Palermo, sette misure cautelari per il reato di associazione di stampo mafioso

Arrestato il boss Matteo Messina Denaro: finita una latitanza durata 30 anni. Era in una clinica privata a Palermo: è stato operato due volte per tumore - Gazzetta di Parma

 

Sette misure cautelari nel mandamento mafioso di Pigliarelli per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni.
Palermo, Riesi (CL) e Rimini

Alle prime ore dell’alba di oggi, nelle città di Palermo, Riesi (CL) e Rimini, i militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 7 provvedimenti cautelari (5 in carcere e 2 degli arresti domiciliari), emessi dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione di tipo mafioso ed estorsioni, consumate e tentate, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività mafiosa e di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
L’operazione si incardina in una più ampia manovra investigativa, condotta all’unisono dalle articolazioni territoriali e speciali dell’Arma dei Carabinieri sotto l’egida della Procura della Repubblica di Palermo, tesa a disarticolare cosa nostra nel suo complesso – colpendone tanto l’assetto militare quanto i cospicui patrimoni illeciti – nell’intento di neutralizzarne l’impatto sul tessuto socio-economico nonché di scardinare quella rete di omertà e connivenza grazie alla quale, ancora oggi, l’associazione mafiosa fornisce supporto alla latitanza di suoi esponenti di spicco.

L’attività odierna, in particolare, costituisce l’esito di un articolato impegno in direzione del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli, che ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario in ordine all’appartenenza a cosa nostra dei membri della famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, alcuni dei quali, posti in posizione di vertice, già condannati in passato in via definitiva per il reato associativo mentre altri, considerati uomini d’onore riservati, rimasti ad oggi immuni da attenzioni investigative a causa delle cautele adottate nei loro confronti dal sodalizio.
Grazie all’importante dispositivo di contrasto di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, nonché al ricorso sistematico alle più sofisticate tecnologie di captazione, è stato possibile superare le continue accortezze poste in essere dagli indagati al fine di sottrarsi alle investigazioni, arrivando ad ottenere acquisizioni di elevatissimo pregio ed assoluta genuinità che hanno confermato, ancora una volta, la piena operatività dell’associazione nel suo complesso, nonché il costante richiamo della stessa alle più arcaiche regole mafiose.
L’indagine, condotta sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario, sostanzialmente accolto nella suindicata ordinanza cautelare e che dovrà trovare in seguito conferma nel corso dell’iter processuale, in ordine ai gravi reati ipotizzati in capo agli indagati. In sintesi, le investigazioni hanno permesso di:
– smantellare la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, inquadrata nel mandamento palermitano di Pagliarelli, nonché di confermarne, ancora una volta, le storiche figure di vertice, già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, quali, ad esempio, la gestione operativa della trasferta in Francia del capomafia deceduto Bernardo PROVENZANO per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’allora capomafia trapanese latitante Matteo MESSINA DENARO;
– svelare l’esistenza, in seno alla predetta famiglia mafiosa, di uomini d’onore riservati rimasti ad oggi del tutto estranei alle cronache giudiziarie, i quali, pur dimostrando una piena adesione al codice mafioso universalmente riconosciuto da cosa nostra, godrebbero di una speciale tutela e verrebbero chiamati in causa soltanto in momenti di particolare criticità dell’associazione;
– intercettare completamente, mediante il ricorso a complessi servizi di pedinamento e a certosine attività tecniche di intercettazione, una riunione della famiglia mafiosa di Palermo – Rocca Mezzomonreale al completo, tenutasi per estrema prudenza in una casa nelle campagne della provincia di Caltanissetta; in quel contesto si è registrato il costante richiamo degli indagati al rispetto di regole e dei principi mafiosi più arcaici che – compendiati in un vero e proprio “statuto” scritto dai “padri costituenti” – sono considerati, ancora oggi, il baluardo dell’esistenza stessa di cosa nostra. Nell’ambito della conversazione captata, definita dallo stesso G.I.P. “di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria”, si è più volte fatto esplicito richiamo all’esistenza di citato “codice mafioso scritto”, custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana;
– scongiurare l’attuazione di un proposito omicidiario, una vera e propria sentenza di morte, emessa nel contesto della predetta riunione di mafia quale suggello della ritrovata armonia tra i membri della famiglia mafiosa e, in seguito, riattualizzata nel corso delle successive captazioni tecniche, nei confronti di un architetto ritenuto responsabile di una serie di mancanze nello svolgimento della propria opera professionale;
– ricostruire il compimento di diversi episodi estorsivi – posti in essere al fine di alimentare le casse dell’associazione mediante la richiesta del cd. pizzo o l’imposizione di ditte riconducibili al sodalizio mafioso – uno dei quali caratterizzato dal ricorso ad una metodologia particolarmente inquietante quale l’apposizione, sul cancello di una privata abitazione, di una bambola recante un proiettile conficcato nella fronte. 
Comunicazione finale : “È doveroso rilevare che gli odierni destinatari della misura restrittiva sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.

 

 

Droga: operazione ‘’Social Bamba’’ sei arresti in Sicilia

Lo spaccio di droga e stupefacenti: quale pena nel codice penale
Spaccio droga: immagini Archivi Sud Libertà
 Palermo e San Mauro Castelverde ,
Provvedimenti cautelari -sei- notificati dai Carabinieri  del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo e delle Compagnie di Cefalù e Petralia Sottana..
I sei  provvedimenti cautelari (4 in carcere e 2 degli arresti domiciliari),sono stati  emessi dall’ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di rapina in concorso, aggravata dal metodo e dalle modalità mafiosedetenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione e rapina.

L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Dottore Paolo GUIDO, costituisce l’esito di una complessa manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo, congiuntamente alle Compagnie di Cefalù e Petralia Sottana, focalizzata nel contesto territoriale del mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, che ha consentito di acquistare un grave quadro indiziario in ordine alla presunta commissione di numerosi reati, anche aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose, che sarebbero stati perpetrati da alcuni degli odierni arrestati.

L’inchiesta  rappresenta lo sviluppo investigativo di alcuni elementi indiziari di una più ampia attività che aveva già portato all’emissione del provvedimento di fermo d’indiziato di delitto a carico di 11 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione mafiosaestorsionetrasferimento fraudolento dei benicorruzioneviolenza privatafurto aggravato e danneggiamento, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ed eseguito nel giugno 2020 (operazione Alastra) che aveva consentito di disarticolare la struttura mafiosa attiva nel mandamento di San Mauro Castelverde e di cristallizzare un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti di vario genere ed operante nell’area della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù.

Secondo il provvedimento cautelare, sussistono gravi indizi in ordine: all’operatività di una serie di soggetti dediti, mediante la commissione di numerose singole condotte illecite connesse alla cessione di sostanze stupefacenti (principalmente cocaina) e caratterizzate dalla spiccata pervasività ‘commerciale’, con un’attenzione maniacale alla ‘fidelizzazione’ del clienti-assuntore, effettuando anche servizi di consegna ‘a domicilio’ dello stupefacente, in modo da avere una lista particolarmente estesa di acquirenti fidati;

  • alla commissione di specifiche condotte di rapina ed estorsione, messe in atto da più indagati in momenti diversi e finalizzate all’acquisizione di alcuni farmaci veterinari per la cura di bestiame in danno di un agente di commercio (aggravata dal ricorso a metodi e modalità mafiose al fine di agevolare soggetti del mandamento di San Mauro Castelverde) e, in un altro caso, al recupero di somme di danaro da un cliente-assuntore, poiché insolvente verso gli spacciatori che gli avevano fornito lo stupefacente.

L’odierna operazione si inserisce nella forte e concreta risposta delle Istituzioni ai gravi pervasivi fenomeni connessi ai reati di matrice mafiosa e al contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti in numerose aree di Palermo, siano esse periferiche o centralissime, già oggetto nei giorni scorsi di altre importanti operazioni, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo e condotte dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo.

 

 

 

 

Università bandita: si allarga il numero della classe dirigenziale corrotta- Anche Bianco e Licandro tra “i corrotti”

 

Con l’accusa di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta e altro, il rettore dell’Università di Catania e 9 professori, ma sono finora 66 i docenti ad essere indagati. Professori di varie università: di Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.Università Catania corrotta

Università Catania corrotta

“Università bandita”  nome c dato all’operazione della Digos, che ha accertato 27 concorsi truccati: 17 per professore ordinario, 4 per professore associato, 6 per ricercatore.

 – Adesso un altro nome di spicco – l’ex sindaco Enzo Bianco insieme all’ex assessore alla Cultura Orazio  Licandro , professore ordinario del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università,si aggiunge alla lista nera dei  66 indagati  Notificati dalla Procura della Repubblica, ulteriori quattordici avvisi di conclusione indagine. La professoressa Marina Paino, direttore del Dipartimento medesimo, è destinataria di un avviso giudiziario..       Non è escluso -osserviamo noi di SUD LIBERTA’ –  che l’inchiesta giudiziaria possa allargarsi  ad altri enti culturali quali la Soprintendenza di Catania -ultimo ventennio – e una classe dirigenziale regionale molto legata all’Università di Catania per la scelta dei docenti universitari nei progetti europei e gare d’appalto in cui vincono docenti universitari “dal doppio lavoro”

Risultati immagini per foto di enzo bianco e orazio licandro

Enzo Bianco, l’ex sindaco di Catania “responsabile del tracollo finanziario dell’ente”

Altre notifiche : a Valerio Pirronello, direttore in pensione del Dipartimento di Fisica e astronomia; Luigi Caranti, ordinario di Filosofia politica nel Dipartimento di Scienze politiche e sociali; Caterina Cirelli, ordinario di Geografia economico politica nel Dipartimento di Economia e impresa; Rosa Alba Miraglia, ordinario di Economia aziendale nel Dipartimento di Economia e impresa.

 

Ricorderemo che i timori di una forza sociale sensibile, il Codacons di una corruzione molto estesa a Catania si sono rivelati fondati motivo per cui aveva richiesto al Ministero competente la costituzione di una Commissione di Inchiesta sull’ultimo ventennio dell’Ateneo catanese

Il Presidente Regionale Codacons, Giovanni Petrone spiegava le illusioni provate dalla Sicilia e scriveva così: “Nel 2017, l’elezione a Rettore del Prof. Basile, che aveva condiviso il Protocollo Propositivo di Unicodacons, ci illuse che le nostre speranze di rinascita, che erano quelle dei tanti componenti dell’Ateneo che assolvono al proprio compito di docenti o tecnici con impegno e dedizione, potessero finalmente concretizzarsi. In quell’occasione il Codacons accolse con grande compiacimento l’elezione del Prof. Basile al quale offrì gratuitamente la propria collaborazione per il miglioramento dei servizi accademici”.

Peccato che subito dopo la bella favola promessa da Basile iniziava a crollare e nulla di quello che aveva detto di realizzare si è realmente realizzato: “Purtroppo, già a distanza di quasi un anno e mezzo dalla sua elezione, avevamo dovuto constatare con amarezza e delusione che ben poco il Rettore Basile aveva realizzato di quanto da lui stesso condiviso con Unicodacons nel corso della propria campagna elettorale. Anzi, aveva fatto talmente poco che si aveva la sensazione che Pignataro fosse rimasto a fare il Rettore”, continua il Presidente.Università Catania corrotta

“Adesso, l’Operazione “Università Bandita” ha finalmente sollevato il velo sul marciume che per tanto tempo ha causato tanti danni al nostro Ateneo e ha posto fine alle nostre illusioni di rinascita”.

“Le indagini hanno scoperto di tutto e di più. Una gigantesca cricca di cui fanno parte rettori, tanti direttori di dipartimenti e pare anche noti politici ha cinicamente truccato tutto, dai concorsi per avanzamento di carriera a quelli per assunzioni, dai dottorati di ricerca, alla assegnazione di borse di studio (…) Adesso ci sono pochi dubbi che tutto sia stato organizzato per favorire parenti, amici ed amici degli amici. Alla faccia della meritocrazia, dell’impegno, dei sacrifici e delle aspettative delle persone oneste”.Università Catania corrotta

“E c’è il timore fondato che quanto sinora portato alla luce dalle indagini della Polizia di Stato di Catania sia solo la punta dell’iceberg”,