Eloquente al riguardo è lo scenario bagherese nell’ambito del quale è emerso come le famiglie mafiose palermitane rappresentino una sorta di caposaldo attraverso il quale ottenere legittimazione mafiosa piuttosto che alleanze.
Il nuovo reggente infatti avrebbe fatto affidamento al cassiere, chiedendo un rendiconto del lavoro svolto e apprezzando, nel caso di una gestione oculata e precisa delle risorse economiche, il lavoro dei sodali e di chi lo aveva preceduto.
Per la famiglia di Santa Maria del Gesù sarebbe invece il capo famiglia a tenere il “libro mastro” su cui sono metodicamente indicate le attività economiche sottoposte ad estorsione ed annotate le entrate e le uscite, necessarie anche a garantire il sostentamento agli uomini d’onore detenuti.
Nonostante l’organizzazione mafiosa nel corso degli anni sia stata colpita da diverse attività investigative che hanno condotto all’arresto di molti affiliati, essa riesce ancora ad esercitare una forza di attrazione su un nutrito numero di giovani che ne sposano i principi e si mettono a disposizione per accattivarsi la stima dei rappresentanti di riferimento. È emersa non solo la necessità da parte dell’organizzazione di trovare nuovi adepti ma anche quella di formarli secondo le regole della consorteria. Emblematica è la vicenda che riguarda il mandamento mafioso di Pagliarelli e nello specifico il reclutamento, da parte della famiglia di Corso Calatafimi di un giovane, ritenuto legato a un mafioso detenuto, al fine di avviarlo alle attività illecite tipiche del sodalizio non prima però di averlo istruito circa i principi cardine di “cosa nostra” attraverso vere e proprie “lezioni di mafia”. Il giovane sarebbe stato “preso in carico” da un indagato che gli avrebbe offerto specifiche indicazioni invitandolo a prendere esempio dal proprio modo di agire nei confronti delle persone da sottoporre ad estorsione nonché consigliandolo su come rapportarsi ai vertici mafiosi.
Tra le attività criminali più remunerative per l’organizzazione criminale vi è il traffico di stupefacenti, nel cui ambito gli interessi sono così alti che vi è una gestione coordinata da parte dei mandamenti cittadini. Sono emersi i rapporti che i mandamenti palermitani hanno intrapreso con le altre provincie dell’isola e con la ‘Ndrangheta calabrese per le forniture. Il traffico di stupefacenti a Palermo ha evidenziato infatti il consolidamento di stretti rapporti tra “cosa nostra” palermitana e “cosa nostra” agrigentina, nonché con esponenti di vertice di alcuni clan della ‘ndrangheta calabrese della piana di Gioia Tauro per l’approvvigionamento di ingenti quantità di stupefacenti
Il coordinamento tra i mandamenti cittadini sarebbe stato salvaguardato dal presunto reggente del mandamento di Porta Nuova, la cui figura sarebbe in qualche modo sovraordinata agli altri reggenti dei mandamenti cittadini che -secondo l’ipotesi accusatoria- gli riconoscono la possibilità di imporre la sua volontà anche al difuori dei confini del suo territorio di riferimento. Difatti acquisita la reggenza del mandamento dopo l’arresto nel marzo 2024 del latitante, il predetto avrebbe imposto il suo monopolio sulle piazze di spaccio di Palermo, non limitandosi a quelle di Porta Nuova. Tale imposizione, pur creando malcontento in alcuni affiliati di altri mandamenti, in particolare di Tommaso Natale, sarebbe stata accettata perché proveniente da uno dei massimi esponenti di “cosa nostra” palermitana.
Il traffico di stupefacenti oltre a garantire importanti proventi da reinvestire o da utilizzare per il sostentamento di affiliati e famiglie dei detenuti, consente all’organizzazione, attraverso il controllo delle piazze di spaccio, di esercitare una pressante azione di controllo del territorio. I pusher possono approvvigionarsi dal canale autorizzato e controllato dal mandamento oppure utilizzarne un altro, pagando all’organizzazione mafiosa una “tassa”. La non osservanza di tali imposizioni viene punita dagli esponenti mafiosi anche con violente ritorsioni.
Nel corso dell’attività sono stati complessivamente sequestrati 43 kg di cocaina, 8,5 kg di hashish ma anche 335 gr di crack, sostanza stupefacente sempre più diffusa tra i giovanissimi di Palermo.
Il gioco digitale, al pari del traffico di stupefacenti, rappresenta una delle attività più remunerative per “cosa nostra” che in tal modo, oltre al controllo del territorio attraverso l’imposizione mafiosa dei “pannelli di gioco”, può contare su importanti introiti che consentono di rimpinguare le casse dell’organizzazione e quindi di sostenere le famiglie dei detenuti e gli affiliati. L’imprenditore del settore scommesse che intenda promuovere l’utilizzo del sito di sua proprietà, sigla accordi di cooperazione con i vertici mafiosi e quindi si avvale della forza di intimidazione mafiosa per imporre il proprio sito alle agenzie di scommesse del territorio. Uno spaccato dell’attuale scenario in materia di gioco digitale è emerso in maniera significativa dalle attività investigative condotte sui mandamenti di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Porta Nuova, anche se la gestione, al pari degli stupefacenti, vede coinvolti i più importanti mandamenti cittadini.
Nel contesto territoriale di Carini, alcuni imprenditori, abili inventori di un software per il gioco on line, dopo aver costituito alcuni siti a Malta avrebbero iniziato a commercializzarli avvicinandosi ai mafiosi, tra cui il presunto vertice della famiglia di Carini- abbinandoli ad un sito perfettamente legale che funge da schermo. Dopo l’arresto di quest’ultimo si sarebbe creata una simbiosi tra l’imprenditore e il presunto reggente del mandamento mafioso di Tommaso Natale, che avrebbe avuto un ruolo determinante nelle dinamiche di commercializzazione del sito nonché nella risoluzione di varie controversie sorte.
Parte dei proventi provenienti dalle scommesse illegali è stata utilizzata per il mantenimento dei carcerati, anche fornendo ai referenti di zona, i c.d. “master”, il loro prodotto a condizioni agevolate così da realizzare un extra profitto da destinare ai detenuti, come sarebbe avvenuto in un caso.
L’organizzazione mafiosa ha la necessità di effettuare un costante controllo del territorio, garantito anche per mezzo delle estorsioni. Le modalità predilette continuano a essere la richiesta del cosiddetto “pizzo” e l’imposizione ai commercianti di prodotti da fornitori contigui a “cosa nostra” e a prezzi imposti. Tra i numerosi casi riscontrati, si cita a esempio quello che sarebbe avvenuto nel territorio della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi ove uno degli indagati nel commentare le resistenze manifestate dal titolare di un esercizio commerciale alla richiesta estorsiva avanzatagli, si sarebbe mostrato adirato per la mancanza di rispetto e sarebbe stato intenzionato a risolvere la vicenda anche facendo uso della forza.
Anche l’attività di spaccio di stupefacenti, qualora le sostanze non siano approvvigionate da canali intermediati da “cosa nostra”, sono oggetto di “pizzo”. Nel mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo, ad aprile 2024 emergeva che l’organizzazione mafiosa aveva avuto delle difficoltà nell’approvvigionamento dello stupefacente che fino a quel momento aveva immesso nel circuito delle piazze di spaccio dello Zen. Pertanto veniva adottata una nuova strategia finalizzata a garantire comunque dei proventi da quell’attività illecita: i titolari delle piazze di spaccio venivano lasciati liberi di procurarsi lo stupefacente attraverso loro canali personali e non più costretti a rifornirsi da “cosa nostra” a patto che pagassero una “tassa” proporzionata alla tipologia dello stupefacente spacciato.
Veniva altresì deciso che le estorsioni dovevano essere estese a tappeto anche verso tutti i commercianti dello Zen e di questo se ne sarebbero occupati alcuni personaggi ai quali sarebbe stata data carta bianca su quali commercianti aggredire al fine di rimpinguare la cassa mafiosa, senza risparmiare gli ambulanti del mercato rionale del giovedì. Uno degli indagati avrebbe inoltre chiarito i termini delle richieste estorsive, ovvero che se qualcuno avesse reagito, così come in passato, avrebbero anche usato la violenza nei suoi confronti, accettando il rischio di poter essere arrestati.
Sempre nell’ambito dello stesso mandamento è emersa l’imposizione del pesce ai ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello. In particolare nel febbraio 2023, la compagine mafiosa guidata di Tommaso Natale-San Lorenzo avrebbe deciso di riprendere la distribuzione dei mitili e degli altri frutti di mare a tutti i ristoratori delle citate aree, imponendone l’acquisto con la forza derivante dall’appartenenza a “cosa nostra” ed estromettendo la concorrenza, previa individuazione di un noto imprenditore del settore, deputato a fornire la materia prima.
Nel complesso sono stati accertati circa 50 episodi di estorsione tra consumate e tentate. In pochissimi casi le vittime hanno denunciato la richiesta di “pizzo”, un dato certamente minimo rispetto al totale che trova spiegazione in un contesto di forte presenza mafiosa.
È emerso a più riprese che l’organizzazione mafiosa può contare su una buona disponibilità di armi da fuoco. La presenza di armi viene registrata su ogni mandamento anche se “cosa nostra” negli ultimi anni ha cercato di non rendersi protagonista di eventi delittuosi eclatanti, preferendo mantenere un profilo basso in modo da evitare di attirare le attenzioni delle forze di polizia.
In alcuni casi è stato possibile sequestrare delle armi: nel mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo, ed in particolare a Carini, è emerso che uno degli indagati aveva la disponibilità di alcune armi da fuoco. Infatti, un suo familiare, resosi protagonista di una lite, avrebbe prelevato da un terreno una pistola. A seguito di un mirato servizio di osservazione svolto dai Carabinieri il 15 ottobre 2023 sono stati quindi tratti in arresto i predetti assieme ad altri due parenti, perché trovati in possesso di una pistola cal. 7,65 mm e di 17 proiettili, 1 fucile e materiale per la pulizia delle armi.
“Cosa nostra” non disdegna di risolvere le problematiche attraverso l’uso della forza, come sarebbe successo con un presunto esponente del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo: questi, dopo aver subito il furto del quad del figlio, avrebbe incaricato uno degli indagati di identificare il responsabile e punirlo, mediante un pestaggio.
Analogamente a Ficarazzi, uno degli indagati, al fine di risolvere un suo problema con un artigiano a cui aveva commissionato una fornitura, ne avrebbe ordinato il pestaggio: ne scaturiva una lesione grave all’occhio della vittima con una riduzione della vista.
Complessivamente le indagini hanno consentito di ricostruire una decina di episodi di pestaggio alcuni dei quali con l’aggravante mafiosa. Tra gli episodi spicca un caso di “tortura”, reato previsto dall’art. 613 bis del Codice Penale, commesso in danno di una persona ritenuta responsabile di alcuni furti e, pertanto, picchiata più volte violentemente.
Anche i contrasti per la gestione di una piazza di spaccio hanno avuto esito in un grave atto violenza: il 5 settembre 2024 a causa di alcuni dissidi sorti per lo spaccio di stupefacenti allo Zen, uno degli indagati sparava alcuni colpi di arma da fuoco all’indirizzo dell’antagonista, che riusciva miracolosamente a salvarsi. Seguiva pertanto l’intervento della consorteria mafiosa al fine di ristabilire l’ordine nel quartiere e non ostacolare gli affari illeciti.
L’associazione gode anche di una fitta rete di informatori. Il 7 novembre 2023 viene arrestato un commesso giudiziario della Procura di Palermo, per il delitto di favoreggiamento poiché, essendo addetto al materiale traporto dei fascicoli, era solito consultare, fotografare e poi diffondere il contenuto dei procedimenti coperti dal segreto, compresi i decreti di intercettazione ancora attivi. Dalle indagini è emerso che il predetto impiegato non era l’unica fonte informativa di “cosa nostra”: lo stesso giorno del predetto arresto, un indagato della compagine bagherese sarebbe stato informato che un esponente di Corso dei Mille aveva appreso di tre imminenti operazioni di polizia previste per “fine anno”. A seguito di tale notizia, gli affiliati si adoperavano per fare “sparire” alcune cose, mentre taluni sodali di Brancaccio (quelli più pesanti) si “buttavano latitanti”.
L’esistenza di altre fonti di informazione è emersa inoltre nel contesto della famiglia di Partanna Mondello, con riguardo a un avvocato il quale avrebbe “messo in guardia” un esponente dell’organizzazione mafiosa avvisandolo di essere indagato e di avere una microspia in macchina.
È obbligo rilevare che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.