Napoli, la Cassazione con sentenza “confisca” il magico Castello delle cerimonie”

 

Una notte alla Sonrisa dentro il «Castello delle Cerimonie»

Archivi-Sud Libertà  (Il Castello delle cerimonie)

 

 

Nonostante siano prescritti i reati, la Corte di Cassazione ha stabilito la confisca per il “Castello delle Cerimonie”, struttura ricettiva divenuta nota grazie alla trasmissione televisiva in onda sul canale Real Time. Il locale si trova a Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli.       Il Castello era divenuto un particolare punto di riferimento turistico per i giovani e per le coppie che intendevano unirsi in matrimonio in un’atmosfera magica e tanti, tanti giochi di luce

Chiamato ufficialmente La Sonrisa, o semplicemente «O Castiello», è il «Castello delle Cerimonie», : un immenso palazzo, sfarzoso, in stile diciamo eclettico che è diventata la location di matrimonio più famosa d’Italia – pure all’estero.

Sant’Antonio Abate, fra Napoli e la Costiera Sorrentina, è un paesino che conta giusto qualche chiesa e una sagra della porchetta nei giorni del santo patrono. . Il castello ha ingresso trionfale, viale alberato, parco, torri, piscine, palme, fontane, mobili in stile e oro a profusione.    Era il titolare  Ferdinando ad accogliere gli ospiti alla reception e i fidanzatini che volevano  fare un giro per le sale mentre programmavano le proprie nozze: di fronte a tanta bellezza artistica perchè di arte autentica si tratta  che ha respinto sin dall’inizio  la tarantola  della burocrazia ricattatoria,       le coppie decidevano di fidanzarsi qui, ancor prima di trovare l’amore.

In questa struttura da favola, come poche al mondo,  si esibivano Mario Merola e poi Gigi d’Alessio, poi la sceneggiatura   di un film di Matteo Garrone e in un documentario sui neomelodici napoletani – quando dei produttori televisivi capirono che oltre all’architettura, c’era molto di più.

Corte di Cassazione - Fotogramma
Archivi -Sud Libertà-  (La sede della Corte di Cassazione)

Ieri, la Corte ha certificato l’avvenuta prescrizione di tutti i reati, con l’eccezione dell’esecutività della sentenza nella parte che  riguarda la confisca degli immobili e dei terreni su cui sorge la struttura ricettiva, che saranno acquisiti a patrimonio del Comune di Sant’Antonio Abate.  Un autentico schiaffo a tutti coloro che hanno lavorato qui con rara professionalità . La sentenza di primo grado per lottizzazione abusiva era stata emessa dal tribunale di Torre Annunziata nel 2016.

 

Altra sentenza a firma del Giudice Cupri.L’autonomia dei magistrati è indiscutibile ma nel corso dell’attività occorrono “coerenza, deontologia e saggezza”

 

 

 

Catania

Altra sentenza giudiziaria clamorosa a Catania dopo quella a firma del giudice Apostolico. Il tribunale di Catania non ha convalidato il trattenimento di sei migranti a Pozzallo, disposto dal questore di Ragusa. Il provvedimento  firmato dal giudice Rosario Cupri, un collega del giudice Iolanda Apostolico del 29 settembre che ha rigettato un’analoga richiesta nei confronti di quattro tunisini nel centro di accoglienza sconfessando di fatto il decreto del governo.

             LA NORMATIVA EUROPEA IGNORATA  DAL GOVERNO NAZIONALE

Motivazioni:         Esiste una sentenza  della Corte di giustizia dell’Ue, come “il trattenimento di un richiedente protezione internazionale”  e si rivela “una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto”. “Ne discende  che il trattenimento costituendo una misura di privazione della libertà personale è legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge”.

Ma di più:   anche una sentenza della  Corte di Cassazione ha stabilito a riguardo che “la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione va disapplicata dal giudice nazionale” Il Tribunale sottolinea che “la richiesta di protezione internazionale non è soggetta ad alcuna formula sacramentale” e che nel caso del 37enne tunisino la sua domanda “doveva essere esaminata al suo ingresso alla frontiera di Lampedusa” e la sua richiesta “sottoscritta a Ragusa non può essere trattata come procedura di frontiera”.

“Come già affermato da precedenti decisioni di questo tribunale in procedimenti di convalida di trattenimenti riguardanti cittadini tunisini e le cui motivazioni sono condivise da questo giudicante – osserva ancora il giudice Cupri– la norma prevede una garanzia finanziaria che non si configura, in realtà, come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/Ur, per il solo fatto che chiede protezione internazionale”.

In settimana la Corte Costituzionale si pronuncerà sui ricorsi dipendenti pubblici per la riduzione dei tempi di pagamento della liquidazione/ buonuscita o Tfs

Archivi -Sud Libertà

 

Si attende la sentenza della  corte Costituzionale sull’anticipo Tfr-Tfs.  Forse domani oppure un altro rinvio per approfondimenti. La sentenza sarà di interesse immediato degli Enti pubblici, delle Asp, dei Servizi Personale delle Regioni ed enti locasli.

Secondo l’Inps e gli intenti governativi il differimento della liquidazione è di una quelle misure che serve per sostenere i costi dello Stato.

 

I lavoratori dipendenti pubblici quando cessano il rapporto di lavoro hanno diritto, a differenza dei lavoratori del settore privato che ricevono il Tfr, Trattamento di fine rapporto, ad avere il Tfs, Trattamento di Fine Servizio, e altre prestazioni diverse, a seconda dell’Amministrazione presso la quale è stato prestato servizio, come indennità di Buonuscita (IBU), i cui destinatari sono i dipendenti dello Stato in senso stretto (dipendenti dei Ministeri, delle Agenzie Fiscali, della Scuola, dell’AFAM e dell’Università); indennità Premio di Servizio (IPS), di pertinenza dei dipendenti degli Enti Locali, delle Regioni e del Servizio Sanitario Nazionale; e indennità di Anzianità (IA), destinata ai dipendenti degli Enti Pubblici non Economici e delle Camere di Commercio.

Si sa che l’importo del Tfr viene accantonato dal datore di lavoro privato o pubblico in misura variabile secondo la retribuzione: la somma accantonata ogni anno corrisponde ad una mensilità di stipendio e viene calcolata dividendo lo stipendio annuale per 13,5. Il montante viene poi moltiplicato per gli anni di servizio, rivalutato del 75% dell’indice di aumento dei prezzi al consumo dell’anno precedente e aumentato di una quota fissa dell’1,5%. Le discussioni sono aperte proprio su modalità e tempi di pagamento del Tfr-Tfs. 

 

Secondo quanto affermato dall’Inps, è legittimo pagare la liquidazione ai dipendenti pubblici dopo anni dal termine del rapporto di lavoro.

L’Inps sottolinea la differenza tra Tfs, Trattamento di fine servizio, e Tfr, Trattamento di fine rapporto, ritenendo che solo il Tfr possa essere pagato subito.

Oggi la liquidazione del Tfs che può allungarsi fino a 5 anni rispetto al momento in cui il lavoratore cessa il rapporto di lavoro, riconosciuta senza rivalutazione e senza interessi, implica un taglio del circa 30% della somma spettante, tassa che pagano solo i dipendenti pubblici.

Secondo i ricorrenti che riconoscono l’illegittimità della decisione, non c’è alcuna differenza tra Tfs e Tfr e non deve sussistere nessuna differenza nei tempi di pagamento di entrambe i trattamenti, oggi decisamente differenti. Un lavoratore dipendente privato, infatti,  ha un tempo di attesa di  ‘soli’ 45 giorni.

La nuova sentenza della Corte Costituzionale,  dovrà decidere se pagamenti differiti del Tfs ai dipendenti pubblici siano legittimi o meno. La Corte Costituzionale dovrebbe esprimersi sostenendo  la riduzione dei tempi di pagamento del Tfs agli statali e altri dipendenti pubblici i

I ricorsi presentati per i pagamenti del Tfs sono motivati tanto dai singoli tempi troppo lunghi che bisogna attendere per ricevere il proprio Trattamento spettante per i lavoratori pubblici, sia dalla forte differenza rispetto ai tempi di pagamento del Tfr ai lavoratori privati.

I tempi di pagamento del Tfr-Tfs agli statali cambiano in base al motivo di cessazione del rapporto di lavoro e sono generalmente di: 12 mesi per cessazione del rapporto di lavoro se raggiungimento dei requisiti, limiti di età o di servizio, per andare in pensione; 

-24 mesi per cessazione del rapporto di lavoro se per dimissioni volontarie.

Inoltre, in base all’importo di Tfr da liquidare, che per legge può avvenire: in un’unica soluzione se l’importo è pari o inferiore a 50mila euro; in due rate annuali se l’importo è compreso tra 50mila euro e inferiore 100mila euro e se l’importo lordo complessivo è superiore a 50.000 euro e inferiore a 100.000 euro la liquidazione del Tfs avviene in due rate, la prima pari a 50.000 euro e la seconda pari all’importo residuo; 

 

Il finto pianto dell’ex Ministro prof.Fornero

Processo Montante, pena ridotta l’Antimafia dell’ex leader di Confidustria Sicilia, era -per i giudici d’Appello- vera Mafia

 

E’ stato il motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere”, aveva scritto la sentenza di primo grado.

 

 

Nuova richiesta di processo per Montante e Crocetta - la Repubblica
Processo Montante- Coinvolto anche Rosario Crocetta, nella foto a ds

 

 

Caltanissetta,

Sentenza di primo grado ridotta. Ora sono  otto anni  di  condanna per l’ex leader di Confindustria nel processo d’appello a Caltanissetta.    Secondo la corte d’appello nissena (presidente Andreina Occhipinti, a latere Giovanbattista Tona e Alessandra Giunta) il “sistema Montante”regge ancora. Quindi anche le accuse di corruzione e ’accesso abusivo al sistema informatico.
« La difesa di Montante, ottimista alla vigilia,  puntava a smontare il reato associativo oltre che a ridimensionare la portata della rete spionistica di cui l’ex paladino dell’antimafia è ritenuto l’ispiratore e il capo: in cambio di favori, esponenti delle forze dell’ordine gli avrebbero dato informazioni su inchieste a suo carico, informazioni sui “nemici”, oltre a dossier su personaggi influenti. Non accetta il principio accusatorio Carlo Taormina : «Noi riteniamo che questa sentenza non soddisfi l’obiettività delle cose. Sembra una sentenza più diretta a confermare l’impianto accusatorio per quelle che sono state le movenze originarie, ma che non risponde alla realtà delle cose», smozzica il professore. : «Rispetto al primo grado c’è stato un ridimensionamento, anche se non siamo assolutamente soddisfatti e quindi proporremo ricorso per Cassazione». Taormina contesta pure- ci dicono in redazione-alcune ipotesi -più affievolite comunque- di corruzione del sistema del suo assistito”

Nei guai giudiziari anche  il capo della security di Confindustria, Diego Di Simone (in primo grado condannato a 6 anni e 4 mesi), che attraverso il suo braccio destro, il sostituto commissario della Questura di Palermo Marco De Angelis (3 anni e sei mesi la pena del Gup) avrebbe effettuato una serie di accessi abusivi al sistema Sdi acquisendo notizie riservate. Di Simone ha avuto 5 anni; .. Anche lui avrebbe avuto un ruolo determinante nell’attività di spionaggio: dopo l’arresto ha fatto alcune ammissioni, ma per la Procura di Caltanissetta restano tanti dubbi su questo personaggio dello Stato

Due ‘assoluzioni di spicco  : quella del   generale  Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della guardia di finanza di Caltanissetta, dopo i 3 anni in primo grado. «. E quella del  questore Andrea Grassi, dirigente della prima divisione dello Sco, accusato (un anno e 4 mesi la pena disposta del gup) di aver riferito a Montante notizie riservate. «Ora, arriva un’assoluzione piena. “Grande soddisfazione”, dicono i suoi legali, gli avvocati Cesare Placanica e Walter Tesauro. “Già la sentenza di primo grado aveva sancito l’estraneità di Grassi a ogni rapporto opaco nell’ambito del Sistema Montante. Oggi, con la completa assoluzione, a Grassi è stato ridato anche l’orgoglio di dichiararsi, come fatto dalle prime battute delle indagini, un uomo dello Stato”.
Alfonso Cicero, difesa dall’avv Annalisa Petitto, perde la provvisionale calcolata in 10mila euro dal Gup.

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MAFIA IN SICILIA: I GIUDICI PRESENTANO IL CONTO, DIECI ERGASTOLI E SEDICI CONDANNE TRA CUI SALVATORE SANTAPAOLA

 

 

Il Gup di Catania, Maria Ivana Cardillo, a conclusione del processo Thor, celebrato col rito abbreviato, su oltre venti omicidi di mafia commessi da Cosa nostra in un ventennio: tra la fine degli anni ’80 e il 2007. ha emesso la sentenza: Dieci ergastoli e sedici condanne per oltre 270 anni di reclusione, con pene comprese tra tre e 30 anni

 

Il massimo della pena -si apprende – è stata comminata a Vincenzo Salvatore Santapaola, 53 anni, figlio dello storico capomafia Benedetto, ritenuto il mandante dell’uccisione del cugino Angelo Santapaola, ma assolto da quello di Nicola Sedici, che sarebbe stato un duplice omicidio di “pulizia interna” al clan commesso nel settembre del 2007. Ergastoli anche, tra gli altri, ad Aldo Ercolano, nipote di “Nitto” e suo “alter ego”, e al boss Aurelio Quattroluni.

 

Al centro del processo Thor, nato dalle indagini di carabinieri del Ros culminate con un’ordinanza cautelare eseguita il 25 febbraio del 2020, gli anni bui della sanguinosa violenza da oltre 100 omicidi l’anno a Catania e provincia, quando si moriva, ricorda la Dda della Procura, «per un saluto mancato, per una rapina dove non andava fatta, perché un commerciante non faceva il dovuto sconto, per un sospetto, per pulizia “interna” o perché rivali».

 

Ma anche delle infiltrazioni della mafia nelle Istituzioni, comprese le forze dell’ordine e anche all’interno delle carceri, con Bicocca «in mano a Cosa nostra». Ma in quegli anni si moriva anche per dare un forte “segnale” all’esterno di una Cosa nostra intoccabile e spietata: Francesco Lo Monaco è assassinato nel 1994 perché ritenuto l’autore di un assalto a un distributore di carburanti di proprietà del boss Marcello D’Agata, e Antonio Furnò è vittima di “lupara bianca” nel 1992 per avere rapinato un supermercato del capomafia Aldo Ercolano.

 

Tra le vittime anche persone estranee alla mafia come Salvatore Motta, tra i deceduti di un triplice omicidio commesso il 10 aprile del 1991 a Lentini, nel Siracusano. Gli obiettivi dei sicari, che agirono su richiesta del clan Nardo, erano Cirino Catalano e Salvatore Sambasile. Motta era al posto sbagliato al momento sbagliato. Innocente era anche Giuseppe Torre, ventenne sequestrato e torturato nel febbraio del 1992, perché si pensava avesse informazioni utili a Cosa nostra per catturare un esponente del clan rivale dei “Tuppi”. Il corpo, per non lasciare tracce e farlo “sciogliere”, fu messo dentro dei copertoni impilati, cosperso di benzina e poi gli fu dato fuoco.

 

Processo all’ex presidente Raffaele Lombardo: “Sono troppe le dimostrazioni-prove fornite dai Carabinieri ma sono anche troppi “i pensieri contrastanti in toto” dei giudici delle sezioni della Corte d’appello

Raffaele Lombardo assolto, fine dell'odissea lunga 10 anni: cadono le  accuse di mafia e corruzione elettorale - Il Riformista
Nella foto Raffaele Lombardo

 

Due sentenze contrastanti, adesso un’altra della  Corte d’appello di Catania  assolve l’ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, per concorso esterno all’associazione e corruzione elettorale.

Si apprende c he da diversi anni Raffaele Lombardo sta sulla graticola in attesa di essere “liberato” dal comune dire che lui e la classe dirigenziale che ha fatto passi avanti con il suo nome , sono una cosa comune “mafiosa”. 

Anche  un annullamento con rinvio della Cassazione  che verte su indagini dei carabinieri del Ros di Catania su rapporti tra politica, imprenditori, “colletti bianchi” e Cosa nostra. Per la Procura Lombardo avrebbe favorito clan e ricevuto voti alle regionali del 2008, quando fu eletto governatore. Accuse che lui ha sempre respinto.

La Corte ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno perché il fatto non sussiste e da quella di reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia per non avere commesso il fatto.

Di pensiero diverso  la Procura, che con i Pm Sabrina Gambino e Agata Santonocito, in virtù di elementi di prova raccolti, avevano chiesto la condanna di Raffaele Lombardo, a sette anni e quattro mesi di reclusione, per l’accesso al rito abbreviato.

Sotto i riflettori i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei …    Ricorderemo che l’ex presidente aveva sostenuto a difesa di  avere «sempre combattuto Cosa nostra».

I suoi legali , gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito «perché il fatto non sussiste». Il procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo fratello Angelo, per cui si procede separatamente, per le politiche del medesimo  anno.

La Seconda sezione penale della Cassazione, tre anni fa, ha annullato con rinvio la sentenza emessa il 31 marzo 2017 dalla Corte d’appello di Catania che aveva assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore e lo aveva condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza.

Una sentenza, quella di secondo grado, che aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno all’associazione mafiosa ritenendolo, tra l’altro, «arbitro» e «moderatore» dei rapporti tra mafia, politica e imprenditoria.

Nelle motivazioni la Corte d’appello di Catania, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva rilevato che «il summit tra i vertici mafiosi e Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa dell’ex presidente della Regione, uno dei pilastri dell’accusa, «è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio». Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, «i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore».

La Corte d’appello gli aveva contestato la corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito la mafia, che non usa violenza né intimidisce, ma compra i voti con soldi, buoni spesa e favori. Una decisione non condivisa dalla Cassazione che «in accoglimento del ricorso della Procura generale di Catania» aveva poi annullato «la sentenza con rinvio ad altra sezione» della Corte d’appello di Catania, davanti alla quale si è celebrato il nuovo processo.

Con la Sentenza della Consulta, -afferma il sindaco di Catania Salvo Pogliese- dobbiamo distinguere le rappresentanze del Sindaco da quelle dell’amministrazione territoriale”

ciao

 

In merito al pronunciamento della Corte Costituzionale su ruolo unico sindaco del comune capoluogo ed ente Città metropolitana, il sindaco Salvo Pogliese ha diffuso la seguente nota:

L’irragionevolezza e il contrasto con i principi costituzionali delle attuali disposizioni della Legge Delrio/Crocetta con riferimento alla disciplina degli organi delle Città Metropolitane, formulata nella sentenza della Corte Costituzionale depositata ieri, segnala le profonde incongruenze nell’automatica identificazione del Sindaco del Comune capoluogo con il Sindaco Metropolitano. Non è certo il tempo di piccoli interessi a doverci fare muovere.

Personalmente, infatti, con l’esperienza diretta della cogestione di due importanti enti territoriali come il Comune e la Città Metropolitana di Catania, ho sempre pubblicamente rilevato la necessità di distinguere le rappresentanze elettive del sindaco del capoluogo con il vertice dell’amministrazione territoriale di area vasta. E per questo auspico fortemente che tra le “pluralità di soluzioni possibili”, individuate dalla Consulta,  vi sia un’autonoma squadra di governo e un rinnovato impegno di mezzi e risorse, per gestire a tempo pieno l’autentica rinascita dell’ente intermedio, massacrato istituzionalmente da una fallimentare  e inutile riforma.

Ponendo rimedio alle funzionali criticità che ne derivano, anche in termini di servizi ai cittadini, il Parlamento regionale raccolga con un tempestivo intervento legislativo la sollecitazione della Corte Costituzionale in materia elettorale. Si restituisca, cioè, la parola ai cittadini per eleggere direttamente tutti gli organi delle ex Province, ridando valore di partecipazione popolare alle delicate competenze di area vasta, lasciate intatte a Enti, nel frattempo irresponsabilmente, privati di autonoma direzione politica e senza i necessari strumenti finanziari e di personale”.

Sentenza storica della Procura di Caltanissetta: la Mafia, “Supercosa” agi’ in gruppo e Messina Denaro-condannato all’ergastolo- era tra i mandanti

 

Messina Denaro in una foto col cappello

La difesa del boss ha chiesto invece l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

C’è posta per te   Si dovrebbe dire così adesso per la notifica del provvedimento giudiziario emesso dalla Corte d’Assise di Caltanissetta.Il boss latitante Matteo Messina Denaro è stato infatti condannato all’ergastolo per le stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.   Questa storica notifica va recapitata invece ad un “fantasma”  Ma è molto più chiaro adesso il mosaico della Mafia ricostruito dalle Procure siciliane

Lo ha deciso la Corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, dopo una camera di consiglio fiume iniziata poco dopo le 10 di questa mattina. Il latitante è accusato di essere tra i mandanti delle stragi del 1992. Il collegio si è riunito oggi dopo una breve udienza, durante la quale l’avvocato d’ufficio dell’imputato, Salvatore Baglio, ha replicato al contenuto di una memoria depositata dal pm Gabriele Paci in una delle ultime udienze. Al termine della lunga requisitoria durata otto udienze, il Procuratore aggiunto Gabriele Paci ha chiesto la condanna all’ergastolo per la ‘primula rossa’ di Cosa nostra. La difesa del boss ha chiesto invece l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

Tra le parti civili del processo, iniziato nel 2017, ci sono i familiari degli agenti di scorta dei due giudici ma anche i figli del giudice Paolo Borsellino e il fratello Salvatore. Parte civile anche l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del consiglio e del ministero dell’Interno. Le parti civili sono rappresentate dagli avvocati Vincenzo Greco, Santi Centineo, Roberto Avellone, Giuseppe Crescimanno.

Durante la lunga requisitoria il Procuratore aggiunto,  aveva parlato di “unanimità dei consensi al progetto sulle stragi di Totò Riina collegiale”. “Totò Riina – aveva detto Gabriele Paci nella requisitoria- può contare su un gruppo di persone fidate che chiama “supercosa”, ai quali affida il compito di organizzare la missione romana. Questo rafforza Riina non soltanto perché ha un gruppo segreto che fa capo a lui, ma perché questo gruppo gli consentirà tra le varie opzioni operative di optare per quella che era più funzionale alla realizzazione dei suoi interessi. Scartata la missione romana sceglie quella di Capaci. Indipendente dall’esito la supercosa rafforzò i propositi di Totò Riina, con un gruppo di persone pronto ad uccidere. Nell’ottobre del ’91, con l’appoggio di Messina Denaro, Totò Riina, seppe che aveva questa disponibilità di uomini e mezzi”.

“Borsellino da tempo era nel mirino di Matteo Messina Denaro, perché poco prima delle Stragi aveva chiesto l’arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti”, aveva ancora detto il procuratore aggiunto Gabriele Paci, ricostruendo davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta gli anni precedenti agli attentati di Capaci e via d’Amelio, nel processo in cui il latitante è accusato di essere uno dei mandanti. Per Matteo Messina Denaro, il magistrato era colui che aveva scritto l’ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza”, aveva aggiunto il pm Paci.

Nel gennaio 1990 Borsellino aveva chiesto la sorveglianza speciale e il divieto di dimora per don Ciccio, ma il Tribunale di Trapani rigettò la richiesta, ma sulla base delle stesse accuse nell’ottobre dello stesso anno venne emesso un ordine di cattura nei confronti del capomafia”. “Avere il consenso di Matteo Messina Denaro – aveva detto ancora il Pm Paci, che oggi è reggente della Procura – gli consentiva di avere delle spie in ogni anfratto di Cosa Nostra che potevano portare alla luce quelli che erano i dissensi interni. Matteo Messina Denaro serve proprio a questo, a stanare e uccidere i riottosi”.

“Quando nel 1991 comincia la guerra di mafia Paolo Borsellino opera nel trapanese, nel territorio gestito da Matteo Messina Denaro. Abbiamo ripercorso quegli anni maledetti – aveva continuato il Pm Paci – Totò Riina, per iniziare la stagione stragista dovette veramente convincere i rappresentati provinciali della bontà del suo progetto, riuscire a costruire il consenso. Non è sostenibile che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso a prescindere quella strada senza avere il consenso di Cosa Nostra, perché se ci fosse stato il dissenso di una delle province ci sarebbe stata una guerra. La storia di quegli anni non sarebbe stata la stessa. Messina Denaro non può aver prestato consenso con riserva. Fu lui più di tutti l’uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno”. Oggi è arrivata la sentenza, con la condanna a vita per il boss latitante.

Su Matteo Messina Denaro adesso c’è una condanna al carcere a vita dunque con “isolamento diurno per la durata di 18 mesi” e lo condanna anche”al pagamento delle spese processuali”. La Corte ha poi dichiarato l’imputato “interdetto dai pubblici uffici” e “decaduto dalla responsabilità genitoriale”. La condanna sarà, inoltre, pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia”.

Ma non è tutto. Dovrà pagare pure il  risarcimento delle parti civili che si sono costituite. Ecco le provvisionali decise dai giudici, fino a 500mila euro in favore di ciascuna dei fratelli e dei figli degli agenti di scorta morti nelle stragi mafiose. Ma anche dei figli del giudice Paolo Borsellino, Manfredi, Lucia e Fiammetta. Trecentomila euro in favore di altri fratelli di agenti di scorta e parenti dei due giudici uccisi. E poi 100mila euro anche a figli di altrui agenti, tra cui l’autista sopravvissuto alla strage di Capaci.

 

 

Prosciolto il Cardinale George Pell dall’accusa di abuso su minori -Papa Francesco: “Preghiamo per le persone che soffrono una sentenza ingiusta per accanimento”

La fabbrica delle ingiustizie I giudici delle condanne vuote ...

L’Alta corte australiana  ha prosciolto il cardinale George Pell dall’accusa infamante di abuso su minori per cui stava scontando una condanna a 6 anni, ribaltando la sentenza della Corte d’Appello emessa nell’agosto dell’anno scorso che confermava la decisione del Tribunale di Melbourne del dicembre 2018. Il porporato, che compirà 79 anni a giugno si è sempre dichiarato innocente.           Pell  ha lasciato il carcere di Barwon per recarsi in un istituto religioso presso Melbourne.
Il Cardinale Pell torna in carcere, in attesa di un nuovo appello

Il cardinale Pell, (nella foto sopra )che ha trascorso circa 400 giorni in prigione, dopo  la decisione dell’Alta Corte, ha ribadito di aver “costantemente sostenuto” la sua innocenza e che l’ingiustizia che ha ricevuto è stata ora sanata. Rivolgendosi alla persona che lo ha accusato per un fatto avvenuto negli anni ‘90, a quel tempo era un chierichetto della Cattedrale di Melbourne, il porporato ha detto di non nutrire alcun risentimento. Quindi ha auspicato che la sua assoluzione non aggiunga altro dolore. La base della guarigione a lungo termine – ha affermato – è la verità e l’unica base della giustizia è la verità, perché giustizia significa verità per tutti. Nella dichiarazione, Pell ha poi affermato: “Il mio processo non era un referendum sulla Chiesa cattolica, né un referendum sul modo in cui le autorità della Chiesa in Australia hanno fronteggiato il crimine di pedofilia nella Chiesa. Il punto era solo se io avevo o no commesso quei crimini orribili, e io non li ho commessi”.

Papa Francesco, la Chiesa  ha  preso atto delle decisioni dei giudici australiani, e, ha costantemente confermato la vicinanza alle vittime di abusi sessuali e l’impegno, attraverso le competenti autorità ecclesiastiche, a perseguire i membri del clero che ne siano responsabili.

In questi giorni di Quaresima – ha detto il Pontefice nel corso della S.Messa -abbiamo visto la persecuzione che ha subito Gesù e come i dottori della Legge si sono accaniti contro di lui: è stato giudicato sotto accanimento, con accanimento, essendo innocente. Io vorrei pregare oggi per tutte le persone che soffrono una sentenza ingiusta per l’accanimento”.

La sentenza dell’Alta Corte ribalta quindi quella di primo grado confermata lo scorso agosto dalla Corte d’Appello di tre giudici dello stato di Victoria con un voto di due a uno. La condanna era stata di 6 anni, con 3 anni e otto mesi da scontare prima di una eventuale libertà condizionale. Pell era stato dichiarato colpevole di aver abusato sessualmente nel 1996 nella sacrestia della cattedrale di Melbourne, quando era arcivescovo della diocesi, di due coristi di 13 anni sorpresi a bere il vino della messa.

IL GUP LUPARELLO: “MAFIA TRASPARENTE, ACCESSI ABUSIVI INFORMATICI,POTERE,IL TEATRO DELL’ASSURDO DI MONTANTE

Risultato immagini per foto del gup di caltanissetta Graziella luparello

CALTANISSETTA –

Fine della storia per l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante ed i suoi seguaci.   Il Gup di Graziella Luparello, nelle motivazioni della sentenza che lo ha condannato a 14 anni di carcere. lo definisce quale autore di “.. un progetto di occupazione egemonica dei posti di potere».

Risultato immagini per foto del gup di caltanissetta Graziella luparello

Si tratta di un progetto, spiega il Gup, che «era stato condiviso da tutti coloro che traevano beneficio dalla progressiva attuazione di esso», i quali, «del resto, non avevano alcun motivo per rifiutare le varie proposte di carriera, politica, amministrativa o industriale-associativa che via via, grazie alla innegabile abilità relazionale di Montante, si presentavano. Un progetto – condiviso anche da chi sapeva che Montante era la chiave di accesso a ministeri, enti pubblici e imprese private per ottenere posti di lavoro, trasferimento o incarichi di prestigio: Montante non gestiva potere, ma lo creava».

Risultato immagini per foto del gup di caltanissetta Graziella luparello

Nella foto d’Archivio- il Gup di Caltanissetta dottssa Graziella Luparello

Ora, «se associarsi è una pratica legittima, che gode anche di copertura costituzionale, senza scadere nella illiceità in ragione della sola finalità egemonica nelle istituzioni politiche – precisa il Gup -, associarsi per commettere reati, necessari per l’occupazione di posti di potere, integra il delitto di cui all’art. 416 c.p. Orbene, nel caso che ci occupa, gli imputati hanno commesso, in forma concorsuale, diversi delitti: gli accessi abusivi ai sistemi informatici della polizia».

 

Ma il Gup scopre altro su Montante : «è stato il motore immobile- sottolinea il giudice – di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere, che, sotto le insegne di un’antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di “dossieraggio”, molte delle istituzioni pubbliche, sia regionali che nazionali, dando vita ad un fenomeno che può definirsi plasticamente non già quale mafia bianca, ma mafia trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e, perciò, in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle comuni misure anticorpali».

 

«Si era in presenza di una catena di montaggio -afferma il Gup –  con ruoli prestabiliti, assolutamente collaudata e che ha funzionato per diversi anni, per l’esecuzione di un numero elevato di accessi abusivi». Secondo il gup «ciascuno degli anelli della catena di trasmissione era perfettamente consapevole di partecipare ad un’alleanza stabile, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di accessi abusivi al sistema informatico, e perseguiva l’obiettivo di assicurare la longevità operativa del sodalizio, in quanto ciò appariva funzionale al mantenimento di un sistema di potere da cui tutti i federati traevano vantaggio».

 

«La sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di questi – spiega il gup – era la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali: una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un’impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere».

 

Viene citato in una pagina della corposa sentenza anche ll’ex responsabile del Viminale, Angelino Alfano. Il gup nel descrivere il ruolo di Montante osserva: «Neppure l’allora ministro dell’interno Angelino Alfano, come da lui affermato, poteva permettersi di contraddirlo, e, nell’anno 2013, a sostegno della presunta “primavera degli industriali”, era stato persino “delocalizzato” il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che, senza alcun precedente nella storia della Repubblica Italiana, si era riunito a Caltanissetta: un’autentica genuflessione istituzionale innanzi a colui che nel 2015, nel pieno della bufera mediatica per il suo coinvolgimento nell’indagine per mafia, riusciva persino a farsi rafforzare il servizio di scorta».

 

Il gup di Caltanissetta, nelle motivazioni si dilunga molto su quella che, a suo avviso, era un’antimafia di facciata. Ed era senza riscontri in merito a presunti episodi intimidatori quale il rinvenimento di un proiettile innanzi all’abitazione, «di cui, come si è visto, nessuno dei collaboratori di giustizia ha saputo riferire e che, comunque, non pare potersi configurare come un’azione “trasversale” tale da lasciare presagire l’opposizione di “istituzioni” e “poteri”, non meglio precisati, alla rivoluzione legalitaria».

 

Per la Giustizia: «Montante dunque, parlava di “cappa”, di “azioni trasversali”, di possibili ostruzionismi da parte di “istituzioni” e “poteri” deviati, senza alcun dato oggettivo a suffragio delle sue elucubrazioni, nonostante le ripetute sollecitazioni, da parte dei componenti della commissione, ad inverare il suo discorso con elementi concreti tali da emanciparlo dalla libera esposizione di semplici impressioni».

 

«Orbene, – chiosa il gup – le invocazioni di aiuto di Montante contro vaghi spettri, ora collocati all’interno delle istituzioni, non altrimenti identificate, ora dentro presunte organizzazioni criminali, presentano spiccati profili di affinità tematico-stilistica rispetto al teatro dell’assurdo, ove i personaggi beckettiani attendono Godot senza sapere chi sia Godot e perché lo attendono. E quando la scena si chiude, Godot non è ancora arrivato».

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