A Pompei rivive così l’antica tecnica di realizzazione dei calchi ideata nell’Ottocento da Giuseppe Fiorelli, che prevede l’introduzione di una colata di gesso liquido nelle cavità lasciate dai corpi degli abitanti dell’antica città romana all’interno del materiale vulcanico.
I resti dei due corpi, con molta probabilità, sono un ricco pompeiano e il suo schiavo, morti nel 79 d.C. durante la grande eruzione del Vesuvio. La tecnica calcografica oggi ci ridà l’immagine di due fuggiaschi con dettagli sorprendenti, dai panneggi degli antichi abiti romani alle vene delle mani.
Secondo gli studiosi, durante la prima fase eruttiva, quando l’antica città romana venne ricoperta dai lapilli, le prime vittime furono quelle intrappolate negli ambienti, investite dai crolli provocati dal materiale vulcanico depositatosi fino a un’altezza di tre metri. Di queste persone sono rimasti soltanto gli scheletri. Poco dopo, quando la città venne colpita dal flusso piroclastico che riempì gli spazi non ancora invasi dai materiali vulcanici, le persone morirono all’istante per shock termico.
I corpi rimasero nella posizione in cui erano stati investiti dal flusso, e il materiale cineritico solidificatosi ne ha conservato l’impronta dopo la decomposizione. Proprio questo è successo ai due pompeiani da poco rivenuti nella villa suburbana del Sauro Bardato a Civita Giuliana, dove uno scavo in corso dal 2017 ha riportato alla luce i resti di una lussuosa abitazione che, con una grande terrazza panoramica, dominava il Golfo di Napoli e di Capri.
È proprio sotto questa terrazza, nel criptoportico, che sono stati trovati i corpi dei due fuggiaschi: quello di un uomo abbiente, il padrone, e, molto probabilmente, quello del suo schiavo.
La prima vittima è, quasi certamente, un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili; indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui è ben visibile l’impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe.
Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro è leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull’addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude. Vicino al volto vi sono frammenti di intonaco bianco, trascinato dalla nube di cenere. La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane età del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perché si pensa che fosse uno schiavo.
Durante la realizzazione di questo primo calco è avvenuta la scoperta delle ossa di un piede, che ha rivelato la presenza di una seconda vittima. È in una posizione completamente diversa rispetto alla prima, ma attestata in altri calchi a Pompei. Il volto è riverso a terra, a un livello più basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio. Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate. L’abbigliamento è più articolato rispetto all’altro uomo.
Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra. In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi è anche l’impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. Anche vicino al volto di questa vittima vi sono frammenti di intonaco bianco, in questo caso probabilmente crollati dal piano superiore. La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, più anziano però rispetto al primo, con un’età compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri.Chissà se l’attività di scavo archeologica ci restituisca altre testimonianze dell’epoca…