Guardia di Finanza di Catania,Contrasto ad un sofisticato sistema di somministrazione fraudolenta di manodopera, frode fiscale su scala nazionale e riciclaggio

 

Catania – Eseguite misure cautelari personali nei confronti di 16 soggetti

 

Il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre € 61 mln, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa € 25 mln.

 

 

primo primo di pistola nera in mano. - mafia foto e immagini stock

 

 

Catania,

Nell’ambito di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno dato esecuzione, con il supporto dello SCICO, dei Comandi Provinciali di Milano, Brescia, Roma, Pesaro, Ragusa, Siracusa ed Enna nonché del I Gruppo Catania e delle unità Cinofile

(AT-PI) etnee, a due ordinanze con cui il GIP presso il locale Tribunale ha applicato misure cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 16 soggetti, a vario titolo indagati, unitamente ad altre 17 persone, per associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante utilizzo di FOI, omesso versamento di ritenute previdenziali e di IVA, autoriciclaggio e riciclaggio di denaro illecito.

Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania, avrebbero fatto emergere un raffinato e sofisticato sistema di frode fiscale su scala nazionale, con regia unica su Catania, realizzato abusando dei vantaggi normativi in tema di “distacco di personale” previsti per i contratti di “rete tra imprese”.

Il diffuso sistema di frode sarebbe stato alimentato dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui avrebbero fatto parte 37 società con funzione di “distaccanti”, operanti in molteplici località del territorio nazionale, e 439 imprese “distaccatarie” dislocate in tutto il Paese (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), utilizzatrici di personale in posizione di distacco.

Nell’ambito di tali reti, caratterizzate da una regia unitaria in Catania, le società capofila:

  • avrebbero agito da meri “serbatoi di manodopera” e sarebbero state organizzate secondo le esigenze gestionali del “sistema”, il cui core business si sarebbe limitato esclusivamente a consentire il distacco dei lavoratori a scopo di lucro nei confronti di 439 società retiste o distaccatarie;
  • dopo avere accumulato un debito tributario e contributivo significativo, sarebbero state sistematicamente poste in liquidazione e sostituite da altre società che avrebbero assorbito i medesimi lavoratori, posti nuovamente in distacco a favore della stessa impresa beneficiaria.

Un ruolo centrale nella realizzazione delle condotte delittuose sarebbe stato svolto da un soggetto di origini agrigentine ma residente a Catania, che si sarebbe avvalso di due studi di consulenza operanti nella città etnea, uno legale e uno amministrativo. Nel dettaglio, l’associazione a delinquere vedrebbe il principale indagato nella veste di capo e promotore, l’avvocato dello studio legale quale promotore ed organizzatore e ulteriori 14 soggetti, in qualità di membri, con ruoli gestori dei profili operativi e amministrativi delle reti di imprese.

Sotto la direzione del promotore del sodalizio e dei suoi collaboratori, le società caporetiste o fondatrici delle diverse reti di imprese succedutesi nel tempo avrebbero emesso FOI caricandosi di importanti debiti IVA, destinati a non essere onorati, consentendo a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio:

  • incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti;
  • ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti;

Per gli organizzatori del sistema di frode, i guadagni illeciti sarebbero derivati dalla presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli e fraudolente per le società coinvolte nella frode e dalla sistematica omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali dei lavoratori e dell’IVA incassata sulle FOI emesse. I “numeri” del sistema fraudolento darebbero contezza della vastità del fenomeno, atteso che, in soli 5 anni, il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre € 61 mln, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa € 25 mln.

Gli ingenti proventi di natura illecita sarebbero stati in parte reimpiegati verso specifiche società in parte dirottati a favore del promotore del sodalizio e di altri indagati, anche attraverso una vorticosa movimentazione di denaro contante, utilizzato per assicurarsi un tenore di vita molto elevato e per l’acquisto, in diverse occasioni, di beni rifugio o di lusso per € 270 mila.

Per il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbero inoltre emerse due peculiari figure romane prive di capacità reddituale, le quali avrebbero consegnato in plurime occasioni contanti di rilevante importo, ritenuti di provenienza illecita, al principale indagato per poi emettere, nella veste di amministratori di fatto di 3 società romane, fatture nei confronti delle imprese facenti capo di fatto allo stesso promotore.

Quest’ultimo, poi, avrebbe effettuato bonifici alle predette aziende romane a saldo delle fatture per un importo complessivo di € 8,7 mln, consentendo ai soggetti capitolini di rientrare in possesso del denaro consegnato.

Sulla scorta delle evidenze acquisite dal Nucleo PEF di Catania, il GIP etneo ha ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in ordine ai reati contestati disponendo la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, gli arresti domiciliari per 7 indagati e l’obbligo di presentazione alla p.g. per ulteriori 4 persone nonché il sequestro delle quote di 37 società, di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili ai destinatari della misura per un valore totale di circa € 29 mln.

Le misure cautelari sono state emesse nell’ambito delle indagini preliminari, basate sulle attuali risultanze probatorie. Pertanto, in attesa del giudizio definitivo, vale la presunzione di innocenza degli indagati.

L’attività si inserisce nel quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza e dalla Procura della Repubblica di Catania a tutela della finanza pubblica, con complesse indagini volte, da un lato, a contrastare le più insidiose forme di frode fiscale e riciclaggio che ledono gli interessi finanziari della collettività e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

 

 

 

 

Napoli, ordinanza di custodia cautelare per otto persone – Provvedimenti emessi per reati di riciclaggio e frode fiscale, aggravati dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi

 

Napoli,

Militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza di Roma, con il supporto del Comando Provinciale della G.d.F. di Caserta, hanno eseguito questa mattina un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli, Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di otto persone gravemente indiziate di appartenere a una organizzazione dedita ai reati di riciclaggio di denaro, frode fiscale ed intestazione fittizia di beni, aggravati dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi.

Il provvedimento restrittivo scaturisce da un’indagine che ha raccolto elementi probatori a carico di un gruppo di imprenditori, con base organizzativa in provincia di Caserta, dedito in modo sistematico alla commissione di reati tributari. Attraverso una società di gestione e smaltimento di rifiuti fittiziamente intestata a un “prestanome” ma, di fatto, riconducibile ad una compagine familiare vicina ad ambienti camorristici del clan dei Casalesi, gli ingenti flussi finanziari originati dalle attività illecite, venivano successivamente riciclati attraverso una rete di persone fisiche e giuridiche accomunate da una medesima regia. L’impresa di smaltimento dei rifiuti, già nel passato destinataria di provvedimenti interdittivi antimafia per la presenza di un socio esponente di spicco del clan dei Casalesi, avrebbe continuato ad operare, attraverso una nuova compagine, nell’interesse del clan.

La linea di continuità gestionale e imprenditoriale tra la vecchia compagine societaria e l’attuale avrebbe garantito all’organizzazione criminale di poter continuare a disporre di una delle sue articolazioni imprenditoriali, in sostanziale elusione delle interdittive adottate dall’autorità prefettizia. Nel corso delle indagini è emerso che la società di smaltimento rifiuti avrebbe ricevuto ed utilizzato numerose fatture per operazioni inesistenti, che hanno consentito di generare costi fittizi e al tempo stesso far fuoriuscire gli utili aziendali attraverso un imponente sistema di riciclaggio. Attraverso l’operato di diversi soggetti, ciascuno con ruoli ben definiti, sarebbero state poste in essere anomale movimentazioni finanziarie, collegate alle fatturazioni per operazioni inesistenti emesse da società di comodo/cartiere, finalizzate a far confluire su conti correnti bancari e postali somme di denaro che poi venivano trasferite anche all’estero (in Bulgaria, Regno Unito, Polonia, Germania, Belgio, Lituania) o prelevate in contanti, rendendo difficile l’individuazione della destinazione finale.

Le indagini tecniche e di tipo bancario hanno comunque consentito di appurare il rimpatrio di buona parte dei capitali di verosimile provenienza illecita, attraverso movimentazioni di denaro contante. Nei confronti dei due soggetti che hanno diretto e organizzato l’attività del sodalizio è stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre gli altri sei indagati sono stati posti agli arresti domiciliari. È stato altresì disposto dal GIP, su richiesta della DDA, il sequestro preventivo, anche per equivalente, di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili, per oltre 11 milioni di euro, oltre alla totalità delle quote di partecipazione al capitale sociale e dei complessi aziendali di sei società. Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione ed i destinatari dello stesso sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Immagine del luogo
Nucleo Speciale Polizia Valutaria Roma

Imprenditori, titolari di società di rifiuti, in stato di fermo per gestione illecita di rifiuti. 11 provvedimenti cautelari

Archivi -Sud Libertà

Napoli
Alle prime ore di stamattina, nelle province di Napoli, Milano, Roma, Brindisi, Isernia, Chieti, Caserta, Frosinone e Salerno, i militari del Gruppo Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Sicurezza Energetica di Napoli, collaborati nella fase esecutiva dai militari dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, hanno dato esecuzione a nr. 11 provvedimenti cautelari personali, emessi dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia dello stesso capoluogo, a carico di altrettanti imprenditori, titolari di aziende di trasporto e società di intermediazione, operanti nel settore della gestione dei rifiuti, gravemente indiziati per i reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies c.p.), riciclaggio e autoriciclaggio (art. 648 bis e ter c.p.), gestione illecita di rifiuti e realizzazione di discarica abusiva (art. 256 commi 1 e 3).
L’indagine che costituisce l’esito di una complessa manovra investigativa, focalizzata sul fenomeno degli abbandoni di rifiuti speciali pericolosi e non, condotta dal Nucleo Operativo Ecologico di Salerno e coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Roma, ha consentito di accertare a carico degli indagati, colpiti dall’applicazione della misura coercitiva, reiterate azioni finalizzate a porre in essere illecite attività di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi.
In particolare gli indagati, mediante l’utilizzo di automezzi, all’uopo noleggiati presso società terza estranea ai fatti, con mezzi fraudolenti, consistenti, da un lato, nella sostituzione delle targhe di immatricolazione con altrettante targhe riprodotte ed intestate ad un consorzio di trasporto rifiuti (estraneo ai fatti), dall’altro nella redazione di formulari di identificazione rifiuti riportanti dati falsi relativi al sito di smaltimento, ricevevano da ignare società produttrici di rifiuti speciali non pericolosi – in prevalenza rifiuti urbani misti – e rifiuti speciali pericolosi – in prevalenza miscele bituminose – provenienti dai rifacimenti dei manti stradali, per una quantità complessiva accertata pari a circa 7.000 tonnellate, per illegalmente smaltirli, mediante l’abbandono all’interno di un
capannone in provincia di Frosinone (RM), su alcuni terreni agricoli in provincia di Bari e Brindisi e Lecce, nonché all’interno di una ex area industriale in provincia di Salerno.
La genesi delle indagini veniva occasionata dal rinvenimento, nel Comune di Sora (FR), di un capannone industriale colmo di rifiuti speciali in balle, costituiti da residui dell’attività di recupero/trattamento dei RSU. Le successive attività investigative, condotte dalla P.G. operante, permettevano di individuare le aziende produttrici dei rifiuti e le società di trasporto responsabili dell’illecito traffico.
Nel dettaglio, le evidenze investigative hanno consentito di suddividere l’indagine in tre fasi, tratteggiate in relazione alla tipologia e alla destinazione finale dei rifiuti illecitamente gestiti:
– una 1^ fase riguarda la gestione di complessive 860 tonnellate circa di rifiuti speciali (plastiche e gomme frammiste a residui di RSU), raccolti presso alcune imprese campane e illecitamente abbandonati nel citato capannone di Sora (FR), regolarmente preso in affitto da uno degli indagati;
– una 2^ fase riguarda la gestione di complessive 126 tonnellate circa di rifiuti speciali (residui del trattamento dei RSU), provenienti da impianti di recupero della Campania e della Puglia, successivamente abbandonati in territorio pugliese su alcuni terreni e perfino, in una circostanza, nel parcheggio di un supermercato;
– una 3^ fase, infine, riguarda la gestione illecita di complessive 6.000 tonnellate circa di diverse tipologie di rifiuti speciali anche pericolosi, provenienti da produttori di area campana, abbandonati lungo arterie stradali secondarie o terreni incolti.
Gli approfonditi accertamenti investigativi, svolti con la predisposizione di specifici servizi di osservazione, controllo e pedinamento e attività di intercettazioni telefoniche ed ambientali, permettevano di individuare tutti i componenti del sodalizio criminale.
Circa 7.000 (settemila) tonnellate sono state le quantità stimate di rifiuti smaltiti mediante attività di abbruciamento, interramento e occultamento in aree agricole e capannoni industriali, che avrebbero consentito agli indagati di trarne un ingiusto profitto per un importo complessivo stimato in circa 1.000.000,00 Euro.
Le somme così introitate, al fine di occultarne la provenienza illecita, erano poi oggetto da parte degli indagati di illecite operazioni finanziarie di riciclaggio.
Oltre ad eseguire le 11 ordinanze di custodia cautelare in regime di arresti in carcere e domiciliari, venivano altresì sequestrate le quote delle nr. 2 società, i cui titolari sono ritenuti tra i principali organizzatori del traffico di rifiuti. Nel corso delle indagini erano già stati sequestrati il capannone di Sora (FR), alcuni rimorchi carichi di rifiuti abbandonati in una area di parcheggio di un supermercato di Mesagne (LE) e una ex area industriale nel Comune di Pontecagnano (SA).
L’odierna operazione si inserisce nell’ambito di una più ampia manovra che l’Arma dei Carabinieri, attraverso i Reparti speciali per la Tutela Ambientale, ha adottato nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata ambientale e nelle attività di prevenzione degli illeciti ambientali e del traffico di rifiuti sul territorio nazionale e comunitario.

 

 

Riciclaggio, arresti in Italia, Svizzera, Germania, Turchia

La banda degli «spalloni» di lusso: denaro, oro e gioielli ...

Archivi- Sud Libertà 

Su ordine della Procura della Repubblica di Milano, il Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri -con il supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri di Milano e Monza-Brianza – ha dato ieri esecuzione -comunica il Comando Carabinieri – ad una ordinanza di applicazione di misure cautelari della custodia in carcere nei confronti di 10 indagati, emessa dal Tribunale di Milano, per concorso in riciclaggio aggravato consistito nell’aver sostituito denaro con metalli preziosi, tutti di provenienza illecita (in particolare lingotti di oro e argento), fattispecie contestata ali’ esito di un’ampia indagine coordinata dal Vll Dipartimento della Procura.
Nello stesso ambito di indagine, l’Autorità Giudiziaria elvetica ha emesso ulteriore provvedimento restrittivo a carico di due indagati, risultati terminali svizzeri del gruppo di soggetti interessato alle operazioni di riciclaggio. Quattro dei provvedimenti restrittivi, a seguito di internazionalizzazione, sono stati eseguiti in Germania dalle locali autorità.

L ‘indagine – avviata nel 2019 dalla Procura della Repubblica di Firenze e trasferita per competenza a quella di Milano- si è sviluppata dal monitoraggio, svolto in sinergia con la Polizia Federale di Lugano, di un cittadino greco in contatto con un imprenditore iraniano inseriti in un traffico internazionale di oro e contestuale riciclaggio internazionale di denaro di provenienza illecita sull’asse Italia/Svizzera/Germania/Turchia. Le investigazioni hanno consentito di accertare che a Zurigo (CH) era stata allestita una vera e propria fonderia abusiva dove, una volta fuso, il metallo prezioso di provenienza illecita, attraverso la Germania, veniva trasportato su gomma in Turchia.

Nel complesso, ai 10 indagati – alcuni dei quali operatori del settore orafo e titolari di attività di compro-oro ubicate principalmente nel capoluogo meneghino – vengono contestati, a vario titolo, 16 episodi di riciclaggio in concorso, con l ‘aggravante di aver commesso nel! ‘esercizio di attività professionale di operatore in oro con riferimento a complessivi 288 kg di oro e 97 kg di argento, per un controvalore stimato in circa 15 Mln di euro, fatti avvenuti tutti in Lombardia, tra il settembre del 2019 ed il settembre del 2020.

L’indagine, di ampio respiro internazionale, si è sviluppata nell’ambito di una Squadra Investigativa Comune intercorsa tra la Procura della Repubblica di Milano, la Procura federale di Zurigo e la Procura Federale di Lugano, che ha consentito di svolgere contemporaneamente ed in collegamento Le investigazioni nei due Paesi, con acquisizione in tempo reale degli elementi indiziari risultanti nelle distinte indagini. Eurojust ha assicurato il massimo supporto operativo, attraverso il membro nazionale italiano, grazie ad un costante raccordo operativo con le altre Autorità giudiziarie straniere coinvolte e con l’Autorità Giudiziaria Tedesca in fase di esecuzione della misura. Le attività sono state condotte in cooperazione tra il ROS e la Polizia Federale elvetica e supportate da Europol e dalla rete @ON. Sono inoltre state disposte numerose perquisizioni tutt’ ora in corso.

Riciclaggio – Disposto il sequestro di oltre 16 milioni di euro e di 2 imprese compro-oro

 

Riciclaggio - Disposto il sequestro di oltre 16 milioni di euro e di 2 imprese compro-oro

Nucleo Speciale Polizia Valutaria

Procura di Palermo-Direzione Antimafia

Il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza – nell’ambito dell’inchiesta originata dal presunto riciclaggio di metalli preziosi di provenienza delittuosa perpetrato nel mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo – sta procedendo all’esecuzione del sequestro preventivo d’urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 17 soggetti gravemente indiziati del reato di riciclaggio aggravato. Oggetto del provvedimento sono 2 imprese compro oro, 10 rapporti finanziari, nonché denaro, beni mobili iscritti in pubblici registri, immobili, beni mobili e aziende, sino alla concorrenza di oltre 15 milioni di euro.

L’attività investigativa – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo – condotta attraverso l’approfondimento di segnalazioni di operazioni sospette e mediante approfondite indagini finanziarie – prosecuzione della recente inchiesta sulle infiltrazioni di cosa nostra nel settore del commercio di metalli preziosi – avrebbe fatto emergere un ulteriore meccanismo di riciclaggio, adottato nel corso dell’ultimo anno, ancora più insidioso di quello precedentemente utilizzato, posto in essere al fine di ridurre la possibilità di ricondurre gli illeciti commessi a coloro che ne sarebbero gli effettivi responsabili.

In particolare, il sistema di riciclaggio si sarebbe realizzato attraverso due nuove imprese esercenti l’attività di “compro oro” (colpite dall’odierno provvedimento) che sarebbero state interposte al fine di non far più comparire nelle operazioni di compravendita dell’oro la società al centro dell’inchiesta, che avrebbe però continuato ad agire da collettore di grandi quantità di oro di provenienza delittuosa.

Le indagini hanno fatto emergere anche il coinvolgimento di almeno 11 persone che avrebbero svolto l’attività di “prelevatori”. Quest’ultimi si sarebbero messi a disposizione del titolare di una delle due imprese sottoposte a sequestro aprendo rapporti di conto poi utilizzati per ricevere il denaro provento delle presunte illecite operazioni di cessione di oro. Gli originari flussi finanziari sarebbe stati così ripartiti in molteplici direzioni, anche attraverso successivi trasferimenti intercorsi tra le stesse 11 persone, le quali si sarebbero poi recate presso gli uffici/sportelli postali a effettuare i prelievi del denaro ricevuto per, infine, farlo pervenire in contanti ai titolari della società al centro dell’inchiesta.

Nel corso degli ultimi 12 mesi, sarebbero state fatturate, complessivamente, cessioni di oro di illecita provenienza per oltre 15 milioni di euro.

5 arresti per associazione per delinquere e riciclaggio – sequestri per 1,6 mln di euro

 

5 arresti per associazione per delinquere e riciclaggio - sequestri per 1,6 mln di euro

Roma,

Il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, su richiesta della Procura della Repubblica di Roma, sta dando esecuzione ad una ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale capitolino impositiva della misura cautelare personale nei confronti di cinque soggetti, indagati per i reati di cui agli artt. 416, 648-bis, 648-ter, 110 e 512-bis c.p.

L’indagine – coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma – riguarda un’ipotesi di riciclaggio internazionale delle somme che sarebbero provento dei reati ipotizzati di corruzione e di appropriazione indebita di fondi pubblici venezuelani, destinati all’attuazione di un programma di sussidi alimentari, per i quali un imprenditore colombiano risulta imputato di fronte all’Autorità giudiziaria statunitense.

Quest’ultimo, recentemente tratto in arresto all’aeroporto dell’isola di Capo Verde ed estradato in esecuzione del mandato emesso dagli Stati Uniti d’America, avrebbe inoltre costituito numerose società attraverso le quali riciclare i proventi illeciti.

In tale contesto investigativo, su delega della Procura capitolina, nell’ottobre 2019 il medesimo Nucleo Speciale aveva già sottoposto a sequestro un appartamento di pregio sito nel centro storico di Roma (Via Condotti), del valore di circa euro 4,8 milioni, nonché 1,8 milioni di euro giacenti su un conto corrente acceso presso una banca italiana.

In base agli elementi finora raccolti dalle Fiamme Gialle, sono emersi indizi secondo i quali l’imprenditore colombiano avrebbe fittiziamente intestato le società di diritto estero a quattro cittadini italiani che avrebbero quindi agito quali prestanomi.

Sulla base del quadro accusatorio delineatosi nel corso delle investigazioni, il GIP del Tribunale di Roma ha ora disposto: – la custodia in carcere nei confronti di n. 2 indagati; – gli arresti domiciliari nei confronti di ulteriori n. 3 soggetti; – il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per un importo di 1,6 mln di euro.

Il procedimento -precisano nel Comunicato stampa- i finanzieri – pende nella fase delle indagini preliminari e che fino a sentenze definitive vale la presunzione di non colpevolezza.

GUARDIA DI FINANZA,PRESIDIO INSOSTITUIBILE, FESTEGGIA IL 246 ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE