Operazione antimafia “Lua Mater” in Sicilia con 13 arresti, colpo ai clan di Pietraperzia e Regalbuto: sequestrato un’imponente arsenale

 

 

 

Enna,

Conferenza stampa oggi alle ore 11.   Operazione  “Lua Mater “Una vasta operazione antimafia condotta dalla polizia di Stato, denominata  infatti   “Lua Mater», è ancora in corso nella provincia di Enna con l’esecuzione di due distinte ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 13 persone. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, favoreggiamento personale aggravato, detenzione e porto abusivo di armi comuni, armi clandestine e da guerra. Le misure cautelari sono state eseguite nei confronti di esponenti delle famiglie mafiose di Pietraperzia e Regalbuto.

L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della procura di Caltanissetta, ha condotto alla luce  due imponenti arsenali nella disponibilità di Cosa nostra. Le indagini, coordinate dal Servizio centrale operativo, la sezione investigativa di Caltanissetta del Sisco, la squadra mobile di Enna e il commissariato di di Leonforte hanno consentito di rinvenire e sequestrare una quantità di armi notevole, 8 fucili, 3 mitragliatori e 9 pistole, nonché il relativo munizionamento.

All’operazione, che si è svolta in collaborazione con il personale delle squadre mobili e degli uffici di polizia di diverse città, hanno partecipato 180 operatori della polizia di Stato che hanno eseguito le misure cautelari ed effettuato numerose perquisizioni.

Ulteriori dettagli saranno forniti nel corso della conferenza stampa convocata dal procuratore della Repubblica, alla presenza dei vertici della polizia di Stato che si svolgerà alle 11 presso l’aula magna del Palazzo di Giustizia di Caltanissetta.

Palermo, 26 arresti -indagine dell’Antimafia- per lo smercio di cocaina e hashish nel quartiere Sperone di Brancaccio

squadra mobile

 

Sono accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso, le 26 persone arrestate dai poliziotti della Squadra mobile di Palermo al termine di un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia.

L’attività investigativa della Mobile, svolta in collaborazione con il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, ha fatto luce sull’organizzazione del gruppo criminale e di ricostruire la filiera dello smercio di cocaina e hashish a Palermo, nel quartiere Sperone di Brancaccio.

Nell’indagine sono stati impiegati poliziotti “undercover”, che si sono infiltrati tra gli appartenenti all’associazione criminale, stabilendo contatti diretti con i leader del gruppo. Dall’indagine sono emersi anche gli interessi di Cosa nostra sulla distribuzione dei guadagni provenienti dall’attività illecita.

L’attività di spaccio avveniva ininterrottamente nell’arco delle 24 ore, ed era organizzata con regolari turni di “lavoro” di pusher e vedette.

Alle fasi esecutive dell’operazione hanno partecipato i Reparti speciali, il Reparto prevenzione crimine, alcune Unità cinofile e il Reparto volo, che hanno eseguito anche numerose perquisizioni nei confronti di altri indagati.

Maxoperazione antimafia a Palermo: disarticolati i Clan mafiosi Del Noce e Cruillas

Vertici del mandamento mafioso della Noce in stato di fermo

I 40 anni della polizia di Stato: «cresciuta assieme a Bergamo» - Video - Cronaca, Bergamo
Foto Archivi Sud Libertà

Palermo,

Maxiperazione antimafia a Palermo, la Polizia di Stato smantella i vertici del mandamento mafioso della Noce. Cinque indagati hanno già scontato una condanna.

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo ha delegato oggi la Polizia di Stato a dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del capoluogo, nei confronti di 9 indagati (di cui 8 in carcere ed 1 agli arresti domiciliari), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine avviata dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, nel 2020 e coordinata dalla locale Procura della Repubblica –DDA -, che avrebbe consentito di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose del mandamento della Noce/Cruillas che comprende le famiglie mafiose della Noce, Cruillas/Malaspina ed Altarello.

Le più recenti operazioni condotte dalla Squadra Mobile di Palermo su questo mandamento avevano permesso di disarticolare la struttura organizzativa consentendo l’arresto e la condanna di numerosi affiliati, tra capi e gregari, delle famiglie mafiose che compongono il mandamento.

Cinque gli arrestati sono già stati condannati a vario titolo per l’appartenenza a Cosa Nostra, affiliazione che comporta “l’assoluta accettazione delle regole dell’agire mafioso e conseguentemente la messa a disposizione del sodalizio di ogni energia e risorsa personale per qualsiasi richiesto impiego criminale nell’ambito delle finalità proprie della stessa Cosa nostra, “offrendo a questa un contributo anche materiale permanente, e sempre utilizzabile, già di per sé idoneo a potenziare l’operatività complessiva dell’organizzazione criminale”.

Sarebbe stata così documentata l’ascesa al vertice del mandamento Noce/Cruillas di colui che sarebbe ritenuto l’attuale capo, dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione in carcere. La sua ascesa ai vertici di cosa nostra “sarebbe già stata favorita, negli anni passati, dai fratelli Lo Piccolo, alla presenza dei quali, peraltro, sarebbe stato ritualmente “combinato”, e sempre per volere di questi sarebbe stato, allora, posto a capo del suddetto sodalizio mafioso”, dicono gli inquirenti.

La sua storia criminale- comunicano gli investigatori alla stampa – gli avrebbe permesso così di riorganizzare ed imporre nuove regole all’intero del mandamento, attraverso riunioni che sarebbero state registrate dalla polizia giudiziaria, rese riservate dai partecipanti, secondo un collaudato protocollo di riservatezza, consistente nell’avviarsi, senza telefonino, in lunghe passeggiate lungo le pubbliche vie con i vertici delle altre famiglie mafiose.

La riorganizzazione avrebbe comportato l’ascesa criminale di uomini di sua totale fiducia ed il contestuale ridimensionamento di quelli ritenuti nel mirino delle forze dell’ordine. L’indagine avrebbe evidenziato “alcuni soggetti di vertice dell’organizzazione tra cui colui che avrebbe assunto il controllo della cassa della famiglia acquisendone direttamente la gestione (“u vacilieddu”), nella sua strategia rientrerebbe la presunta estensione a tappeto delle estorsioni, con imposizione del pizzo a tutti gli esercizi commerciali, strategia questa criticata da alcuni affiliati poiché sarebbero state coinvolte attività di poco conto e ciò avrebbe creato malcontento”.

 

Operazione Antimafia dei Carabinieri in lotta contro le cosche di indrangheta

LE 5 ORGANIZZAZIONI CRIMINALI PIÙ POTENTI DEL MONDO - YouTube
Lotta alle cosche di indrangheta

 

 

La Direzione Investigativa Antimafia, su disposizione del Tribunale di Catanzaro, ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni mobili ed immobili nella disponibilità di un imprenditore di origini calabresi stabilitosi da oltre 20 anni in provincia di Padova ed attualmente in regime di detenzione domiciliare.

Lo stesso era stato già colpito nell’ambito di una precedente operazione antimafia poiché ritenuto uomo di fiducia sul territorio padovano dell’associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetista della quale sarebbe stata partecipe e per la quale avrebbe fornito in via continuativa supporto logistico, economico ed investimenti imprenditoriali in provincia di Padova.

Il provvedimento trae origine dalle indagini coordinate dalle DDA di Catanzaro e Venezia, che hanno consentito di acclarare elementi relativi ad una pericolosità sociale sia generica che qualificata.

Le investigazioni avrebbero documentato incontri e rapporti con esponenti di spicco delle cosche di ‘ndrangheta, lasciando ipotizzare la costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e all’autoriciclaggio di denaro, quest’ultimi sarebbero stati perpetrati attraverso un articolato sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti i cui pagamenti sarebbero stati schermati grazie alla compiacenza di funzionari di Banca.

Con il provvedimento odierno sono stati posti in sequestro beni mobili registrati, una società operante nel settore delle costruzioni con sede in MILANO e posizioni finanziarie per un valore complessivo di circa 19.000 euro.
Il risultato operativo si inserisce nell’ambito delle attività Istituzionali finalizzate all’aggressione delle illecite ricchezze acquisite e riconducibili, direttamente o indirettamente, a contesti delinquenziali, agendo così a tutela e salvaguardia della parte sana del tessuto economico nazionale.

Sequestrati bar e beni per oltre un milione di euro ad un noto Clan mafioso peloritano

 

 

MESSINA

 

 Operazione Antimafia denominata “Provinciale”. Finanzieri del Comando Provinciale di Messina stanno dando esecuzione ad una misura cautelare personale e reale nei confronti di S.S. cl. 95, figlia del noto boss messinese S.S. cl. 75, con contestuale sequestro di due bar in centro cittadino, beni immobili e mobili per un valore stimato di oltre 1 milione di euro.

S.S. cl. 75, figlio di R., fratello dello storico boss L.S., poi divenuto collaboratore di giustizia, è recentemente balzato agli onori della cronaca nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “PROVINCIALE” con la quale, tra l’altro, nel decorso mese di aprile 2021, veniva disarticolata l’operatività criminale del gruppo facente capo al predetto ed ai suoi membri storici, A.M. cl. 74, C.C. cl. 81, C.L. cl. 77 e S.A. cl. 84, operante nel territorio del centro cittadino, presso il “Rione Ariella”, meglio conosciuto come “Fondo Pugliatti”.

In tale ambito, le indagini dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina ed eseguite dagli specialisti del G.I.C.O. della Guardia di Finanza peloritana avevano documentato come il gruppo mafioso investigato costituisse un importante riferimento cittadino per le scommesse illecite, tanto da spuntare commissioni del 40% sugli incassi delle scommesse, forte anche di consolidati rapporti con dirigenti maltese del settore, rilevando, altresì, anche pericolose connessioni con esponenti della politica locale.

Che si trattasse di un importante clan mafioso, del resto, si acquisiva anche in occasione del funerale del padre di S.S. cl. 75 allorquando, ad aprile 2020, in pieno primo lockdown, destò scalpore la modalità per rendere omaggio al defunto, in violazione di tutte le norme anti Covid all’epoca vigenti.

L’odierno provvedimento di custodia cautelare interviene a valle del recente riconoscimento, da parte del Tribunale del Riesame (peraltro non revocato dalla Suprema Corte di Cassazione adita dagli indagati), dell’esistenza ed autonoma operatività del clan mafioso facente capo allo S.S. cl. 75, inizialmente ritenuto subordinato al clan facente capo a L.D.G. cl. 70.

Nel merito, su appello della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, con specifico riferimento ai rapporti tra lo S.S. cl. 75 e il L.D.G. cl. 70, il Riesame affermava come non vi fosse sudditanza del primo nei confronti del secondo, bensì i loro rapporti fossero caratterizzati da un “rapporto di non belligeranza…in forza del quale il referente di un gruppo criminale interviene nei momenti di difficoltà attraversati dal gruppo concorrente…”, così disponendo l’aggravamento della misura cautelare nei confronti dei partecipi del clan A.M. cl. 74 e S.A. cl. 84, inizialmente posti ai domiciliari e poi associati, nel mese di settembre 2021, rispettivamente, alla casa Circondariale di Messina e Caltanissetta.

Nella medesima direzione, la circostanza come il gruppo facente capo a S.S. cl. 75 appoggiasse, nelle elezioni del 2018, candidati diversi da quelli appoggiati dal gruppo mafioso facente capo al L.D.G. cl. 70: gruppi mafiosi autonomi, dotati di autonomo spessore e carisma criminale, come tali riconosciuti dalle altre consorterie e dalla comunità.

Le odierne misure, invece, sempre disposte dal competente G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia peloritana, vedono indagata e destinataria degli arresti domiciliari la figlia S.S. cl. 95 del boss S. (da ritenere innocente fino a sentenza passata in giudicato), per intestazione fittizia di realtà societarie, beni immobili ed autovetture, in realtà riferibili occultamente al padre.

Più in particolare, secondo ipotesi d’accusa, comunque basate su imputazioni provvisorie e che dovranno trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, proprio al fine di eludere le disposizioni in materia di misure patrimoniali previste dal Codice Antimafia, ovvero di agevolare la commissione di altri delitti, quali ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, la donna avrebbe assunto fittiziamente la titolarità di tali attività commerciali, ubicate nel centralissimo Corso Cavour di Messina e note per essere meta preferita della movida giovanile.

Nel corso delle indagini tecniche nel tempo effettuate è emerso, infatti, come il padre prendesse decisioni autonome, senza minimamente interpellare la figlia, solo formale titolare, come nel caso in cui rimproverava telefonicamente il sodale A.M. cl. 74 addirittura per aver fatto rispondere al telefono il banconista, disponendo anche di licenziarlo: “Ma quello che ca…risponde a telefono, lui si deve stare dietro al banco… va e rimproveralo.… non deve rispondere lui al telefono…cos’è questo bordellino….lunedì se ne deve andare…troppo babbo è”.

Ancora, parimenti, emergeva come al boss S.S. cl. 75 fosse rimessa anche la gestione economica degli esercizi di ristorazione oggi sottoposti a sequestro: “… gli dobbiamo dare una stretta alle spese…… sono due giorni che faccio spese in continuazione e non va…”.

Tali convergenti elementi indiziari, uniti ad una analitica ricostruzione delle disponibilità patrimoniali acquisite nell’ultimo ventennio dal boss S.S. cl. 75 e dai componenti del suo nucleo familiare – finalizzato a verificare la compatibilità delle disponibilità patrimoniali rispetto alle lecite capacità reddituali dichiarate – e che restituivano un quadro di evidente sperequazione tra gli incrementi patrimoniali rispetto al reddito legittimamente prodotto, consentivano al competente Giudice di disporre l’odierno provvedimento.

In tal senso, quindi, venivano condivise le richieste formulate dalla Procura della Repubblica di Messina, ritenendo la donna un mero “schermo” del padre, consapevole del rischio di incorrere in provvedimenti di sequestro in relazione alla sua caratura criminale.

Più in particolare, il provvedimento di sequestro oggi eseguito dalle Fiamme Gialle ha avuto ad oggetto, oltre ai due bar, anche una quota pari al 25% di una s.r.l.s., con sede a Messina ed operante del settore della consulenza pubblicitaria, n. 2 fabbricati pure siti a Messina, n. 1 autoveicolo e denaro contante pari ad € 15.000,00, il tutto per un valore complessivo di stima pari a 1,1 milioni di euro.

Ancora una volta, con l’operazione odierna, il Tribunale, la Direzione Distrettuale Antimafia e la Guardia di Finanza di Messina, oltre ad infliggere un ulteriore colpo ad uno dei più noti clan mafiosi di Messina, hanno recuperato un ampio spazio di legalità, restituendolo alla collettività onesta, reprimendo le condotte illecite a tutela della buona, regolare e sana libertà di impresa degli operatori economici.

Maxoperazione Antimafia a Catania:misure cautelari, sequestri e 37 malavitosi indagati

 

Guardia di finanza: concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento di dieci tenenti

CATANIA

Nell’ambito di articolate investigazioni delegate dalla Procura della Repubblica di Catania – Direzione Distrettuale Antimafia, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con la collaborazione e il supporto dello SCICO (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata), hanno dato esecuzione a un’ordinanza di misure cautelari emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale nei confronti di 18 persone, sottoposte a indagine, a vario titolo, per associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, usura, turbativa d’asta, favoreggiamento personale, detenzione e porto di armi da fuoco.

Contestualmente, è stato eseguito il sequestro preventivo, per un valore complessivo di un milione di euro, delle quote sociali e del patrimonio aziendale di una società operante nel settore della logistica per trasporti, la cui proprietà è stata fittiziamente intestata a una prestanome del clan, al fine di eludere gli accertamenti patrimoniali.

La complessa attività d’indagine, condotta dal Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria di Catania, ha focalizzato 37 soggetti ed è stata convenzionalmente denominata “REPORT”, con riferimento agli ordini che il reggente del “clan LAUDANI” per il territorio acese, detenuto a Caltanissetta, impartiva ai suoi sodali tramite “pizzini” occultati nelle confezioni di succhi di frutta o barrette di cioccolato e che venivano portati all’esterno del carcere per poter impartire all’esterno le direttive ai sodali a lui più vicini, sia in ordine alla gestione della società oggi sottoposta a sequestro sia in ordine ad alcune iniziative da intraprendere nell’ambito delle attività criminali riconducibili al gruppo.

Le indagini, svolte dalle unità specializzate del GICO di Catania, hanno consentito di accertare le modalità operative di alcuni dei gruppi più operativi appartenenti al clan “LAUDANI”, oltre che tracciare gravi episodi di estorsione nei confronti di imprenditori catanesi posti in essere da esponenti del “clan SANTAPAOLA”.

In particolare, gli investigatori del Nucleo PEF di Catania hanno ricostruito, in primo luogo, la rete di interessi illeciti del “clan LAUDANI”, attivo nelle estorsioni e con interessi nel settore afferente alle procedure di esecuzione fallimentare. Nel dettaglio, nel corso delle indagini sono stati riscontrati, in primo luogo, 8 episodi estorsivi, in alcuni casi posti in essere dai componenti del clan a danno di imprenditori e professionisti per finanziare l’associazione mentre, in altre circostanze, gli appartenenti del sodalizio criminale hanno agito per favorire illecitamente imprenditori, i quali – a fronte di crediti commerciali non pagati – hanno preferito, invece che procedere legalmente, fare ricorso all’intermediazione degli esponenti mafiosi per recuperare le somme, avvalendosi della forza di intimidazione connessa all’appartenenza di questi ultimi all’organizzazione criminale e al fine di accelerare la procedura di incasso del credito.

L’altro settore coinvolto dalle attività di indagine è quello rappresentato dalle interferenze nelle procedure giudiziarie di vendite all’asta di beni. In questo ambito, soggetti appartenenti o vicini al clan Laudani, sono intervenuti, in diverse occasioni, affinché gli imprenditori dichiarati falliti – nei cui confronti era stata attivata la procedura di esecuzione immobiliare – potessero illecitamente rientrare in possesso del bene posto all’asta, ricavandone utilità.

In tale contesto, esponenti del “clan Laudani” si sono attivati, ricorrendo a minacce e intimidazioni, in modo da inibire la partecipazione di potenziali offerenti alla procedura esecutiva, in tal modo garantendo al debitore esecutato di ottenere, sia pure attraverso intestatari fittizi, la restituzione dei beni. In tale contesto, uno degli episodi oggetto di attenzione investigativa del GICO ha riguardato una procedura di asta immobiliare effettuata presso il Tribunale di Catania.

Nell’occasione un imprenditore, proprietario di un appartamento oggetto dell’esecuzione fallimentare, ha richiesto ed ottenuto l’intervento del clan, al fine di alterare la procedura di vendita del bene. In tale occasione il gruppo ha individuato un prestanome compiacente e, contestualmente, ha allontanato i potenziali offerenti, attraverso il ricorso ad intimidazioni e minacce. In detto ambito, di particolare gravità si è rivelata una condotta posta in essere anche da soggetti appartenenti al clan Laudani, attraverso la quale gli acquirenti del bene esecutato venivano costretti con minacce a rivendere il bene, a prezzo vile, al debitore esecutato che aveva ricercato e ottenuto l’intervento dei primi.

Nel corso delle investigazioni sono stati inoltre evidenziati ulteriori reati commessi da esponenti del “Clan SANTAPAOLA” nei confronti di imprenditori catanesi. In particolare, le indagini hanno evidenziato una prima condotta estorsiva nell’ambito della quale esponenti dell’associazione criminale hanno preteso da imprenditori attivi sul territorio di Catania e provincia il pagamento di una somma periodica di denaro per garantire la sicurezza dei cantieri edili.

In aggiunta, le indagini hanno posto in luce una importante disponibilità di armi degli affiliati all’organizzazione mafiosa, che sono state utilizzate nel compimento di episodi violenti e nelle intimidazioni. Di particolare rilievo, in questo contesto, è risultata la figura del referente del “clan Laudani” per Lineri e Misterbianco, più volte protagonista di spedizioni punitive armate e intimidazioni nei confronti di clan rivali.