Le cosche della “Ntrangheta” in ginocchio, i Carabinieri notificano ordinanza di custodia cautelare a 59 persone

 

 

I Carabinieri, con il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, hanno   eseguito nel circondario di Lamezia Terme e in altri centri del territorio nazionale, un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 59 persone. Cinquanta sono finiti in carcere, mentre 9 agli arresti domiciliari.

Sono accusati di associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, anche aggravata dalle modalità e finalità mafiose, nonchè in ordine ad altri numerosi reati, anche aggravati dalle modalità e finalità mafiose.

La gravità indiziaria acquisita a livello cautelare- informa il Comando – riconduce, altresì,al parallelo sodalizio, operante sotto l’egida e nel contesto della medesima consorteria ‘ndranghetista, dedito alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti di vario genere, delineandone la struttura e le linee d’azione.
In particolare, a seguito del monitoraggio, avviato nel novembre 2021, di alcune piazze di spaccio situate tra il parco “Peppino Impastato” e via del Progresso in Lamezia Terme, grazie alle diverse attività captative, corroborate da importanti riscontri e sequestri a carico dei soggetti coinvolti in qualità di pusher o assuntori, è emersa, progressivamente, una sempre più intricata rete di collegamenti, con la individuazione dei canali di approvvigionamento dello stupefacente, riconducibile alla più articolata organizzazione criminale, gestita da esponenti della famiglia Cracolici, egemone sui territori di Maida e Cortale, in grado di movimentare grossi quantitativi di narcotico del tipo marijuana e cocaina.
Nello specifico l’associazione, grazie alle influenze criminali vantate e ai rapporti intrattenuti con altri soggetti del reggino e del crotonese, era in grado di garantire la fornitura di stupefacenti a molti spacciatori del Lametino, alcuni dei quali già in precedenza destinatari di misura cautelari, in procedimenti della Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro (c.d. “WAREHOUSE”, del febbraio del 2022, e c.d. “SVEVIA”, del febbraio del 2023).
L’associazione era riuscita a mettere in atto, anche con la compiacenza di un esponente delle forze dell’ordine destinatario della misura, un collaudato sistema di produzione della marijuana, diversificando le piantagioni in più siti ritenuti sicuri, localizzati in terreni situati a Lamezia Terme, Maida e Mesoraca. In totale, sono state monitorate e sequestrate 5 piantagioni, per un totale di 4.600 piante di cannabis indica.
Nel corso dell’attività investigativa sono stati tratti in arresto in flagranza per detenzione di stupefacenti 16 indagati e deferiti in stato di libertà altri 10 soggetti, nonché sequestrarti circa 150 chilogrammi di marijuana e diverse dosi di cocaina.
È emersa anche la disponibilità di armi da fuoco da parte di diversi soggetti monitorati, con il sequestro di 3 pistole clandestine e del relativo munizionamento.
In tale quadro, oltre alla capacità di garantire il sostentamento delle spese legali dei sodali progressivamente arrestati, veniva riscontrata anche la capacità del sodalizio di interferire nello svolgimento di un processo a carico di uno dei sodali, mediante false testimonianze con il solo fine di indurre in inganno il collegio giudicate ed ottenere sentenze di assoluzione.

Napoli, ordinanza di Custodia Cautelare in carcere per 5 persone :costringono dirigenza di una squadra di calcio a pagare per continuare a giocare..

 

Racket e usura Archivi - Avviso Pubblico

Archivi-Sud Libertà

Napoli – Torre Annunziata 

C’è anche usura, vittima imprenditore ittico. Carabinieri eseguono misura a carico di 5 persone
Per delega del Procuratore Distrettuale di Napoli,  i militari del Gruppo Carabinieri di Torre Annunziata informano di aver  eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di cinque persone gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di estorsione e usura aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare il clan camorristico Gionta, operante nel comune di Torre Annunziata e zone limitrofe.
In particolare, gli indagati:  – avrebbero costretto la dirigenza di una squadra di calcio a consegnare una somma di denaro di circa tremila euro per consentire loro di proseguire nell’attività sportiva;

– avrebbero concesso prestiti usurari ad un imprenditore nel settore ittico, che sarebbe poi stato pesantemente minacciato per costringerlo alla restituzione del denaro. 

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari della stessa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Game Over”: arresti su richiesta della Procura della Repubblica di truffatori che colpivano gli anziani indotti a consegnare denaro e gioielli

 

Foto gratuito triste uomo anziano a casa

 

Reggio Calabria,
I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con il supporto di militari dei Comandi Provinciali di Genova e Caserta, hanno inferto un duro colpo a una banda criminale specializzata nelle truffe ai danni di persone anziane.
L’operazione, denominata “Game Over”, ha portato all’arresto di tre persone – un uomo di 40 anni e i suoi due figli 20enni, tutti residenti nel casertano. I sospettati sono stati fermati in località diverse, tra Genova e Castel Volturno, grazie a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. di Locri, su richiesta della locale Procura della Repubblica diretta dal dott. Giuseppe Casciaro.
La banda, ben organizzata, agiva sfruttando la vulnerabilità delle persone anziane di età compresa tra i 75 e 81 anni, attraverso la cosiddetta “truffa del Carabiniere”, un raggiro crudele e spietato. Il piano prevedeva una telefonata, in cui un falso Carabiniere o Avvocato comunicava alla vittima una falsa emergenza, sostenendo che un loro familiare fosse stato coinvolto in un grave incidente stradale e fosse in stato di fermo. Per evitare l’arresto del congiunto, le vittime venivano indotte a consegnare ingenti somme di denaro o gioielli. Successivamente, un complice si presentava a casa della vittima per raccogliere il bottino, sfruttando lo stato di ansia e confusione generato dalla finta emergenza.
Le indagini condotte dai Carabinieri della Stazione di Bovalino (RC), con estrema cura e meticolosità, hanno messo in luce un modus operandi ben strutturato e organizzato. Per identificare i responsabili delle condotte illecite, i militari dell’Arma hanno condotto un’attività meticolosa e tempestiva, focalizzata sull’analisi e l’incrocio di diversi dati.
Questo lavoro ha incluso l’esame delle immagini delle telecamere di videosorveglianza, sia pubbliche che private, l’acquisizione e l’analisi dei tracciati GPS delle auto a noleggio utilizzate dai sospettati, e lo studio dei tabulati di traffico telefonico dei loro cellulari. Ogni movimento dei sospettati è stato monitorato con precisione, permettendo di tracciare il percorso dei tre soggetti durante i loro spostamenti  dalla città di residenza fino ai luoghi di commissioni delle truffe.
 I militari dell’Arma sono riusciti a risalire ai numeri di telefono con cui venivano contattate le vittime, scoprendo che i cellulari utilizzati erano intestati a persone straniere, un dettaglio che la banda sfruttava per complicare le indagini e depistare eventuali controlli. I telefoni venivano spesso sostituiti per evitare di lasciare tracce, ma questo stratagemma non è riuscito a eludere le indagini dei Carabinieri. Le truffe messe in atto tra gennaio e giugno 2024 seguivano uno schema simile: dopo la telefonata che gettava nel panico la vittima, i malviventi, coordinati tra loro, agivano con rapidità e precisione.
Grazie al monitoraggio al lavoro certosino dei militari dell’Arma è stato possibile collegare i vari episodi criminosi, evidenziando un sistema ben rodato, che ripeteva lo stesso schema con poche variazioni, ma con incredibile efficacia. Le indagini hanno accertato che la banda nel periodo delle indagini ha sottratto alle vittime circa 70 mila euro, tra contanti e gioielli di valore. Tuttavia, grazie all’immediato intervento dei Carabinieri, una parte significativa della refurtiva è stata recuperata e restituita ai legittimi proprietari. Il coordinamento tra diversi reparti territoriali dei Carabinieri ha inoltre permesso di seguire i movimenti della banda da una regione all’altra, fino a catturare i membri tra Genova e Castel Volturno, grazie all’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. di Locri, su richiesta della Procura della Repubblica.

Fondamentale per il successo dell’operazione è stata la collaborazione delle vittime. Nonostante il forte shock subito, molti anziani hanno trovato il coraggio di denunciare i fatti, fornendo preziosi dettagli che hanno facilitato le indagini. La loro testimonianza ha permesso ai Carabinieri di ricostruire i movimenti della banda e di agire tempestivamente per fermare i colpevoli.
Al momento, il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari. Come stabilito dalla legge, gli arrestati sono da considerarsi innocenti fino a una eventuale condanna definitiva.

Messina: traffico di droga e spaccio, 9 arresti e 60 poliziotti impegnati nell’operazione

 

 

 

 

Messina,

Operazione antidroga a Messina con oltre 60 poliziotti impegnati nell’esecuzione, questa mattina, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale nei confronti dei componenti di due organizzazioni criminali specializzati nel traffico di droga.

L’operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, si è conclusa con l’arresto di nove persone accusate di detenzione, spaccio di sostanze stupefacenti e associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico.

Le indagini dei poliziotti del commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), svolte in collaborazione con quelli della Squadra mobile messinese e del commissariato di Milazzo, hanno consentito di ricostruire le dinamiche dell’attività criminale e svelato anche un aspetto particolarmente allarmante.

In particolare, gli investigatori della Polizia di Stato sono riusciti a scoprire un complesso sistema di spaccio che coinvolgeva anche la casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto. La droga era nascosta all’interno di pietanze consegnate a un detenuto con la complicità della moglie.

La donna, avvalendosi di un cellulare in uso all’uomo, introdotto clandestinamente in carcere, avrebbe eseguito puntualmente le direttive del marito, occupandosi della vendita al dettaglio della droga e della contabilità dell’attività illecita.
Un ruolo chiave sarebbe stato svolto da ignari corrieri, utilizzati per introdurre la droga in carcere occultata all’interno di pietanze.

Contestualmente gli investigatori hanno scoperto l’esistenza di un’altra organizzazione ben strutturata e operante principalmente a Milazzo e nei comuni limitrofi.

Le indagini, svolte con intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno documentato numerosi episodi di acquisto all’ingrosso di stupefacente che, trasportato da Messina verso la riviera tirrenica, veniva poi distribuito tra i pusher del gruppo per lo spaccio al dettaglio.

Rilevanti sono ritenuti i profitti economici che entrambe le organizzazioni criminali hanno maturato nel tempo e che sarebbero stati spesso impiegati per l’acquisto di gioielli o abiti di grandi firme o comunque per consentire agli appartenenti di mantenere uno stile di vita ampiamente superiore alle loro disponibilità economiche dichiarate.

Nel corso dell’operazione di oggi, a cui hanno partecipato i poliziotti delle volanti, della scientifica della questura di Messina, quelli del Reparto prevenzione crimine Sicilia Orientale e squadre cinofile antidroga della questura di Reggio Calabria, sono state effettuate diverse perquisizioni domiciliari.

Riciclaggio, estorsioni e ricettazione: operazione dei Carabinieri nel Brindisino, 5 persone arrestate

Le investigazioni hanno, inoltre, documentato, purtroppo, che le vittime dei furti, in taluni casi, anziché presentare regolare denuncia alle forze di polizia, ricercassero un approccio diretto con i soggetti ritenuti inseriti nell’illecito settore dei furti d’auto, per ottenere la restituzione di quanto loro sottratto previo pagamento.

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Brindisi,

Stamani i Carabinieri della Compagnia di Brindisi hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Brindisi, su conforme richiesta e nell’ambito di una indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Brindisi, nei confronti d di cinque persone (delle quali una già detenuta, poiché arrestata nel corso delle stesse indagini), poiché ritenute, allo stato, indiziate di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, all’estorsione, alla ricettazione nonché ai furti (anche con violazione della sorveglianza speciale).

L’indagine, avviata nel settembre 2022 e supportata da attività tecniche e numerosi servizi di osservazione e pedinamento, ha consentito allo stato di:

  • ricostruire le condotte delittuose consistenti:
    • ●nei furti su commissione e successiva rivendita dei veicoli previa alterazione dei dati identificativi del telaio, mediante l’intervento di carrozzieri compiacenti che esercitavano l’attività illegalmente;
    • ●nei furti di automezzi con successiva estorsione ai danni delle vittime (c.d. “cavallo di ritorno”);
    • ●nello smontaggio di alcuni dei veicoli rubati con la conseguente rivendita dei pezzi sul mercato illecito;
    • ●nella rivendita di oggetti prelevati illecitamente da vetture in sosta e/o da veicoli già derubati quali PC, bici elettriche, attrezzi da lavoro, effetti personali e beni di valore;
  • rinvenire, in numerosi casi anche in tempo reale, oltre 40 autovetture rubate ed un motociclo, restituiti ai legittimi proprietari;
  • individuare la presunta base logistica dell’associazione, costituita da un garage nella disponibilità del capo, promotore ed organizzazione dell’associazione per delinquere;
  • effettuare il sequestro di quattro autoveicoli, sui quali gli esami tecnici effettuati dalla Sezione Investigazioni Scientifiche dell’Arma dei Carabinieri hanno confermato l’alterazione dei numeri di telaio e la loro provenienza illecita;
  • eseguire, il 13 marzo scorso, un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di uno degli associati, ritenuto responsabile di tre furti di autoveicoli.

L’attività investigativa ha inoltre permesso di ipotizzare che l’associazione criminale fosse dotata di un rigido codice comportamentale e di un “potere sanzionatorio” espresso dal presunto capo, che giungeva anche a decretare l’estromissione dal suo circuito operativo dei soggetti ritenuti non più affidabili. L’attività investigativa ha inoltre permesso di far emergere, in un quadro di assistenza reciproca e sinergica cooperazione, gli stretti rapporti tra appartenenti al sodalizio con soggetti appartenenti ad altri gruppi attivi nel medesimo ambito criminale.

Le aree di maggior interesse operativo sono risultate il parcheggio del centro commerciale “Le Colonne” di Brindisi e il parcheggio del locale presidio ospedaliero “Perrino” (interessati da diversi furti ivi consumati), anche se le condotte criminali si sono estrinsecate in diverse ulteriori località della provincia e in tutto il territorio regionale.

Le investigazioni hanno, inoltre, documentato, purtroppo, che le vittime dei furti, in taluni casi, anziché presentare regolare denuncia alle forze di polizia, ricercassero un approccio diretto con i soggetti ritenuti inseriti nell’illecito settore dei furti d’auto, per ottenere la restituzione di quanto loro sottratto previo pagamento.

I militari operanti hanno, infine, notificato un invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio preventivo dinanzi al G.I.P. nei confronti di ulteriori 9 indagati nell’ambito dello stesso procedimento penale.

Ovviamente gli indagati non sono da ritenersi colpevoli fino a quando la responsabilità penale non sarà accertata con sentenza irrevocabile.

Dopo l’avvenuta esecuzione dell’ordinanza cautelare, si svolgeranno gli interrogatori di garanzia degli indagati.

Camorra Napoli: figlia contesa. Imposizioni intimidatorie e cortei armati del clan De Martino per scortare i nonni paterni durante gli incontri con la piccola. 9 misure cautelari

A Napoli la guerra di camorra è ricominciata. Lo Stato intervenga

Archivi-Sud Libertà

 – Napoli,

Per delega del Procuratore Distrettuale di Napoli, si comunica che i Carabinieri della Compagnia di Torre del Greco hanno eseguito un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 9 persone gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di atti persecutori, lesioni personali e di detenzione e porto in luogo pubblico di armi, delitti aggravati dal metodo mafioso per aver fatto ricorso alla capacità d’intimidazione dell’associazione di tipo camorristico denominata clan “De Martino”, storicamente operante nell’area orientale di Napoli e, in particolare, nel quartiere Ponticelli.
All’esito delle indagini svolte dai Carabinieri della Tenenza di Cercola, è emerso che gli indagati hanno fatto ricorso ad imposizioni, progressivamente divenute più intimidatorie e prevaricatrici, affinché venisse loro garantito l’affidamento, in totale assenza di alcuna regolamentazione giudiziaria, di una bambina nata dalla relazione di una donna con il rampollo – detenuto – di una famiglia storicamente al vertice di una delle fazioni camorristiche che si contendono l’egemonia criminale nella zona del quartiere napoletano Ponticelli.
Le investigazioni hanno consentito, inoltre, di documentare l’esecuzione di veri e propri cortei armati degli affiliati al gruppo camorristico in questione per scortare i nonni paterni  in occasione dei quotidiani prelievi e delle riconsegne della bambina.

Gli arrestati sono stati associati presso la Casa Circondariale di Napoli-Secondigliano nonché presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari della stessa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Recide i tubi del gas nella casa della ex con l’intento di far esplodere l’appartamento. Tempestivo intervento dei Carabinieri che arrestano il rumeno.

Metaponto, migrante morta in incendio: recuperate 220 bombole di gas - La  Gazzetta del Mezzogiorno

Archivi-Sud Libertà

Palermo,
I Carabinieri della Compagnia Palermo Piazza Verdi hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di un 53enne, di nazionalità rumena, già sottoposto agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, presso una comunità del trapanese e ritenuto responsabile di strage. 
L’attività d’indagine è stata condotta dai militari della Stazione di Brancaccio ed ha consentito di delineare un grave quadro indiziario, sostanzialmente accolto nel provvedimento cautelare, nei confronti dell’uomo, il quale – indagato in precedenza per maltrattamenti in famiglia nei confronti della sua ex moglie –  nel dicembre del 2022, dopo essersi introdotto nell’abitazione della donna, in via Oreto, vi si sarebbe barricato dentro, tagliando inoltre tre tubi collegati a delle bombole di gas con il chiaro intento di far esplodere l’appartamento.
Nell’occasione è stato il tempestivo intervento dei Carabinieri, con il supporto del personale dei Vigili del Fuoco a scongiurare conseguenze ben più drammatiche, consentendo altresì l’immediato arresto del 53enne e la messa in sicurezza dell’intero stabile.
L’indagato è attualmente ristretto presso la casa circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani..

I CLAN vogliono affidare il controllo del territorio ai figli dei “padrini” – Stop della Procura , dei Carabinieri e della Finanza – Ordinanza di misure cautelari personali nei confronti di 16 mafiosi su richiesta della Procura Antimafia

 

Catania,

Alle prime ore di ieri,  12 giugno ,- informa il Comando Carabinieri-  personale del Comando Provinciale Carabinieri di Ragusa unitamente ai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania hanno dato esecuzione ad un’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere, emessa dall’Ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Catania, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia etnea, concernente complessivamente 16 indagati, ritenuti a vario titolo responsabili dei reati di “associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, illecita concorrenza con minaccia o violenza, tentato omicidio, estorsione e tentata estorsione, detenzione abusiva di armi e porto in luogo pubblico, detenzione, trasporto e cessione di sostante stupefacenti, falsità ideologica commessa da privati, reati tutti aggravati dalla finalità mafiosa”.

Il provvedimento cautelare eseguito dai Finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania e dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Ragusa nelle province iblea ed etnea valorizza e mette a sistema le risultanze delle complesse indagini svolte dai predetti reparti a partire dal 2016 e fino al 2023.

Le investigazioni, nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti, avrebbero permesso di ricostruire:

  • le dinamiche criminali dell’associazione a delinquere riconducile a cosa nostra operante nel territorio di Vittoria (RG) e in altri comuni della provincia di Ragusa, capeggiata da un esponente di spicco in quel contesto geografico;
  • i ruoli nel tempo assunti dagli altri indagati, destinatari di misura cautelare, monitorandone le attività criminali sia nel periodo in cui il predetto esponente era in stato di libertà sia durante il periodo di detenzione.

Le più recenti attività di p.g. avrebbero fatto emergere che, durante il periodo di detenzione del soggetto apicale del clan, un pregiudicato a lui vicino sarebbe stato investito del ruolo di referente pro tempore dell’organizzazione criminale. L’attività investigativa aveva ulteriore impulso dopo che il capo clan, posto agli arresti domiciliari nel gennaio 2021, avrebbe sfruttato la propria abitazione quale base logistica in cui effettuare incontri riservati con i propri accoliti, con esponenti apicali dei gruppi riconducibili a cosa nostra e operanti in altri contesti territoriali nonché con importanti imprenditori del settore del packaging, riprendendo di fatto il proprio ruolo di riferimento del sodalizio mafioso e riaffermando la propria influenza sul territorio.

Il monitoraggio tecnico e le attività condotte a carico dell’indagato di spicco, dei suoi figli, e di altri soggetti ritenuti appartenere al gruppo criminale avrebbero consentito di acquisire elementi di pregio indiziario in merito all’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso che, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, avrebbe perpetrato una serie indeterminata di delitti contro la vita, l’incolumità individuale, la libertà personale, il patrimonio, e acquisito, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo di attività economiche, con particolare riferimento al settore della produzione e commercializzazione di imballaggi per prodotti ortofrutticoli. Il sodalizio avrebbe unito l’aggressività e la forza militare a strategie imprenditoriali, estendendo così il suo potere mafioso e il controllo territoriale. A riscontro della sua operatività sarebbero emersi collegamenti con altri gruppi mafiosi, inclusi i clan “Santapaola-Ercolano” di Catania, “Nardo” di Lentini, “Rinzivillo” di Gela.

Contestualmente sarebbe venuto in evidenza anche il ruolo dei figli dell’esponente di spicco del clan per la gestione, unitamente al padre, degli affari imprenditoriali nel settore degli imballaggi, facendo uso degli strumenti propri dell’assoggettamento mafioso e avvalendosi del proprio riconosciuto carisma criminale nell’ambiente della fornitura del packaging per influenzare e condizionare la libera concorrenza. In tal modo, si sarebbero imposti come intermediari bypassando di fatto il provvedimento di sequestro di beni e disponibilità del valore complessivo di 35 milioni di euro, emesso dal Tribunale di Catania, su richiesta della Procura etnea, a carico di tale soggetto apicale, che aveva riguardato anche svariate società, tra le quali una delle aziende di famiglia.

In altri termini, la consorteria criminale, operando con modalità spesso illecite e spregiudicate e interagendo con altri soggetti malavitosi, riciclatisi anch’essi in quell’ambito territoriale come imprenditori, avrebbe continuato a imporre la propria leadership nell’ambito del lucroso settore del mercato locale, con particolare riferimento alla vendita di materiali e imballaggi per confezionamento dei prodotti ortofrutticoli, assai fiorente nel contesto territoriale, a vocazione prevalentemente agricola, del comune di Vittoria.

Sarebbe emersa altresì la collusione di imprese attive nel settore della commercializzazione di prodotti petroliferi che, grazie alla rete di relazioni del capo clan, sarebbero riuscite ad approvvigionarsi di carburante di provenienza illecita, così accrescendo il proprio giro d’affari potendo contare sulla competitività derivante da carburanti a basso costo. Al contempo, le stesse aziende, ponendosi a disposizione del sodalizio, avrebbero apportato un concreto contributo causale ai fini della conservazione, del rafforzamento, e comunque della realizzazione anche parziale del programma criminoso dell’associazione mafiosa.

Inoltre, l’arresto di un soggetto vicino al richiamato soggetto apicale, avvenuto nell’aprile 2021, trovato in possesso di un’arma da fuoco clandestina detenuta illegalmente e di un’importante quantità di stupefacente, avrebbe consentito di evidenziare come gli interessi del gruppo abbracciassero anche il settore della droga, delle armi e delle estorsioni.

Sul punto, emergono evidenze in cui il gruppo mafioso avrebbe posto in essere azioni intimidatorie verso altri soggetti pregiudicati vittoriesi per indurli al pagamento di quantitativi di stupefacente forniti da altre consorterie, che si sarebbero rivolti al sodalizio di cosa nostra vittoriese riconoscendone le capacità operative sul territorio. Parimenti, sono stati monitorati momenti di criticità all’interno dei quali gli appartenenti al gruppo si sarebbero organizzati per il compimento di azioni di forza con l’uso di armi da compiere in danno di pregiudicati vittoriesi che, grazie al tempestivo intervento degli inquirenti, si risolvevano senza spargimento di sangue.

All’esito delle indagini svolte, il GIP etneo, su richiesta della Procura di Catania, ha ritenuto dunque sussistente un grave quadro indiziario nei confronti dei 16 soggetti indagati, disponendone la custodia cautelare in carcere.

L’attività investigativa in questione si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura della Repubblica di Catania, dalla Guardia di Finanza etnea e dall’Arma dei carabinieri di Ragusa volte al contrasto delle associazioni a delinquere di tipo mafioso e della “mafia imprenditrice”, al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale e di condizionamento della libera concorrenza.

 

 

 

In ginocchio i clan mafiosi che dominavano tra le province di Ragusa e Catania: arrestate 16 persone

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I  finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Economico e Finanziaria della Guardia di Finanza di Catania e dei carabinieri del Comando provinciale di Ragusa hanno posto in stato di fermo sedici persone nell’ambito di una inchiesta sui clan attivi sul territorio tra le provincia di Ragusa e Catania. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, tentato omicidio, illecita concorrenza con minaccia o violenza. L’inchiesta è stata coordinata dalla Dda di Catania e i provvedimenti cautelari sono stati firmati dal Gip del Tribunale etneo.

Reggio Calabria, Ordinanza di custodia cautelare per 14 persone responsabili di associazione di tipo mafioso, estorsione , reati elettorali ed altro

 

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Reggio Calabria,

Il ROS – con il supporto in fase esecutiva del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria e dello Squadrone Carabinieri Eliportato “Cacciatori” Calabria – ha eseguito una ordinanza di custodia cautelare del Tribunale di Reggio Calabria emessa su richiesta della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo diretta dal Dr. G.B., nei confronti di 14 persone (di cui 7 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 3 con obbligo di presentazione alla p.g) indiziati, a vario titolo – allo stato del procedimento ancora in fase di indagini preliminari e fatte salve diverse valutazioni nelle fasi successive –  di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, reati elettorali, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Le indagini, condotte dal ROS sotto la direzione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, si sono concentrate sulla cosca “Araniti”, egemone nel territorio di Sambatello (RC), ed avrebbero consentito di delinearne gli assetti, le attività estorsive in danno di appalti pubblici, l’ingerenza nella conduzione della discarica di “Sambatello” attraverso l’imposizione, alle ditte di volta in volta impegnate nella gestione dell’impianto, del personale da assumere e le relazioni con le omologhe consorterie criminali attive nei territori confinanti di Diminniti e Calanna. È stato inoltre documentato lo stringente controllo esercitato sul territorio che ha portato finanche alla limitazione dell’attività venatoria nell’area agreste della frazione.
Le investigazioni, avviate nel 2019, avrebbero inoltre permesso di acquisire elementi sintomatici del condizionamento delle elezioni – presso alcuni seggi elettorali – per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria (nel 2020 e nel 2021) e del Consiglio Comunale di Reggio Calabria (nel 2020).
In particolare, uno degli indagati raggiunto da provvedimento restrittivo, legato da vincoli di parentela ad esponente apicale della cosca ARANITI, con il fine di sostenere i candidati di interesse avrebbe alterato – con la complicità di scrutatori compiacenti – le operazioni di voto, procurandosi le schede elettorali di cittadini impossibilitati a votare ed esprimendo, in luogo di questi ultimi, la preferenza in favore dei candidati sostenuti. Il citato indagato, dopo i positivi esiti elettorali, avrebbe ottenuto dai politici eletti nomine nell’ambito di enti pubblici o come professionista esterno.
L’Ufficio di Procura, con riferimento agli episodi di ipotizzato condizionamento delle competizioni elettorali, ha avanzato richiesta di applicazione di misura cautelare per il delitto di scambio elettorale politico – mafioso, oltre che su soggetti legati alle articolazioni mafiose operanti nell’ambito cittadino, anche a carico di un Consigliere della Regione Calabria e di un Consigliere del Comune di Reggio Calabria. Il GIP del Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta cautelare ed avverso questo provvedimento l’Ufficio di Procura proporrà appello.
Nel procedimento penale risulta indagato, sempre per il reato ex art. 416 ter c.p., anche il Sindaco di Reggio Calabria, nei confronti del quale, tuttavia, non era stata avanzata richiesta cautelare non avendo ritenuto  compiutamente integrati per lo stesso tutti i presupposti legittimanti.
Si precisa che il procedimento è in fase di indagine e gli indagati, attinti da misura cautelare e destinatari di informazioni di garanzia, sono da considerarsi non colpevoli fino a sentenza di condanna divenuta irrevocabile e che la loro responsabilità verrà vagliata dal giudice competente.