Reggio Calabria: arresti per maltrattamenti e abbandono di persone incapaci

Maltrattamenti nella casa di riposo di Grado, possibili violenze anche da  parte dei parenti
Maltrattamenti ad anziani Archivi Sud Libertà

 

Reggio Calabria
I Carabinieri del Nas di Reggio Calabria a conclusione di un’articolata attività investigativa, denominata “LA SIGNORA”, hanno dato esecuzione, con l’ausilio di militari del Comando Provinciale Carabinieri del capoluogo, ad una Ordinanza, emessa dal GIP presso Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Procura della Repubblica diretta dal Procuratore G. B., di applicazione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari nei confronti di due donne, titolari di una casa di riposo abusiva, e di tre loro dipendenti, gravemente indiziati, secondo l’ipotesi investigativa, dei reati di maltrattamenti verso conviventi e abbandono di persone incapaci, aggravati dall’aver cagionato la morte di un ospite.
Altri 7 soggetti sono stati deferiti in stato di libertà per diversi illeciti penali. Le indagini del NAS condotte da Gennaio a Maggio 2021, supportate da attività tecniche di intercettazioni telefoniche, acquisizioni e analisi di cartelle cliniche e ispezioni igienico sanitarie, nonché da pedinamento e osservazioni, sono originate dalla querela di una donna il cui marito, affetto da malattia neurodegenerativa, era deceduto dopo un periodo di degenza presso la casa di riposo oggetto di indagine. Si ipotizza che l’uomo sarebbe stato vittima di maltrattamenti e abbandono che avrebbero causato un peggioramento irreversibile della sua condizione clinica fino a giungere al decesso. Gli accertamenti investigativi avrebbero permesso di ricostruire, allo stato degli atti e fatte salve le successive valutazioni di merito, che le titolari della struttura, sottoposte agli arresti domiciliari, unitamente ai dipendenti (3 sottoposti a misura cautelare ed altri 6 deferiti in stato di libertà), avrebbero maltrattato 15 ospiti della casa di riposto, tutti affetti da gravi patologie e non autosufficienti, con plurimi atti vessatori che sarebbero consistiti: –
Nel somministrare scarse quantità di cibo, anche scaduto e mal conservato, tali da cagionare deperimento e malnutrizione; Nel tenere gli ospiti senza riscaldamento e di acqua calda, in ambienti privi di abbattimento architettonico; Nel somministrare arbitrariamente medicinali, senza consulto medico, e psicofarmaci, tra cui l’Entumin, per rendere più “gestibili” e sedare gli ospiti, tanto che agli indagati viene contestato anche l’esercizio abusivo della professione sanitaria; Nell’omettere le normali pratiche di igiene personale e degli ambienti, in quanto gli anziani sarebbero stati abbandonati e chiusi nelle stanze per cui, in alcuni casi, sono stati costretti così ad espletare i propri bisogni su sé stessi e sul letto dove dormivano, provocando l’aggravamento delle patologie già in essere e cagionando in alcuni casi anche la malattia della scabbia. Tutti gli ospiti, tra i quali vi erano anche anziani permanentemente allettati, sarebbero stati gestiti da personale assolutamente inidoneo e privo dei requisiti medici specialistici, infermieristici e socio assistenziali richiesti, ed inoltre, soprattutto di notte, alla presenza di un solo operatore, tanto che le vittime in alcuni casi sarebbero state costrette a dormire tra le loro feci e urine rimanendo a lungo fradici e sporchi. Le titolari, in concorso con la cuoca ed altra dipendente, sono indagate anche per il reato di epidemia colposa in quanto con condotte omissive e negligenti avrebbero agevolato il propagarsi di un focolaio Covid tra gli ospiti, cercando in tutti i modi di nascondere i contagi agli altri dipendenti, ai familiari delle vittime, alla Prefettura ed all’ASL reggina, tanto da rendere necessario un immediato intervento del NAS per avviare le previste misure contenitive e di cura e scongiurare ben più gravi conseguenze, interrompendo i tentativi di occultamento dei casi Covid.
Altri due dipendenti sono indagati per sostituzione di persona, in quanto, come avrebbero dimostrato le intercettazioni telefoniche, avrebbero fatto credere ad una anziana signora intenzionata a lasciare la casa di riposo di parlare al telefono con il figlio, che la rassicurava sulla “buona qualità” dell’assistenza e degli operatori che la curavano, mentre, in realtà si trattava di un dipendente. Tra gli indagati, poi, vi è anche una geometra reggina che, unitamente alle titolari, è stata deferita in stato di libertà per il reato di falsità ideologica, poiché avrebbe attestato falsamente la presenza, presso lo stabile in cui vi era la casa di riposo abusiva, di 4 distinte casa – famiglia che rispettavano i requisiti minimi strutturali. Contemporaneamente all’ esecuzione della misura cautelare personale è stato eseguito il sequestro preventivo della casa di riposo, e gli ospiti sono stati trasferiti presso i familiari o altre strutture socio sanitarie individuate dai Carabinieri e dai servizi sociali del Comune di Reggio Calabria. Il procedimento penale è nella fase delle indagini preliminari per cui vanno fatte salve le successive valutazioni di merito.

 

 

Riciclaggio – Disposto il sequestro di oltre 16 milioni di euro e di 2 imprese compro-oro

 

Riciclaggio - Disposto il sequestro di oltre 16 milioni di euro e di 2 imprese compro-oro

Nucleo Speciale Polizia Valutaria

Procura di Palermo-Direzione Antimafia

Il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza – nell’ambito dell’inchiesta originata dal presunto riciclaggio di metalli preziosi di provenienza delittuosa perpetrato nel mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo – sta procedendo all’esecuzione del sequestro preventivo d’urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 17 soggetti gravemente indiziati del reato di riciclaggio aggravato. Oggetto del provvedimento sono 2 imprese compro oro, 10 rapporti finanziari, nonché denaro, beni mobili iscritti in pubblici registri, immobili, beni mobili e aziende, sino alla concorrenza di oltre 15 milioni di euro.

L’attività investigativa – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo – condotta attraverso l’approfondimento di segnalazioni di operazioni sospette e mediante approfondite indagini finanziarie – prosecuzione della recente inchiesta sulle infiltrazioni di cosa nostra nel settore del commercio di metalli preziosi – avrebbe fatto emergere un ulteriore meccanismo di riciclaggio, adottato nel corso dell’ultimo anno, ancora più insidioso di quello precedentemente utilizzato, posto in essere al fine di ridurre la possibilità di ricondurre gli illeciti commessi a coloro che ne sarebbero gli effettivi responsabili.

In particolare, il sistema di riciclaggio si sarebbe realizzato attraverso due nuove imprese esercenti l’attività di “compro oro” (colpite dall’odierno provvedimento) che sarebbero state interposte al fine di non far più comparire nelle operazioni di compravendita dell’oro la società al centro dell’inchiesta, che avrebbe però continuato ad agire da collettore di grandi quantità di oro di provenienza delittuosa.

Le indagini hanno fatto emergere anche il coinvolgimento di almeno 11 persone che avrebbero svolto l’attività di “prelevatori”. Quest’ultimi si sarebbero messi a disposizione del titolare di una delle due imprese sottoposte a sequestro aprendo rapporti di conto poi utilizzati per ricevere il denaro provento delle presunte illecite operazioni di cessione di oro. Gli originari flussi finanziari sarebbe stati così ripartiti in molteplici direzioni, anche attraverso successivi trasferimenti intercorsi tra le stesse 11 persone, le quali si sarebbero poi recate presso gli uffici/sportelli postali a effettuare i prelievi del denaro ricevuto per, infine, farlo pervenire in contanti ai titolari della società al centro dell’inchiesta.

Nel corso degli ultimi 12 mesi, sarebbero state fatturate, complessivamente, cessioni di oro di illecita provenienza per oltre 15 milioni di euro.

Palermo, arresti per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio dell’oro rubato

Eseguiti 5 arresti per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio

 

Palermo

Dalle prime ore di questa mattina i finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, in collaborazione con il Comando Provinciale di Palermo, stanno dando esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali, emessa dal GIP presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 5 persone gravemente indiziate dei reati di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, riciclaggio, ricettazione ed estorsione aggravati.

Disposto anche il sequestro di 5 imprese operanti nel settore del commercio dell’oro, nonché di somme di denaro, oro, disponibilità finanziarie, beni mobili registrati, immobili e aziende nella disponibilità di 27 indagati, fino alla concorrenza di circa 5 milioni di euro.

L’attività investigativa – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo – condotta attraverso l’approfondimento di segnalazioni di operazioni sospette, corroborate da puntuali riscontri e dalle dichiarazioni di taluni collaboratori di giustizia, avrebbe permesso di raccogliere elementi indiziari circa l’esistenza di un meccanismo di riciclaggio di oro che sarebbe stato messo in atto da una società palermitana la quale, sulla base delle direttive impartite dal mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo, avrebbe agito da collettore di grandi quantità di materiale prezioso raccolte nel territorio di riferimento sia da ladri/rapinatori sia dai relativi ricettatori. In definitiva, sarebbe emersa l’esistenza di un sistema illecito che esercitava un capillare controllo sulle attività di riciclaggio e ricettazione dei metalli preziosi di provenienza delittuosa.

Detta società, che sarebbe stata finanziata sul nascere dall’allora reggente della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, nel triennio 2016-2018, ha dichiarato operazioni di cessione di oro per oltre 2,19 tonnellate, per un controvalore di oltre 75 milioni di euro.

In particolare, in base agli elementi raccolti dalle Fiamme Gialle, sarebbe emerso che, in una prima fase, il metallo prezioso – che sarebbe stato acquistato in totale omissione degli obblighi antiriciclaggio, fiscali e di pubblica sicurezza e con la presunta consapevolezza della sua origine delittuosa (furti e/o rapine) – sarebbe stato sottoposto ad un processo di fusione per essere poi ceduto ad altri operatori del settore sotto forma di lingotti/verghe.

Successivamente, al fine di ridurre i rischi e di dare una parvenza di legalità alle grandi quantità di oro movimentato, i medesimi imprenditori si sarebbero serviti di soggetti esercenti l’attività di “compro oro”, rispetto ai quali sarebbero emersi gravi indizi di reato in ordine all’emissione di false fatture di vendita.

Sono in corso di esecuzione numerose perquisizioni, nei confronti dei soggetti a vario titolo indagati, al fine di reperire ulteriori elementi probatori a supporto delle ipotesi accusatorie formulate.

 

Palermo: vasta operazione antifrode con sequestro di attività di sofisticazione vini

 

Palermo

Su delega della locale Procura della Repubblica di Palermo, i Finanzieri del Comando Provinciale di Palermo, con la collaborazione di funzionari dell’Ispettorato Repressione Frodi (ICQRF) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, hanno dato esecuzione a decreti di sequestro di un intero compendio aziendale, del valore di circa 3.000.000,00€, all’interno del quale operava uno stabilimento enologico, dedito ad attività di sofisticazione di vini, con sede a Monreale, nonché di oltre 3.307.169,50 litri di prodotto vinoso, imbottigliato e sfuso, per cui non è stato possibile tracciare l’origine e la provenienza, per un valore stimato di oltre € 5.160.000,00.

Sono state altresì effettuate perquisizioni e sequestri su tutto il territorio nazionale – con la collaborazione dei Reparti della Guardia di Finanza competenti per territorio e di funzionari dell’ICQRF – al fine di bloccare le partite di prodotto contraffatto e adulterato distribuite dal titolare della cantina, con il concorso, a vario titolo di altri 8 soggetti, che risponderebbero, tra gli altri, dei reati di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, di frode nell’esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine.

In particolare, le investigazioni svolte dai Finanzieri della Compagnia di Partinico – scaturite da un’indagine d’iniziativa nel settore della tutela del consumatore e del made in Italy – hanno permesso di accertare che una nota cantina con sede a Monreale, riconducibile ad un soggetto noto nell’ambito della commercializzazione di vini, aveva, verosimilmente, posto in essere complessi artifizi contabili grazie all’ausilio di altre società consorelle, esistenti all’interno dell’anzidetto compendio aziendale, costituite ad hoc, annotando fittizie introduzioni di mosti, uve e vini, con il mero fine di creare un presupposto di apparente legalità ai prodotti vitivinicoli, commercializzati con false denominazioni di origine e indicazioni geografiche siciliane, stante alle evidenze investigative, ottenuti anche mediante l’utilizzo fraudolento di zucchero (miscelato con l’acqua).

Infatti, le partite di zucchero di barbabietola e zucchero di canna – acquistate in nero da azienda con sede in Palermo – giungevano presso la cantina sita a Monreale, gestita dal soggetto indagato principale, dove veniva effettuata la miscelazione con acqua, ottenendo così un composto liquido strumentale alla preparazione di falsi vini e mosti. Dopo la miscelazione, il prodotto liquido ottenuto era destinato alla commercializzazione presso attività di ristorazione e privati. Grazie alle videoriprese presso la cantina e alle indagini tecniche e telematiche sui cellulari degli indagati effettuate dalle Fiamme Gialle di Partinico ed alla parallela attività di analisi documentale, svolta unitamente ai funzionari dell’Ispettorato Repressione Frodi del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali per gli aspetti di specifica competenza, è stato possibile accertare che, tra il 2020 e il 2021, sono stati venduti oltre 4.000.000,00 di litri di prodotto vinoso a cantine vitivinicole e acetifici dislocati su tutto il territorio nazionale, risultati estranei alla frode agro-alimentare.

I finanzieri precisano: “La vasta operazione antifrode odierna testimonia il costante impegno della Guardia di Finanza nell’attività di contrasto agli illeciti economico finanziari che costituiscono un danno per l’Erario e per le imprese che operano nel rispetto delle leggi, assicurando nel contempo la tutela del made in Italy e del consumatore, grazie anche alla preziosa collaborazione assicurata dai funzionari dell’Unità Investigativa Centrale dell’ICQRF nella cornice del protocollo d’intesa stipulato il 22 luglio 2020 tra il Comando Generale della Guardia di Finanza e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali”.

Applicazione del Codice Antimafia per tre imprenditori con sequestro di 22 complessi aziendali e 800 milioni di euro

Sequestro di beni per oltre 800 milioni di euro a tre imprenditori
Codice Antimafia per tre imprenditori e sequestrati beni di oltre 800 milioni di euro

Catanzaro,

 Collaborati dal  Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata di Roma, i finanzieri del Comando Provinciale di Catanzaro ,coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno dato esecuzione al decreto con il quale il Tribunale di Catanzaro – Ufficio Misure di Prevenzione, ha disposto il sequestro, finalizzato all’applicazione della confisca prevista dal Codice Antimafia, del patrimonio, del valore di oltre 800 milioni di euro, riconducibili a tre fratelli, imprenditori lametini nel settore della grande distribuzione alimentare e proprietari di uno dei centri commerciali più grandi della Calabria.

Il sequestro di prevenzione ha riguardato: • n. 22 complessi aziendali, comprendenti:– un centro commerciale tra i più grandi della Calabria; – n. 19 ipermercati; – attività di commercio di autoveicoli e di rivendita di motocicli e ciclomotori;

– attività operanti nei settori: costruzione di edifici residenziali e non residenziali; intermediazione finanziaria; recupero e riciclaggio di cascami e rottami metallici; produzione di gelati; gestione di impianti polivalenti; locazioni immobiliari;

• partecipazioni, anche in forma totalitaria, in n. 34 società, attive nei settori della grande distribuzione alimentare, rivendita di autovetture, ottica, commercio al dettaglio di generi alimentari, ristorazione, immobiliare, ed anche le quote di partecipazione nella squadra di calcio “Vigor Lamezia” e nella squadra di volley “Pallavolo Lamezia”;

• n. 26 fabbricati e n. 2 ville di lusso; • n. 42 terreni; • n. 19 autoveicoli (tra i quali una Ferrari);• n. 4 motoveicoli di lusso;

• n. 1 ditta individuale, operante nel settore della ristorazione;• tutti i rapporti bancari intestati e/o riconducibili ai proposti e ai loro familiari.

Si tratta di un provvedimento di natura cautelare, adottato ex art. 20 d.lgs. 159/2011, dal Tribunale di Catanzaro nell’ambito del procedimento di prevenzione avviato con la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e di quella patrimoniale della confisca, sulla base delle complesse indagini di natura economico-patrimoniale svolte, anche con l’ausilio di sofisticati software, ad opera degli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria del capoluogo calabrese, volte a verificare la provenienza dell’ingente patrimonio riferibile ai destinatari del provvedimento e la sproporzione rispetto ai redditi dichiarati e alla attività lavorativa.

Il procedimento di prevenzione, volto alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale, è ancora in corso.

Le investigazioni riguardano le vicende patrimoniali e imprenditoriali della famiglia di origine dei tre imprenditori, fin dagli anni ‘80, e si sono avvalse anche delle risultanze investigative del p.p. n. 1002/2014 RGNR (già N. 1110/2009 RGNR), convenzionalmente denominato “ANDROMEDA”, ancora pendente in fase di giudizio anche nei confronti di uno dei tre imprenditori interessati dal provvedimento di sequestro di prevenzione, al quale è contestato anche il delitto di cui all’art. 416bis c.p.

Parte dei beni oggetto del sequestro di prevenzione era stata già interessata, nell’ambito del richiamato procedimento penale, dal sequestro preventivo, successivamente revocato.

 

Napoli e Caserta: stop alle attività mafiose, arresti di 6 persone che volevano affermare la propria egemonia

Elicottero, Carabinieri, Decollo
Carabinieri in elicottero

 

Nelle prime ore della mattinata odierna, nelle province di Caserta e Napoli, i Carabinieri del Reparto Territoriale di Mondragone hanno dato esecuzione alla misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di 6 persone (da ritenersi presunti innocenti in considerazione dell’attuale fase del procedimento fino a definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile) gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di rapina, estorsione, sequestro di persona, con le aggravanti di aver agito per motivi abbietti, in più persone, avvalendosi dell’uso di armi e di aver agito con metodo mafioso, ponendosi sul territorio di Castel Volturno in contrapposizione con affiliati al clan dei “Casalesi” al fine di affermarne la propria egemonia criminale.

I provvedimenti cautelari costituiscono l’epilogo di una complessa ed intensa attività investigativa condotta, dal settembre del 2021, dalla Sezione Operativa del NORM del Reparto Territoriale di Mondragone, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli.

Le investigazioni hanno consentito di documentare come uno dei destinatari del provvedimento, grazie alla disponibilità di una ingente somma di denaro e ad un agguerrito seguito di complici, che venivano cooptati con un vero e proprio rito di affiliazione nel corso del quale veniva consegnato loro un anello quale simbolo del loro vincolo associativo, pianificasse e realizzasse un preciso piano criminale affermando la propria leadership criminale in Castel Volturno.  

Gli episodi criminali contestati vanno dalle rapine alle estorsioni ed ai danneggiamenti a esercizi commerciali del luogo, fino ad arrivare a violenti pestaggi ed atti intimidatori perpetrati anche mediante l’uso di armi. In talune circostanze sono stati altresì esplosi numerosi colpi d’arma da fuoco e posti in essere sequestri di persona a scopo estorsivo nei confronti di “gestori” di piazze di spaccio, sempre al fine di affermare la propria egemonia su Castel Volturno.

Le perquisizioni eseguite nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti restrittivi, con l’impiego di unità cinofile hanno consentito di rinvenire armi nonché ulteriore materiale a riscontro delle risultanze investigative.

Operazione Antimafia dei Carabinieri in lotta contro le cosche di indrangheta

LE 5 ORGANIZZAZIONI CRIMINALI PIÙ POTENTI DEL MONDO - YouTube
Lotta alle cosche di indrangheta

 

 

La Direzione Investigativa Antimafia, su disposizione del Tribunale di Catanzaro, ha eseguito un provvedimento di sequestro di beni mobili ed immobili nella disponibilità di un imprenditore di origini calabresi stabilitosi da oltre 20 anni in provincia di Padova ed attualmente in regime di detenzione domiciliare.

Lo stesso era stato già colpito nell’ambito di una precedente operazione antimafia poiché ritenuto uomo di fiducia sul territorio padovano dell’associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetista della quale sarebbe stata partecipe e per la quale avrebbe fornito in via continuativa supporto logistico, economico ed investimenti imprenditoriali in provincia di Padova.

Il provvedimento trae origine dalle indagini coordinate dalle DDA di Catanzaro e Venezia, che hanno consentito di acclarare elementi relativi ad una pericolosità sociale sia generica che qualificata.

Le investigazioni avrebbero documentato incontri e rapporti con esponenti di spicco delle cosche di ‘ndrangheta, lasciando ipotizzare la costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e all’autoriciclaggio di denaro, quest’ultimi sarebbero stati perpetrati attraverso un articolato sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti i cui pagamenti sarebbero stati schermati grazie alla compiacenza di funzionari di Banca.

Con il provvedimento odierno sono stati posti in sequestro beni mobili registrati, una società operante nel settore delle costruzioni con sede in MILANO e posizioni finanziarie per un valore complessivo di circa 19.000 euro.
Il risultato operativo si inserisce nell’ambito delle attività Istituzionali finalizzate all’aggressione delle illecite ricchezze acquisite e riconducibili, direttamente o indirettamente, a contesti delinquenziali, agendo così a tutela e salvaguardia della parte sana del tessuto economico nazionale.

Operazione Free credit – Falsi crediti d’imposta per 440 milioni di euro , sismabonus e bonus facciate

Operazione Free credit - Maxi frode per 440 milioni di euro di falsi crediti locazioni, sismabonus e bonus facciate
Falsi crediti d’imposta- Scattono le denunce all’Autorità Giudiziaria

 

Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Rimini, coordinati dalla Procura della Repubblica di Rimini, con il supporto di 44 Reparti territorialmente competenti, nonché della componente aerea del Corpo, del supporto tecnico dello S.C.I.C.O e del Nucleo Speciale Frodi Tecnologiche, per un totale di oltre 200 militari, hanno dato avvio, alle prime luci dell’alba, ad una vasta operazione di polizia in Emilia Romagna ed in contemporanea in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.

In queste ore le Fiamme Gialle stanno eseguendo un provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Rimini con cui sono state disposte 35 misure cautelari personali di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari nonché 23 interdittive di cui 20 all’esercizio di impresa nei con-fronti di altrettanti imprenditori e 3 all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti, in quanto ritenuti componenti di un articolato sodalizio criminale con base operativa a Rimini ma ramificato in tutto il territorio nazionale, responsabile di aver creato e commercializzato per 440 milioni di euro falsi crediti di imposta, introdotti tra le misure di sostegno emanate dal Governo con il decreto rilancio (D.L. 34/2020), durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà.

In atto 80 perquisizioni ed il sequestro dei falsi crediti, di beni e assetti societari per il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato. Tra loro, in 9 avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e 3 avevano precedenti di polizia per associazione a delinquere di stampo mafioso.

L’associazione a delinquere, che secondo l’ipotesi investigativa è composta da 56 soggetti che si sono avvalsi di 22 prestanomi, ha un nucleo centrale di 12 persone, oggi sottoposti a misure cautelari custodiali, tra imprenditori e commercialisti.

L’indagine del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria trae origine da un attento esame della documentazione relativa ad una presunta “cessione di crediti d’imposta”, effettuata da una società coinvolta in altro procedimento penale per reati fallimentari. L’analisi sull’origine dei crediti effettuata tramite l’utilizzo delle banche dati operative in uso al Corpo incrociata con le indagini sul campo e la valorizzazione delle segnalazioni per operazioni sospette, ha consentito di appurare che gli stessi erano inesistenti per carenza di requisiti. Da lì è nato il nuovo filone investigativo che fin dallo scorso mese di giugno ha consentito il monitoraggio dell’organizzazione criminale fin quasi dalla sua genesi e in tutti i passaggi di sviluppo, verificando come la stessa fosse totalmente dedicata alla crea-zione e commercializzazione di falsi crediti di imposta, successivamente monetizzati cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa, portati in compensazione con conseguente danno finale alle casse dello Stato.

Gli esiti investigativi, suffragati dagli accertamenti bancari e dai dati pervenuti dall’Agenzia delle Entrate di Rimini e dalla Sogei S.p.A., hanno consentito di riscontrare l’esistenza del sopra menzionato sodalizio criminale, che ha operato secondo il seguente iter criminis comune alle tre casistiche di crediti d’imposta fittizi generati (Bonus locazioni, Sismabonus e Bonusfacciate):

  • tramite professionisti compiacenti, reperire società attive in grave difficoltà economica o ormai decotte, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta;
  • sostituire il rappresentante di diritto di tali società con un prestanome, da cui ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti;
  • inserire le comunicazioni dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi (persino oltre il 260.000%) o effettuato lavori edili mai iniziati, così da generare crediti di imposta non spettanti;
  • cedere i crediti d’imposta a società compiacenti e dopo il secondo passaggio a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione.

Neppure le recenti modifiche normative introdotte dal c.d. decreto antifrode n. 157/2021 hanno scoraggiato i membri dell’organizzazione criminale, che ha continuato a perpetra-re la truffa. Il profitto dei reati è stato:

  • investito in attività sia commerciali che immobiliari (subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e/o quote di partecipazioni societarie);
  • veicolato, attraverso una fatturazione di comodo, verso alcune società partenopee per essere monetizzate in contanti;
  • trasferito su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50.000 euro e prelevato in contanti presso vari bancomat;
  • impiegato per finanziarie società a Cipro, Malta, Madeira;
  • convertito in cripto valute;
  • investito in metalli preziosi ed in particolare nell’acquisto di lingotti d’oro.

In fase di esecuzione dei sequestri, ritenendo plausibile che alcuni indagati potessero fa-re ricorso a botole e intercapedini in cui custodire contanti e preziosi, sono stati impiegati i c.d. “cash dog”, unità cinofile addestrate a fiutare l’odore dei soldi.

 

La Procura milanese Antimafia e la Guardia di Finanza mettono in ginocchio -e agli arresti -famiglie “indranghetiste” che usavano metodi mafiosi

Operazione della procura distrettuale antimafia di Milano tra Lombardia, Calabria e Piemonte
Ordinanze di custodia cautelare a seguito dell’indagine della Gdi Finanza

 

 

È scattato alle prime luci dell’alba di oggi l’intervento dei militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Pavia che, con la collaborazione del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma e supportato da reparti della Lombardia, Piemonte e Calabria, stanno eseguendo, tra l’altro, 13 ordinanze di custodia cautelare emesse dal G.I.P. del Tribunale di Milano nei confronti di altrettanti soggetti alcuni dei quali sarebbero contigui a storiche famiglie ‘ndranghetiste originarie di Platì (RC) e radicatesi nel Nord Italia nei territori a cavallo tra le province di Pavia, Milano e Monza Brianza nonché nel torinese.

Le ipotesi investigative contestate agli odierni arrestati dalla Procura Distrettuale Antimafia milanese vanno, a vario titolo, dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti alla detenzione e porto di armi da sparo fino a episodi di estorsione perpetrati in Lombardia con l’aggravante del metodo mafioso.

Le Fiamme Gialle pavesi, con il supporto dei reparti territoriali, di decine di unità anti terrorismo pronto impiego (ATPI), l’impiego di unità cinofile e dei mezzi aerei del Corpo sono stati impegnati nella ricerca e cattura dei destinatari della misura interessando anche la roccaforte di Platì dove i principali responsabili del sodalizio si erano spostati, facendo poi la spola con la Lombardia.

L’attività investigativa, iniziata nella primavera del 2019 e conclusasi oggi con l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, è stata caratterizzata dal costante monitoraggio dei soggetti originari del Reggino e da tempo stanziati nei territori compresi tra le province di Pavia e Milano, dove avrebbero operato seguendo condotte tipicamente mafiose. Infatti, le attività investigative hanno registrato ripetute attività estorsive nei confronti di soggetti che ritardavano a pagare lo stupefacente, ricorrendo alla forza intimidatrice, sovente manifestata con la prospettazione nei confronti delle loro vittime di gravi conseguenze ove non avessero saldato i propri debiti nei tempi richiesti dai sodali. Il sodalizio indagato avrebbe trattato considerevoli quantitativi di stupefacente, del tipo cocaina e marijuana, immessi nella rete di distribuzione, vendita e consumo anche con l’intento di rifornire gruppi criminali a loro collegati della Lombardia, del Piemonte, della Liguria e in Toscana.

Non sarebbero risultate estranee a queste ultime dinamiche criminali alcune figure femminili, congiunte dei principali indagati, che pur svolgendo una funzione servente o secondaria, hanno comunque dato un contributo reale ed effettivo per la commissione dei reati. Infatti, in più occasioni, è stato rilevato il loro supporto durante le operazioni di prelievo, consegna e confezionamento dello stupefacente nonché durante le operazioni di conteggio dei proventi illeciti incassati.

Per una di loro, come per altri due fiancheggiatori del sodalizio, il GIP del Tribunale di Milano ha disposto la misura dell’obbligo di presentazione avanti alla P.G. e per un quarto la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel territorio del comune di residenza. Il clan, per supportare le proprie capacità operative, per perpetrare le estorsioni ed il traffico di droga o anche per fronteggiare qualsiasi tipo di minaccia proveniente dall’esterno del sodalizio, aveva la disponibilità di armi automatiche, come i noti mitragliatori Kalashnikov, riforniti da altra cellula calabrese collegata.

Al fine di rendere, poi, oltremodo difficile l’individuazione dei proventi delle attività delittuose così da poter sfuggire ad una eventuale aggressione patrimoniale da parte dello Stato, il sodalizio criminale avrebbe utilizzato società di servizi ed imprese edili, costituite ad hoc, ma di fatto inattive, che tramite l’emissione di fatture false avrebbero potuto occultare i proventi illeciti sfruttando anche la complicità di almeno un professionista per presentare bilanci e dichiarazione dei redditi opportunamente “adattati”. 

Operazione Petrolmafie s.p.a. -Reggio Calabria, Sequestro di n. 3 società dai profitti illeciti, n. 21 immobili, n. 8 tra automobili e moto

 

Grande attività investigativa dei finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dello S.C.I.C.O., che con  il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Dott. Giovanni Bombardieri, hanno dato corso, con il supporto dei Reparti del Corpo competenti per territorio, nelle province di Asti, Milano, Piacenza, Parma, Roma, Latina, Caserta, Napoli, Bari, Brindisi e Lecce ad un decreto emesso dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della medesima Procura della Repubblica con il quale è stato disposto il sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale di n. 3 società di capitali operanti nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, disponibilità finanziarie, beni mobili ed immobili, per un valore complessivo stimato in circa 15 milioni di euro.

L’operazione costituisce l’epilogo delle indagini condotte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria e dallo S.C.I.C.O., con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, a contrasto dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nel commercio, su ampia scala, degli idrocarburi.

L’attività investigativa svolta ha permesso di scoprire, allo stato degli atti e sotto il profilo della gravità indiziaria, l’esistenza di una struttura organizzata, attiva nel commercio di prodotti petroliferi, avente la finalità di evadere le imposte, in modo fraudolento e sistematico, sotto la direzione strategica di un commercialista campano e con la compiacenza di soggetti esercenti depositi fiscali e commerciali, avvalendosi del controllo capillare di tutta la filiera della distribuzione del prodotto, dal deposito fiscale ai distributori stradali.

Le investigazioni hanno altresì consentito, in questa fase del procedimento penale e fatte salve le necessarie conferme nel merito, di lumeggiare gli interessi della ‘ndrangheta, e di altre organizzazioni criminali siciliane e campane nella gestione del business del commercio di prodotti petroliferi – settore economico altamente remunerativo – sull’intero territorio nazionale, per il tramite di una vera e propria joint venture criminale volta alla massimizzazione dei profitti illeciti ai danni dello Stato e della libera concorrenza.

In particolare, le società investigate (cartiere), affermando fraudolentemente di possedere tutti i requisiti richiesti al fine di poter beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa di settore, presentavano ad un deposito fiscale ubicato nella provincia di Reggio Calabria – volano della frode – la relativa dichiarazione di intento per l’acquisto del prodotto petrolifero senza l’applicazione dell’I.V.A.. Il prodotto così acquistato, a seguito di diversi (e cartolari) passaggi societari, veniva poi ceduto, a prezzi concorrenziali, ad individuati clienti. Nel corso delle indagini è stato ricostruito un giro di false fatturazioni per un ammontare complessivo di oltre 600 milioni di euro ed IVA dovuta per oltre 130 milioni di euro, appurando l’omesso versamento di accise per 31 milioni di euro.

I proventi derivanti dalla frode venivano trasferiti verso una fitta rete di conti correnti controllati dall’organizzazione criminale, intestati a società di comodo o persone fisiche, da cui il denaro veniva in seguito trasferito verso società di comodo estere o prelevato in contanti e restituito (sempre in contanti) tanto ai membri dell’organizzazione quanto agli acquirenti del prodotto petrolifero.

I profitti illeciti, così ripartiti dai membri dell’organizzazione, venivano reinvestiti nel medesimo circuito criminale e/o impiegati in altre attività finanziarie/imprenditoriali così determinando un vorticoso giro di riciclaggio – autoriciclaggio, per un importo complessivo di oltre 173 milioni di euro. Parte di detto importo (per oltre 41 milioni di euro) veniva riciclato su conti correnti esteri riconducibili a società di comodo bulgare, rumene, croate ed ungheresi, per poi rientrare nella disponibilità dell’organizzazione medesima.

In tale contesto, nel mese di aprile 2021 veniva data esecuzione a provvedimenti cautelari personali, nei confronti di 23 persone (n. 19 in carcere e n. 4 agli arresti domiciliari) e reali. su un patrimonio complessivamente stimato in centinaia di milioni di euro.

I successivi approfondimenti esperiti hanno permesso di accertare, allo stato ed in via indiziaria, come il sodalizio investigato, parallelamente alle descritte attività, si fosse prodigato per l’acquisto di un ulteriore deposito fiscale con cui proseguire ed ampliare il disegno criminoso. Allo scopo, l’organizzazione, reimpiegando parte dei proventi illecitamente accumulati, ha rilevato, per il tramite di una società di comodo ubicata a Milano, un deposito fiscale con sede in Bari.

Analogamente, al fine di massimizzare i profitti connessi alla frode perpetrata, il sodalizio ha acquistato, facendo ricorso anche in tal caso a provviste illecite, un deposito commerciale insistente nella provincia di Parma.

Con l’operazione odierna si è proceduto, quindi, al sequestro dei citati compendi industriali, frutto del reimpiego dei proventi illeciti generati dalla consorteria criminale.