La morte solitaria è stata uno dei risvolti drammatici legati all’emergenza della pandemia invisibile. Per prevenire il contagio, pazienti se ne sono andati in un letto d’ospedale con al fianco medici e infermieri, ma senza i propri cari, impossibilitati a stare loro accanto per un ultimo saluto. Una sofferenza senza eguali per chi se ne è andato, per chi è rimasto e per gli stessi sanitari, che sin dall’inizio si sono attrezzati con tablet e cellulari per lasciare che la tecnologia colmasse la distanza imposta tra familiari e pazienti.
Mascherine, tampone e bardatura, non hanno permesso finora a figli, mariti, mogli di accompagnare i propri cari per l’ultimo saluto Quel vetro attraverso il quale si sono fino adesso si sono incrociati gli sguardi tra paziente terminale Covid e familiari, sembra aver dato l’imput psicologico al malato di prepararsi “al grande viaggio”…
La presenza ha però un valore differente, perchè consente di stringere la mano e abbracciare il proprio familiare, papà, mamma, figlio , nonna ed altri ed e “abbatte il muro dell’isolamento”,che non permette spietatamente a chi si trova in terapia intensiva di salutare per l’ultima dal vivo i congiunti.

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“Vedere i pazienti morire in rianimazione senza avere l’ultimo saluto ai familiari è un grande dramma perchè rimane il ricordo per l’intera vita ai familiari di una disumanizzazione che stravolge e rende arido ed indifferente l’animo umano.
Di fronte al cambio di vita non possiamo accettare qualsiasi motivazione tecnica o scientifica seppure dettata dalla razionalità e da risultati positivi. E’ un trauma dolorosissimo perché viola una necessità fondamentale iscritta da sempre nel dna dell’essere umano. Spesse volte- come la cronaca ha documentato – si rivela una crudeltà inutile e ingiustificata dai numeri.
“Non possiamo rischiare che qualcuno si infetti” obiettano dall’altro lato medici ed infermieri professionali . Vero, ma è ’ necessaria un’umanizzazione dell’ospedale, che non implichi un rischio sanitario.
In qualche azienda sanitaria all’avanguardia si è fatto un piccolo passo avanti su questo fronte per scongiurare ogni pericolo, i familiari verranno sottoposti a tampone. Se sarà negativo, verrà reso possibile l’avvicinamento parziale: potranno entrare in rianimazione e parlare attraverso un vetro
.Non sarà possibile però toccare ancora il proprio congiunto: salutarlo. E’ un dramma, grande, che nelle sue dimensioni ed estensioni, porta l’uomo all’indifferenza ed all’egoismo.
Chi ha visto il film-leggendario “Ben Hur” ,Colossal del 1959, diretto da William Wyler di grande profilo religioso-cristiano,a tema storico-drammatico, ha potuto vedere il protagonista -Ben Hur- interpretato dal mitico attore Charlton Heston non abbia esitato un attimo a vedere ed abbracciare la propria madre e sorella, ammalate di lebbra, nella grotta dei lebbrosi. E’ una delle immagini più belle e straordinarie- insieme alla vivace “Corsa delle bighe”- della cinematografia mondiale di tutti i tempi. Quale figlio, quale padre, quale madre e via dicendo, non abbraccerebbe il proprio congiunto negli ultimi istanti di vita anche se affetto da malattia altamente contagiosa e grave?
Sembriamo diventati un esercito di “zombie” dove il tracciamento delle persone ammalate ricorda quella paurosa e tremenda geografia inventata da Adolfo Hitler nel separare la pura razza ariana da quella contaminata ebrea, da estirpare e seppellire nelle fosse giganti come quelle degli ammalati Covid. No, non ci stiamo, Dobbiamo capire tutti quanto sia importante e fondamentale accarezzare la mano e la fronte di una persona che sta andando via per sempre in un momento del genere.

Riportiamo il pensiero di Don Aldo Buonaiuto, pubblicando parte del suo articolo apparso oggi su “In Terris” il quotidiano diretto dallo stesso Sacerdote, direttore responsabile della testata..