto e, soprattutto, del suo nucleo familiare (moglie e figlie). Le indagini, estese pertanto ai restanti componenti della famiglia, hanno posto in luce che la presenza di ulteriori particelle di terreno – acquisite nel tempo dal proposto – e di una ditta individuale, formalmente intestata alla moglie, attiva nel settore della coltivazione agricola e della ristorazione. Anche questo patrimonio è stato realizzato dal proposto a fronte di una significativa sproporzione rispetto al reddito dichiarato: infatti, per ciascuno degli anni nel periodo dal 2002 al 2018, il relativo nucleo familiare ha presentato dichiarazioni di redditi minimali e, in un anno, anche pari a zero.

Al termine delle attività di indagine,  il Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione ha così disposto il sequestro, finalizzato alla confisca, della azienda agricola e dei terreni agricoli.

La Procura di Messina indaga su medici e dipendenti delle case di riposo

Procura di Messina

Giro di vite giudiziario nelle case di riposo dove muoiono con più facilità gli anziani ricoverati. La Procura di Messina (nella foto) ha iscritto nel registro degli indagati cinque  persone, tra dipendenti della casa per anziani “Come d’incanto” e personale dell’Asp, con l’accusa di avere colposamente causato la morte di 33 ospiti della struttura durante il lockdown di marzo scorso.
    L’indagine è stata avviata dopo i decessi avvenuti tra marzo e giugno.

Il reato contestato è la  la cooperazione colposa, mediante omissione, in omicidio colposo. Alcuni degli indagati non avrebbero compiuto tempestivamente le azioni necessarie ad impedire la diffusione del contagio da Covid-19 tra gli ospiti della casa. Omissioni che non avrebbero consentito una tempestiva assistenza sanitaria e la somministrazione di terapie.
I vertici della casa di riposo e alcuni dei medici che operavano nel centro, secondo la Procura, avrebbero poi taciuto la presenza dei pazienti contagiati e il rischio della diffusione del contagio.
A due medici del 118 e dell’Asp, invece, la Procura contesta di aver eseguito solo 24 tamponi, nonostante fosse stata segnalata la presenza di 50 anziani con febbre alta e tosse, e di aver sottovalutato l’urgenza di conoscere l’esito degli esami. Indagato anche il dirigente medico dell’ASP di Messina, all’epoca commissario emergenza Covid”: si sarebbe limitato a prescrivere l’isolamento fiduciario degli ospiti presenti nella struttura e non avrebbe fatto immediatamente tamponare il resto degli anziani, né avrebbe evacuato la casa di riposo.

 

Pogliese: “riprendo il percorso di servizio alla città di Catania con lo stesso entusiasmo e gioia di prima”

 

Comunicato del Comune di Catania     .Nella foto il Sindaco  avv. Salvo Pogliese

“Ho apprezzato la serietà che il Tribunale di Catania ha dimostrato nel sollevare il caso della legge Severino davanti alla Corte Costituzionale e sospendere il provvedimento del prefetto. Mi auguro che quello che è accaduto a Catania induca il Legislatore a modificare una legge ingiusta e sbagliata. Riprendo con gioia un percorso di servizio alla città di Catania, con la stessa passione e lo stesso entusiasmo del primo giorno della mia elezione nel giugno 2018, quando ho lasciato la carica di europarlamentare per essere eletto sindaco con il 52% dei consensi. Un cammino di rinascita che non si è mai interrotto, grazie all’impegno generoso degli assessori, del vicesindaco Roberto Bonaccorsi, del capo di gabinetto Giuseppe Ferraro, del consiglio comunale, che hanno remato tutti nella stessa direzione. Ringrazio soprattutto i cittadini che non mi hanno mai fatto mancare il loro affetto e il loro sostegno per affrontare le emergenze che si sono dovute affrontare in questi due anni del mandato”.

MAFIA, COSCA DI 23 IMPUTATI CONDANNATI DAI GIUDICI DI PALERMO

 

Tribunale di Palermo – Stato dei luoghi destinato alla Polizia  Penitenziaria – SiNAPPe

Nella foto (d’Archivio) il Tribunale di Palermo

 TRA I MAFIOSI  ALLA SBARRA ANCHE IL PRESUNTO ASSASSINO DELL’AVV. ENZO FRAGALA’ : FRANCESCO ARCURI

Palermo

Processo “Athena”  23 imputati sono stati condannati dal  gup del tribunale di Palermo Clelia Maltese  col rito abbreviato a circa un secolo -nella somma degli anni da scontare -di carcere   per una  un’inchiesta di mafia condotta dai carabinieri sulla cosca di Porta Nuova

Assolti unici persone e tra questi c’è uno dei presunti assassini dell’avvocato Enzo Fragalà, Francesco Arcuri, condannato nel processo per il delitto a 24 anni, ma oggi scagionato dalle ipotesi di associazione mafiosa ed estorsione. Assolto pure Gregorio Di Giovanni, che col fratello Tommaso (che invece è stato condannato) è considerato uno dei boss del mandamento centrale del capoluogo siciliano.

I reati accertati sono a carico di  un gruppo di persone che avrebbero sottoposto a estorsioni sistematiche i commercianti delle zone del centro di Palermo e che avrebbero anche trafficato in droga. Si tratta di Pietro Burgio, per il quale è stato disposto un aumento di 2 mesi su una precedente condanna; Cristian Caracausi, due mesi e 20 giorni; Salvatore D’Oca 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Salvatore De Luca 3 anni, 6 mesi e 20 giorni; Salvatore De Santis sei mesi; Alessandro Angelo Di Blasi 3 anni e 20 giorni; Tommaso Di Giovanni, in continuazione 15 anni e 6 mesi; Benedetto Graviano, cugino dei boss di Brancaccio, in continuazione 5 anni e 6 mesi; Alessio Haou e Khemais Lausgi 4 anni; Filippo Maniscalco 5 anni e 4 mesi; Giovanni Maniscalco 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Gandolfo Emanuel Milazzo e Fabrizio Nuccio due anni e otto mesi; Francesco Pitarresi 11 anni e 8 mesi; Gaspare Rizzuto un anno e cinque mesi; Giovanni Salerno 6 anni 2 mesi e 20 giorni; Antonio Sorrentino 4 anni e 4 mesi; Rosalia Spitaliere un anno, 9 mesi e 10 giorni; Settimo Spitaliere 4 anni, 5 mesi e 10 giorni; Salvatore Sucameli un anno e quattro mesi; Vincenzo Toscano un anno e sei mesi; Costantino Trapani 2 anni e 6 mesi.

Sentenza di assoluzione invece per  Arcuri e Gregorio Di Giovanni,  Giulio Affronti, Paolo Calcagno, Gioacchino Cirivello, Sebastiano Vinciguerra, Vincenzo Cusimano, Andrea Damiano, Michele Madonia, Rosolino Mirabella e Antonino Pisciotta.

Si apprende che il Tribunale ha accolto parzialmente le richieste dei pubblici ministeri Amelia Luise e Giovanni Antoci, del pool coordinato dal Procuratore aggiunto dr. Salvatore De Luca.  Vedremo in seguito lo svolgimento delle difese legali degli imputati.

Strage italiani a Dacca, sentenza di “pena di morte” per i terroristi

 

 

Condanna alla pena di morte emessa da un n tribunale antiterrorismo di Dacca, la capitale del Bangladesh, per  sette persone ,autori dell’azione terroristica  risalente al primo luglio del 2016    contro il locale ristorante “Holey Artisan Bakery”  nel quartiere diplomatico di Gulshan nel quale morirono 22 persone, tra cui nove italiani.(Foto)

Mojibur Rahman è il giudice che ha emesso le sentenze, contro le quali gli imputati possono ricorrere in appello.  sette condannati a morteI terroristi erano presenti in tribunale al momento della lettura della sentenza. Un altro imputato è stato assolto. Hossain alias Rajib Gandhi, Rakibul Hasan Regan, Aslam Hossain alias Rashedul Islam alias Rash, Abdus Sabur Khan alias Soheil Mahfuz, Hadisur Rahman Sagar, Shariful Islam Khaled alias Khalid e Mamunur Rashid Ripon – erano presenti in tribunale al momento della lettura della sentenza. , Mizanur Rahman alias Boro Mizan, è stato prosciolto dall’accusa…