Crisi rifiuti al collasso in Sicilia. I deputati regionali del Movimento cinque stelle scrivono un appunto-comunicato sull’operato della Regione spiegando che vi sono ancora inadempienze che non si possono tollerare. Ecco la motivazione: “Il ritardo con il quale si sta provvedendo a costruire nuovi centri di compostaggio pubblici in tutta l’isola, ha generato e continuerà a generare enormi disagi. Il nuovo caos dei rifiuti in Sicilia a causa della temporanea chiusura dell’impianto della Raco di Belpasso è il risultato della mancata programmazione del governo regionale”.
“Musumeci – spiegano i deputati – parla di gestione pubblica, quando invece anche questa volta i paesi del Catanese colpiti da questo disservizio, saranno costretti a chiedere aiuto a ditte private che imporranno il loro prezzo di conferimento. La chiusura di un impianto determina il caos e testimonia la fragilità del sistema messo su in questi anni a suon di emergenze e non certo a seguito di adeguata programmazione. A ciò si aggiunga la beffa che in una regione con una differenziata che supera a stento il 38%, ci si riduca nelle condizioni di dover mischiare l’umido con la frazione indifferenziata, vanificando lo sforzo dei cittadini”.
“Siamo in contatto con l’assessore Pierobon – concludono i Cinquestelle all’Ars – per trovare una soluzione e individuare siti alternativi. Ma il problema va risolto una volta per tutte, è intollerabile che ad ogni piccolo intoppo collassi l’intero sistema regionale. Musumeci, prima di pensare a leggi di riforma come panacea di tutti i mali, pensi piuttosto ad applicare le leggi esistenti e a velocizzare più possibile la costruzione di impianti che il territorio necessita da anni” – concludono i deputati.
“.. L’aula ha dato il colpo di grazia al sistema di regole che governa il rilascio delle concessione demaniali marittime. L’assessore Cordaro ha deciso che le concessioni rilasciate dopo il 2005 non debbano più adeguarsi ai pudm, una follia che rischia di creare nel settore il far west più assoluto in mancanza di regole e paletti precisi. Non potevamo avallare questa folle decisione”.Lo afferma la deputata del M5S all’Ars, Gianina Ciancio,(nella foto in alto), in relazione al ‘No’ del M5S alla legge sul demanio marittimo.
“Di fatto – dicono i deputati M5S – un emendamento presentato dal governo in aula all’ultimo minuto sancisce che alle regole dei pudm dovranno sottostare solo le nuove concessioni, anche se ci chiediamo dove queste nuove concessioni potranno trovare spazio, atteso che gran parte delle coste siciliane sono già occupate. Tutto questo mentre la Commissione Europea ha avviato, la settimana scorsa, una procedura di infrazione contro l’Italia, proprio per mancato adeguamento alla direttiva europea sull’affidamento delle concessioni balneari”.
“L’unica nota positiva di questa legge – concludono i parlamentari M5S – è il recepimento della norma nazionale sul libero accesso al demanio, che ribadisce che nessuno può impedire al cittadino di pagare un biglietto per accedere al mare e farsi il bagno”.
Recovery plan,Comunicato M5S all’Ars: “ Nessun documento è passato all’Ars”
“La solita, inutile, sterile e rancorosa propaganda politica contro il governo Conte. I programmi che Musumeci sventola oggi sotto gli occhi dei siciliani non erano altro che aria fritta che l’Europa, senza progetti esecutivi o meglio ancora cantierabili, avrebbe rispedito al mittente. Altro che, ponte, porto di Marsala o Metro di Palermo, saremmo rimasti con un pugno di mosche in mano”.
Lo affermano di deputati del M5S all’Ars, in risposta alle critiche di Musumeci alla programmazione del governo Conte per le risorse del recovery Fund.
“Il cliché del governo Musumeci – comunicano i parlamentari regionali 5 stelle della Sicilia – è sempre lo stesso: sparare ad alzo zero contro il governo nazionale per distrarre l’attenzione dallo sfacelo che sta causando in casa in casa nostra. Poi -aggiungono – vorremo sapere con chi il governo Musumeci ha concertato queste proposte da inviare a Roma, non certo con l’Ars, visto che nessun documento su questa materia è passato dalle parti di Palazzo dei Normanni. Ma come, le opposizioni a Roma sbraitano perché , a suo dire, poco coinvolte, e Musumeci qui fa molto peggio, ignorando totalmente il Parlamento, sperando probabilmente di accontentare, con questa manovra carbonara, i deputati e i partiti che più gli servono per sorreggere il suo governo?”.
“Altro che schiaffo all’isola – concludono i deputati M5S –, a Musumeci ricordiamo che alla Sicilia sono destinati il 10 per cento delle risorse, mica bruscolini. I veri schiaffi ai siciliani li dà, senza soluzione di continuità, la sua maggioranza parlamentare: uno degli ultimi, con la complicità di parte dell’opposizione, quello relativo all’aumento delle pensioni e delle liquidazioni regalato a se stessi, in piena pandemia, dalla quasi totalità dei deputati, tranne il M5S, forse anche dal presidente stesso, che però sulla vicenda non ha mai proferito parola”.
Il governatore: “quattro deputati del M5S mi hanno chiesto scusa ma hanno votato la sfiducia”
Mozione di sfiducia al Presidente Nello Musumeci. Nulla di fatto. Con 36 voti contrari e 24 a favore, l’Ars ha respinto la mozione di sfiducia al , presentata dal Movimento 5 Stelle e sostenuta in aula dal Pd. A votare la mozione sono stati anche Claudio Fava, iscritto al gruppo Misto, e Valentina Palmeri capogruppo di Attiva Sicilia. Non hanno partecipato al voto gli altri quattro parlamentari di Attiva Sicilia, ed i parlamentari del gruppo Italia Viva.
Musumeci ha ricordato di aver più volte sollecitato gli avversari politici ad un dialogo costruttivo, ed ha chiesto di essere criticato e giudicato alla fine del suo mandato. «La mozione di sfiducia rientra nel diritto dei parlamentari, ma molti dei temi sollevati erano già stati chiariti dal sottoscritto nel dibattito di appena pochi giorni fa sull’attività di metà legislatura. Oltretutto questa mozione, evidentemente, non ha convinto neppure tutti i deputati che l’hanno presentata tanto è vero che alla vigilia del voto quattro deputati del Movimento 5 Stelle mi hanno rappresentato il loro imbarazzo, chiedendomi scusa; mi hanno detto che non sarebbero voluti arrivare alla presentazione della mozione, ma l’avrebbero ugualmente votata»
Un risarcimento di 3,4 miliardi per evitare il procedimento di revoca e chiudere una disputa iniziata con la tragedia del crollo del ponte Morandi. che prevederebbe anche 13,2 miliardi di investimenti e 7 di manutenzioni, nonché un taglio dei pedaggi.
Autostrade offre la disponibilità dell’azienda di aprire il capitale a nuovi investitori, una strada che passa dall’aumento di capitale. Elemento di assoluta novità, è che nell’offerta targata Aspi, non figurerebbe la richiesta di modifica del decreto Milleproroghe. Si tratta, in altre parole, dell’articolo che riduceva l’indennizzo, in caso di revoca, a 7 miliardi, cifra di gran lunga più bassa dei 23 miliardi previsti dalla convenzione siglata nel 2008. Nessuna richiesta di modifica, nella speranza di chiudere la partita con un accordo. La società di Benetton è molto cauta e la posizione del premier Conte diventa difficile economicamente di fronte alla prospettiva che c’è sul piatto Un freno morale lo ferma e attende di conoscere la pozione del Consiglio dei ministri e dei capigruppo,in particolare del Pd
Ma accettare la proposta di Autostrade significherebbe non rendere onore alle tante vittime della tragedia Morandi. . I pentastellati bocciano dunque la proposta Per i 5S la via maestra resta dunque quella della revoca o in alternativa l’uscita di scena dei Benetton da Aspi, senza ruoli di minoranza. Pensiamo che per restare in sella Benetton possa lanciare pure l’idea immaginaria di costruire ponti d’oro. E “affari d’oro” si prevedono chi esprime un “placet” a beneficio della permanenza della società Autostrade la cui revoca la stragrande maggioranza degli italiani attende dal giorno della catastrofe e della responsabilità accertata. Ma a questo punto la parola decisiva spetterà al Cdm, dove le posizioni delle forze di maggioranza restano distanti.
Il popolo del web ha organizzato la manifestazione contro la nomina dell’assessore leghista Alberto Samonà .Provenienti da tutta la Sicilia a Palermo per rispondere all’appello lanciato dal gruppo facebook “No Beni Culturali alla Lega Nord – che conta un aggregato di circa 50 mila iscritti. Musumeci dimettiti!“ e protestare contro l’assegnazione dell’assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana ad Alberto Samonà, giornalista-autore di diversi saggi ma esponente del carroccio. Disposti in piazza del Parlamento, davanti l’Ars, a distanza di un metro gli uni dagli altri, e hanno manifestato il loro dissenso. Alcuni con pentole e stoviglie per fare rumore, altri urlavano al governatore il ritiro della delega, altri ancora manifestavano con la coppola e la bandiera siciliana – tradizionali simboli di questa terra.
Animatori, tamburinari e artisti, oltre che indipendentisti hanno animato la piazza. A promettere battaglia in Assemblea contro la scelta del governo regionale, è stato invece il M5s: “Non ci venga a dire Musumeci che oggi in piazza c’era una sparuta minoranza con problemi personali. Quello di oggi è uno spontaneo moto di protesta contro una scelta oggettivamente inaccettabile, che rappresenta uno dei tanti motivi per cui chiederemo all’Ars di dare il benservito al presidente della Regione“. In questo momento i siciliani, afferma il segretario regionale, sono realmente e fortemente “disturbati”, ma dalle sue scelte e dalla presenza inquietante del suo assessore.
Diversi interventi al microfono hanno esposto le richieste e il significato della protesta. Tutte donne, provenienti da diverse parti della Sicilia. Non ci sta nessuno – tranne il presidente dell’Ars Miccichè (ovviamente) che la Lega ,dopo decenni di indifferenza del Sud, occupi un ramo importante dell’Amministrazione regionale. All’ingresso della piazza un banchetto per raccogliere le firme per chiedere ai capigruppo dell’Ars di presentare una mozione di sfiducia al Governo Musumeci.
UNA CERTEZZA: IL GIUDICE NINO DI MATTEO, A CUI PIACE APPARIRE, HA SUPERATO “IL PERIMETRO ISTITUZIONALE CONSENTITO” E HA PARLATO, CON LOGICA DI PERSONALE CONVENIENZA, A DISTANZA DI DUE ANNI. COMPORTAMENTO CHE STRIDE CON L’ANTIMAFIA
Una Torre di babele. L’ex pm Nino Di Matteo , consigliere togato, vi è dentro fino al collo visto che la sua “denuncia” televisiva sul fatto che il ministro della Giustizia,Bonafede, non lo abbia nominato al Dap nel 2018 dopo averglielo proposto ha spostato l’asse delle attenzioni e delle accuse ad un ministro che già aveva mostrato interesse alla sua competenza,oggi bersaglio strumentalizzato delle opposizioni.
.Seguono trasmissioni e dibattiti condotti da giornalisti documentati. Una cosa sfugge a tanti. E’ sfuggita anche ai i tre consiglieri laici indicati in Parlamento da M5S – Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati e Fulvio Gigliotti – che ,com’è noto hanno reso ufficiale il loro dissenso..
di Raffaele Lanza
Giudice Nino Di Matteo: -Cosa sappiamo di lui? Nato a Palermo nel 1961 . È entrato in magistratura nel 91 come sostituto procuratore presso la DDA di Caltanissetta. Divenuto pubblico ministero nel 1999 a Palermo, ha iniziato a indagare sulle stragi di mafia per l’omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e A.Salvo, mentre per l’omicidio Saetta otteneva l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina.
Nel corso del processo “Trattativa -Stato-Mafia “veniva resa pubblica la minaccia di morte da parte del boss Totò Riina, intercettata dalla magistratura durante una conversazione privata in carcere con un altro recluso: «A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri» Dopo le minacce ricevute Di Matteo è stato sottoposto a eccezionali misure di sicurezza
In relazione alle indagini sulla trattativa Stato-Mafia, essendo indagato l’ex senatore ed ex Ministro dell’interno Mancino intercettando le sue utenze telefoniche alla fine del 2011 si venne a registrare anche una o più telefonate da questi intrattenute con l’allora capo dello stato Giorgio Napolitano, verosimilmente ignaro del controllo in corso sull’altro politico. Di Matteo, aveva ammesso in specie, l’esistenza di queste registrazioni, affermando però “che non fossero di alcuna utilità processuale e pertanto non sarebbero state utilizzate in dibattimento”. Una uscita diplomatica.
Una vibrata tensione e polemica si scatenò in ordine alla richiesta del Quirinale di distruggere le registrazioni, che evolse nella sollevazione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi alla Corte Costituzionale presto ammesso e che si sarebbe poi concluso con sentenza di accoglimento delle inusitate richieste della presidenza della Repubblica, cui seguì nell’aprile 2013 la paradossale materiale distruzione dei supporti Un atto ancora oggi di dubbia liceità e giustizia.
Andiamo ora alla questione della nomina di Di Matteo, sulla quale aleggiano ombre e sospetti
Sulla vicenda, dal vertice del Csm, dal vice presidente David Ermini e tantomeno dal presidente Sergio Mattarella, non è trapelato nulla solo un documento pacato dei tre giuristi grillini. In esso si dice: “togati e laici dovrebbero, più di chiunque altro, osservare continenza e cautela nell’esprimere, specialmente ai media, le proprie opinioni, proprio per evitare di alimentare speculazioni e strumentalizzazioni politico-mediatiche che fanno male alla giustizia e minano l’autorevolezza del Consiglio”. E ancora: “Chi ha l’onore di ricoprire un incarico di così grande rilievo costituzionale deve sapersi auto-limitare. Questo non significa rinunciare a esprimere le proprie opinioni, ma vuole dire farlo nelle forme e nei modi corretti”. Ricorderemo le recenti affermazioni di Renzi secondo il quale il caso aperto daDi Matteo potrebbe sbocciare in un clamoroso caso giudiziario) e “Per noi -comunicò il suo gruppo -la separazione dei poteri è un principio irrinunciabile ed è intollerabile un processo in piazza da parte di un magistrato, membro del Csm, nei confronti di un politico, qualsiasi maglietta indossi”.
Quel che resta incomprensibile sul Giudice che dell’Antimafia ne ha fatto un mestiere è perchè un Pm, osannato da tanti per l’esame di tanti fascicoli sulla Mafia, vuol abbandonare l’attività prerogativa dei veri giudici Antimafia modello “Falcone e Borsellino” , al servizio della comunità e ricercare incarichi direttivi ,come quello della Direzione generale Penitenziaria,ben renumerati che fanno rima con potere e burocrazia? Perché Di Matteo?
Altro spunto: perchè l’ex pm non ha parlato a tempo debito delle “pressioni” (dice lui: noi non non gli crediamo perchè è sprovvisto di prove ed è tardivo in ogni caso) subite dai boss mafiosi” dal ministro Bonafede? Perchè si parla a convenienza? Che modo di agire tiene questo giudice, che ama tanto apparire, che spiega il suo declassamento alla volontà dei mafiosi “che avrebbero avuto terrore di Di Matteo” visto che “butterebbe le chiavi delle celle nel pozzo”
Non avrebbe dovuto essere tempestivo Di Matteo nel riferire oggi dichiarazioni “fuorvianti” ? E perchè l’attenzione si è spostata sul politico del Ministero che, in fin dei conti è qui solo di passaggio e non sul giudice tardivo ed omissivo (se fossero vere le sue chiacchere) ?
Ma non facciamo ridere. Di Matteo non solo ha detto illazioni ,come ha riferito alla Camera Bonafede, ma ha detto autentiche stupidaggini. E’ lui fra l’altro il professionista della Giustizia non il componente pentastellato contestato dopo due anni.
E’ lui che si è comportato in maniera puerile e ora dovrebbe dimettersi dall’incarico di consigliere del Csm se questo Organo vuol continuare ad avere una credibilità. E lasci in pace quei mafiosi -non si toglie la dignità di uomo neppure al peggior nemico, è un principio evangelico che dovrebbe apprendere il Giudice Di Matteo. perchè mai avrebbero potuto incidere sulle scelte dell’esponente pentastellato. E’anche un comportamento bambino oltre che antideontologico. Altro che Antimafia. C’è da vergognarsi.
Il tuo contributo è importante per avere un’informazione di qualità. Contatta il direttore e sostieni la Redazione di Sud Libertà.
Donatella Tesei vince la sfida contro Enzo Bianconi. E adesso la politica nazionale d’opposizione reclama di mandare a casa il governo Conte. Un azzardo certo. Ma la situazione in Umbria sorprende. Sorprende il M5s, il Pd secondo i quali il patto comune non ha funzionato .
Secondo i dati quasi definitivi forniti dal ministero dell’Interno (mancano ancora un paio di sezioni da scrutinare) la candidata della coalizione a trazione leghista ha staccato di circa 20 punti Vincenzo Bianconi del centro sinistra. La Tesei ha ottenuto il 57,55% dei voti ed è di fatto la nuova presidente della Regione Umbria, mentre Bianconi si attesta al 37,49%. Riguardo ai partiti la Lega è al 36.94%, Fratelli d’Italia al 10,39% e Forza Italia al 5,50. Il Pd si attesta invece al 22,33% il M5s al 7,41.
Seguono il civico Claudio Ricci, con il 2,64; Rossano Rubicondi (Partito Comunista) con l’1,01%, Emiliano Camuzzi (Potere al Popolo, Partito Comunista Italiano) con lo 0,87%; Martina Carletti (Riconquistare l’Italia) 0,21%; Antonio Pappalardo (Gilet Arancioni) 0,13; Giuseppe Cirillo (Partito delle buone maniere) 0,13%;
“Amministrare questa regione non sarà facile nella situazione in cui si trova, bisognerà lavorare da subito per ridarle un futuro”, ha detto Tesei parlando ai giornalisti all’Hotel Fortuna di Perugia accanto al leader della Lega Salvini In ogni caso, la sua – assicura – “sarà una squadra all’altezza del compito” che lavorerà con “serietà e forza”. “Sono anche spaventata da questo risultato, mi aspettavo un buon risultato ma, aspettiamo i dati, questo è un risultato straordinario. Ringrazio gli umbri che hanno dimostrato una volontà di cambiamento”.
Fra poche ore il premier Giuseppe Conte darà il beneplacito al Documento programmatico della manovra. Fra poco anche una riunione preliminare di Cdm per la sintesi e l’esposizione del Documento finanziario da inviare a Bruxelles.
Alcuni punti non hanno trovato consenzienti gli alleati del governo. Le imposte sulle schede Sim ad es. – nei giorni scorsi già argomento polemico tra il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e la viceministra Laura Castelli – la cancellazione retroattiva della detraibilità del 19% sull’Irpef e la volontà di rivedere quota 100 od alcune finestre del pensionamento anticipato.
“In questa cornice, è evidente che l’esecutivo non potrebbe mai sostenere un aumento delle tasse e men che meno un altro colpo ai pensionati con l’abrogazione di Quota 100. Non è neanche immaginabile mettere i pensionati contro i lavoratori, sostenendo che bisognerebbe creare esodati per ridurre il cuneo fiscale. Abbiamo la responsabilità di unire il paese e non di dividerlo”, ha dichiarato dal canto suo il capo politico del M5S Luigi Di Maio. Che mette in guardia: “Non si inneschi una guerra tra poveri”.
Si discute anche sul taglio del cuneo alle imprese, che i 5 Stelle vorrebbero introdurre : obiettivo creare nuovi posti di lavoro, spiegano fonti grilline. Altro nodo da sbrogliare, la riforma di quota 100 voluta dal primo governo Conte. Fonti di governo M5S sostengono che il Pd avrebbe messo in piedi un asse con i renziani di Italia Viva per modificarla almeno in parte, intervenendo sull’ultima finestra con una dote di circa 500 milioni: “per noi non esiste”, mettono in chiaro i 5 Stelle.
La legge di bilancio entro oggi a mezzanotte dovrà essere inviata all’Europa. Il decreto fiscale e l’articolato complessivo della manovra dovrebbero essere approvati in un successivo incontro dei componenti governativi.
Il taglio dei parlamentari è legge. La Camera ha approvato in via definitiva la riforma costituzionale che riduce senatori e deputati La grande torta con i soldi pubblici è ora ridotta. I parlamentari saranno più visibili.
I voti favorevoli sono stati 553 su 567 votanti, 14 i contrari e due astenuti. Cinque stelle in festa di fronte a Montecitorio. I deputati del Movimento hanno aperto un enorme striscione con disegnate poltrone rosse, tenendo in mano cartelli. Il simbolo dell’intera operazione viene rappresentata dal M5s con delle forbici esibite durante – e dopo -la votazione in Parlamento
Su 215 deputati, cinque risultavano in missione e cinque non hanno partecipato al voto. Tutti gli altri, ovvero 205, hanno votato a favore.
I 14 no vengono tutti dal gruppo Misto oltre a quello di Marzia Ferraioli di Fi: Sara Cunial, Veronica Giannone, Carmelo Lo Monte, Fausto Longo, Vittorio Sgarbi, Gloria Vizzini, Silvia Benedetti, Catello Vitiello, Alessandro Fusacchia, Riccardo Magi, Alessandro Colucci, Maurizio Lupi e Renzo Tondo. Due gli astenuti: Bruno Tabacci del Misto e la dem Angela Schirò. Per quanto riguarda le singole forze politiche, nei 5 Stelle risultano in missione 5 deputati (Francesca Businarolo, Andrea Colletti, Federica Dieni, Maria Marzana e Leda Volti) mentre non hanno partecipato al voto: Sebastiano Cubeddu, Massimiliano De Toma, Paolo Giuliodori, Stefania Mammì e Roberto Rossini. Mentre nel Pd non hanno partecipato al voto Micaela Campana, Paolo Gentiloni e Francesca La Marca. Nessun deputato dem in missione. Due deputati di Italia Viva non hanno partecipato al voto (si tratta di Nicola Carè e Massimo Ungaro) e poi Rossella Muroni di Leu. La più corposa compagine dei non partecipanti al voto è quella azzurra con 25 deputati, i leghisti sono 8 (Virginio Caparvi, Luis Di San Martino Lorenzato, Cristian Invernizzi, Donatella Legnaioli, Augusto Marchetti, Carlo Piastra, Tiziana Piccolo e Adolfo Zordan), uno di Fdi (Salvatore Caiata).
Afferma Giuseppe Conte : “Approvato dal Parlamento il ddl costituzionale per ridurre il numero dei parlamentari. Una riforma che incide sui costi della politica e rende più efficiente il funzionamento delle Camere. Un passo concreto per riformare le nostre Istituzioni” sottolinea il presidente del Consiglio.
Translate »
Warning: file_get_contents(https://gooolink.com/somefile.php?domain=sudliberta.com): Failed to open stream: HTTP request failed! HTTP/1.1 521
in /customers/c/2/5/sudliberta.com/httpd.www/wp-content/plugins/gutenberg-addon/function.php on line 32