Lucano non si dà pace “io trattato peggio di un mafioso”..Per la Procura era lui “il dominus assoluto di Riace”

 

Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, non ci sta e non si dà pace. Vuol impugnare la condanna inflitta dal tribunale di Locri. Tra le accuse quella per associazione a delinquere, truffa, concussione, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

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L’impugnazione dei legali di Lucano mira all’annullamento di questa sentenza che condanna a tredici anni e due mesi di reclusione l’ex sindaco al termine del processo “Xenia”.     La pubblica accusa  di Locri aveva chiesto una condanna a 7 anni e 11 mesi.

Lucano è finito sul banco degli imputati nell’inchiesta sulla gestione dei progetti di accoglienza. L’ex sindaco, nello specifico, era accusato, fra l’altro, di associazione a delinquere, truffa, concussione, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Il pubblico ministero di Locri, Michele Permunian, nel corso della sua requisitoria aveva affermato che “a Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale e lo si evince da diverse intercettazioni. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno veniva allontanato”.

Il Tribunale di Locri ha invece assolto l’ex sindaco di Riace “dai reati allo stesso ascritti” con riferimento, “alla condotta tenuta a favore” di Alberto Gervasi “perché i fatti non sussistono”, e “dal reato di cui al capo 19, limitatamente al rilascio della carta di identità a favore di El Bahri Jawad per non aver commesso il fatto”. Inoltre, i giudici (presidente Fulvio Accurso, giudici a latere Cristina Foti e Rosario Sobbrio) hanno dichiarato il “non doversi procedere” nei confronti di Lucano “in relazione al reato di cui al capo 17” per “essersi lo stesso estinto per prescrizione”. Infine, il Tribunale di Locri, in relazione ad “ulteriori condotte”, dispone anche per Lucano e per la compagna, Lemlem Tesfahun, “la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Locri”.