Matteo Messina Denaro: una vita bruciata dal desiderio della vendetta- Arrestati 22 affiliati

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Si restringe la latitanza e la fitta rete di amicizie del superboss  Matteo Messina Denaro. Dalle prime ore dell’alba è in corso una imponente operazione di carabinieri, polizia e Dia, che stanno eseguendo nel trapanese un provvedimento di fermo nei confronti di 22 persone emesso dalla Dda di Palermo. Sono ritenute affiliate alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Sono indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni.

Tra le persone fermate ci sono anche due cognati di Matteo Messina Denaro. Si tratta di Gaspare Como e Rosario Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro. Secondo gli inquirenti sarebbero stati proprio loro a organizzare la latitanza della primula rossa ricercata dal 1993.Secondo le comunicazioni di agenzia e dei carabinieri, sarebbero state effettuate perquisizioni a tappeto  nella notte nelle abitazioni di persone ritenute vicine al boss. Decine di persone sono state controllate tra Castelvetrano e Campobello di Mazara.

Le indagini, “oltre ad accertare il capillare controllo del territorio esercitato da Cosa nostra ed il sistematico ricorso all’intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale”, hanno “consentito di individuare la rete relazionale funzionale allo smistamento dei “pizzini” con i quali il latitante impartiva le disposizioni ai suoi sodali”. Ne sono convinti gli inquirenti che hanno condotto l’indagine ‘Anno zero‘.

L’operazione “ha confermato il perdurante ruolo apicale di Matteo Messina Denaro della provincia mafiosa trapanese e quello di reggente del mandamento di Castelvetrano assunto da un cognato, in conseguenza dell’arresto di altri membri del circuito familiare”. E’ il risultato delle investigazioni  che hanno condotto all’arresto di 22 persone ritenute fiancheggiatori del boss latitante detto oggi nuovo “Capo dei capi”.

“La Mafia diventa in Sicilia sempre più silente e mercatistica”: oggi i Mafiosi ( dirigenti della pubblica amministrazione in genere ) vogliono i finanziamenti europei

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” E’ ancora imprescindibile il ruolo del Superboss Matteo Messina Denaro (nella foto) e  si colgono segnali interessanti rispetto ad una lenta ma progressiva minore pervasività operativa della sua leadership”.  La mafia non sembra più quella violenta e sanguinaria che piaceva all’ex Capo dei capi Totò Riina. Oggi la Mafia è sinonimo di dirigente pubblico, di politico affaristico, insomma di colletti bianchi spesso insospettabili perchè posti al vertice di una struttura.

Così si esprime la Direzione nazionale antimafia trasmessa alla Camera e resa nota con un comunicato: “Si prospetta la formale apertura di una nuova epoca – quella della mafia 2.0. – sempre più al passo con i tempi, che confermerà definitivamente la strategia della sommersione. Conseguentemente non dovrebbero profilarsi guerre di mafia per sancire la successione di Riina”.

Appare, infatti, superata per sempre, aggiunge, “l’epoca della mafia violenta, che ha ceduto il passo a metodologie volte a prediligere le azioni sottotraccia e gli affari, sovente realizzati attraverso sofisticati meccanismi collusivi e corruttivi”. La relazione ipotizza la possibilità di un accordo tra i capi più influenti per ricostituire una sorta di “cabina di regia”, simile ma diversa dalla Commissione provinciale (che non risulta essersi più riunita dopo l’arresto dei capi storici), intesa quale organismo unitario di vertice, con un prevedibile ritorno in scena dei “palermitani”

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(Nella foto, un ex dirigente generale dei beni culturali della Regione Sicilia, Sergio

Gelardi, più volte accusato ed “indagato di reati connessi all’ambito mafioso…” oltre che di favoritismo nelle nomine dei soprintendenti dell’isola)

Le indagini evidenziano che la “nuova mafia” è sempre più “silente e mercatistica”, privilegiando un modus operandi “collusivo-corruttivo: i dirigenti della pubblica amministrazione sono il trampolino di lancio per  accordi affaristici  che non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni, ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza e la regola del dare-avere”.

Tra i settori ad alto rischio di corruzione c’è quello dei trasporti marittimi, destinatario di ingenti finanziamenti pubblici, anche comunitari.

 

 

“Operazione Gotha”: Colpo alla Mafia di Barcellona

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Letto  1589

Quaranta gli arresti di soggetti accusati di ” Metodo Mafioso”

La mafia barcellonese è messa in ginocchio dai Carabinieri e dalla  la Procura di Messina con la cosiddetta operazione Gotha 7: quaranta gli arresti di mafiosi accusati di “ metodo mafioso – e di numerosissimi reati fine, quali estorsione  rapina, trasferimento fraudolento di valori, reati in materia di armi e violenza privata”.

Tutti i reati sono aggravati dal metodo mafioso “per aver fatto parte – aggiunge la Procura di Messina – dell’associazione mafiosa denominata “famiglia barcellonese” riconducibile a “Cosa Nostra” ed operante prevalentemente sul versante tirrenico della provincia di Messina”.

Gli interrogatori e le indagini che proseguono approfondite riveleranno nelle prossime ore – avvertono gli inquirenti – altri particolari.

Smontati,con un clamoroso blitz ad Agrigento, i mandamenti mafiosi siciliani

 

Blitz antimafia dei  carabinieri del comando provinciale di Agrigento,che  su disposizione della dda di Palermo, hanno arrestato 56 tra boss e gregari dei mandamenti di Cosa nostra agrigentina. L’inchiesta, la più imponente mai messa a segno nel territorio, ha sostanzialmente smontato i “mandamenti” di Santa Elisabetta e Sciacca . Nell’indagine sono finite anche famiglie mafiose  delle province di Caltanissetta, Palermo, Enna, Ragusa e Catania.

FraUn pezzo da novanta,  Francesco Fragapane, 37 anni, figlio dello storico capomafia di Santa Elisabetta Salvatore, da anni ergastolano al 41 bis, è stato trasferito in carcere. Scarcerato nel 2012 dopo aver scontato sei anni di prigione, Fragapane ha nuovamente preso le redini  del mandamento che comprende tutta l’area montana dell’agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini.

Nell’inchiesta sono coinvolti diversi familiari del padrino di Agrigento e capimafia a lui alleati. L’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri. I capi d’accusa giudiziaria  vanno dall’ associazione mafiosa, al traffico di droga, alla truffa, estorsione e a un’ipotesi di voto di scambio.

 Il blitz fa clamore non solo per l’ampiezza delle maglie mafiose in Sicilia ma anche perchè è stato arrestato un insospettabile delle istituzioni: il sindaco di San Biagio Platani, paese della provincia agrigentina. In manette, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, è finito Santino Sabella eletto alle ultime amministrative. I pm della dda di Palermo gli contestano di avere concordato le candidature delle ultime comunali del 2014 con esponenti mafiosi di vertice del suo paese e fatto illecite pressioni nell’assegnazione di appalti.

Accertate 27 estorsioni a imprese, negozi e anche a cooperative che si occupano dei richiedenti asilo. Sette società riconducibili ai clan sono state sequestrate.

L’indagine, fatta dalla dda di Palermo, è stata coordinata dal Comando Provinciale guidato dal colonnello Giovanni Pellegrino.

Ucciso il boss Dainotti, "dead man walking" = l' uomo morto che cammina

Un pezzo da novanta è stato eliminato questa mattina a Palermo.Probabilmente l’uccisione è legata al potere della Mafia di Palermo che vuol scegliere il capo in grado di ricostruire i rapporti  tra i capi delle cosche.

Il boss mafioso Giuseppe Dainotti è stato  infatti freddato a colpi di pistola alla testa in via D’Ossuna, nel quartiere Zisa .

Dainotti era in bicicletta quando, secondo una prima ricostruzione, sarebbe stato avvicinato da due uomini che gli hanno sparato.

 Il boss mafioso era stato condannato dal Tribunale  per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e dei carabinieri Bommarito e Morici che l’accompagnavano. Il boss era  era riuscito a lasciare il carcere, tra le polemiche, beneficiando della Legge Carotti.

Dainotti, come raccontano le cronache giudiziarie di Cosa nostra, era ritenuto un boss del mandamento di Porta Nuova di Palermo. Era stato condannato, oltre per omicidio, anche e per la rapina miliardaria al Monte dei Pegni nel 1991.  Scarcerato nel 2014 dopo più di 25 anni di detenzione.

Nel periodo  furono scarcerati altri boss del calibro di Giovanni Matranga, Francesco Mule e Giulio Di Carlo. Erano stati tutti condannati all’ergastolo per l’omicidio di Basile, Bommarito e Morici.

Dainotti era un ‘dead man walking’, “un uomo morto che cammina“. Il boss era stato, infatti, ‘condannato’ a morte da Cosa nostra dopo la sua scarcerazione nel 2014. A ucciderlo doveva essere Giuseppe Di Giacomo, poi ucciso nel marzo 2014. Dainotti doveva essere ucciso da un vecchio nemico, il boss Giovanni Di Giacomo, fratello del mancato killer, con cui avevano fatto affari con la droga negli anni Novanta.

Appena una settimana fa il questore di Palermo, Renato Cortese, nel corso di un seminario sulla lotta alla mafia aveva lanciato l’allarme scarcerazioni dei boss a Palermo. Cortese, parlando alla platea aveva detto: “Ci sono state alcune scarcerazioni che ci preoccupano perché la mafia è un’organizzazione che oggi va alla ricerca di leadership. C’è sempre il timore che trovando una testa pensante in grado di concentrare le varie anime, Cosa nostra possa ritornare a essere pericolosa come prima”. Il questore aveva detto che con le scarcerazioni era “reale la possibilità che Cosa nostra possa tornare potente come prima. Per questo monitoriamo in questi mesi ogni singolo movimento, ogni segnale, ogni scarcerazione, perché le organizzazioni sono molto ben radicate sul territorio”.

 (Agenzia)