Piersanti Mattarella: ricordo dell’uomo che contrastò con coraggio i vertici della Cupola siciliana

 

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Ricordo di  Piersanti Mattarella Presidente della Regione assassinato nel 1980.   Si ricorda la figura dell’uomo e del politico ucciso quarant’anni fa a Palermo dalla mafia, l’Assemblea regionale siciliana ricorda con  una seduta solenne a Sala d’Ercole alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, fratello dell’allora presidente della Regione siciliana colpito a morte nel giorno dell’Epifania nel 1980.

Davanti al luogo dell’eccidio, si è tenuta la cerimonia commemorativa. Cinque corone di fiori, tra cui per la prima volta quella del governo, sono state posizionate ai lati della targa, in via Libertà a Palermo. Presenti i familiari, tra cui figli e nipoti di Mattarella. Per il governo il ministro del Mezzogiorno, Giuseppe Provenzano; presenti le massime cariche istituzionali siciliane governatore Nello Musumeci, il presidente dell’Assemblea siciliana Gianfranco Miccichè, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Numerose anche le autorità civili e militari.

Poi l’intitolazione del Giardino inglese a Piersanti Mattarella …Ecco chi era l’ex Presidente della Regione siciliana il cui nome è ben impresso nelle menti dei siciliani: il fratello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Piersanti Mattarella, aveva solo 44 anni quando Cosa Nostra gli tolse la vita, privando la Sicilia di un uomo e un politico onesto, all’epoca presidente della Regione da meno di due anni.

Nato a Castellammare del Golfo il 24 maggio del 1935, Piersanti era il figlio secondogenito di Bernardo Mattarella, uomo politico democristiano: sei anni dopo la sua nascita, nel 1941, nacque il fratello minore Sergio, ora Capo dello Stato. Da subito appassionato di politica, nel 1964 – a 29 anni – si candidò alle comunali di Palermo prendendo 11mila preferenze, quarto dopo Salvo Lima, Vito Ciancimino e Giuseppe Cerami, ed entrando nel consiglio comunale nel pieno dello scandalo del Sacco di Palermo, quando la città ebbe un boom edilizio con le mani della mafia e la complicità degli stessi Lima e Ciancimino, all’epoca rispettivamente sindaco e assessore ai lavori pubblici.

Ricandidatosi stavolta alle Regionali del 1967, prese oltre 34mila preferenze nel collegio di Palermo: fece parte della Commissione Legislativa, della Giunta per il regolamento e della Giunta per il Bilancio e venne nominato relatore della legge sul bilancio di previsione della Regione nel 1970. Da consigliere regionale, denunciò le pratiche clientelari di consiglieri e assessori, che non avevano una linea politica coerente ma si preoccupavano soprattutto di accontentare chi abitava nei loro collegi.

Mattarella provò anche a ‘ripulire’ la DC provinciale e regionale con un’azione moralizzatrice, favorendo l’elezione di Giuseppe D’Angelo alla segreteria regionale (col sostegno di Aldo Moro). Dal 1971 al 1978 fu assessore regionale con delega al Bilancio, nel ’78, con l’appoggio esterno del PCI, fu eletto presidente della Regione Siciliana. Proprio in quel periodo tenne un discorso durissimo contro Cosa Nostra dopo l’omicidio di Peppino Impastato, avvenuto per ordine del boss Tano Badalamenti.  Era molto amico del “Presidentissimo”  Sandro Pertini con il quale condivideva molte idee sulla politica e sulla logia della vita

Nel ’79 l’evento che probabilmente lo condannò a morte: un parlamentare comunista, Pio La Torre, attaccò l’assessore all’Agricoltura Giuseppe Aleppo additandolo come colluso con i malviventi. Mattarella, anziché difendere il suo assessore, ammise la necessità di correttezza e legalità. La Torre fu ucciso dalla mafia nel 1982, il turno di Mattarella era arrivato già due anni prima, quando in via della Libertà un sicario lo uccise a colpi di pistola mentre andava a messa con moglie, figli e suocera.

Per riconoscere la sua uccisione come delitto di mafia, si dovette aspettare addirittura la morte di Falcone, 12 anni più tardi, quando i pentiti Buscetta e Mutolo lo indicarono come tale: Buscetta disse che il boss Stefano Bontate e i suoi alleati erano contrari, ma all’interno della Cupola ad avere la meglio furono Totò Riina e i suoi alleati. Riina era infatti il referente, dentro Cosa Nostra, di Vito Ciancimino, che Piersanti Mattarella aveva cercato di contrastare con vigore.

Per l’omicidio vennero condannati nel 1995 all’ergastolo i mandanti, i boss Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Nenè Geraci e Francesco Madonia.  Fino ad oggi non si mai scoperto chi fosse il Killer o gli esecutori del delitto Mattarella. Un mistero.

 

MAFIA-‘INDRANGHETA: IN MANETTE 334 PERSONE NEL VIBONESE

'Ndrangheta, maxi blitz: 334 arresti /VIDEO

Video Operazione  “Rinascita-Scott”

 

Mafia-indrangheta quasi affondata .Maxi operazione da stamane dei  Carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Vibo Valentia che hanno notificato  un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Catanzaro su richiesta della Dda a carico di 334 persone .

L’operazione ‘Rinascita-Scott’ ha disarticolato tutte le organizzazioni di ‘ndrangheta operanti nel Vibonese e facenti capo alla cosca Mancuso di Limbadi. Complessivamente sono 416 gli indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio e altri reati aggravati dalle modalità mafiose.

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Le indagini che hanno condotto a queste conclusioni in realtà partono dagli anni scorsi ed  oltre alla Calabria, interessa varie Regioni d’Italia dove la ‘ndrangheta vibonese si è consolidata: Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata. Alcuni indagati sono stati localizzati e arrestati in GermaniaSvizzera Bulgaria in collaborazione con le locali forze di polizia e in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria di Catanzaro.

L’operazione ha richiesto l’utilizzo di 2500 Carabinieri, Paracadutisti, degli Squadroni Eliportati Cacciatori, dei reparti mobili, da mezzi aerei e unità cinofile.

Trapani: traffico di droga all’ombra del latitante n.1 Matteo Messina Denaro

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Su richiesta della Dda di Palermo ,Carabinieri del Ris e del Comando Provinciale di Trapani e Militari del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo, dalle prime ore dell’alba stanno dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dall’Ufficio Gip del Tribunale di Palermo  nei confronti di 3 persone “facenti parte di una più ampia associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti che ha operato sotto l’egida di cosa nostra siciliana e all’ombra del latitante Matteo Messina Denaro”(nella foto d’Archivio).

Sono in corso in tutto il territorio nazionale decine di perquisizioni, che vedono impiegati oltre 100 Carabinieri e  militari del Gico del nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Palermo.Finanzieri, supportati da unità cinofile, e riguardano abitazioni e luoghi nella disponibilità degli indagati.

Guai giudiziari anche per  l’avvocato Antonio Messina di 73 anni, finito ai domiciliari, Giacomo Tamburello, di 59 anni, e Nicolò Mistretta, di 64. Questi ultimi due sono stati condotti  in carcere. Secondo l’accusa i tre avrebbero importato grosse quantità di droga tra il Marocco, la Spagna e l’Italia.

NAPOLI: ARRESTI ANTIMAFIA PER IL CLAN CESARANO

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Napoli

La Guardia di Finanza decapita il Clan Cesarano  , associazione finalizzata alla criminalità organizzata. I finanzieri della compagnia di Castellammare di Stabia, con i reparti dipendenti del Gruppo di Torre Annunziata, hanno notificato  venti ordinanze cautelari nei confronti di capi e affiliati del clan Cesarano.

Le pompe funebri stabiesi- ricorderemo – sono  in mano al clan D’Alessandro: nel mese scorso le Fiamme gialle hanno effettuato sei arresti, sequestro beni da 7 milioni e mezzo. I carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata avevano notificato un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari emessa dal Gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli – nei confronti di sei persone.

Naturalmente l’imprenditore Alfonso Cesarano (classe 1958), è  attualmente in carcere ,già a processo per concorso esterno in associazione di tipo mafioso ed estorsione aggravata, mentre ai domiciliari i familiari Saturno, Alfonso (classe 1957), Giulio, e Catello Cesarano e Michele Cioffi.

I reati contestati vertono sul trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante dell’aver commesso il fatto per favorire  il clan D’Alessandro, che non esitava ad imporre azioni di natura intimidatoria.

MAFIA-POLITICA: CLAMOROSO ARRESTO DI ANTONELLO NICOSIA “POSTINO” DEI BOSS

 

Clamoroso l’arresto di stamane. Connessione stretta tra Mafia e Politica secondo i Pm. Un assistente parlamentare, Antonello Nicosia, membro del comitato nazionale dei Radicali italiani, è stato arrestato all’alba di oggi insieme con altre 4 persone, con l’accusa di avere veicolato messaggi fuori dalle carceri. Nei guai anche  il capomafia di Sciacca Accursio Dimino. Secondo la Procura avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all’esterno messaggi e anche ordini. Nicosia ha accompagnato la deputata Pina Occhionero (ex LeU e di recente passata a Italia Viva, che risulta estranea alla vicendain alcune ispezioni all’interno delle carceri siciliane: durante quelle visite i boss avrebbero affidato all’assistente della parlamentare dei messaggi da recapitare all’esterno.
Antonello Nicosia, 48 anni, originario di Sciacca,con  l’accusa pesante di associazione mafiosa insieme al boss Accursio Dimino è un insospettabile se si considera il suo curriculum: direttore dell’Osservatorio Internazionale dei diritti umani (Oidu), pedagogista, laureato in Scienze della Formazione multimediale con una tesi sul “Trattamento penitenziario, ascoltare e progettare per rieducare sorvegliare e rieducare, l’esperienza carcere”.  è stato eletto nel Comitato Nazionale dal XVII Congresso di Radicali Italiani. Ma è anche assistente parlamentare giuridico-psicopedagogico alla Camera dei deputati, in particolare di Giuseppina Occhionero. Secondo l’accusa aveva una doppia vita, pubblicamente parlava di legalità e diritti dei detenuti, poi invece avrebbe aiutato i detenuti a fare uscire dal carcere dei messaggi alle famiglie mafiose.vicina al boss latitante Matteo Messina Denaro.

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– “Sia gli incarichi assunti a diverso titolo in più associazioni volontaristiche, sia l’elezione nel movimento dei Radicali italiani sia ancora i rapporti stretti con l’Onorevole Giuseppina Occhionero sono stati tutti da lui strumentalizzati per accreditarsi presso diverse strutture penitenziarie e per fare visita a mafiosi detenuti, a scopi estranei a quelli, proclamati, della tutela dei loro diritti”. E’ l’accusa dei  pm della Dda di Palermo nel fermo.

“Dall’ascolto delle intercettazioni, è emerso in diretta che il Nicosia, a fronte di un impegno politico e sociale sicuramente ispirato a nobili e lodevoli principi, si è in realtà parallelamente adoperato al fine di favorire, a vario titolo, più associati mafiosi, condannati in via definitiva, reclusi in diversi istituti penitenziari nonché al fine di veicolare messaggi fra loro e l’esterno”

– “Sfruttando il baluardo dell’appartenenza politica, il Nicosia ha addirittura portato avanti l’ambizioso progetto di alleggerire il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis o di favorire la chiusura di determinati istituti penitenziari giudicati inidonei a garantire un trattamento dignitoso ai reclusi”,

 – L’uccisione di Giovanni Falcone, nella strage di Capaci del 23 maggio 1992, “fu un incidente di lavoro”. A dire queste parole agghiaccianti, senza sapere di essere registrato dalle cimici della Procura di Palermo, Nicosia. L’assistente parlamentare era anche conduttore in tv della trasmissione “Mezz’ora d’aria” e parlava di legalità e diritti, ma dalle intercettazioni degli investigatori usava un altro linguaggio. Come le parole sul giudice Falcone. “E’ stato un incidente sul lavoro”, diceva. Per la procura era in contatto con diversi boss, in virtù del suo ruolo di assistente parlamentare e di direttore dell’Osservatorio internazionale dei diritti umani, onlus che si occupa della difesa dei diritti dei detenuti

ANTONIO DI PIETRO: “COLLABORAI CON FALCONE E BORSELLINO PER IL CONTROLLO APPALTI IN SICILIA”

 “MANI PULITE”  SI BLOCCO’ PERCHE’ I POLITICI MI AVEVANO DELEGITTIMATO E IO MI DIMISI PER DIFENDERMI”

 

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Antonio Di Pietro, il famoso pm di “Mani Pulite” sentito come teste dalla difesa del generale Mario Mori in merito  all’inchiesta Tangentopoli nel 1992 per i “collegamenti tra affari e politica” rispolvera le polveri di un tempo ed afferma:Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i Cct che gli girò Cirino Pomicino”.. “I soldi di Gardini finirono anche a Salvo Lima”. All’epoca Di Pietro aveva avuto anche dei rapporti di collaborazione con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “Il primo che mi disse ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo chiudere il cerchio’ fu Paolo Borsellino”, spiega  Di Pietro sul processo della Trattativa tra Stato e Mafia.

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“L’elemento predominante del collegamento Nord-Sud o affari e mafia, l’ho avuto quando ho avuto il riscontro della destinazione della tangente Enimont da 150 miliardi di lire – dice Di Pietro – e il mio impegno allora era di trovare chi erano i destinatari, perché avevamo trovato la gallina dalle uova d’oro, la cosa che avevamo davanti era la necessitò di trovare i destinatari”. E spiega: Lima incassò tramite Cct. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima venne ucciso a Palermo e Gardini si uccise“. “Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i Cct a Salvo Lima”.

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“Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio Di Falcone, l’inchiesta ‘Mani pulite’ si allargò e assunse una rilevanza nazionale – dice ancora Antonio Di Pietro nel corso della deposizione rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio -. Io mi confrontai con Giovanni Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”. Di Pietro parlò anche con Paolo Borsellino “degli stessi argomenti”. “Man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista”.

Il suicidio di Raul Gardini, rivela ancora Di Pietro “è il dramma che mi porto dentro…“. Nel luglio del 1993 “l’avvocato di Raul Gardini, che all’epoca era latitante, mi assicurò che il suo cliente si sarebbe consegnato. Io volevo sapere che fine avessero fatto i soldi della maxi tangente Enimont. Ma la notte prima dell’interrogatorio l’imprenditore Gardini tornò nella sua abitazione, che tenevamo sotto controllo. La polizia giudiziaria mi chiese se doveva scattare l’arresto. E io dissi di aspettare”, racconta Di Pietro. Ma la mattina dopo l’imprenditore si uccise con un colpo di pistola. “E’ il dramma che mi porto dentro…”, dice Di Pietro con un filo di voce. Per poi aggiungere: “Ma questo che c’azzecca con la trattativa?…”.

Poi la denuncia dell’ex pm: “L’inchiesta ‘Mani pulite’ è stata fermata quando è arrivata allo stesso punto del rapporto tra mafia e appalti. Sono stato fermato da una delegittimazione gravissima portata avanti in modo abnorme”.

Nei miei confronti sono stati svolti una serie di dossieraggi portati avanti da personaggi su ordine di alcuni politici che hanno portato alle mie dimissioni – dice Di Pietro rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio – Da lì a poco sarebbe arrivata non solo una grossa indagine nei miei confronti ma anche una richiesta di arresti e io mi dimisi per potermi difendere. Sono stato prosciolto e ho detto che chi ha indagato su di me non poteva indagare, cioè Fabio Salamone che io denunciai al Csm”.

Condannato Vito Nicastri, finanziatore, secondo i magistrati,del “Capo dei capi” Matteo Messina Denaro

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PALERMO

L’imprenditore Vito Nicastri considerato il ‘re’ dell’eolico, è stato condannato dalla Procura di Palermo. L’accusa era  di concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato a nove anni anche il fratello Roberto Nicastri. Il pm Paolo Guido aveva chiesto per Nicastri la pena a 12 anni di carcere.La vicenda aveva sollevato un pò di clamore per i riflessi sulla politica governativa nazionale L’imprenditore è socio d’affari infatti dell’ex deputato Franco Paolo Arata, indagato nell’inchiesta che vede coinvolto anche l’ex sottosegretario Armando Siri.

Il procedimento era stato avviato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che indagò su  Nicastri in un secondo procedimento in cui era coinvolto anche Arata, accusato di trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante del metodo mafioso. I pm ritengono che Nicastri sia uno dei finanziatori del boss latitante Matteo Messina Denaro (nella foto d’Archivio in alto a sn).

Secondo le indagini della Direzione investigativa antimafia “sono stati acquisiti elementi di prova circa l’esistenza di un reticolo di società, tutte operanti nel mercato delle energie rinnovabili, facenti capo solo formalmente alla famiglia Arata (oltre a Paolo, anche al figlio Francesco ed alla moglie Alessandra Rollino), ma di fatto partecipate occultamente da Vito Nicastri, vero regista delle strategie imprenditoriali, considerato dal medesimo Paolo Arata “la persona più brava dell’Eolico in Italia”.

Roma decide lo scioglimento del Consiglio comunale di Misterbianco: “Santapaola testa di ponte al Comune”

 

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A Misterbianco si profila una commissione di gestione straordinaria: Roma ha deciso infatti lo scioglimento del Consiglio comunale per Mafia, “accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali”.  La decisione era all’esame del governo. che ha decretato, su proposta del ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, lo scioglimento del Consiglio comunale per 18 mesi.

La parola del  prefetto di Catania, Claudio Sammartino, dopo il lavoro della commissione incaricata, lo scorso 30 novembre, di un accesso ispettivo antimafia una settimana dopo “Revolution Bet 2” è stata fondamentale e propulsiva. L’inchiesta della Dda di Catania su mafia e scommesse congelò i beni di Carmelo  Santapaola, vicesindaco del comune sciolto, legato con la famiglia Placenti, e quindi al Clan Ercolano.

 Il gip di Catania afferma si tratta di a «vera e propria occupazione sistematica dell’istituzione comunale, volta ad esplicare un controllo pieno di appalti e assunzioni», con Santapaola «testa di ponte del sodalizio all’interno dell’ente comunale». Circostanza confermata dal pentito Giuseppe Scollo, per il quale l’ex vicesindaco «fa sapere le notizie sugli appalti e vantava amicizie nel Comune di Misterbianco con la possibilità di ottenere posti di lavoro ai parenti degli affiliati».

 Alcuni «riscontri concreti», atti alla mano, sull’efficacia del pressing mafioso (magari anche a insaputa del sindaco stesso). E, inoltre, le rivelazioni, pesantissime, di un altro pentito: Salvatore Messina, nome in codice (mafioso) “Manicomio”, esponente del clan Pillera. Lo scorso 3 dicembre, in una località segreta, Messina conversa e rivela molte cose ai  pm Marco Bisogni e Giuseppe Sturiale. E parla di alcuni «incontri avvenuti prima delle elezioni, in particolare nell’aprile 2012». I magistrati dicono inoltre :  è «assolutamente certo» che l’ex vicesindaco di Misterbianco «fosse a conoscenza dell’appartenenza mafiosa dei suoi cugini». Ma, in un verbale di 19 pagine con tanti  “omissis”, il collaboratore conferma ai magistrati della Dda la posta politico-mafiosa in gioco.

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Nella foto il Sindaco del Comune di Misterbianco, Nino Di Guardo

Il ruolo del sindaco del Comune di Misterbianco genera perplessità.E’ un ruolo scomodo e rischioso al contempo. Se si gira da lato è pronta la Giustizia se prova a girarsi dall’altro proverebbe  il terrore di un nome di Clan – Santapaola-  in caso di forte contrasto.   Probabilmente il sindaco ha un ruolo diplomatico ma non decisorio.

Inutile dire però  ai quattro venti che non c’è la Mafia al Comune di Misterbianco.  Adesso arriverà pure il decreto firmato dal presidente della Repubblica Mattarella. E’ al comando dell’istituzione e, recentemente aveva fornito una dichiarazione dopo l’operazione antimafia “Gisella”che ha fatto luce dopo 28 anni sulla vicenda legata all’omicidio del segretario locale della DC Paolo Arena ed il coinvolgimento della mafia locale e nel contempo hanno coinvolto l’ex vice sindaco Corsaro ed oggi consigliere comunale di opposizione.
Di Guardo rilevò che  “Corsaro aveva il dovere di e dimettersi da consigliere comunale per ridare prestigio alla sua comunità”

“Se non avessi vinto la competizione elettorale del 2017 – affermò Di Guardo – il mio comune  rischiava la possibilità di avere un sindaco appoggiato dalla mafia.”
Il riferimento era  alle intercettazioni rese note dalla stampa dalle quali emergono le telefonate fatte, nel marzo 2017, dalla segreteria politica di Marco Corsaro a due degli arrestati dell’operazione “Gisella” chiedendo di incontrali in vista della imminente campagna elettorale.
“Un fatto inaudito che tremo solo a parlarne – ebbe a dire con l’Ufficio stampa il sindaco Di Guardo – chiedeva lui le dimissioni di Santapaola e dell’amministrazione quando sapeva di avere la coda di paglia. Può rimanere Corsaro in consiglio comunale dopo aver chiesto aiuto e sostegno a mafiosi? Si dimetta subito per ridare prestigio alla sua comunità.”
Noi siamo dalla parte della verità – affermava ancora Di Guardo nel corso di un incontro con la Stampa – non abbiamo scheletri nell’armadio ed abbiamo fiducia nell’azione dei commissari prefettizi, poiché abbiamo servito il comune a testa alta, con amore e dignità e pertanto non temiamo di essere sciolti per infiltrazioni mafiose che non esistono.

 Nel 2012 la “Lista Santapaola”, a sostegno di Di Guardo candidato e poi eletto sindaco, totalizzò però  1.923 voti con l’elezione di tre consiglieri. Il pentito rivela che «i Placenti volevano avere un riferimento forte sul territorio per le licenze e per le altre cose che orbitavano nel comune».Affari illeciti scoperti e fermati definitivamente per lo scioglimento del Consiglio comunale.

Operazione “Leonessa”: la”Stidda”,settanta arresti e sequestri in più province

La Mafia cambia pelle. Si modernizza e i controlli si adeguano. Una maxi operazione, con una settantina di arresti e sequestri per 35 milioni di euro, è in corso da alcune ore in più province d’Italia, compresa la Regione Sicilia.

.Si parte dalla Procura della Repubblica di Brescia, Direzione Distrettuale Antimafia -dove  nell’ambito di una lunga e complessa indagine convenzionalmente denominata ‘Leonessa‘, condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato,  l’autorità giudiziaria  accerta l’operatività di una cosca mafiosa di matrice stiddara, con quartier generale a Brescia, che ha forti interessi illeciti in  diversi settori economici con la nuova tecnica della ” commercializzazione di crediti d’imposta fittizi “per decine di milioni di euro.

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La Stidda, nella sua versione più intellettuale rispetto a quella tradizionale, si è dimostrata capace di una vera e propria “metamorfosi evolutiva”, sostituendo ai reati tradizionali nuovi business, utilizzando quale anello di congiunzione tra i mafiosi e gli imprenditori i ‘colletti bianchi’, capaci di  arruolare  clienti (disseminati principalmente tra Piemonte, Lombardia, Toscana, ma anche nel Lazio, Calabria, Sicilia) disponibili al ‘risparmio’ facile. Indagini approfondite sono in corso in varie Regione d’Italia.

 

LINGUAGGIO DEL PUBBLICO MINISTERO NINO DI MATTEO:”PER FARE CARRIERA SI USA UN CRITERIO VICINO AL METODO MAFIOSO..”

 

 

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di    RAFFAELE LANZA

Se il premier pensa già di creare un Osservatorio per il controllo del lessico dei componenti dei Settori politico-sociali, qualche altro pensa già di entrare nelle Istituzioni pubbliche che “contano”, contaminate diverse dal virus della corruzione e del malaffare, con un linguaggio di comunicazione personale rivolto alla Stampa     A chi alludiamo?      Ad alcuni magistrati , noti al pubblico per diversi versi, che si candidano preventivamente all’organo superiore della Magistratura con una dichiarazione pubblica  .     Afferma il Pubblic o ministero Nino Di Matteo: “L’appartenenza a correnti o cordate è diventato l’unico modo per fare carriera e questo è un criterio molto vicino alla mentalità e al metodo mafioso”. 

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Due parole sul magistrato Di Matteo,(nella foto sopra)colui che ha istruito il processo sulla Trattativa Stato-Mafia e che vive sotto scorta da anni perchè minacciato dalla Mafia:”Il suo linguaggio in una trasmissione televisiva con elementi conosciuti sulla strage di Capaci è costato la fuoriuscita dal Pool        antimafia costituito dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho per far luce “sulla presenza di entità esterne nei delitti eccellenti di Mafia”

Il magistrato, accennò alla  strage di Capaci come un “momento indelebile nelle menti delle persone perbene”, ma anche spiegato che è “altamente probabile che insieme agli uomini di cosa nostra abbiamo partecipato alla strage…  anche altri uomini estranei a Cosa nostra”. Una riflessione, come ha spiegato in premessa la toga, che arriva dalla letture delle sentenze già emesse. Un Pubblico ministero, un uomo che non ha alcuna paura nell’affermare dunque che la Mafia è sostanzialmente strutturata nello Stato.   Hanno perfettamente ragione gli studenti e i protestanti nella foto sopra secondo i quali se la Mafia uccide, il silenzio uccide ancora di più.

Non serve una riforma punitiva del Consiglio superiore della magistratura, ma bisogna dargli l’autorevolezza di organo costituzionale senza distinzioni legate all’apparenza o al gradimento politico” – ha  commentato la propria candidatura  Nino Di  Matteo, contrario anche all’ipotesi di sorteggio per l’elezione dei togati: ”rispetto i colleghi che lo hanno proposto per superare il correntismo, ma è incostituzionale – ha riferito – .E’ inammissibile che magistrati che decidono su ergastoli e patrimoni non possano avere competenza e autorevolezza per eleggere i consiglieri del Csm”.

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Foto d’Archivio-SUD LIBERTA’
IL CANCRO DELLA MAGISTRATURA E LA DEGENERAZIONE CORRENTIZIA

Quanto alla sua candidatura, “non avevo mai pensato di potere concorrere per il Csm – ha affermato Di Matteo – non ho mai seguito il classico percorso da cui maturano le candidature. Ma nel momento più buio ho sentito il bisogno di mettermi in gioco, di mettere a disposizione la mia determinazione a chi vuole dare una spallata al sistema che ci sta portando verso il baratro”.

Ma Di Matteo rincara la dose in maniera chiara ed inequivocabile: ”Negli ultimi anni – ha spiegato – la magistratura è pervasa da un cancro che si sta espandendo, i cui sintomi sono evidenti: la burocratizzazione, la gerarchizzazione degli uffici il collateralismo con la politica, la degenerazione correntizia”. “Dobbiamo avere il coraggio di dire che quanto è emerso dall’inchiesta di Perugia non ci deve stupire – ha ammesso-. Non c’è spazio per lo stupore, siamo tutti responsabili di questa situazione. Oggi c’è una grande possibilità di invertire la rotta prima che siano altri, approfittando della delegittimazione, a cambiarci con riforme che ci rendano squallidi burocrati”. La magistratura, ha detto ancora, ”è l’avamposto più alto di difesa della Costituzione rispetto alla volontà di poteri striscianti, non solo illegali, di limitare autonomia e indipendenza e renderla collaterale e servente rispetto alla politica”.

     GLI ABUSI DEI SOCIAL  E METODI CHE RICORDANO LA MAFIA USATI DA FACEBOOK ,L’AZIENDA CALIFORNIANA

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Il declino di Zuckerberg, fondatore di Facebook, soggetto privato che non ha sede legale in Italia e non dà chiarimenti agli utenti

Linguaggi diversi, istituzionale della gran parte dei magistrati, personale critica di alcuni pubblici ministeri che hanno subìto minacce e sono divenuti autentici personaggi-star , linguaggi diversi nei social dove i soggetti privati come Facebook censurano arbitrariamente blog o post senza renderne le ragioni agli utenti per un confronto democratico e senza rivelare l’identità di chi segnala “falsità”.   Democrazia in Italia: non facciamo ridere. Abbiamo preso l’esempio di Facebook. Questo soggetto ha una sede unica commerciale in Italia ma non ha nè una sede legale nè un referente nel nostro Paese.  Chi intende fare causa a Facebook per interpretazioni sbagliate sul linguaggio offensivo di alcuni Post od articoli dovrà   rivolgersi al Foro della California esclusivamente in lingua inglese. Il Centro di assistenza del massimo social è una presa per i fondelli .Oppure fare denuncia sugli abusi di Facebook all’Autorità giudiziaria (o Polizia Postale) che provvede con la Polizia giudiziaria ed emette infine l’ordinanza.Alcuni Tribunali italiani infatti hanno già espresso sentenza di condanna di Facebook per aver congelato o bloccato utenti e giornalisti (Ordinanza di Roma del 2015, altre del 2018)..