113 pagine sentenza di dissequestro beni (Corte di appello) : “non risulta la pericolosità del Ciancio…”
Non vi sono prove in appello. La Corte d’appello di Catania ha disposto così il dissequestro di tutti i beni di Mario Ciancio Sanfilippo -nella foto provato ed anziano – che era stato disposto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale. Tra le motivazioni dei giudici di secondo grado anche la «mancanza di pericolosità sociale» dell’editore e imprenditore. Tra i beni dissequestrati anche le società che controllano i quotidiani La Sicilia e Gazzetta del Mezzogiorno e le emittenti televisive Antenna Sicilia e Telecolor.
Secondo la Corte d’appello di Catania il decreto impugnato «va conseguentemente annullato» perché, scrivono i giudici nelle 113 pagine della sentenza motivata, «non può ritenersi provata l’esistenza di alcun attivo e consapevole contributo arrecato da Ciancio Sanfilippo in favore di Cosa nostra catanese».
CIANCIO SALE IN VETTA : LE OMBRE E I CONTATTI CON LE IMPRESE
Ma cosa contestarono a Mario Ciancio i giudici catanesi? Secondo gli atti “Mario Ciancio Sanfilippo è imprenditore tra i più attivi e facoltosi a Catania e nell’intera Sicilia. Per raggiungere gli scopi della propria variegata attività, che ha preso le mosse dall’editoria ed ha poi riguardato anche alcune tra le più lucrose speculazioni edilizie in territorio catanese, si è avvalso e si avvale ad oggi di una molteplicità di imprese, costituite in forma societaria, spesso con la partecipazione (talora formalmente esclusiva) della moglie Valeria Guarnaccia o dei figli Angela, Rosa Emanuela, Carla, Natalia e Domenico. Tali società debbono essere guardate come facenti parte di un vero e proprio gruppo, esistente di fatto, facente capo al proposto, che, infatti, ne dirige e coordina l’attività. La ricostruzione dei flussi finanziari relativi alle attività di impresa ed alle compravendite immobiliari consente di affermare che a monte di ciascun investimento e di ciascun acquisto (…) si trova la notevole provvista economica che il Ciancio Sanfilippo mette a disposizione della famiglia”.
Lo affermano i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania nell’ordinanza di confisca dei beni nella disponibilità dell’holding Ciancio & family emessa il 20 settembre 2018. Un atto giudiziario che descrive nei minimi dettagli i presunti rapporti di affari tra uno dei più potenti personaggi della recente storia siciliana e italiana, l’editore-imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo e alcuni esponenti di Cosa Nostra. Business multimilionari generati innanzitutto dalla cementificazione del territorio e dalla trasformazione di centinaia di ettari di terreni agricoli in complessi turistico-immobiliari o megaparchi commerciali.
Colate di asfalto e cemento sul Pigno di Catania
Uno dei capitoli chiave dell’ordinanza dei giudici catanesi era -ricorderemo – interamente dedicato alla realizzazione nel 2010 del noto centro commerciale Le Porte di Catania a due passi dal quartiere Pigno e dell’aeroporto di Fontanarossa, con “128 negozi con i brand più glamour di abbigliamento e accessori, oggetti per la cura della casa e della persona, una ricca area di ristorazione, un ipermercato e oltre cinquemila posti auto”, come recita la brochure illustrativa della società che ne detiene il controllo, Ceetrus Italy (gruppo Auchan). Un progetto quello de Le Porte di Catania che prendeva il via – coincidenza vuole – lo stesso giorno in cui Mario Ciancio Sanfilippo e alcuni suoi partner economici (tra essi il chiacchierato costruttore messinese Antonello Giostra) avviavano le procedure per realizzare a Misterbianco, in contrada Cardinale, il parco commerciale denominato Mito.
“In data 28 febbraio 2003, ovvero quando la Euredil S.r.l. e la lmmencity One S.r.l. presentavano il progetto di polo commerciale integrato a Misterbianco, veniva richiesto al Comune di Catania dalla società ICOM S.r.l. il rilascio di concessione edilizia e autorizzazione all’apertura di un altro centro commerciale, da realizzarsi in variante allo strumento urbanistico vigente sempre su terreni riconducibili alla famiglia Ciancio”, annotano i R.O.S. dei Carabinieri in una loro informativa del 18 luglio 2013. Con deliberazione del 25 febbraio 2005, il Consiglio comunale di Catania esaminava il documento istruttorio redatto dal Direttore della VII Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio, approvando il cambio delle destinazioni urbanistiche dell’area che nel vigente P.R.G. era stata destinata a verde agricolo. Alla data della delibera consiliare, i terreni del nascente centro commerciale Le Porte erano di proprietà della Sud Flora S.r.l., di cui risultavano soci l’editore Ciancio Sanfilippo e la moglie Valeria Guarnaccia. “I terreni di proprietà del Ciancio erano stati da lui acquistati nel 1973, mentre quelli della Sud Flora tra il 1991 e il 2002”, annotano gli inquirenti.
“La Sud Flora era stata costituita il 10 ottobre 1976 da Wilma Amelia Nofori e da Giuseppa Licciardo. Il primo elenco soci disponibile risale al 1999 ed in esso sono indicati quali titolari delle azioni i coniugi Ciancio. Va tuttavia rilevato che già alla data del 4 febbraio 1980 Valeria Guarnaccia aveva assunto la carica di amministratore unico, fatto, questo, dal quale può dedursi l’acquisto delle quote sociali da parte dei due coniugi già in quella data. Il 27 aprile 2007 tanto Mario Ciancio, quanto la moglie, cedevano tutte le quote della Sud Flora alla ICOM S.p.a., società che stava curando la realizzazione del parco commerciale Porte di Catania. Tale vendita, ovviamente, ha costituito un metodo per cedere all’acquirente i terreni di quali la Sud Flora era proprietaria senza sottostare ai più gravosi tributi dovuti per i trasferimenti immobiliari. La maggior parte degli investimenti nella Sud Flora ha avuto luogo in anni (1996, 1997,1998, 2000, 2001, 2002) nei quali i flussi economici negativi sono prevalenti rispetto a quelli positivi. Già tale considerazione consentirebbe di ritenere illecita l’attività imprenditoriale in oggetto, in quanto condotta perlopiù con capitali dei quali non è stata giustificata la provenienza. Va poi aggiunto che quantomeno dal 2003 la Sud Flora è stata finanziata e gestita in vista della sua cessione al soggetto che si sarebbe occupato della realizzazione del centro commerciale, operazione che, appare illecita per le infiltrazioni di Cosa Nostra nella stessa”.
La società acquirente, ICOM S.p.a. (già ICOM s.r.l.), era stata costituta il 16 marzo 2000 da un gruppo di imprenditori pugliesi e siciliani. Due anni dopo, in luogo di taluni dei soci fondatori subentrava la Insular Consulting S.r.l., società costituta da Vincenzo Viola e dai suoi familiari e della quale, nel corso degli anni, avevano fatto parte anche Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante. “Il 15 febbraio 2002 il Viola ed il Mercadante entravano nel consiglio di amministrazione della ICOM”, annotano i ROS. “Nel marzo 2003 i predetti Vizzini, Mercadante e Viola entravano a far parte direttamente della compagine sociale a seguito della cessione in loro favore di parte delle quote detenute dalla Insular Consulting. II 19 maggio 2003 Mario Ciancio Sanfilippo e Valeria Guarnaccia acquistavano il 34% circa del capitale sociale della ICOM. Così Mario Ciancio e Valeria Guarnaccia facevano parte di tale società unitamente agli allora soci Michele Annoscia, Pasquale Iamele, Donato Di Donna, Vincenzo Viola, Loredana Leone, Tommaso Mercadante, Luigi Mellina, Giovanni Vizzini, Michele Castiglione e l’avvocato-editore Fabrizio Lombardo Pijola. La compagine sociale subiva un mutamento nel 2005, quando ai soci Annoscia, Iamele e Lombardo Pijola subentrava la Sircom Real Estate S.p.a.”. La Sircom è una nota società di promozione e sviluppo immobiliare (centri commerciali, resort, hotel, centri congressi, ecc.) con sedi centrali a Bari e Milano.
Il 27 aprile 2007 si registrava un nuovo mutamento tra le compagini societarie impegnate nell’affaire Le Porte; i soci (compresi i coniugi Ciancio-Guarnotta) cedevano infatti le quote della ICOM alla ImmobiliarEuropea S.p.a. e alla Gallerie Commerciali S.p.a.: la prima con sede a Milano (scopo sociale lo sviluppo di centri commerciali per la grande distribuzione, strutture ricettive-alberghiere e porticcioli turistici) e riferibile all’imprenditore-editore sardo Sergio Zuncheddu; la seconda invece interamente controllata da una società di diritto olandese, la I.D.C. Int. Development Corp. N.V., titolare della nota holding francese Auchan. Secondo quanto riferito agli inquirenti dall’allora dirigente del settore sviluppo di Auchan S.p.a. Carlo Salvini, le somme dovute per la vendita delle quote ICOM alla ImmobiliarEuropea e alla Gallerie Commerciali sarebbero state così corrisposte: il 50% all’atto della vendita ed il restante 50% suddiviso in tre tranche, rispettivamente, dopo l’approvazione della variante in corso d’opera, all’approvazione della proroga delle autorizzazioni commerciali e all’inaugurazione del centro commerciale. Stando alla documentazione contabile acquisita nel corso delle indagini, il 19 giugno 2007 l’assemblea straordinaria dei soci della Sud Flora deliberò altresì la fusione della società per incorporazione nella ICOM S.p.a.. Grazie alla cessione delle proprie quote alla ICOM, la Sud Flora ottenne nell’anno fiscale 2007 ricavi per 5.111.984 euro.
Le plusvalenze milionarie di Ciancio & soci
Ma i magistrati catanesi approfondirono la problematica. “Oltre a consolidare la propria presenza nel tessuto economico catanese, Mario Ciancio Sanfilippo e familiari – – conseguivano importanti guadagni derivanti dalla monetizzazione delle plusvalenze, attraverso la vendita delle azioni della ICOM. “In particolare, il dott. Ciancio (e sua moglie) cedevano il 33% delle loro quote ICOM ricevendo quale prezzo la somma complessiva di 12.400.000 euro. In pari data, ICOM S.r.l. comprava da Ciancio Sanfilippo Mario, quale persona fisica, i terreni in contrada Bicocca di cui questi era proprietario ed acquistava le azioni della Sud Flora S.p.A. (di Ciancio e della moglie Guarnaccia), società quest’ultima proprietaria di altra parte dei terreni necessari per la costruzione del centro commerciale. Il prezzo pagato dalla ICOM a Ciancio (compreso il prezzo della Sud Flora) ammonta a 15.730.216 euro. Complessivamente, quindi, Ciancio riceveva per l’affare la somma complessiva di 28.130.216 euro”. Altrettanto rilevanti i ricavi conseguiti dagli altri soci ICOM: 9,6 milioni di euro in tutto, di cui 1.532.082 a Vincenzo Viola, 910.118 a Tommaso Mercadante e 4.850.770 alla Sircom Real Estate S.p.a. di Bari-Milano.
“Quanto alle persone fisiche componenti le società in esame, va rilevato che Vincenzo Viola è un uomo politico siciliano, europarlamentare per il Patto Segni negli anni Novanta; si tratta di soggetto il quale, pur non ricoprendo all’epoca dei fatti alcun ruolo politico attivo, era molto vicino agli ambienti politico-amministrativi regionali siciliani”, riporta la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania. Già funzionario dell’Assemblea regionale siciliana, vicedirettore del Servizio studi legislativi e capo dell’Ufficio del bilancio, Vincenzo Viola fu eletto al Parlamento di Strasburgo nel 1995, ricoprendo l’incarico di coordinatore del gruppo PPE per le relazioni euro-mediterranee. Dopo l’Europarlamento, nel 2001 è stato nominato dal Presidente della regione Siciliana consigliere d’amministrazione del Banco di Sicilia, in quota Alleanza nazionale.
Non meno rilevante la figura dell’altro socio di Ciancio Sanfilippo in ICOM, Tommaso Mercadante, figlio di Giovanni Mercadante, il primario di radiologia a Palermo ed ex deputato regionale di Forza Italia condannato a 10 anni e 8 mesi per il delitto di associazione mafiosa con sentenza della Corte di Appello di Palermo del 21 marzo 2014, irrevocabile dall’8 aprile 2015 (Mercadante era stato condannato in primo grado e assolto in appello, con sentenza poi annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione). “Giovanni Mercadante è nipote di Tommaso Masino Cannella, capo della potente famiglia di Prizzi, ritenuto uno degli uomini di vertice di Cosa Nostra, vicinissimo all’allora latitante Bernardo Provenzano”, scrivono i giudici etnei. “Proprio il Mercadante, come emerge dalle dichiarazioni di numerosi collaboranti, tra i quali Giovanni Brusca, Angelo Siino e Antonino Giuffrè, era tra i soggetti coinvolti nella gestione della latitanza di Provenzano”. Gli inquirenti hanno accertato come tra i due Mercadante ci fossero anche relazioni di tipo economico. “Il 27 maggio 2011 Tommaso Mercadante conferiva al padre Giovanni Mercadante, frattanto assolto dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 21 febbraio 2011, delega ad operare sul proprio conto”, annotano nell’ordinanza di sequestro dei beni dell’editore Ciancio. “Proprio questo ultimo particolare consente di affermare che Tommaso Mercadante fosse prestanome del padre Giovanni, effettivo socio della ICOM, per conto del quale aveva ricevuto il pagamento dell’ultima tranche del prezzo di cessione delle quote di tale società alla ImmobiliarEuropea ed alla Gallerie Commerciali; ed invero, solamente quando Giovanni Mercadante era stato assolto dal delitto di associazione mafiosa, e quindi, nella sua percezione, non vi erano più pericoli a gestire personalmente le somme derivanti dall’operazione ICOM, il figlio gli aveva rilasciato delega ad operare sul conto sopra descritto e, pertanto, gli aveva consentito di disporre di dette somme (Giovanni Mercadante non poteva ovviamente sapere che la Suprema Corte avrebbe annullato la sentenza di assoluzione con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo, che avrebbe invece confermato la condanna emessa)”.
Relativamente ad altro socio ICOM, Giovanni Vizzini, la Procura ha accertato trattarsi del fratello di Carlo Vizzini, pluriministro tra il 1982 e il 1992 (in particolare ha guidato i dicasteri delle Poste e telecomunicazioni e della Marina mercantile), già segretario del Psdi tra il 1992 e il 1993, poi esponente politico di Forza Italia e Pdl. “La figlia di Carlo Vizzini, Maria Sole, ha sposato Vincenzo Rappa, figlio di Filippo Rappa; questi è stato sottoposto a procedimento penale per i delitti di riciclaggio aggravato e di associazione a delinquere di tipo mafioso, ma è stato assolto da tali reati ex art. 530 c.p., rispettivamente ai sensi del primo e del secondo comma. Va tuttavia rilevato che la famiglia Rappa annovera tra le sue fila il capostipite Vincenzo Rappa, padre di Filippo, condannato per il delitto di cui all’art. 416-ins c.p., con sentenza irrevocabile”, annotano gli inquirenti.
Sulla famiglia Rappa e su Giovanni Mercadante ha reso importanti dichiarazioni l’ex imprenditore Massimo Ciancimino, figlio di don Vito Ciancimino, il sindaco Dc del sacco di Palermo contiguo agli ambienti mafiosi corleonesi. “Nei propri interrogatori del 10 aprile 2009 e 8 maggio 2009, Massimo Ciancimino ha riferito che i due erano soggetti vicini al padre e che essi avevano avuto anche problemi con la giustizia per reati di mafia”, si riporta nell’ordinanza di sequestro dei beni della famiglia Ciancio. “In particolare, il capostipite, Vincenzo Rappa, era stato condannato per il delitto di associazione mafiosa. Il nipote del Rappa era sposato con la figlia del già menzionato Carlo Vizzini e le due famiglie erano legate da forte amicizia. Il Ciancimino ha riferito in tali occasioni che in quanto figlio di Vito Ciancimino, aveva avuto modo di prendere parte alla attività del padre, che comprendeva pure incontri con appartenenti al mondo imprenditoriale, anche catanesi, quali Costanzo, Rendo ed altri; ha riferito inoltre dei rapporti esistenti tra il Ciancio Sanfilippo e la famiglia Rappa, affermando, in particolare, che l’odierno proposto era legato a soggetti palermitani vicini a Cosa Nostra…”.
Gli inquirenti ritengono che nonostante la cessione delle quote della ICOM, Mario Ciancio Sanfilippo, unitamente all’ex europarlamentare Vincenzo Viola, continuò ad occuparsi dello sviluppo del progetto del centro commerciale Porte di Catania. Questa convinzione è suffragata dal tenore di due conversazioni intercettate il 28 luglio 2008 dal R.O.S. dei Carabinieri proprio nell’ufficio del potente signore dei media siciliani. “A tali conversazioni avevano preso parte, oltre al Ciancio Sanfilippo, Raffaele Lombardo, all’epoca Presidente della Regione Siciliana (l’elezione era avvenuta solo pochi mesi prima Nda), Vincenzo Viola, Sergio Zuncheddu, Carlo Ignazio Fantola (consigliere di amministrazione della ImmobiliarEuropea) e Carlo Salvini (dirigente del gruppo La Rinascente – Auchan)”, scrivono i giudici. “Nel corso di tale riunione, gli interlocutori discutevano di una variante edilizia da apportare al progetto del centro commerciale, che volevano evitare fosse sottoposta al vaglio del Consiglio comunale e attirasse le attenzioni dell’Autorità Giudiziaria. La soluzione veniva trovata dal Lombardo, il quale affermava che si sarebbe attivato, tramite l’architetto Matteo Zapparrata, già dirigente tecnico della Provincia Regionale di Catania (della quale lo stesso Lombardo era stato Presidente, prima di essere eletto alla carica di Capo del Governo Regionale), affinché detta variante venisse approvata dai tecnici comunali”. L’ingegnere Zapparrata è ritenuto uomo di assoluta fiducia di Raffaele Lombardo; inoltre è stato alla guida della Direzione Urbanistica e Gestione del Territorio del Comune di Catania dall’1 gennaio al 31 dicembre 2008.
In verità, l’11 novembre 2008, la dirigente del Servizio attuazione della Pianificazione del Comune di Catania, l’architetta Gabriella Sardella, rilasciava alla ICOM S.p.a. la variante alla concessione edificatoria “per modifiche in corso d’opera alla nuova costruzione di parco commerciale in corso di realizzazione in Contrada Bicocca”, proprio come auspicavano i partecipanti al meeting ospitato da Mario Ciancio. “Si ricava quindi dagli elementi sopra evidenziati la circostanza che, nonostante la vendita delle quote della ICOM, ancora alla data del 28 luglio 2008, il Ciancio Sanfilippo curava personalmente il buon andamento dell’affare (…) con Raffaele Lombardo, da poco divenuto Presidente della Regione Siciliana, il quale formalmente non rivestiva alcun incarico istituzionale che gli attribuisse competenze in ordine all’iter burocratico del progetto. Deve conseguentemente ritenersi che la riunione fotografata dalle due conversazioni intercettate avesse ad oggetto la ricerca di una via parallela per la risoluzione di un problema amministrativo che avrebbe richiesto molto più tempo e non sarebbe neppure stata garantita”, commentano i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania.
INTERCETTAZIONI
Le intercettazioni del R.O.S. dei Carabinieri evidenzierebbero pure come alcuni protagonisti dell’affaire si sarebbero adoperati per ottenere l’approvazione di un disegno di legge che aumentava la volumetria disponibile per i centri commerciali in Sicilia. Due i dialoghi chiave in mano agli inquirenti: il primo è stato intercettato il 6 dicembre 2005 tra Rosario Ragusa “soggetto vicino ai vertici catanesi di Cosa Nostra” e Marcello Massinelli, all’epoca dei fatti consigliere economico dell’allora Presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro; il secondo, due giorni dopo, ancora tra Rosario Ragusa e Fulvio Reina, socio di Marcello Massinelli nella società di intermediazione che si occupava di vendere le quote della “Tenutella S.r.l.”, la società a capo dell’omonimo centro commerciale di Misterbianco in via di costruzione ancora una volta su terreni di proprietà di Ciancio Sanfilippo. “In particolare, nel corso delle conversazioni, gli interlocutori ponevano in rilievo la circostanza che tale disegno di legge avrebbe agevolato il Ciancio Sanfilippo e i suoi interessi”, aggiungono i giudici. “Ed in effetti l’emendamento in questione era relativo alla legge regionale 20/2005, avente ad oggetto Misure per la competitività del sistema produttivo con modifiche alla disciplina degli interventi per le imprese commerciali. Il comma 4 dell’art. 7 cit. prevedeva infatti che nelle more di una più compiuta programmazione della rete distributiva (… ) l’Assessore regionale per la Cooperazione, il commercio, l’artigianato e la pesca provvede, entro trenta giorni dalla pubblicazione della presente legge, ad una revisione dei limiti e delle condizioni per il rilascio delle autorizzazioni per le grandi strutture di vendita nei territori delle grandi aree metropolitane prevedendo, in particolare, un incremento non inferiore ad un terzo dei limiti di superficie attualmente vigenti…”.
Il 20 marzo 2013, Raffaele Lombardo, nell’udienza preliminare del procedimento a suo carico per concorso esterno in associazione mafiosa, in riferimento all’approvazione dell’emendamento alla legge regionale 20/2005 che consentiva l’incremento delle superfici da destinare a grandi centri commerciali, ha ammesso di essersi effettivamente occupato della questione relativa alla variante urbanistica del P.R.G. con riferimento al Porte di Catania e che tale questione era stata sottoposta alla sua attenzione, in occasione di un incontro avvenuto nell’anno 2003, dal Ciancio Sanfilippo e da Vincenzo Viola. Ricordo bene che me ne parlò di questa cosa, quando ne parlammo col dottore Ciancio, questa persona che io conoscevo bene e che credo abbia avuto un ruolo nella vicenda, cioè l’onorevole Viola, che fu parlamentare europeo, ma che era stato vice-segretario generale dell’Assemblea Regione Siciliana, ha riferito l’ex governatore Lombardo. Enzo Viola era interessato a questa cosa. Può darsi che lui d’accordo con Ciancio portasse gli investitori o roba del genere. Io l’ho interpretato così, l’ho vissuto così il discorso di Viola. Non mi sembrava Viola uno che ci mette, che so, dieci milioni di euro per fare una operazione del genere, o cento….
Subappaltatori attivi e mancati in odor di mafia
I lavori del centro commerciale Porte di Catania furono poi realizzati dalla società ImmobiliareEuropea S.pA. quale general contractor; le opere di accantieramento furono affidati alla Framer S.r.l. dei fratelli Francesco e Massimiliano Antonio Laudani, trasformata nel maggio 2007 in Framer S.pA., mentre per la movimentazione terra fu scelta la Fratelli Basilotta S.p.A. (dal 16 aprile 2009 rinominata In.Co.Ter Infrastrutture Costruzioni Territorio S.p.A.), di proprietà di Salvatore Basilotta figlio di Vincenzo Basilotta e di Luigi Agatino e Giuseppe Basilotta, fratelli di Vincenzo. “Vi è una serie di ulteriori conversazioni, intercettate nell’ambito del procedimento penale n. 890/07 (la cosiddetta operazione antimafia Iblis), dalle quali si evince che le imprese che avrebbero dovuto effettuare i lavori di movimento terra (In.Co.Ter dei F.lli Basilotta) e le strutture cementizie (ICOB) facevano a loro volta capo a soggetti appartenenti a Cosa Nostra catanese e calatina”, rilevano gli inquirenti della Procura. “Vanno, a tale riguardo, esaminate le figure di Mariano Cono Incarbone e di Vincenzo Basilotta; il primo è soggetto condannato per il delitto di associazione mafiosa, in esito al menzionato procedimento penale Iblis, con sentenza della Corte di Appello di Catania del 10 settembre 2014 irrevocabile il 7 giugno 2016; l’appartenenza dello stesso alla famiglia Santapaola-Ercolano è quindi definitivamente accertata”.
I favori del direttore responsabile de La Sicilia al mafioso Ercolano emergono pure da una convocazione nella direzione del giornale di Concetto Mannisi, componente pure del consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, giovane giornalista interno, cronista,alle dipendenze della Società che defini “Ercolano boss mafioso”
Mario Ciancio lo convocò nella sua stanza al primo piano-affianco la cronaca – presente Giuseppe Ercolano, ufficialmente imprenditore ma a capo dell’omonimo clan
Il cronista si difese col dire che ” rispose a una domanda del presidente della prima sezione penale del Tribunale di Catania, dr.Roberto Passalacqua del Tribunale di Catania.
La contestazione interna era l’interesse giornalistico sull’azienda Avimec della famiglia Ercolano. Dopo l’incontro il cronista, «palesemente infastidito per l’accaduto»,secondo comunicazioni rese note dal suo giornale, aveva chiesto «chiarimenti» al suo direttore, che gli ha risposto che lo aveva chiamato per fare capire come «nel suo articolo non ci fosse alcuna malizia, ma che era soltanto un giovane cronista»
Poi le indagini scoprirono che il direttore Ciancio avesse una cospicua somma -si parla di milioni e milioni di euro- depositata pure in Svizzera.” Proviene dal lavoro e dalla mia famiglia” fu sostanzialmente la difesa d’ufficio di Ciancio .
Non sappiamo ancora se la dottssa Agata Santonocito , sostituto Procuratore della Repubblica ,e il P.m Antonino Fanara che hanno avuto gli elementi iniziali,condurrànno l’intera complessa problematica insieme alla Finanza oltre l’appello in Cassazione perchè le ombre effettivamente restano- come gli inmcontri- e sono incancellabili ma oggi l’appello, la sentenza esclude “ogni forma di pericolosità sociale” nè “risulta accertata e provata alcuna sproporzione tra i redditi di provenienza legittima di cui il preposto il suo nucleo familiare potevano disporre la liquidità utilizzate nel corso del tempo».
Ricorderemo che nei confronti del direttore Mario Ciancio nel 2016 l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia,con apposita delibera,comminò la sanzione disciplinare della censura, per aver eluso il tariffario professionale di pagamento ad alcuni collaboratori sul giornale La Sicilia. In quell’occasione il suo legale riferì al consiglio di disciplina che il Ciancio fosse il direttore e non l’economo che valutava i pezzi giornalistici. L’Ordine non gli credette contestandogli -coerentemente con l’esposto dei giornalisti sfruttati, che fosse notoriamente anche l’editore, quindi responsabile dei micropagamenti ai giornalisti collaboratori -autori di una notevole attività professionale-de La Sicilia.