Per delega del Procuratore della Repubblica si comunica che, al termine di una complessa attività investigativa coordinata dalla Sezione Seconda della Procura della Repubblica di Napoli, la Compagnia Pronto Impiego della Guardia di Finanza di Aversa ha dato esecuzione, nella giornata odierna, a un’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nei confronti di persona ritenuta gravemente indiziata dei seguenti delitti di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e autoriciclaggio.
In particolare l’indagato, quale amministratore di fatto di una impresa edile, avrebbe posto in essere un’operazione fraudolenta finalizzata alla maturazione di inesistenti crediti di imposta collegati alla realizzazione di interventi di riqualificazione energetica e antisismica rientranti nel cd. Superbonus 110% da eseguirsi su fabbricati risultati di fatto inesistenti, per un importo pari a € 3.796.320,00.
Tale somma sarebbe stata poi trasferita su conti correnti intestati a prestanomi, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro dall’ipotizzata truffa.
Con la suddetta ordinanza è stato anche disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del denaro costituente il profitto del reato ovvero di beni di valore equivalente nella disponibilità dell’indagato.
Un cavo sottomarino a fibre ottica “BlueMed” a mezzo nave Fugro Gauus sarà posato su disposizione della Capitaneria di Porto di Messina per indagini preliminari.. In considerazione della necessità di regolamentare, per quanto di competenza dell’Autorità Marittima, il transito delle unità navali nello specchio acqueo interessato dalle indagini, per garantirne il regolare svolgimento ai fini della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita umana in mare, la Capitaneria di Porto rende noto che , sino a mercoledì 30 marzo, saranno effettuate delle indagini preliminari per la successiva posa di un cavo sottomarino a fibre ottica BlueMed lungo le congiungenti aventi le seguenti coordinate: da punto 1 a punto 2, Lat. 38° 23’, 03’ N, Lat. 38° 22’, 95’ N, Long. 015° 25.87’ E Long. 015° 25 26’ E.
Le attività a mare saranno svolte dalla nave “Fugro Gauss” mediante l’utilizzo di uno strumento trainato Sonar Mag/Side Scan. Nel periodo indicato tutte le unità in navigazione nella zona di mare costituente “Area di indagine” dovranno mantenersi ad una distanza minima di 300 metri dalla nave “Fugro Gauss”, impegnata nelle attività di indagine e non dovranno, in alcun modo, ostacolare o intralciare le attività in corso di svolgimento. Tutte le unità in navigazione, in prossimità degli specchi acquei interessati dalle indagini, dovranno procedere a velocità ridotta, valutando l’eventuale adozione di misure aggiuntive suggerite dalla buona perizia marinaresca al fine di prevenire situazioni di potenziale pericolo, prestando particolare attenzione alle segnalazioni che potrebbero provenire dalla nave “Fugro Gauss”. Non sono soggette al predetto divieto le unità navali adibite ad un pubblico servizio che abbiano necessità, non prorogabile, di accedere all’area in ragione delle finalità istituzionali perseguite dall’ente di appartenenza.
I trasgressori alla presente ordinanza, oltre ad essere ritenuti responsabili di eventuali danni cagionati a cose e/o persone, incorreranno sempre che il fatto non costituisca reato più grave, alle sanzioni previste dagli articoli 1164, 1174 e 1231 del Codice della Navigazione, e dall’art. 53 D. Lgs. 18 Luglio 2005, n° 171, cosi come modificato dal Decreto Legislativo n. 229 del 03/11/2017.
Nelle prime ore di stamattina, a Carini, Palermo, Isola delle Femmine, Capaci, Terrasini, Borgetto, Enna e Finale Emilia (MO), i Carabinieri della Compagnia di Carini hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dall’Ufficio GIP del Tribunale di Palermo, sulla base delle risultanze investigative raccolte nel corso di un’indagine coordinata dalla D.D.A. della Procura della Repubblica di Palermo, nei confronti di 22 soggetti (8 in carcere, 9 agli arresti domiciliari, 5 all’obbligo di presentazione alla P.G.), nei cui confronti sono state attribuite, a vario titolo, responsabilità penali in ordine alle ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, di spaccio e di detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti. L’indagine è stata avviata dai Carabinieri di Carini nel luglio 2018 quando ignoti, in due diverse circostanze, ferivano due equini (di cui uno in modo mortale) all’interno di una stalla ubicata in Torretta (PA). L’azione, fin dalle prime ricostruzioni investigative, è parsa subito riconducibile a controversie connesse col traffico di stupefacenti insorte tra soggetti dell’area di Carini. L’attività investigativa condotta ha consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza circa l’esistenza di due distinti sodalizi criminali, riconducibili ai proprietari dei due equini feriti, dediti alla cessione, acquisto, trasporto, commercio, vendita ed illecita detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, marijuana e hashish nei Comuni di Carini, Isola delle Femmine, Capaci, Cinisi e Terrasini.
Durante l’attività di indagine erano già stati arrestati in flagranza di reato 12 persone e deferiti in s.l. altri 2 soggetti per i reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Nel corso dell’indagine erano già stati sequestrati circa 3,3 kg di hashish, 0,7 kg di cocaina e 0,6 kg di marijuana, nonché la somma in denaro contante pari a 5.330 euro.
False vaccinazioni Covid all’hub di Palermo, arrestata un’altra infermiera. La notte scorsa Polizia di Stato, in particolare la Digos della Questura di Palermo, ha dato esecuzione, su delega della Procura della Repubblica di Palermo, ad una ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Palermo nei confronti di una infermiera dell’hub vaccinale “Fiera del Mediterraneo”, che si sarebbe resa responsabile di falso ideologico e peculato. La donna, che lavora come infermiera anche presso il Reparto malattie infettive dell’Arnas “Civico” di Palermo, è accusata di aver beneficiato di una falsa vaccinazione concernente la dose booster contro il Covid-19 e di aver anche praticato, durante un turno di servizio presso lo stesso hub, false inoculazioni vaccinali contro il medesimo virus, nei confronti di due coniugi aderenti a posizioni no vax.
L’ordinanza restrittiva “è il risultato dell’attività di indagine che, sotto il costante coordinamento della Procura della Repubblica di Palermo, aveva condotto al fermo, nello scorso mese di dicembre, di un’altra infermiera del medesimo hub vaccinale, che si sarebbe resa responsabile di corruzione, falso ideologico e peculato, per false vaccinazioni effettuate in favore di undici soggetti, tra cui un noto leader del movimento no vax, in atto sottoposto a misura cautelare in carcere”.
Si apprende anche che l’attività investigativa, corroborata da videoriprese effettuate presso la “Fiera del Mediterraneo”, e con il contributo della struttura del Commissario per l’emergenza Covid-19 per l’area metropolitana di Palermo, ha consentito di ricostruire che la falsa vaccinazione di cui avrebbe beneficiato l’indagata sarebbe stata praticata dalla collega infermiera sottoposta a fermo di indiziato di delitto lo scorso dicembre.
L’indagata avrebbe, poi, effettuato due false vaccinazioni in favore di una coppia di coniugi – indagati per concorso in peculato e falso ideologico -, seguendo la medesima modalità operativa adottata dalla collega: lo sversamento della dose vaccinale in un quadrato di garza ed una finta iniezione, praticata sul braccio dell’utente. Gli agenti per giorni hanno intercettato la donna accertando contatti tra l’infermiera e chi si sottoponeva al finto vaccino, disposto a sborsare fino a quattrocento euro pur di ottenere il Green pass illecito
Le indagini svolte hanno escluso il coinvolgimento dei medici che lavorano al centro vaccinale e dei funzionari responsabi Sono in corso ulteriori indagini finalizzate all’individuazione di altre analoghe false vaccinazioni.
Il Sindaco Cateno De Luca con ordinanza n. 310 di ieri pomeriggio, ha disposto da lunedì 10 e sino al 23 gennaio incluso, la chiusura degli Istituti comprensivi e scolastici pubblici, privati e paritari di ogni ordine e grado, compresi gli asili nido, micronido, sezioni primavera e gli asili in casa.
Durante il suddetto periodo di chiusura, gli Istituti scolastici sono tenuti a garantire lo svolgimento dell’attività didattica mediante la DID e/o la DAD salva sempre la possibilità di svolgere attività in presenza, qualora sia necessario l’uso di laboratori o per mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali.
Il provvedimento di sospensione dell’attività scolastica in presenza si è reso necessario in quanto il Sindaco unitamente agli Assessori con delega all’Emergenza Covid Dafne Musolino; alla Pubblica Istruzione Francesco Gallo; e alla Protezione Civile Massimiliano Minutoli, ha preso atto dell’evolversi della situazione epidemiologica; e di concerto con l’ASP di Messina, è stato rilevato che l’imminente ripresa delle attività scolastiche in presenza, costituisce una evidente causa di aumento del contagio dovuto al rischio estremamente elevato di diffusione del virus Covid-19 nella popolazione scolastica.
Pertanto, l’attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente, al fine di fronteggiare possibili situazioni di pregiudizio per la collettività. Preannunciato inoltre dal primo cittadino la presentazione dell’istanza al Presidente della Regione Sicilia per la dichiarazione della zona arancione nel territorio del Comune di Messina.
Un’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dalla Guardia di Finanza nei confronti di due professionisti (dottori commercialisti ed esperti contabili), sottoposti a indagini per aver ideato e commercializzato modelli di evasione fiscale attraverso cui sono state commesse più condotte di indebite compensazioni di debiti IVA. Nel complesso 47 sono i soggetti sottoposti a indagine, che ha permesso di evidenziare la creazione di crediti fittizi per oltre 105 milioni di euro.
Nel dettaglio, le indagini, originate da autonoma attività di analisi svolta dalle unità specializzate del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania e poi condotte dallo stesso Nucleo PEF anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre che con accertamenti bancari, hanno permesso di mettere in luce un articolato sistema, finalizzato a consentire, in particolare, a 14 società, attive su tutto il territorio nazionale e operanti in diversi settori economici (trasporti, pulizie, consulenza alle imprese), l’evasione delle imposte sui redditi mediante il sistema della indebita compensazione dei debiti tributari.
La complessa attività delittuosa posta in essere dai sodali consisteva, in sintesi, nella strumentalizzazione della possibilità data ai contribuenti di portare a compensazione dei propri debiti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria crediti relativi alla medesima tipologia di imposta maturati o maturandi in relazione a un diverso periodo. I sodali, quindi, si adoperavano per consentire alle società o ai professionisti debitori dell’amministrazione finanziaria di effettuare l’acquisto, mediante accollo, di crediti vantati da parte di altre società nei confronti della medesima amministrazione, ma derivanti da operazioni in tutto o in parte inesistenti, verso il pagamento di una somma inferiore al loro valore nominale, in modo da consentire all’acquirente di compensare in tutto in parte il proprio debito nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
Per quanto sopra, a seguito delle complesse indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Catania e svolte dal Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania: – sono stati denunciati, complessivamente, 47 soggetti, tra professionisti, intermediari e imprenditori, tutti sottoposti a indagine per il reato di cui all’articolo 10-quater del d.lgs. n. 74 del 2000; – sono stati evidenziati, nel complesso, 105 milioni di crediti IVA fittizi, dei quali 67 utilizzati per operare le indebite compensazioni; – 2 professionisti sono stati destinatari di misura cautelare personale (arresti domiciliari).
L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a contrastare le più insidiose forme di frode fiscale che ledono gli interessi finanziari della collettività e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.
Un’ordinanza emessa dal Tribunale peloritano è stata notificata dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza nei confronti di tre indagati, con la misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali e di ricoprire incarichi apicali nell’ambito di imprese e persone giuridiche, per la durata di quattro mesi, nonché il sequestro di liquidità finanziarie per oltre 3 milioni di euro nei confronti di 7 strutture private convenzionate, provento del reato di truffa aggravata in danno del Servizio Sanitario pubblico. Attualmente sono 25 gli indagati, a vario titolo, tra funzionari pubblici dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina e responsabili apicali e dipendenti delle nominate strutture private convenzionate, titolari delle più conosciute ed importanti case di cura operanti nella città dello Stretto.
La complessa attività d’indagine, sviluppata dagli investigatori in materia di spesa pubblica del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina, su delega del pool di magistrati della Procura della Repubblica di Messina responsabili del contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione, ruota intorno all’acronimo D.R.G. (Diagnosis Related Group): un dettagliato sistema che consente di classificare ogni singolo caso clinico in una determinata casella (il Ministero della Sanità ha previsto oltre 500 casistiche), variabile in relazione alla diagnosi, agli interventi subiti, alle cure prescritte ovvero alle caratteristiche personali del singolo paziente ricoverato in una struttura accreditata. Proprio sulla base del D.R.G. attribuito, quindi, in funzione delle risultanze della Scheda di Dimissione Ospedaliera (in sigla S.D.O.), parte integrante della cartella clinica, ogni singola Regione prevede la tariffa da rimborsare alla casa di cura privata convenzionata, gravante sul Servizio Sanitario Nazionale, così risultando centrale la relativa attività di verifica, per norma attribuita ad un Nucleo Operativo di Controllo interno all’ASP competente per territorio.
Orbene, all’esito dell’odierna attività investigativa, consistita in penetranti investigazioni documentali, accertamenti bancari, escussione di diverse persone a vario titolo informate sui fatti, oltre ad attività tipiche di polizia giudiziaria, corroborate da plurime attività tecniche di intercettazione, acquisizioni informatiche ed interpolazioni con gli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio, è emerso un “articolato e collaudato meccanismo fraudolento, finalizzato a far lievitare artificiosamente l’entità dei rimborsi corrisposti dal sistema sanitario”, indicando nella Scheda di Dimissione Ospedaliera un D.R.G. difforme rispetto alle reali attività come risultanti dalle cartelle cliniche, così realizzando una conseguente truffa ai danni del Servizio Sanitario pubblico per oltre complessivi 3 milioni di euro, oggi sottoposti a sequestro. Un dato estremamente allarmante lì dove si consideri che sono state oggetto di puntuale disamina soltanto 723 cartelle cliniche: di queste ben 591 presentavano anomalie, con una percentuale d’incidenza pari all’81,74%, tanto da indurre il competente Giudice del Tribunale di Messina a ritenere l’esistenza di una forma “di radicata connivenza tra controllore e controllato”.
Anomalie che, alla luce del grave quadro indiziario, comunque basato su imputazioni provvisorie e che dovranno trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, non paiono potersi attribuire a casualità o superficialità dei controllori, bensì, proprio per la frequenza e metodicità, da ritenersi sintomatiche di un sistema rodato: “…la cartina al tornasole di un sistema illecito diffuso […] finalizzato a lucrare indebitamente sui rimborsi riconosciuti dalla Regione Siciliana per le prestazioni erogate dagli enti convenzionati…”, rafforzato “…dal contributo offerto dal soggetto controllore, nella specie l’Ufficio dell’ASP di Messina […] i cui funzionari, anch’essi sistematicamente, omettevano di rilevare le pur patenti irregolarità […] attestando falsamente nei verbali NOC la conformità della documentazione esaminata ai parametri previsti…”.
Questo il contesto in cui si sono sviluppate le indagini eseguite dalle Fiamme Gialle peloritane e che hanno nel dettaglio documentato il ruolo nodale del Dirigente dell’ASP di Messina F.M. cl. 56 (di recente posta in quiescenza e per tale motivo non destinataria di provvedimento cautelare, indagata per plurime ipotesi di truffa aggravata ai danno dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico, falso e corruzione), già a capo del Nucleo Operativo di Controllo dell’ASP di Messina, prima e principale protagonista delle vicende oggetto d’indagine, descritta dal competente Giudice come soggetto che, “forte di una consolidata esperienza amministrativa e burocratica”, si è dimostrata “dotata di una pervasiva capacità di orientare l’impatto della macchina amministrativa” dalla medesima diretta, con “atteggiamento spregiudicato, piegandola a interessi di parte in funzione di un tornaconto personale”.
Nel merito, come peraltro emergente anche dalle intercettazioni telefoniche, si acquisiva come la donna vantasse un “rapporto privilegiato e di cointeressenza” con i vertici delle seguenti case di cura investigate:
il romano M.E. cl. 39, per la C.G. S.p.a. e la G. S.p.a., società destinatarie, complessivamente, di maggiori importi provento di truffa per € 423.934,00. In tale ambito, avvalendosi del prezioso supporto tecnico degli specialisti della Guardia Finanza appartenenti al Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche di Roma, venivano effettuate mirate acquisizioni degli accessi al portale “Qualità Sicilia SSR”, sottosistema “Controllo qualità e appropriatezza cartelle cliniche e SDO”, predisposto dall’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, rilevando come la F.M. cl. 56 avesse fornito ad un medico, dipendente della G. S.p.a., oggi indagato per accesso abusivo a sistema informatico, le proprie credenziali riservate, al fine di consentire a quest’ultimo di inserire, indebitamente, in suo luogo, i dati relativi alle procedure di verifica sulle cartelle cliniche;
il calabrese C. D. F. cl. 58, direttore sanitario della Casa di cura gestita dalla C. O. T. S.p.a., destinataria di maggiori importi provento di truffa per € 364.415,77, peraltro indagato anche per accesso abusivo al nominato sistema informatico;
il messinese B. G. cl. 70, socio accomandante della casa di cura V. S., destinataria di maggiori importi provento di truffa per € 655.063,55;
soggetti nei cui confronti è stata disposta la misura cautelare del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali e di ricoprire incarichi apicali nell’ambito di imprese e persone giuridiche, per la durata di quattro mesi.
Analogamente, emergevano rapporti privilegiati anche con altre case di cura operanti a Messina:
la Casa di cura C. R., per il tramite dell’amministratore delegato M. A. F. cl. ‘51, destinataria di maggiori importi provento di truffa per € 259.866,47; Anche per tale Casa di cura si documentavano accessi abusivi al sistema informatico predisposto dall’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, eseguiti da due dipendenti della società, oggi indagati;
la Casa di cura S. C., amministrata dalla P. S. C. R. M. I., destinataria di maggiori importi provento di truffa per € 400.594,40;
la Casa di Cura amministrata dalla C. S.r.l., per il tramite dell’amministratrice pro tempore F. C. cl. ‘60, destinataria di maggiori importi provento di truffa per € 899.215,35, soggetti tutti indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato.
Nella materiale concretizzazione degli illeciti emergeva, poi, come la F.M. cl. 56 si sia servita di ben 14 consapevoli addetti al suo ufficio, tutti indagati per reati di falso, relativamente ai verbali redatti quali componenti/ispettori del Nucleo Operativo di Controllo.
A tale riguardo, la donna giungeva persino a dare indicazioni ai suoi collaboratori circa cosa scrivere, ovvero non far rilevare in sede di ispezione delle case di cura, come ad esempio allorquando disponeva di non verbalizzare carenze di personale in orario notturno “…no, non scriverla come criticità…non la…non la scrivere…”, ovvero ancora in ordine alle modalità di intervista dei pazienti circa la qualità del servizio offerto, allorquando suggeriva che tale attività venisse svolta in presenza del direttore sanitario, così da condizionare i pazienti nelle risposte che avrebbero fornito “…fate delle interviste ai pazienti…insieme al direttore sanitario …[…]…però fallo col direttore sanitario così hanno una remora nel ….ok ci siamo capiti!…”. Per tale circostanza risulta indagato, per reati di falso, insieme alla F.M. cl. 56 ed agli appartenenti al N.O.C., anche il direttore sanitario della C. G. S.p.a.
Da ultimo, la F.M. cl. 56 si è resa protagonista anche di ulteriori gravi ipotesi di reato, che il competente Giudice ha valorizzato parlando di “mercimonio della funzione pubblica”, in funzione del perseguimento di indebite utilità:
per aver sollecitato il citato M. E.cl. ‘39, in ordine ad un miglioramento del trattamento economico del figlio, dipendente della G. S.p.a.. In tale contesto, emergeva, peraltro, come la medesima società avesse “omaggiato” la donna di gioielli acquistati e pagati dalla stessa casa di cura presso una gioielleria cittadina; per aver richiesto ed ottenuto dal C. D. F. cl. ‘58, l’assunzione presso la Casa di cura gestita dalla C. O. T. S.p.a. del compagno di una sua collaboratrice amministrativa;
per aver richiesto ed ottenuto dal B. G. cl. ‘70, l’assunzione presso la casa di cura V. S. di una donna di suo interesse.
Un quadro generale fortemente preoccupante e che l’odierna operazione ha consentito di far emergere, a testimonianza del costante impegno profuso dal Tribunale, dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di Finanza di Messina, affinché le risorse pubbliche destinate a curare persone ammalate e bisognose non siano sottratte per essere destinate a finalità illecite e di arricchimento personale, vieppiù in un periodo in cui la sanità pubblica è così bisognosa di una corretta spesa delle risorse a disposizione.
Un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale del capoluogo nei confronti di 9 soggetti indagati a vario titolo per spaccio di sostanze stupefacenti è stata eseguita dai finanzieri del Comando provinciale di Palermo su delega della Procura della Repubblica.
L’operazione “Africo”, condotta dagli specialisti della Sezione Antidroga del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria delle Fiamme Gialle di Palermo tra l’inizio del 2018 e la metà del 2019, ha permesso di far luce su uno strutturato e proficuo commercio di diverse tipologie di sostanza stupefacente nel comprensorio di Carini e nel quartiere “Zen 2” di Palermo. Nel corso delle investigazioni, svolte con l’ausilio di video riprese, intercettazioni telefoniche e ambientali, è stato possibile ricostruire l’operatività criminale degli indagati, che si sarebbero riforniti di cocaina, hashish e marijuana nel noto quartiere palermitano “ZEN 2”, per poi smistarla quotidianamente nella cittadina carinese.
Nel corso delle indagini sono stati eseguiti numerosi interventi repressivi che hanno portato al sequestro di circa 30 kg di droga e all’arresto in flagranza di reato di 8 persone, fra cui un ex addetto alla raccolta di rifiuti all’epoca in servizio presso l’azienda municipalizzata palermitana RAP (poi licenziato per giusta causa), intercettato dai militari mentre consegnava a domicilio le dosi di stupefacente durante il lavoro. Come desumibile dalle complessive risultanze ottenute nel corso delle attività, è emerso che gli spacciatori avrebbero venduto fino a 100 “dosi” al giorno di stupefacenti, sviluppando un “fatturato” annuo stimabile in almeno 1,5 milioni di euro. Due degli arrestati, peraltro, hanno proprio nelle scorse settimane ottenuto con l’inganno il reddito di cittadinanza per un ammontare di 800 euro mensili.
Un beneficio che, per effetto del provvedimento cautelare, verrà sospeso, così come previsto dalla normativa in vigore. I finanzieri hanno poi proceduto a valorizzare in chiave patrimoniale – secondo una procedura operativa attuata in tutti i settori di servizio volta a disarticolare in maniera radicale le organizzazioni delinquenziali – gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, attraverso l’esame, il confronto e l’incrocio di informazioni estratte dalle diverse banche dati in uso al Corpo, dalle quali emergeva l’assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità degli indagati e la capacità reddituale dichiarata, richiedendo l’applicazione di misure cautelari patrimoniali.
Con il medesimo provvedimento il G.I.P. ha quindi disposto il sequestro preventivo di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati per un valore complessivo pari a circa 200.000 euro. L’operazione di servizio si inserisce nel più ampio dispositivo di controllo economico del territorio e di contrasto patrimoniale ai sodalizi illeciti, mantenendo alta la guardia sul fenomeno del traffico di stupefacenti, primaria fonte di finanziamento anche delle locali organizzazioni criminali.
Una Ordinanza di applicazione di misure cautelari è stata notificata dai Carabinieri di P.G. (Messina) nei confronti di tredici persone, ritenute responsabili, a vario titolo, del reato di spaccio di sostanze stupefacenti di tipo marijuana e cocaina, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti (ME), su richiesta della Procura della Repubblica di Patti guidata dal Procuratore Capo. Si tratta di tredici misure cautelari di cui: una degli arresti domiciliari, sei di obbligo di dimora nei rispettivi comuni di residenza con prescrizioni per i destinatari di non allontanarsi dalle loro abitazioni dalle ore 21:00 alle ore 07:00 di tutti i giorni, e sei di obbligo di presentazioni alla Polizia Giudiziaria. L’attività di indagine è nata da alcune segnalazioni, ricevute dai Carabinieri della Stazione di Falcone (ME), relative a possibili attività di spaccio di sostanze stupefacenti, specie tra giovanissimi, principalmente ad opera di due soggetti di Falcone già noti ai militari. I primi riscontri, operati per circostanziare quanto segnalato, hanno consentito di effettuare il rinvenimento di sostanze stupefacenti nonché l’acquisizione di messaggistica avvenuta tramite i moderni sistemi di comunicazione dei social network, ritenuta meno vulnerabile sotto il profilo del monitoraggio investigativo. In tale fase i Carabinieri hanno anche acquisito le denunce della madre di un consumatore di sostanze stupefacenti che si era appropriato di beni di famiglia per venderli ed impiegarne il ricavato nell’acquisto di droga. I primi riscontri investigativi hanno consentito al sostituto Procuratore della Repubblica di Patti, di delegare ai Carabinieri della Stazione di Falcone ulteriori indagini anche attraverso lo sviluppo di attività tecniche di intercettazione di comunicazioni telefoniche e di videosorveglianza mediante l’istallazione di telecamere all’esterno dell’abitazione di uno degli indagati, assiduamente frequentata da consumatori di droghe. L’esito delle investigazioni condotte con l’impiego di intercettazioni telefoniche e con l’espletamento dei tradizionali servizi di Polizia Giudiziaria tra cui osservazioni, controlli e pedinamenti, ha portato all’emersione di una più vasta attività di spaccio di marijuana e cocaina che ha consentito di allargare l’ambito delle indagini, sia soggettivamente che geograficamente, portando alla luce l’operatività di altri soggetti attivi nell’ambito territoriale compreso tra Falcone e Barcellona P.G., passando per Terme Vigliatore e Mazzarrà S. Andrea. I partecipanti al gruppo criminale investigato hanno palesato, benché alcuni di giovane età, grande esperienza nel settore dello spaccio delle droghe, adottando accorgimenti per eludere la Polizia Giudiziaria, quasi mai sbilanciandosi telefonicamente e comunicando sistematicamente mediante uso di linguaggio codificato e tramite canali social, in particolare WhatsApp e Instagram, indicando le droghe contrattate con nomi convenzionali del tipo “Ciccia”, “Bomba”, “Caffè”, “Basilico”, “Medicina”, “Schedina”, “Computer verde”, “Sigaretta”.
L’attività si spaccio di stupefacenti non si è interrotta neppure durante il periodo di lockdown imposto dall’emergenza epidemiologica della pandemia da covid-19, e l’attivismo nell’attività di vendita al dettaglio dello stupefacente anche in quel periodo di stringenti limitazioni ha dato lo spunto per il nome dell’operazione. Ma la pandemia, è stata anche un’opportunità di guadagno per gli spacciatori infatti le restrizioni hanno reso più difficoltosa la circolazione della droga sul mercato e l’effetto è stato quello di fare lievitare i prezzi al dettaglio della sostanza stupefacente, raddoppiando il costo di un grammo di marijuana, pagato anche 20,00 euro dai consumatori al grammo.
Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, è stata notificata dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo a 8 indagati (7 in carcere e 1 ai domiciliari), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni aggravate, danneggiamento seguito di incendio. L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto dottore Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Palermo T.N. che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione di cosa nostra. La ricostruzione dei fatti che segue è fondata sui gravi indizi di colpevolezza prospettati dalla D.D.A.- Sezione territoriale di Palermo e ritenuti dal GIP. Nel corso degli ultimi anni, il dispositivo di contrasto a “Cosa Nostra” di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, ha consentito di sviluppare un percorso investigativo che ha permesso l’esecuzione di numerose operazioni nei confronti degli esponenti del mandamento mafioso di T.N. tra cui “OSCAR” (2011), “APOCALISSE” (2014), “TALEA” (2017), “CUPOLA 2.0” (2018/2019), “TENEO” (2020). L’indagine “BIVIO”, oggi giunta ad un secondo momento repressivo, dopo il fermo del 26 gennaio 2021, ruota attorno alla figura di G.C., il quale, tornato in libertà nel mese di maggio 2019, si ritrovava sottoposto a F.P., designato quale proprio sostituto da C.L.P., nuovo capo del mandamento di T.N., così come emerso nell’indagine CUPOLA 2.0. Nel corso delle attività veniva quindi monitorato il percorso attraverso il quale C., dapprima si trasferiva a Firenze per prendere le distanze con la manovra di riassetto mafioso che non condivideva e poi, dopo aver costretto F.P. ad auto ritirarsi dalla sua carica direttiva, rientrava a Palermo da reggente consolidando e ricompattando attorno a sé la componente soggettiva del mandamento anzidetto. La seconda tranche dell’indagine “BIVIO” ha consentito di far luce, altresì, su una serie di gravi reati commessi dagli odierni arrestati ivi compreso G.C. ed il figlio F., ponendo altresì l’accento sul settore delle scommesse on line la cui gestione fa registrare la stabile infiltrazione delle consorterie mafiose. Uno dei soggetti raggiunti da provvedimento restrittivo, infatti, è G.V., palermitano trasferitosi a Firenze, il quale, grazie agli accordi siglati con G.C. e A.V., commercializzava i propri siti per le scommesse on line sul territorio del mandamento di T.N., riconoscendo parte degli utili alla compagine mafiosa. Le risultanze investigative complessivamente acquisite, ad ogni modo, rendono evidente la particolare pressione estorsiva ed impositiva esercitata dagli esponenti mafiosi nei confronti delle imprese operanti sul territorio, tanto che venivano ricostruite 11 vicende estorsive/impositive consumate o tentate di cui 2 denunciate spontaneamente dalle vittime commesse con violenza ovvero attraverso atti intimidatori tra i quali vanno annoverati; l’incendio commesso in danno di un esercizio commerciale di Sferracavallo, attentato che è stato ricondotto al tentativo ordito da C.F., C.G. e V.F., di farsi assegnare la gestione del locale, attuato anche mediante l’incendio programmato quale evento utile a vincere le resistenze del titolare; l’incendio in danno del cantiere edile finalizzato alla realizzazione della rete fognaria di Sferracavallo, evento anche questo programmato al fine di ottenere, da parte di V.A. e T.V., il subappalto di alcune lavorazioni; l’incendio in danno del furgone di una società di costruzioni, le cui motivazioni rimangono non del tutto decifrate, registrato in diretta dalle microspie degli investigatori; l’intimidazione in danno di una società edile che stava svolgendo lavori di ristrutturazione di un immobile ubicato a Sferracavallo, al fine di ottenere la commessa per i lavori di impiantistica in favore di V.A.; il tentativo di vietare, da parte di T.V., la possibilità di svolgere lavori di scavo nella zona di Sferracavallo ad un imprenditore, rivendicando la potestà sul territorio che consentiva soltanto a T. e A.F. la possibilità di svolgere lavori di scavo nel territorio dell’intero mandamento; l’estorsione in danno di un cantiere edile di Sferracavallo commessa da V.A. e T.V. i quali riuscivano a farsi assegnare parte delle lavorazioni di cantiere; l’estorsione in danno di un commerciante di T.N., già oggetto di contestazione nell’ambito del fermo, che è stata estesa, quanto alle responsabilità individuali, a G.F.; l’estorsione in danno di un cantiere edile di T.N., già oggetto di contestazione nell’ambito del fermo, che è stata estesa, quanto alle responsabilità individuali, a T.V.; la sistematica realizzazione, di “cavalli di ritorno” che consentivano agli affiliati di realizzare ingenti guadagni facendosi consegnare denaro per la restituzione di veicoli oggetto di furto.
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