Carmelo Peluso, Per il Tribunale anche il giornale era asservito alla Mafia e i giornalisti privi della libertà di pensiero”

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Comunicato del difensore Avv Carmelo Peluso

Mario Ciancio vicino  ai mafiosi per decreto del Tribunale. Non perché lo abbiano percepito i cittadini di Catania che lo hanno avuto accanto per tutta la vita, non perché abbia commesso fatti eclatanti noti alla opinione pubblica, non perché abbia avuto frequentazioni poco chiare, ma per decreto. Un decreto che ha raccolto un mosaico variegato di sospetti e li ha fatti diventare il presupposto di un giudizio di pericolosità sociale. Quella persona che per tanti anni è stata al centro della società catanese, oggi è additata come persona che addirittura avrebbe riciclato il danaro della mafia. Editore di un giornale asservito alla mafia, i cui giornalisti sarebbero stati privi della libertà di pensiero”.

Lo dice in una lunghissima nota l’avvocato Carmelo Peluso uno dei difensori dell’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo. La nota ripercorre alcuni passaggi della vita imprenditoriale dell’editore catanese, gli inizi, l’espansione degli interessi in agricoltura e nell’editoria e ricorda episodi come quando ”il principe Carlo d’Inghilterra, con la moglie Diana, nell’anno 1984, decidono di visitare la Sicilia” e sono ospiti di Ciancio.

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”Una ospitalità passata, inevitabilmente – dice il legale – attraverso il filtro delle indagini del prefetto di Catania Verga – poi nominato Commissario antimafia – nonché dei servizi segreti di sua Maestà britannica per verificare il rigore morale e la trasparenza assoluta della famiglia che avrebbe accolto Carlo e Diana in Sicilia”. ”E’ bene sapere che il procedimento di prevenzione antimafia si fonda sul mero sospetto e non sulla prova rigorosa della responsabilità, che è l’unica che può dar luogo ad una sentenza di condanna – spiega Peluso – Il Tribunale della prevenzione emette un giudizio sulla pericolosità sociale di un soggetto in funzione del sospetto di una sua ‘appartenenza’ a sodalizi mafiosi. Ciò basta per rendere inquietante questo giudizio, che deve essere condotto con grande equilibrio, proprio per non indulgere al sospetto privo del requisito di ‘concretezza’ che la legge impone”.

”Il solo auspicio è che il Giudice di appello abbia la serenità di valutare correttamente il materiale proposto dall’Accusa”. Lo dice in una nota l’avvocato Carmelo Peluso uno dei difensori dell’imprenditore catanese Mario Ciancio Sanfilippo. ”Infinitamente difficile è fornire la prova di tutti gli investimenti effettuati in quarant’anni di vita dal Ciancio, essendo impossibile reperire presso le Banche documenti risalenti ad oltre un decennio – scrive Peluso – La Difesa ha ricostruito quanto possibile, con attenzione e dovizia di particolari, dovendo arrendersi solo davanti all’assenza di dati ultraquarantennali. Oggi, però, fa male leggere nel decreto del Tribunale che Ciancio nei primi anni Settanta avrebbe riciclato due miliardi e mezzo di lire provento di attività mafiose, solo perché è difficilissimo reperire la documentazione relativa alla provenienza di quel danaro. Che era danaro della famiglia ricca, di cui si è detto”.

”Pensiamo, però – prosegue – alla assurdità dell’accusa fiondata sul solo sospetto senza prova, un giudizio senza processo. Se è vero che storicamente la mafia divenne imprenditrice solo alla fine degli anni Ottanta, quale mafioso avrebbe accumulato quella fortuna negli anni Settanta? E con quali attività? Anche la fonte illecita quindi è stata individuata solo per la ‘intuizione’ del Giudice, che si fonda sul sospetto e no sulla prova. Due miliardi e mezzo ricavati dalla mafia (quale mafia?) da attività illecite (quali attività?) e consegnate a Ciancio (perché a Ciancio e non ad altri Cavalieri più titolati di lui per ‘vicinanza’ ad ambienti mafiosi?). Due miliardi e mezzo in un tempo il cui la benzina costava cento lire al litro e un impiegato guadagnava 250.000 lire al mese. Viene voglia di definire il sospetto del Tribunale un incredibile falso storico. Nonostante tutto, però, noi crediamo nel Giudice di appello”.

 

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Castronovo di Sicilia: sei ordinanze di custodia cautelare per l’accusa di mafia e vari reati

 

Appalto scuolabus truccato

La gara fu aggiudicata a una ditta con titolare di fatto  imprenditore condannato per associazione mafiosa dopo minacce alla società  che aveva vinto regolarmente

 Sei ordinanze di arresti domiciliari dal gip di Palermo, su richiesta della Dda, nei confronti di sei persone accusate, a vario titolo, dei reati di estorsione aggravata, rivelazione ed utilizzazione di segreto d’ufficio, turbata libertà degli incanti, abuso d’ufficio e trasferimento fraudolento di valori

La gara d’appalto,truccata, del Comune di Castronovo di Sicilia, in provincia di Palermo, è quella inerente  l’aggiudicazione del servizio di trasporto scolastico comunale per l’anno scolastico 2016/2017, assegnato per un importo di circa 31 mila euro a una ditta di fatto con titolare un imprenditore condannato per associazione mafiosa. L’uomo sarebbe riuscito ad ottenere l’appalto sostenuto dal segretario comunale, del responsabile della garae di un impiegato dell’ufficio tecnico comunale, nonchè  del responsabile dell’ufficio scolastico del Comune di Castronovo di Sicilia.   Ma ha fatto di più: ha minacciato la ditta di trasporti di San Giovanni Gemini (Ag), aggiudicatrice della gara d’appalto e a ritirarsi quindi dalla gara.

Ecco così che,  per scorrimento della “graduatoria”, l’appalto è stato aggiudicato alla ditta, appositamente costituita, intestata alla figlia del mafioso. Con eguale provvedimento giudiziario è stato anche disposto il sequestro preventivo della somma pari all’appalto e la società di trasporti.

Papa Francesco ai Boss siciliani: “Abbiamo bisogno di persone di amore, non di uomini d’onore. Non fate fare l’inchino della Madonna alla casa del capomafia….”

PAPA FRANCESCO: “CONTRASTATE L’INGIUSTIZIA, IL SUDARIO NON HA TASCHE, NON POTRETE PORTARE NIENTE CON VOI”

Bergoglio, celebrando la messa, nel corso dell’omelia si rivolge ancora una volta ai mafiosi: “Chi non fa nulla per contrastare l’ingiustizia non è un uomo e una donna giusti. Voi sapete che il sudario non ha tasche, non potreste portare niente con voi. Convertitevi al vero Dio, Gesù Cristo!”.

Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso – non vive da cristiano perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore; di servizio, non di sopraffazione; di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Se la litania mafiosa è ‘tu non sai chi sono io’, quella cristiana è ‘io ho bisogno di te’. Se la minaccia mafiosa è ‘tu me la pagherai’, la preghiera cristiana è ‘Signore, aiutami ad amare”.

Nel pomeriggio, nella cattedrale di Palermo, il Papa ha lanciato un anatema contro una pratica mafiosa balzata spesso agli onori della cronaca: “Quando la Madonna si ferma davanti ad un negozio, a una casa e fa l’inchino per ordine del capo mafia a chi porta l’altare della Madonna o della Santa , quello non va assolutamente“. “Vorrei dire qualcosa sulla pietà popolare, molto diffusa in queste terre. È un tesoro che va apprezzato e custodito, perché ha in sé una forza evangelizzatrice, ma sempre il protagonista deve essere lo Spirito Santo. Vi chiedo perciò di vigilare attentamente, affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa, – dice il Papa riscuotendo gli applausi del clero siciliano – perché allora, anziché essere mezzo di affettuosa adorazione, diventa veicolo di corrotta ostentazione”.

 

Il PROCURATORE CAPO DI PALERMO NON RISPONDE, MA RIAFFERMA LA FUNZIONE DI “STRAPOTERE” DELLE TOGHE

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Il Procuratore Capo di Palerno Francesco Lo Voi (nella foto) evita di entrare in argomento su Salvini ma riafferma, con l’avviso di garanzia,  l’attuale strapotere/abuso/discrezionalità interpretativa delle toghe 

Il Procuratore Francesco Lo Voi Capo della Procura di Palermo, a margine della questione “golpe giudiziario” per l’avviso di garanzia da lui firmato contro il Ministro Matteo Salvini, accusato” di sequestro di persona aggravato nell’inchiesta sulla nave “Diciotti”,ha rilasciato ieri  questa dichiarazione che attesta sostanzialmente l’attività investigativa della Procura palermitana contro la Mafia ma non si sofferma nello specifico –

SUD LIBERTA’  ribadisce nuovamente – quanto già espresso nell’articolo di ieri   ” Battaglia tra Magistratura e Politica…..- .l’attuale supremazia-abuso delle toghe sulla Politica, auspica un cambiamento radicale del sistema giudiziario, non condivide sulla vicenda il condizionamento opportunistico- velato d’ipocrisia- del vicepremier Di Maio a Salvini, costretto a stemperare i toni …  Giriamo ai lettori la dichiarazione- resa pubblica- dal magistrato.

Il Ministro Salvini apre in diretta F. la busta gialla della Procura con l’avviso di garanzia

Dr. Francesco Lo Voi …”…..Ecco allora che concentrarsi sul tema  di mafia ed economia è particolarmente importante, perché da un lato  può contribuire ad arricchire le conoscenze multidisciplinari e  dall’altro lato può consentire la comprensione del perché la mafia,  con le sue modifiche continue, si infiltra nell’economia siciliana,  nazionale e sovranazionale – dice ancora Lo Voi – Per motivi  professionali ho avuto l’opportunità di tentare di far capire ai rappresentanti di numerosi paesi europei, e non solo, che lo  strumentario legale di cui l’Italia dispone e che non ha eguali al  mondo, oltre ad essere assolutamente unico, si è dimostrato  assolutamente efficace per la lotta seria alla criminalità  organizzata”.

“Si  tratta di uno strumentario da estendere a quanti più paesi possibili,  soprattutto a quelli che fanno finta di non accorgersi, ma che in  realtà sono stati già raggiunti, spesso in modo consistente, dalle  nostre mafie – dice ancora Lo Voi – Si scopre che i grandi riciclaggi  internazionali e i grandi reinvestimenti dei profitti illeciti della mafia vengono effettuati non più solo in Italia ma anche in altri paesi europei ed extraeuropei. Le forme del progresso facilitano tutto questo. Bastano due o tre clic nell’ambito di una sola giornata e il  denaro fa il giro del mondo tre volte e noi stiamo lì ad inseguire  magari con le commissioni rogatorie, che aspettano alcuni mesi o anni, per ottenere risposta da alcuni paesi, o non l’ottengono del tutto”.       

SUD LIBERTA’ : LA MAFIA NEI MERCATI SICILIANI (QUASI TUTTE LE CITTA’) HA CREATO “UNA DISTORSIONE DELLA LIBERA CONCORRENZA “

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Il mercato ortofrutticolo di Palermo sotto la lente di ingrandimento della Direzione Antimafia-   Questo centro controllava e monopolizzava tutta la merce, dal prezzo dei beni in vendita ai centri di approvvigionamento. E’ dunque scattata la confisca di beni per 150 milioni di euro ad A.I. e G.I., 61enni, ritenuti dagli investigatori “vicini e contigui” alla Mafia. Dopo l’altro successo della  Direzione investigativa antimafia di Palermo lo scorso venerdì con la maxi-confisca di 400 milioni di euro a carico dell’ex deputato regionale Giuseppe Acanto, stamani il Centro operativo Dia ha reso esecutivo il provvedimento giudiziario  di confisca beni, emesso dalla sezione Misure di prevenzione del  Tribunale di Palermo.

“I soggetti colpiti, titolari di vari stand e profondi conoscitori del metodo di funzionamento del mercato ortofrutticolo – spiegano la Dia – ne monopolizzavano l’attività attraverso l’utilizzo dei servizi forniti dalla cooperativa ‘Carovana Santa Rosalia‘ (compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio)”.

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“Ci siamo avvalsi pure delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che ci hanno consentito – spiega la Dia – di scoprire  una vera e propria ‘regia occulta’ in grado di prestabilire il prezzo dei beni in vendita nel mercato, controllare il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale e i principali centri di approvvigionamento e gestire le ulteriori attività connesse al commercio interno”.

Gli investigatori affermano ancora : “Un monopolio che ha determinato “una grave distorsione della libera concorrenza, che ha garantito all’organizzazione criminale ingenti guadagni attraverso attività solo apparentemente lecite”. “Hanno rafforzato l’ipotesi investigativa di infiltrazione mafiosa all’interno del mercato ortofrutticolo palermitano –  – alcune ordinanze applicative di misura cautelare, emesse dal gip di Napoli, quando viene contestato agli indagati (tra i quali anche Gaetano Riina,  fratello dell’ex “capo dei capi” corleonese Salvatore), di controllare il trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano e da questi  verso quelli del Sud Italia, interessando, in particolare, i mercati siciliani di Palermo, Catania, Vittoria (Ragusa), Gela (Caltanissetta) e Marsala (Trapani)”. Insomma la Mafia della frutta, degli ortaggi, dei mercati  La Sicilia è sempre avvolta da questa spirale.

ANTIMAFIA A PIAZZA ARMERINA: ” CHINNICI, ANCHE CON PICCOLI GESTI POSSIAMO SCONFIGGERE LA MAFIA-POLITICA”

 

La   quindicesima edizione del premio intitolato al padre Rocco, fondatore del pool antimafia,si è svolta ieri a Piazza Armerina, al Teatro Garibaldi dove la figlia Caterina Chinnici ha tratto con queste parole la conclusione del suo discorso.

“i”Il modo migliore per onorare la memoria dei servitori dello Stato che si sono battuti per la legalità e la giustizia è contribuire tutti insieme ad affermare quotidianamente questi fondamentale valori, anche con i piccoli gesti.

“Un premio genuino che tutti gli anni cerca di rendere merito a persone che si sono distinte per il loro impegno concreto”, ha aggiunto l’eurodeputata siciliana a margine dell’evento. Premiato il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani.   “per l’impulso dato alla trattazione delle questioni incentrate sulla tutela dei diritti..”

La mafia è composta da una minoranza di persone – ha detto Tajani  – ed è destinata a perdere perchè il bene alla fine vince sempre. Noi non siamo il paese della mafia e non dobbiamo dare l’idea di esserlo. L’Italia è il paese delle persone perbene, di chi lavora, il paese di Rocco Chinnici, di Falcone, di Borsellino e di tutte le persone che mettono in gioco la propria vita per garantire la nostra sicurezza. Questa è l’Italia che con amore dobbiamo valorizzare, la nostra patria parte della più ampia patria europea”.

 

ANTIMAFIA IN AZIONE A PALERMO: PER 11 SUPERBOSS E’ BUIO PROFONDO

Blitz antimafia nella notte a Palermo 11 arresti

foto Comunication
  

La religione al servizio della mafia. Le processioni e le feste religiose erano organizzate infatti dalla mafia. 

 Forse siamo alla fine del romanzo  della gestione del racket, tra sacro e profano, uscito dall’inchiesta della Dda di Palermo culminata nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 11 tra boss, gregari ed estortori del clan Noce di Palermo.

Colui che non si  piegava alle richieste era fatto oggetto di pesanti ritorsioni come nel caso di un commerciante cui era stata incendiata la casa quale conseguenza al suo rifiuto di pagare o contribuire alle spese dei malavitosi.

 

L’inchiesta- si apprende – è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvo De Luca e dai pm Roberto Tartaglia, Annamaria Picozzi e Amelia Luise.

 

CORRUZIONE E SPIONAGGIO: MONTANTE NEI GUAI

 

Arrestato Montante, paladino dell'antimafia

Antonello Montante (Fotogramma- Agenzia)

L’imprenditore  Antonello Montante,  per anni ritenuto paladino dell’antimafia, è di nuovo nei guai. Con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione la Squadra mobile di Caltanissetta ha arrestato l’ex presidente di Confindustria Sicilia, attualmente presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e presidente di Retimpresa Servizi srl di Confindustria Nazionale. In manette anche altre cinque persone. Un altro indagato è stato colpito dalla misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dell’ufficio pubblico per la durata di 1 anno. Ma lo stupore non finisce qui. Tra le persone coinvolte nell’inchiesta ci sono anche esponenti delle forze dell’ordine.

L’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia, è stata rimessa alla Sezione Mobile di Caltanisetta.  Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di essersi associati per avere informazioni riservate a loro carico , quindi commettendo più delitti contro la pubblica amministrazione e  accesso abusivo a sistema informatico; nonché infine – informa la Procura -più delitti di corruzione.  Il  Montante, per anni ritenuto , a detta degli investigatori, paladino dell’antimafia, avrebbe fatto parte di una rete di ‘spionaggio’ per sapere lo sviluppo delle  indagini della magistratura a suo carico.

 Giustizia, a Caltanissetta nuovi presidenti di sezione

L’ex presidente degli industriali siciliani avrebbe provato a corrompere anche esponenti delle forze dell’ordine e , con regali costosi e soldi, avrebbe pagato alcuni investigatori per avere notizie sull’indagine della Dda a suo carico.

Due anni fa Montante aveva ricevuto un avviso di garanzia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa per presunti legami con esponenti mafiosi. Gli inquirenti nel 2016 nell’abitazione dell’ex presidente degli industriali siciliani avevano trovato un vero e proprio archivio, sia cartaceo che elettronico, su cui Montante conservava tutto, dai telegrammi, alle email, sms, i regali fatti, contributi concessi, fotografie con ministri, politici, capi della polizia. Un archivio segreto, diviso in cartelle di colore diverso e cd-rom custoditi in un bunker allestito dietro una parete segretadella sua stanza da letto. Nella stanza era stato trovato anche una sorta di memoriale di oltre mille pagine su cui gli inquirenti hanno indagato in questi due anni.

La Procura nell’inchiesta per concorso esterno a carico di Montante comunica quanto segue.   SUD LIBERTA‘NON HA ANCORA LE DICHIARAZIONI DI DIFESA DEL MONTANTE ma pubblica intanto le dichiarazioni della Procura di Caltanissetta: “Per avere concorso nelle attività dell’associazione mafiosa mettendo in modo continuativo a disposizione in particolare di Vincenzo e Paolino Arnone (consigliere e reggente della famiglia mafiosa di Serradifalco, ndr) la propria attività imprenditoriale consentendo al clan di ottenere l’affidamento di lavori e commesse anche a scapito di altri imprenditori, nonché assunzioni di persone segnalate dagli stessi, ricevendone in cambio il sostegno per il conseguimento di incarichi all’interno di enti e associazioni di categoria, la garanzia in ordine allo svolgimento della sua attività imprenditoriale in condizioni di tranquillità, senza ricevere richieste di estorsioni e senza il timore di possibili ripercussioni negative per l’incolumità propria e dei beni aziendali, nonché analoghe garanzie per attività riconducibili a suoi familiari e a terzi a lui legati da stretti rapporti “

 

Il ricatto della Mafia e della Politica alle Istituzioni dello Stato: oggi le Condanne a Palermo.

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Nella foto il Sostituto Procuratore Antimafia Antonino Di Matteo

.Puntuale il comunicato stampa su una sentenza storica attesa da anni e anni. I generali Mario Mori e Antonio Subranni, ex vertici del Ris, sono stati condannati a 12 anni ciascuno per minaccia a corpo politico dello Stato. Sempre a 12 anni, per lo stesso reato, è stato condannato anche l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. Il boss mafioso Leoluca Bagarella è stato condannato a 28 anni sempre per minaccia a corpo politico dello Stato. Per lo stesso reato è stato condannato a 12 anni il boss Antonino Cinà. Otto anni all’ufficiale del Ros Giuseppe De DonnoMassimo Ciancimino, accusato in concorso in associazione mafiosa e calunnia dell’ex capo della polizia De Gennaro, ha avuto 8 anni per calunnia.

Dell’Utri, Mori, Subranni, De Donno, Bagarella e Cinà sono stati inoltre condannati a un maxi risarcimento da 10 milioni di euro a Palazzo ChigiAssolto l’ex presidente del Senato Nicola Mancino dal reato di falsa testimonianza.   L’ex presidente della Repubblica G. Napolitano ha difeso, nel corso di una conferenza stampa, la correttezza dell’operato di Mancino.

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Al termine della lettura del dispositivo il pm Teresi ha detto che “questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia”. “Va analizzato attentamente il dispositivo che in linea di massima ha confermato la tesi principale dell’accusa sull’ignobile scambio, chiamato semplicemente ‘trattativa’, ma che nascondeva il ricatto fatto dalla mafia allo Stato e a cui si sono piegati alcuni elementi delle istituzioni – ha aggiunto – E’ un processo che bisognava fare a tutti i costi”.

Una sentenza che “ha un valore storico – ha riferito alla stampa   Antonino Di Matteo, uno dei pm dell’accusa – Ora abbiamo la certezza che la trattativa ci fu. La Corte ha avuto la certezza e la consapevolezza che mentre in Italia esplodevano le bombe nel ’92 e nel ’93 qualche esponente dello Stato trattava con Cosa nostra e trasmetteva la minaccia di Cosa nostra ai governi in carica. E questo è un accertamento importantissimo, che credo renda un grosso contributo di chiarezza del contesto in cui sono avvenute le stragi. Contesto criminale e purtroppo istituzionale e politico“.

Nella nostra impostazione accusatoria, che ha retto completamente – ha detto Di Matteo – l’ipotesi è che Dell’Utri sia stato la cinghia di trasmissione tra Cosa nostra e l’allora da poco insediato governo Berlusconi. La corte ha ritenuto provata questa cosa”.

Berlusconi ha definito le parole di Di Matteo “di una gravità senza precedenti. Si è permesso di commentare una sentenza adombrando una mia personale responsabilità”. L’ex premier ha annunciato di aver dato mandato ai suoi legali di intraprendere tutte le azioni del caso: ”Ho parlato con i miei avvocati, faremo dei passi nelle sedi opportune nei suoi confronti”.

 

Stop della Procura di Messina ai metodi mafiosi- anche politici comunali- di Mistretta

 

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Una ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Messina su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo peloritana, guidata dal Procuratore della Repubblica dott. Maurizio De Lucia, è  stata notificata a quattordici persone  (3 dei quali verranno ristretti in carcere, 11 sottoposti all’obbligo di presentazione alla p.g.), ritenuti responsabili – a vario titolo – di “tentata estorsione in concorso aggravata dal metodo mafioso e trasferimento fraudolento di valori” (art. 12 quinquies D.L. 306/92).

 

Il provvedimento scaturisce da una complessa indagine  coordinata dai Sostituti Procuratori della Repubblica di Messina, Angelo Cavallo e Vito Di Giorgio –con l’aiuto prezioso del Comando dei Carabinieri di Messina sulla Mafia attiva di Mistretta (ME), parte più occidentale della provincia peloritana, che ha svelato  un tentativo di estorsione –”posto in essere da una consigliere comunale di Mistretta, Enzo Tamburello, in concorso con altri soggetti” di cui uno già destinatario di un provvedimento di sequestro dei beni, per appartenenza a Clan mafioso (mandamento di San Mauro Castelverde) – ai danni di 2 imprenditori edili, aggiudicatari dell’appalto, del valore di circa un milione di euro, bandito  dal  Comune peloritano e finanziato dall’Unione Europea per la riqualificazione dei 12 siti ove sono installate le opere d’arte contemporanea che costituiscono il  percorso culturale ”.Fiumara d’Arte”

Le investigazioni, che avevano già consentito di trarre in arresto, il 6 ottobre 2017, una coppia di imprenditori edili per trasferimento fraudolento di valori,hanno scoperto una gran quantità di beni immobiliari e di automobili con intestazioni fittizie

Le indagini avviate attraverso servizi di osservazione, intercettazioni telefoniche e acquisizioni documentali permettevano di riscontrare le prime dichiarazioni rese informalmente dall’imprenditore ampliandole ed identificando i complici di Tamburello e ricostruendo i rapporti tra loro.

La donna citata come la “signorina” è stata identificata proprio in Maria Rampulla, deceduta nel maggio del 2016, sorella di Pietro (condannato per essere l’artificiere della strage di Capaci ed all’epoca dei fatti detenuto) e di Sebastiano, storico capo della “famiglia di Mistretta” deceduto nel 2010.

Gli ulteriori due complici sono stati identificati in Giuseppe Lo Re detto Pino, personaggio ritenuto dai Carabinieri molto addentrato nel Clan mafioso e colpito da una misura di prevenzione personale e patrimoniale nel 2015 e dalla zia di questi, una maga o cartomante di Acquedolci, Isabella Di Bella

L’attività investigativa ha consentito altresì di accertare che il Lo Re disponeva dei conti correnti bancari delle società ancorché formalmente intestati ai fittizi titolari nonché come lo stesso gestisse quotidianamente i suoi night club occupandosi personalmente del reclutamento e del pagamento delle ragazze impiegate.

Sui beni è intervenuto il provvedimento di sequestro preventivo che ha colpito tutti i compendi aziendali….

 

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