Sentenza Vendita on line: Se il bene non viene consegnato si induce in errore l’acquirente e si integra il reato di truffa

 

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Riportiamo una recente sentenza del Tribunale di Pescara che afferma la penale responsabilità di una persona per il reato di truffa consistente nell’aver indotto in errore l’acquirente sul buon fine dell’affare, determinandolo al pagamento del prezzo al quale però non è mai seguita la consegna del prodotto   Ecco dunque  la Massima della Sentenza – resa nota sul social Facebook -n.1794/2018 insieme alla nozione del reato di truffa e del testo della Sentenza a cura di Davide Tutino,avvocato penalista di Catania

  • Sentenza del  Tribunale di Pescara (Sent. n. 1794/2018), l’omessa consegna del bene nella vendita online, integra il reato di truffa, anche se l’agente ha utilizzato una carta postepay a lui intestata, poichè egli nasconde la propria identità e rende impossibile al soggetto acquirente di accertare l’effettiva disponibilità del prodotto.

 

Il reato di Truffa (Ex art. 640 c.p.)

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da trecentonove euro a millecinquecentoquarantanove euro:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare [c.p.m.p. 162, 32quater];
2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità [649];
2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5).
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o la circostanza aggravante prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 7.

Testo della Sentenza del Tribunale di Pescara

Fonte: www.iusexplorer.it – 01.09.2018 – Giuffrè 2018.
Tribunale Pescara, 06/06/2018, (ud. 01/06/2018, dep.06/06/2018), n. 1794

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto in data 9.11.2017 è stato disposto il rinvio a giudizio di G.O. per rispondere del reato riportato in epigrafe.

All’udienza del 20.3.2018, dichiarata l’assenza dell’imputato, è stato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti.

All’udienza del 1.6.2018, sono stati acquisiti i documenti prodotti dal Pubblico Ministero ed è stata esaminata la persona offesa e all’esito, esaurita la discussione, il Tribunale ha pronunciato sentenza come da dispositivo del quale è stata data immediata lettura in aula.

L’istruzione espletata ha dato riscontro alla prospettazione accusatoria nei termini che di seguito si espongono.

A.Y., persona offesa e querelante ha riferito che, nell’anno 2015, aveva acquistato on line, dei cerchi per autovettura BMW per il prezzo di 300 euro, che aveva pagato tramite accredito su conto corrente elettronico abbinato a carta Postepay Evolution, intestata a G.O., come indicato nei contatti via telefono (cfr. ricevuta ricarica Postepay e comunicazioni via telefono).

L’annuncio sul sito, invece, risultava a nome di tale E. La persona con la quale aveva condotto le trattative, che al telefono aveva riferito di chiamarsi O., aveva preteso il pagamento anticipato, ma poi non aveva spedito nulla.

Dalla documentazione prodotta dal Pubblico Ministero emerge che la carta Postepay su cui è stata effettuata la ricarica è effettivamente intestata a G.O., che l’aveva attivata esibendo regolare documento di identità (cfr. documentazione relativa all’attivazione della carta) Dato il suesposto quadro probatorio, è del tutto evidente che il G.O. abbia quantomeno concorso con altri soggetti non identificati alla consumazione della truffa descritta nell’imputazione utilizzando la propria carta Postepay sulla quale è stato accreditato l’importo costituente l’ingiusto profitto della truffa (la percezione del profitto integra l’ultima frazione della condotta tipica). D’altro canto non v’è dubbio che A.Y. sia stato vittima di artifici e raggiri da parte di colui (verosimilmente lo stesso G.O.) che ha assicurato la vendita dei cerchi, così inducendo in errore l’acquirente sul buon fine dell’affare, e determinandolo al pagamento del prezzo, al quale, poi, non è mai seguita la consegna della merce.

Va quindi affermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di G.O. per il reato di truffa.

Va esclusa invece, a parere del Tribunale, la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 c.p.. Secondo un recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, essa sarebbe riscontrabile “con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore dei reato e delle quali egli, ai sensi dell’art. 61, n. 5, cod. pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di truffa commessa attraverso la vendita di prodotti “on-line”, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova la vittima e quello in cui, invece, si trova l’agente determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, che può facilmente schermare la sua identità, fuggire e non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente” (Cass. Sez. II, 43706/16). Tale ricostruzione si presta a delle obiezioni di natura logica.

La sussistenza dell’aggravante di cui all’art 61 n. 5 c.p., in relazione all’art 640 c.p., dipenderebbe dalla distanza “fisica” intercorrente tra il venditore ed il compratore, in quanto, le trattative ed il perfezionamento dell’accordo, non possono avvenire tramite incontro diretto tra le parti, come nel caso di vendita al dettaglio, vendita fuori dai locali commerciali ovvero la vendita cosiddetta “porta a porta” (ipotesi questa, tra l’altro, in cui il compratore non sempre ha la certezza che il venditore abbia la disponibilità della res poiché quest’ultimo potrebbe presentare i propri prodotti tramite cataloghi o prontuari) e tale condizione farebbe scattare de plano l’ipotesi aggravata. Ora, tale posizione stride con il tenore letterale dell’art 640 c.p. e con la descrizione che tale nonna fa della condotta – “chiunque, con artifizi e raggiri…” -, con il rischio di creare una situazione in cui si espande la portata dell’offensività della condotta e di confondere il raggiro, consistito proprio nel mostrare un oggetto in realtà inesistente, con la stessa aggravante, attribuendo in tal modo al medesimo dato una duplice funzione, sia quella di elemento tipico della fattispecie delittuosa (l’artificio), sia di dato costituente l’aggravante.

Il fatto che l’agente decida di usare la vendita online per nascondere la propria identità (ovvero, come spesso accade, senza servirsi di tale espediente), per sfruttare l’impossibilità del soggetto acquirente di accertare l’effettiva disponibilità della res, integra, da solo, la condotta di artifizi e raggiri di cui all’art 640 c.p..

Secondo parte maggioritaria della giurisprudenza, la circostanza di cui all’art. 61 n. 5 c.p., che trova applicazione quando l’agente abbia tratto vantaggio dalla situazione, presuppone la ricorrenza di alcuni elementi (le condizioni di tempo di luogo o di persona) che facilitino all’agente la commissione del reato, incidendo dunque sulla capacità difensiva della vittima, in modo da intralciarne qualsiasi possibile reazione.

Va aggiunto che, ai fini della sussistenza dell’aggravante, la ricorrenza delle condizioni richiamate dal legislatore non costituisce presupposto sufficiente per la sua applicazione, occorrendo verificare se le stesse abbiano assunto, in relazione al singolo episodio, un effettivo ostacolo per la vittima facilitando in concreto l’azione delittuosa dell’agente.

Il percorso interpretativo sistematicamente percorso dalla giurisprudenza è dunque volto a verificare se il contesto, pur astrattamente determinante una posizione di squilibrio tra parti, abbia nel concreto costituito un effettivo ostacolo per la parte offesa e dunque abbia concretamente facilitato l’azione delittuosa.

Il giudice, infatti, è tenuto a valutare in che misura le circostanze di tempo, di luogo e di persona abbiano dilatato la portata dell’offensività della condotta del soggetto agente: “la valutazione della sussistenza dell’aggravante della minorata difésa va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato “(Cass. pen. Sez. II, 14-11-2013, n. 6608)”.

Per permettere una simile valutazione, non può essere condivisa la posizione che concepisce la truffa on line come sempre aggravata dall’approfittamento della situazione di distanza fisica tra i contraenti.

Risulta evidente come l’accoglimento di tale opzione interpretativa postuli un accertamento meramente oggettivo dell’aggravante in parola, posto che il giudice, dalla mera distanza tra le parti nella fase delle trattative, dovrebbe sistematicamente affermare la sussistenza di una minorata difesa, sconfessando in tal modo il consolidato orientamento giurisprudenziale che impone al giudice una valutazione in concreto, caso per caso, al fine di appurare se effettivamente, rispetto ad una situazione tipo, ricorrano ulteriori elementi indicativi di una limitata capacità difensiva da parte della vittima tale da facilitare (e non dunque semplicemente realizzare) la truffa a proprio danno (cfr. Cass. 3058/11 e 10135/15 che hanno ravvisato l’integrazione della condotta fraudolenta prevista dall’art. 640 c.p. in quella di chi si accredita sul sito “Ebay” e pone in vendita un bene. ricevendo il corrispettivo senza procedere alla consegna di esso e rendendo difficile la possibilità di risalire al venditore, individuando, quindi, nelle modalità utilizzate nelle trattative, la condotta del reato non aggravato).

A ciò aggiungasi che, nelle ipotesi di vendita on line, proprio in virtù dell’impossibilità di accertare, tramite una visione diretta, l’esistenza del bene offerto, l’acquirente è certamente in grado di valutare – alla stregua della media diligenza – come rischiosa l’operazione, e dunque ben può sottrarsi alle possibili conseguenze negative, adottando tutti gli altri strumenti che sorreggono il consumatore nelle vendite on line, quale ad esempio quella di imporre, ove possibile, il pagamento in contrassegno della merce, ovvero adottare comunque dei sistemi particolari di pagamento che garantiscono il rimborso in caso di mancata ricezione della merce (cd. pagamenti Paypal), sistemi che neutralizzano il rischio per l’acquirente e rendono irrilevante la circostanza che il venditore non sia rintracciabile e/o non abbia mostrato prima la merce all’acquirente.

Sul punto va precisato che, sebbene la scarsa diligenza della persona offesa non escluda l’idoneità degli artifizi utilizzati dall’autore di una truffa (cfr. Cass. 43706/16), la mancata adozione di tali contromisure palesa l’equilibrio contrattuale delle parti o, quantomeno, la volontà della persona offesa di accettare una trattativa in condizioni di parità, situazione questa che, all’evidenza, esclude la ricorrenza di una minorata difesa. La possibilità di approntare una “adeguata difesa” rispetto al contesto in cui la parte offesa ha contrattato esclude, pertanto, la possibilità di qualificare la condotta dell’odierno imputato alla stregua dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 c.p.. Si ritiene, invece, sussistente l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, ai sensi dell’art. 62, n. 4) c.p., invocata dalla difesa.

Quindi, tenuto conto dei parametri di cui all’art. 133 c.p., non essendo emersi dall’istruzione positivi elementi di giudizio che possano indurre al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, considerata l’elevata capacità a delinquere dell’imputato, evincibile dai numerosi precedenti penali a suo carico per reati contro il patrimonio, e ritenuta l’attenuante di cui all’art. 624) c.p., pena equa nel caso di specie deve ritenersi quella, di mesi quattro di reclusione ed euro 100,00 di multa. Il riconoscimento della penale responsabilità comporta la condanna dell’imputato, ai sensi dell’art. 535 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

I precedenti penali da cui l’imputato è gravato sono ostativi al riconoscimento della sospensione condizionale della pena.

P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara G.O., colpevole del reato ascrittogli, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 c.p., con l’attenuante di cui all’art. 61 n. 4 c.p. lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 100 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Termine fino al 30 giugno 2018 per il deposito della motivazione.

Pescara 1.6.2018