Il Gup di Palermo condanna a 11 anni Laura Bonafede, la maestra e compagna del Capoboss Messina Denaro

 

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La maestra Laura Bonafede, interdetta ora dai pubblici uffici

Per la donna del superboss Messina Denaro, si aprono le porte del carcere .Il Gup di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa Laura Bonafede, l’insegnante di Campobello di Mazara figlia dello storico padrino del paese, sentimentalmente legata al boss Matteo Messina Denaro. Alla maestra inizialmente era stato contestato il reato di favoreggiamento poi  rettificato in quello  di associazione mafiosa. Secondo la Procura la donna per anni ha convissuto assieme alla figlia con il capomafia allora ricercato, garantendone le comunicazioni con gli uomini d’onore e coprendo la sua latitanza. Il processo è stato celebrato col rito abbreviato.

Lei ha negato tutto: “Non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa – ha detto al giudice -, non ho mai convissuto con alcuno anche perché ho abitato con mia madre fino al 2021, si figuri se potevo dormire fuori casa, vai a trovare una giustificazione. Le volevo dire soltanto, le volevo chiedere di valutare la mia posizione per quella che è e mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare”.

La donna ha raccontato di aver conosciuto da bambina Messina Denaro e di aver ricevuto amicizia e attenzioni da lui, antico conoscente del padre, nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto e la condanna del marito, Salvatore Gentile, all’ergastolo per omicidio.

Mi aveva chiesto che voleva conoscere mia figlia, quella bambina che aveva conosciuto tanti anni prima, e io ho fatto questo errore, perché lo reputo adesso un errore, sono uscita con mia figlia non dicendole niente chiaramente, dove dovevamo andare – ha ricostruito la donna -. Ho lasciato la macchina in una strada di Campobello e poi sono salita nella sua assieme a Martina, le ho detto che lui era un amico del nonno, che era anche un amico di papà e che adesso si trovava in una situazione particolare perché lo volevano arrestare. Lui mi aveva chiesto di conoscerla, di rivederla, perché l’aveva vista in carcere quando era piccola. Ho raccontato questa bugia a mia figlia”.

Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima e mio padre (il boss Leonardo Bonafede ndr) parlava anche a casa dei suoi impegni, quindi sono cresciuta così, abbiamo frequentato anche persone dello stesso ambiente – ha detto ancora la Bonafede -, ma noi figli, e nemmeno mia madre, abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo e non abbiamo mai parte di nessuna associazione mafiosa, anche perché le donne, bambine e adulte, erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni e da certi contesti”..

Lei e il boss, ha ricostruita Bonafede, si sarebbero incontrati negli anni costantemente, ma non avrebbero mai vissuto insieme. “Nel gennaio del 2008, mentre io mi trovavo nella cartoleria Giorgi a Campobello – ha affermato – ho incontrato, per meglio dire Matteo Messina Denaro si è fatto riconoscere: io stavo salendo sulla mia auto e lui era sulla sua, mi ha fatto cenno di seguirlo e io l’ho fatto: l’ho seguito, poi siamo andati in un posto che era una strada un poco più isolata quindi mi ha fatto cenno di scendere e sono salita sulla mia macchina, a quel punto lì ci siamo… abbiamo parlato, era tanto tempo che non ci vedevamo, mi ha raccontato di sua figlia, insomma che aveva avuto una bambina, tante cose di famiglia, ci siamo dati appuntamento per febbraio”.

“….. Sono stata bene, abbiamo parlato, mi sono sentita anche un poco rassicurata, tipo mi sono sentita come appoggiata”.

Il Gup di Palermo ha anche dichiarato l’imputata interdetta dai pubblici uffici. Il giudice ha inoltre applicato alla donna la misura di sicurezza personale della libertà vigilata per tre anni, una volta scontata la pena. Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili.

Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall’imputata al ministero dell’Istruzione e alla presidenza della Regione. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il centro studi Pio Latorre, l’associazione antimafia Caponnetto, l’associazione antiracket di Trapani e l’associazione Codici Sicilia.

Richiesta stamane al Tribunale del riesame la scarcerazione per Rosalia Messina Denaro

Messina Denaro, arrestata la sorella Rosalia, nome in codice “Fragolone”.  «Un suo pizzino ha fatto catturare il boss». Chi è

Archivi -SUD LIBERTA’

 

L’inchiesta sulla vicenda del superboss Matteo Messina Denaro prosegue senza soste.  La magistratura vuol capire gli aiuti che ha avuto il criminale che gi hanno consentito di restare così a lungo in latitanza indisturbata.. Ieri, la coppia di vivandieri, Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri, Ssono stati accusati di aver ospitato a pranzo e cena per mesi il boss ricercato e di averne protetto la latitanza, oggi sono state perquisite le abitazioni di quattro nuovi indagati: l’imprenditore agricolo Gaspare Ottaviano Accardi, la moglie, Dorotea Alfano, Leonarda Indelicato e Laura Bonafede, figlia dello storico capomafia di Campobello di Mazara filmata mentre, due giorni prima della cattura, parlava con il boss in un supermercato del paese.

 

Il reato di cui sono accusati i fiancheggiatori è di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. L’imprenditore e la moglie e Indelicato avrebbero più volte e per ore incontrato il capomafia trapanese a casa dei Bonafede. La presenza dei tre nell’appartamento della coppia, mentre c’era l’ex latitante, risulta dalle immagini delle telecamere di sorveglianza di alcuni negozi piazzate vicino alla abitazione dei coniugi anche loro incastrati dalle riprese video. I filmati, estrapolati dai carabinieri, hanno immortalato l’auto di Messina Denaro vicina alla loro casa, il boss fermo in macchina mentre dà dei pacchetti a Lanceri, che sarebbe stata a lui legata sentimentalmente, e la coppia accertarsi che il padrino entrasse e uscisse indisturbato controllando l’eventuale presenza nella zona delle forze dell’ordine.

 

I militari hanno perquisito le abitazioni dei nuovi indagati e di Laura Bonafede, moglie del mafioso ergastolano Salvatore Gentile, e protagonista di una fitta corrispondenza con Messina Denaro.    Gli inquirenti stanno decifrando ed interprentando i pizzini trovati al boss e alla sorella Rosalia, arrestata nei giorni scorsi per associazione mafiosa. Se alcuni nomi scritti nei biglietti come «Fragolone», che era la stessa Rosalia, «Lesto», “Diletta» e «Tram» che si riferivano a Lanceri, «Maloverso» a suo marito, e «Cugino» a Laura Bonafede sono stati ormai decriptati, resta ancora da risolvere l’enigma della scritta «Romena, Depry, Blu, Bagnino», gli ultimi in codice citati nelle corrispondenze tra il padrino e alcuni suoi fedelissimi.Alcune certezze sulla latitanza del capomafia, però, cominciano a esserci. Matteo Messina Denaro ha vissuto a Campobello di Mazara, ultimo suo nascondiglio, almeno dal 2018.

 

L’ex latitante ha trascorso nella cittadina del trapanese a pochi chilometri da Castelvetrano, suo paese d’origine, 5 anni. L’’ordinanza  con cui i giudici del Riesame di Palermo hanno respinto la richiesta di scarcerazione di Andrea Bonafede, geometra che ha prestato l’identità al boss consentendogli di avere i documenti necessari per sottoporsi alle cure mediche, di acquistare la casa di vicolo San Vito usata come covo e di comprare la Giulietta con cui si spostava,  lo spiega chiaramente

. Dalla ordinanza si comprende anche che il capomafia, ricercato per 30 anni, e che oltre a presentarsi come Andrea Bonafede usava, come identità di copertura, il nome Francesco Salsi, andava in giro su una moto Bmw enduro

. Bonafede avrebbe realizzato secondo gli investigatori,  «un fascio di condotte di assistenza a tutto tondo alla latitanza del capomafia» per almeno 4 anni. E avrebbe messo a disposizione “se stesso come alias di Messina Denaro consentendogli la libera circolazione nel territorio, gli acquisti per la copertura della latitanza e l’accesso alle cure».

Si apprende infine che questa mattina,  nel corso dell’udienza davanti al tribunale del Riesame di Palermo i legali di Rosalia Messina Denaro ne hanno chiesto la scarcerazione. I giudici si sono riservati la decisione.

L’autista Giovanni Luppino conosceva l’identità del boss e svolgeva un “compito delicato e strategico”

Commerciante di olive, munito di coltello e incensurato: chi è Giovanni Luppino, autista di Matteo Messina Denaro

 

L’autista Giovanni Luppino era “consapevole dell’identità del boss”. Lo afferma il gip di Palermo Fabio Pilato nella ordinanza di custodia cautelare a carico dell’autista del boss appena emessa, 24 ore dopo la convalida dell’arresto del commerciante di olive. Poco prima della cattura il capomafia gli disse: “E’ finita” come racconta,lo stesso commerciante di olive finito in carcere con il capomafia. Al momento dell’arresto Luppino aveva in tasca, oltre a due telefoni cellulari in modalità aerea, anche dei ‘pizzini’, “una lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefoni, nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di estremo interesse investigativo”. Nell’interrogatorio l’uomo ha detto di non sapere che si trattasse del boss Messina Denaro, ma il gip non gli ha creduto. Per il gip il ruolo dell’autista “è un compito delicato e strategico in Cosa Nostra”.

L’ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE -Così l’ordinanza del Gip: “La versione dei fatti, fornita dall’indagato, è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza”
. “È noto che il ruolo di autista costituisce compito estremamente delicato e strategico nell’organizzazione interna di Cosa Nostra, soprattutto, per le esigenze di cautela e protezione dei capi mafia.
Ne consegue che l’incarico viene assegnato a persone di massima fiducia, in grado di garantire segretezza, sicurezza ed affidabilità degli spostamenti – Una simile funzione tocca il massimo livello di accortezza se poi il soggetto accompagnato sia addirittura il vertice assoluto dell’organizzazione criminale, costretto a destreggiarsi in un trentennale stato di latitanza”.
“Nel caso di specie, non v’è dubbio che Luppino abbia consapevolmente e diligentemente adempiuto a tale mansione fiduciaria, poiché in tal senso depongono le acquisizioni investigative – scrive ancora il gip -. Invero, basterebbero le semplici qualità soggettive di Messina Denaro a escludere la versione che questi possa essersi affidato a un ignaro quisque de populo, incontrato di sfuggita sei mesi addietro, e avvalorare la tesi accusatoria che Luppino sia stato prescelto per uno spostamento ad alto rischio, proprio in virtù della massima fiducia che il capo mafia riponeva in lui”.

Quel bambino ….Di Matteo…sciolto nell’acido e la cattura di Matteo Messina Denaro

 

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DI    RAFFAELE    LANZA

Matteo Messina Denaro arrestato dopo una vita da superlatitante.  Facciamo una sommaria ricostruzione sulla vicenda raccontata dalle Autorità ed  i  più elevati vertici dei Carabinieri in Conferenza stampa.

Trent’anni trascorsi sottotraccia prima della cattura di ieri da parte dei carabinieri del Ros in una clinica privata di Palermo, dove il boss – malato e in cura per un cancro al colon – si era recato per effettuare alcune terapie. E la cattura del boss mafioso è arrivata a 30 anni esatti dall’arresto di Toto Riina, preso il 15 gennaio 1993. L’ex Primula rossa, indicato dall’Europol nel 2016 tra i latitanti più pericolosi d’Europa, era ritenuto capo di Cosa nostra, ultimo grande latitante di mafia.    Dicono gli investigatori che il boss avrebbe una ventina di delitti a suo carico più la tremenda morte del bambino Di Matteo che ha suscitato orrore in tutto il mondo. 

Avere pietà di lui, un uomo simile?   Salvo il diritto delle famiglie di sputargli in faccia, quest’uomo meriterebbe almeno l’impiccagione o la camera a gas.  Ma siamo cattolici, crediamo in Dio, l’unico che può togliere la vita ad un uomo.  Di quest’uomo si occuperà la giustizia terrena

Una parte dell’impero economico del boss è stata accumulata con investimenti nelle rinnovabili,  l’eolico, complice il  l’imprenditore trapanese Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo e pioniere del green in Sicilia     Si interessò anche  dell’edilizia e la grande distribuzione, attraverso la “6 Gdo” di Giuseppe Grigoli, il salumiere diventato in poco tempo il re dei Despar  – di proprietà del boss  – per 700 milioni. 

L'arresto del boss Matteo Messina Denaro. Blitz dei Ros, seguito il metodo  Dalla Chiesa - Cronaca - ANSA

Nel settore turistico: l’ex Valtur,  di proprietà di Carmelo Patti, l’ex muratore di Castelvetrano.        Nello staff del superlatitante anche il commercialista Michele Alagna, padre di una delle amanti di Messina Denaro, Francesca, che al boss ha dato una figlia mai riconosciuta. Nel 2018 il tribunale di Trapani gli sequestrò beni per 1,5 miliardi, un delle misure patrimoniali più ingenti mai eseguite, disse la Dia. I sigilli vennero messi a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, 232 proprietà immobiliari e 25 società. 

 Messina Denaro sembra si sia spinto i anche in Venezuela, regno dei clan Cuntrera e Caruana che da Siculiana, paese dell’agrigentino, colonizzarono Canada e Sudamerica diventando monopolisti del narcotraffico. Un pentito «minore», Franco Safina, raccontò che Messina Denaro aveva un tesoro in Venezuela creato investendo 5 milioni di dollari in un’azienda di pollame usata come riciclaggio del denaro della droga. 

Dal momento della cattura di ieri mattina, i carabinieri del Ros hanno scoperto  del luogo in cui il latitante si trovava, tra Campobello di Mazara e Castelvetrano, il luogo di nascita.  In pieno centro abitato probabilmente coperto dall’omertà e/o indifferenza della gente Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido che ha partecipato personalmente alla perquisizione del covo durata tutta la notte.

La cattura del boss è stato il risultato di una indagine ordinaria, coordinata dalla Procura di Palermo, da pochi mesi guidata da Maurizio de Lucia. I Carabinieri del Ros e gli uomini del Gis si sono presentati ieri mattina poco prima delle otto alla clinica Maddalena di Palermo per aspettare un paziente oncologico di nome ‘Andrea Bonafede’. Lo hanno atteso e quando è arrivato, dopo il tampone, lo hanno fermato. “Scusi, lei è Matteo Messina Denaro?” gli hanno chiesto. “Sono io Matteo Messina Denaro” ha detto senza opporre resistenza al momento della cattura.
Per lui si profila ora una vita affiancata da Carabinieri di controllo per presenziare nelle udienze dei tanti processi di Mafia che lo vedono a Palermo coinvolto.  Una lunga ed infinita “Via Crucis” che stroncheranno inevitabilmente il boss ancor prima del cancro al colon.

PER CHI SUONA LA CAMPANA: FINE DELLA LATITANZA RECORD DI MATTEO MESSINA DENARO,SUPERCAPO DELLA MAFIA

Cappellino bianco di lana, occhiali scuri, un giubbotto marrone con pellicciotto bianco, Matteo Messina Denaro era in day hospital alla clinica Maddalena di Palermo quando è stato arrestato. Il boss mafioso, latitante da 30 anni, non ha opposto resistenza al momento della cattura

 

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Messina Denaro era in clinica in day hospital per sottoporsi a terapie, cure contro il cancro. Si scopre che era malato dal 2020.. Il boss mafioso, non ha opposto resistenza al momento della cattura. Giunto in clinica alle 8, si era presentato sotto falso nome ma di fronte ai carabinieri ha subito ammesso la sua vera identità: “Sono Matteo Messina Denaro”

Oltre 100 gli uomini dei carabinieri del Ros che hanno partecipato alla cattura del boss mafioso, insieme al quale è stato arrestato anche il suo autista, Giovanni Luppino.

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Maxi blitz in Sicilia per catturare il superboss Matteo Messina Denaro

Ecco la foto di Matteo Messina Denaro – Primainformazione.net

Maxi blitz in Sicilia per l’impegno di porre fine alla latitanza del boss latitante Matteo Messina Denaro. La Polizia di Trapani con il Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, punta i riflettori sui fiancheggiatori del superboss e sta eseguendo decine di perquisizioni nella Valle del Belice, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.

Tutti i militari sono impegnati in un’imponente operazione in cui sono dispiegati oltre 150 agenti provenienti anche dai Reparti Prevenzione Crimine di Sicilia e Calabria. Coinvolti nell’operazione anche elicotteri del Reparto Volo di Palermo, pattuglie munite di apparecchiature speciali e unità cinofile.

L’attività di polizia giudiziaria è rivolta a persone sospettate di essere fiancheggiatori del latitante, per i trascorsi criminali e per la loro vicinanza o contiguità alle famiglie mafiose trapanesi e agrigentine.          Perquisizioni dapertutto anche nelle  località di Castelvetrano, Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Partanna, Mazara del Vallo, Santa Margherita Belice e Roccamena (Palermo).

Sentenza storica della Procura di Caltanissetta: la Mafia, “Supercosa” agi’ in gruppo e Messina Denaro-condannato all’ergastolo- era tra i mandanti

 

Messina Denaro in una foto col cappello

La difesa del boss ha chiesto invece l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

C’è posta per te   Si dovrebbe dire così adesso per la notifica del provvedimento giudiziario emesso dalla Corte d’Assise di Caltanissetta.Il boss latitante Matteo Messina Denaro è stato infatti condannato all’ergastolo per le stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti della scorta.   Questa storica notifica va recapitata invece ad un “fantasma”  Ma è molto più chiaro adesso il mosaico della Mafia ricostruito dalle Procure siciliane

Lo ha deciso la Corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, dopo una camera di consiglio fiume iniziata poco dopo le 10 di questa mattina. Il latitante è accusato di essere tra i mandanti delle stragi del 1992. Il collegio si è riunito oggi dopo una breve udienza, durante la quale l’avvocato d’ufficio dell’imputato, Salvatore Baglio, ha replicato al contenuto di una memoria depositata dal pm Gabriele Paci in una delle ultime udienze. Al termine della lunga requisitoria durata otto udienze, il Procuratore aggiunto Gabriele Paci ha chiesto la condanna all’ergastolo per la ‘primula rossa’ di Cosa nostra. La difesa del boss ha chiesto invece l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.

Tra le parti civili del processo, iniziato nel 2017, ci sono i familiari degli agenti di scorta dei due giudici ma anche i figli del giudice Paolo Borsellino e il fratello Salvatore. Parte civile anche l’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del consiglio e del ministero dell’Interno. Le parti civili sono rappresentate dagli avvocati Vincenzo Greco, Santi Centineo, Roberto Avellone, Giuseppe Crescimanno.

Durante la lunga requisitoria il Procuratore aggiunto,  aveva parlato di “unanimità dei consensi al progetto sulle stragi di Totò Riina collegiale”. “Totò Riina – aveva detto Gabriele Paci nella requisitoria- può contare su un gruppo di persone fidate che chiama “supercosa”, ai quali affida il compito di organizzare la missione romana. Questo rafforza Riina non soltanto perché ha un gruppo segreto che fa capo a lui, ma perché questo gruppo gli consentirà tra le varie opzioni operative di optare per quella che era più funzionale alla realizzazione dei suoi interessi. Scartata la missione romana sceglie quella di Capaci. Indipendente dall’esito la supercosa rafforzò i propositi di Totò Riina, con un gruppo di persone pronto ad uccidere. Nell’ottobre del ’91, con l’appoggio di Messina Denaro, Totò Riina, seppe che aveva questa disponibilità di uomini e mezzi”.

“Borsellino da tempo era nel mirino di Matteo Messina Denaro, perché poco prima delle Stragi aveva chiesto l’arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti”, aveva ancora detto il procuratore aggiunto Gabriele Paci, ricostruendo davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta gli anni precedenti agli attentati di Capaci e via d’Amelio, nel processo in cui il latitante è accusato di essere uno dei mandanti. Per Matteo Messina Denaro, il magistrato era colui che aveva scritto l’ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza”, aveva aggiunto il pm Paci.

Nel gennaio 1990 Borsellino aveva chiesto la sorveglianza speciale e il divieto di dimora per don Ciccio, ma il Tribunale di Trapani rigettò la richiesta, ma sulla base delle stesse accuse nell’ottobre dello stesso anno venne emesso un ordine di cattura nei confronti del capomafia”. “Avere il consenso di Matteo Messina Denaro – aveva detto ancora il Pm Paci, che oggi è reggente della Procura – gli consentiva di avere delle spie in ogni anfratto di Cosa Nostra che potevano portare alla luce quelli che erano i dissensi interni. Matteo Messina Denaro serve proprio a questo, a stanare e uccidere i riottosi”.

“Quando nel 1991 comincia la guerra di mafia Paolo Borsellino opera nel trapanese, nel territorio gestito da Matteo Messina Denaro. Abbiamo ripercorso quegli anni maledetti – aveva continuato il Pm Paci – Totò Riina, per iniziare la stagione stragista dovette veramente convincere i rappresentati provinciali della bontà del suo progetto, riuscire a costruire il consenso. Non è sostenibile che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso a prescindere quella strada senza avere il consenso di Cosa Nostra, perché se ci fosse stato il dissenso di una delle province ci sarebbe stata una guerra. La storia di quegli anni non sarebbe stata la stessa. Messina Denaro non può aver prestato consenso con riserva. Fu lui più di tutti l’uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno”. Oggi è arrivata la sentenza, con la condanna a vita per il boss latitante.

Su Matteo Messina Denaro adesso c’è una condanna al carcere a vita dunque con “isolamento diurno per la durata di 18 mesi” e lo condanna anche”al pagamento delle spese processuali”. La Corte ha poi dichiarato l’imputato “interdetto dai pubblici uffici” e “decaduto dalla responsabilità genitoriale”. La condanna sarà, inoltre, pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia”.

Ma non è tutto. Dovrà pagare pure il  risarcimento delle parti civili che si sono costituite. Ecco le provvisionali decise dai giudici, fino a 500mila euro in favore di ciascuna dei fratelli e dei figli degli agenti di scorta morti nelle stragi mafiose. Ma anche dei figli del giudice Paolo Borsellino, Manfredi, Lucia e Fiammetta. Trecentomila euro in favore di altri fratelli di agenti di scorta e parenti dei due giudici uccisi. E poi 100mila euro anche a figli di altrui agenti, tra cui l’autista sopravvissuto alla strage di Capaci.

 

 

TUTTI SULLE TRACCE DI MATTEO MESSINA DENARO,AUTORE DI OLTRE 50 OMICIDI , UN UOMO CHE HA PERDUTO IL BENE PIU’ PREZIOSO DELLA VITA:LA LIBERTA’

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di    R.Lanza
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messenger sharing buttonNuova richiesta di ergastolo .Il Pubblico Ministero Gabriele Paci ha richiesto l’ergastolo per il “Capo dei capi “attuale in Italia, Matteo Messina Denaro, , accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio. Il processo si celebra davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.

Il superlatitante trapanese, a capo del mandamento di Castelvetrano, è considerato uno dei boss più potenti di Cosa Nostra,noto in Europa e nel resto del mondo  ed è  irreperibile da 27 anni.  Tutti lo cercano, i giudici lo condannano, gli investigatori più astuti  studiano ogni traccia per arrivare vicino a Messina Denaro.   Ma il boss per eccellenza è ancora lì, nascosto chissà dove e nessuno sa in quali condizioni fisiche o visive siano.  Un rebus individuarlo dopo un quarto di secolo.  La pista migliore resta quella di “seguire” o pedinare parenti o fedelissimi. Prima o poi un errore lo faranno. Ma certamente un uomo che si nasconde tutta la vita non può essere considerato un vincente. Di quali affari parliamo, investimenti nella grande distribuzione alimentare, se sono accertati  oltre 50 omicidi a suo carico ? . Cosa farsene dei soldi al punto in cui è arrivato? Vive nelle grotte. 

Ferrari, belle donne, Ville con piscine. Ma non scherziamo.  Sogni e sogni   Non sappiamo i motivi che hanno spinto quest’uomo ad agire come una belva feroce contro l’umanità.  Non sappiamo.    In realtà è uno zombi c he cammina e si nasconde per non essere deriso dai suoi nemici e da chi ha avuto ucciso un familiare..  Ha perduto il bene più prezioso della vita: la libertà. 

 E l’anima?   Avrà quest’uomo un credo religioso, Dio?    Si afferma che anche il peggior criminale , autore di tanti delitti, possa comparire un giorno al cospetto di Dio. Certo, non potrà pretendere il perdono delle famiglie delle sue vittime ma un rapporto con Dio può averlo, anche per pochi secondi, fino all’ultimo istante della sua vita Probabilmente vive per conservare un valore molto importante nella Mafia: il rispetto di sè e dei propri familiari.    

Il pizzino di Matteo Messina Denaro nel 2015 per un terreno ...

La richiesta di carcere a vita  è stata avanzata a conclusione della requisitoria, durata otto udienze. Matteo Messina Denaro è difeso dagli avvocati  d’Ufficio Salvatore Baglio e Giovanni Pace.

PATTO TRA MAFIA E ‘INDRANGHETA’ SULL’OMICIDIO DEL GIUDICE SCOPELLITI: C’E’ ANCHE LA PRIMULA ROSSA ,MATTEO MESSINA DENARO

 

Giudice Scopelliti ucciso per volere di M. Denaro? Primula rossa tra 17 indagati per delitto

(Nella foto a sinistra il latitante Matteo Messina Denaro, a destra il Giudice Scopelliti-  Archivio Sud Libertà)

La Procura distrettuale di Reggio Calabria ha indagato 17 persone per l’omicidio del Sostituto Procuratore generale della Corte di Cassazione Antonio Scopelliti ucciso- ricorderemo – da un commando mafioso il 9 agosto del 1991 a “Piale”, Villa San Giovanni, mentre faceva ritorno a Campo Calabro dove viveva e trascorreva le vacanze.

Tra i 17 indagati un boss di spicco,attorno al quale il cerchio si stringe sempre più,  il “Capo dei capi” dopo la morte di Totò Riina,  Matteo Messina Denaro, come  comunicato dal Procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri. L’inchiesta della Dda di Reggio mette in luce che dietro  l’omicidio del giudice ci sarebbe stata una vera e propria alleanza tra mafia e ‘ndrangheta. I 17 indagati sono infatti boss siciliani e calabresi e di ciò avrebbe dato conferma anche il pentito catanese Maurizio Avola.

Che l’alleanza  tra mafia siciliana e calabrese fosse poi  concreta  già all’epoca del delitto,era intuibile dal momento che il giudice Scopellitti si doveva sostenere l’accusa nel maxi processo in Cassazione contro la mafia. Per questo i vertici della cupola finirono a processo: i boss Bernardo Provenzano, Giuseppe Calo’, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola ed i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano però poi furono assolti in via definitiva dall’accusa di avere svolto un ruolo nell’assassinio dell’alto magistrato.Dieci gli indagati calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti

Tutti gli  indagati , ad eccezione, ovviamente, del latitante Matteo Messina Denaro, hanno ricevuto un avviso di garanzia finalizzato all’affidamento di una perizia tecnica sul fucile ritrovato nell’estate scorsa nel catanese e che sarebbe, secondo le indagini degli inquirenti, una delle armi usate per l’omicidio del magistrato. L’affidamento peritale dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.
I tecnici dovranno analizzare il fucile calibro 12, 50 cartucce Fiocchi, un borsone blu e due buste, una blu con la scritta “Mukuku casual wear» ed una grigia con scritto «Boutique Loris via R. Imbriani 137 – Catania» alla ricerca di tracce genetiche, balistiche e impronte che potrebbero trovarsi sui reperti e che potrebbero risultare decisive per le indagini. 

Nell’ambito del processo ‘ndrangheta stragista, il collaboratore di giustizia Francesco Onorato ha dichiarato che il giudice Scopelliti fu ucciso dalle cosche calabresi per favorire il boss siciliano Totò Riina. Riina -si sa- prendeva di mira i magistrati che controllavano la sua attività mafiosa in espansione  e  temeva l’esito del giudizio in Cassazione sul maxiprocesso a Cosa Nostra.

 

MAFIA: SEMPRE PIU’ VICINI AL “CAPO DEI CAPI “MATTEO MESSINA DENARO

  Si cerca a Castelvetrano e Mazara, arrestato un boss e altri

È caccia agli amici del superboss  di Matteo Messina Denaro.Le forze dell’ordine sono  sul punto di mettergli ormai le mani addosso. Dovunque i fiancheggiatori vengono individuati, schedati e seguiti.Si vuole arrivare al depotenziamento dei circuiti di riferimento e il controllo delle somme di denaro che gravitano attaorno al superboss.  I carabinieri del Ros e del comando provinciale di Trapani hanno controllato i comuni di Castelvetrano, Mazara del Vallo, Campobello di Mazara e Custonaci con numerose le perquisizioni in abitazioni, proprietà rurali ed esercizi commerciali di proprietà di 25 indagati, ritenuti fiancheggiatori e favoreggiatori della latitanza del boss.

Arresti: Matteo Tamburello,  figlio di Salvatore, il capo del mandamento morto l’anno scorso. Tamburello è indiziato dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, ritenuto esponente di spicco della famiglia di cosa nostra di Mazara del Vallo, indagato per associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale.

INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

Sotto la lente di ingrandimento dei magistrati ci sono  i mandamenti mafiosi di Mazara del Vallo e di Castelvetrano. In questi centri sono state documentate conversazioni di Matteo Tamburello con persone riconducibili al reggente del mandamento di Castelvetrano, Gaspare Como, cognato del latitante Matteo Messina Denaro, arrestato sempre dal Ros lo scorso aprile nell’ambito della indagine Anno Zero.

Ricostruite le fasi riorganizzative degli assetti di vertice, fornendo elementi sulla sua collocazione baricentrica nelle relazioni criminali nella Sicilia occidentale.

Nell’ambito  delle indagini del Ros finalizzate alla cattura di Matteo Messina Denaro nel novembre del 2015, è stata avviata un’attività investigativa sul mandamento di Mazara del Vallo, storica roccaforte ed influente realtà di cosa nostra trapanese.

” Matteo Tamburello È figlio del boss Salvatore, morto nell’agosto del 2017. Era stato scarcerato nel novembre del 2015 dopo aver scontato la pena per aver diretto, in qualità di reggente, la famiglia mazarese di cosa nostra. Dopo la scarcerazione è stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Mazara del Vallo e ha lavorato in una cava di calcarenite.

Secondo gli inquirenti Matteo Tamburello oltre ad occuparsi delle attività della cava sarebbe stato di fatto socio occulto dell’attività imprenditoriale che era stata avviata solo grazie a somme di denaro reperite presso terzi esclusivamente in virtù della sua autorevolezza mafiosa”.

 

 

 La reggenza tuttavia, era stata affidata a  Dario Messina, personaggio con il quale Tamburello avrebbe avuto comunque contatti riservati.

Matteo Tamburello avrebbe avuto rapporti con Vito Gondola, ex reggente del mandamento mafioso mazarese morto a luglio del 2017, con Antonino Cuttone, storico affiliato alla famiglia mazarese e consigliere economico di Mariano Agate, Raffaele Urso, arrestato nell’operazione Anno zero poiché ritenuto al vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e Dario Messina che lo incontrava dopo essersi visto poco prima con Gaspare Como, cognato di Matteo Messina Denaro e all’epoca reggente del mandamento di Castelvetrano.

Altri elementi contro Tamburello sono emersi dalle indagini svolte sul conto di Fabrizio Vinci, imprenditore ritenuto affiliato alla famiglia di cosa nostra di Mazara del Vallo, arrestato a maggio del 2017 dal Ros nell’ambito della indagine Visir, poiché responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa. Sarebbe emerso che Vinci aveva sostenuto economicamente Matteo Tumbarello quando era detenuto, acquistando da lui un bene strumentale a prezzo fortemente maggiorato.

Gli investigatori inoltre mettono in luce il legame forte tra i due esponenti . Sono stati documentati diversi incontri tra Tamburello e Vinci all’interno della cava di calcarenite di fatto riconducibile allo stesso Tamburello. Quando, il 10 maggio 2017 Vinci fu arrestato, Matteo Tamburello si sarebbe interessato immediatamente perché venisse fornito adeguato sostentamento alla famiglia dell’affiliato.

 

 

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