Operazione “Schiticchio”: la Guardia di Finanza disarticola sodalizi criminali e sequestra beni per oltre 150 milioni di euro

Palermo

 Provvedimento di sequestro patrimoniale del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Procura della Repubblica-Direzione Distrettuale Antimafia –  nei confronti di un noto imprenditore operante nel settore della grande distribuzione alimentare, per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro, eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale di Palermo.

Nell’imponente operazione sono stati impegnati oltre 100 militari del Nucleo di polizia economico – finanziaria di Palermo che hanno cautelato un rilevante compendio aziendale, quote societarie, immobili, conti correnti, polizze assicurative e autovetture, anche di lusso.

Oggetto del sequestro  una società, con sede legale a Milano, che gestisce 13 supermercati tra Palermo e provincia (Bagheria, Carini, Bolognetta, San Cipirello e Termini Imerese) che, come disposto nel citato provvedimento, viene contestualmente affidata ad un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Palermo, con il compito di garantire la continuità aziendale e mantenere i livelli occupazionali per preservare i diritti dei lavoratori, dei fornitori e della stessa utenza.

La ricostruzione operata dalla Procura della Repubblica- D.D.A. e accolta dai giudici della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale, sulla base degli accertamenti svolti dagli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, ha consentito di evidenziare il proposto, pur essendo incensurato, sia da ritenere un imprenditore colluso alla criminalità organizzata, posto che il medesimo, seppure non organicamente inserito nell’organizzazione criminale, ha sempre operato sotto l’ala protettiva di Cosa Nostra.

Si apprende che gli investigatori hanno dovuto analizzare e riscontrare le precise e puntuali dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, nonché valorizzare in chiave unitaria le risultanze investigative raccolte in diversi procedimenti penali; tale complessa ricostruzione ha consentito di evidenziare strutturati contatti del proposto con la famiglia mafiosa di Bagheria, e far emergere i vantaggi “imprenditoriali” di cui ha potuto beneficiare nel tempo.

Alla luce delle penetranti investigazioni svolte dalle Fiamme Gialle palermitane, il Tribunale ha ritenuto ricorrenti gli elementi per ritenere il proposto un soggetto socialmente pericoloso in quanto appartenente, anche se non partecipe, al sodalizio mafioso, alla luce della vicinanza con esponenti di vertice della consorteria bagherese, grazie alla quale l’imprenditore “colluso” è riuscito a: espandersi economicamente nel settore, acquisendo, avvalendosi di interventi di “Cosa nostra”, ulteriori attività commerciali; scoraggiare la concorrenza anche attraverso atti di danneggiamento; risolvere controversie sorte con alcuni soci, ottenendo in loro pregiudizio la possibilità di rilevare l’impresa contesa e beneficiando peraltro di una dilazione nei   pagamenti;evitare il pagamento del “pizzo” nella zona di Bagheria e, grazie alla mediazione mafiosa della locale famiglia, contrattare la “messa a posto” con altre articolazioni palermitane di “Cosa nostra”.

In una logica di reciproco vantaggio, il proposto ha remunerato con ingenti somme gli esponenti mafiosi, assumendo anche loro familiari nei propri punti vendita, quale riconoscimento del loro determinante intervento in momenti cruciali nel percorso di espansione commerciale dell’attività imprenditoriale.

Inoltre, le ricostruzioni operate sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Palermo, hanno consentito agli specialisti del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo di valorizzare anche la disponibilità manifestata dal proposto alla consorteria mafiosa di Bagheria di un appartamento per dare rifugio ad un mafioso di grosso calibro nell’ultimo periodo della latitanza.

Infatti proprio in coincidenza temporale con i più significativi interventi del sodalizio mafioso in favore della società attiva nella grande distribuzione, si è registrato una crescita esponenziale della società, che si è trasformata dall’iniziale impresa familiare in una realtà in forte sviluppo che ha incrementato costantemente il proprio volume d’affari arrivando a fatturare oltre 80 milioni di euro nel 2019.

Tenendo conto della ricostruita risalente vicinanza al sodalizio criminale, il Tribunale ha disposto il sequestro dell’intera attività imprenditoriale svolta dal proposto – qualificata come impresa mafiosa – e di tutto il patrimonio nella sua disponibilità.

Oltre al sequestro dell’interno compendio aziendale e delle quote sociali della citata società, sono stati cautelati e parimenti affidati ad un amministratore giudiziario affinché li gestisca nell’interesse della collettività: 7 immobili di cui una villa in zona Pagliarelli a Palermo; 61 rapporti bancari e 5 polizze assicurative; 16 autovetture, tra cui 2 Porsche Macan.

Continua l’azione che la Guardia di Finanza palermitana svolge, nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Palermo, a contrasto dei patrimoni di origine illecita con la duplice finalità di disarticolare in maniera radicale le organizzazioni criminali e di liberare l’economia legale da indebite infiltrazioni della criminalità consentendo agli imprenditori onesti di operare in regime di leale concorrenza.

Palermo, colpita Mafia nigeriana dedita alla prostituzione e alla droga

 

operazione Reggio Emilia

PALERMO

Operazione “Showdown”, Mafia nigeriana, questa mattina la Polizia di Stato di Palermo ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione di tipo mafioso, lesioni gravi, sfruttamento della prostituzione e spaccio di stupefacenti, nei confronti di 8 persone, mentre altre 3 sono ancora ricercate, appartenenti ai Vikings del capoluogo siciliano.

Negli anni passati, a seguito delle operazioni “Black Axe” e “No Fly Zone”, la squadra mobile  aveva scoperto l’esistenza di un altro secret cult denominato “Viking”, con una cellula operativa anche a Palermo.

La successiva operazione denominata “Disconnection Zone” del luglio 2019 consentì il fermo di 13 suoi componenti di vertice, così da scardinare la struttura dei Vikings o “Supreme Vikings Confraternity”, ai cui membri era stato contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.

I Vikings costituiscono un sodalizio criminale nato in Nigeria, poi diffusosi in diversi stati europei ed extraeuropei, caratterizzato dall’avere una struttura gerarchicamente organizzata e ramificata su tutto il territorio nazionale, con una forte capacità intimidatoria.

L’associazione criminale è prevalentemente dedita alla commissione di delitti contro la persona, soprattutto in occasione di scontri con i cult rivali per il controllo del territorio e la supremazia all’interno della comunità nigeriana, delitti in materia di stupefacenti e contro il patrimonio.

Scopo delle attività delittuose della compagine criminale è rendere più forte l’associazione, sia nei confronti degli associati che nei confronti della comunità nigeriana e degli altri gruppi criminali nigeriani.

Gli arresti di oggi hanno dato un duro colpo al gruppo dei Vikings palermitani in quanto nella rete dei poliziotti è finito anche il loro capo. Importante è stato anche l’arresto di due persone non affiliate al gruppo con un ruolo importante per il cult: uno è responsabile delle condotte violente e l’altro metteva a disposizione il proprio locale di ristorazione, nel cuore del quartiere rionale di “Ballarò”, per lo svolgimento di riunioni riservate ai soli appartenenti al sodalizio.

Ed è proprio all’interno del ristorante che è stata commessa una violenta aggressione nei confronti di un connazionale colpevole di non essersi voluto affiliare al cult.          

Durante le indagini, svolte anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, gli investigatori sono riusciti a dimostrare anche la presenza di numerose case di prostituzione nel centro storico di Palermo e di stranieri che si occupavano dello spaccio al dettaglio di eroina e cocaina.

Napoli, scoperti dalle Fiamme gialle, percepivano ndebitamente il Vitalizio previsto per i familiari vittime della criminalità Organizzata

 

 

 

Napoli nel mirino delle Fiamme gialle.Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo, emesso d’urgenza dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, di beni del valore di oltre 166.000 euro nei confronti di due donne, moglie e suocera di un affiliato al “clan Gionta”, sottoposte ad indagini per il reato di cui all’art. 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) per avere indebitamente percepito per 15 anni il vitalizio previsto per i familiari delle vittime della criminalità organizzata.

La vicenda trae origine dalla cd. “strage di Sant’Alessandro”, allorchè, il 26 agosto 1984, un “gruppo di fuoco” della criminalità organizzata, a bordo di un autobus turistico, davanti al circolo dei pescatori a Torre Annunziata, nel Quadrilatero delle carceri, aprì il fuoco, uccidendo otto persone e cagionando il ferimento di altre sette persone.

Diciotto anni dopo, nel febbraio 2002, la moglie e la figlia di una delle vittime della strage (A.F.) avevano ottenuto dal Ministero dell’Interno un assegno “vitalizio” in qualità di familiari delle vittime della Camorra, ai sensi della L. 407/1998.

Tale beneficio economico era però incompatibile con il fatto che la figlia della vittima dell’agguato, nel 1999, si era sposata con un esponente del “clan Gionta”, I.P., detenuto, a far data dal 18.1.2017, nel carcere di Secondigliano per i reati di cui agli artt. 416-bis, 628, 629 c.p., nonché condannato con sentenza definitiva in data 18.6.2018 per i reati di cui agli artt. 12-quinquies L. n. 306/1992 e 73 DPR 309/1990.

L’intervenuto matrimonio era stato taciuto dalla donna, per poter continuare a beneficiare del vitalizio.

Allorchè, nel 2009, la Prefettura aveva richiesto reiteratamente alle due donne di aggiornare le informazioni sulla loro situazione familiare, al fine di poter verificare la loro estraneità ad ambienti criminali, requisito previsto dalla Legge per poter beneficiare del vitalizio, le due beneficiarie avevano omesso di rispondere ed avevano simulato una separazione consensuale tra i coniugi omologata in data 18.5.2010 dal Tribunale di Torre Annunziata.

Le indagini, espletate dalla Guardia di Finanza, e coordinate dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, hanno consentito di accertare il carattere fittizio della separazione tra i coniugi, essendosi acclarato che, successivamente alla separazione, nel 2017, la coppia aveva avuto un’altra figlia e che la moglie (talvolta unitamente alla suocera) aveva continuato ad effettuare i colloqui con il marito nel carcere di Secondigliano, ove questi è tuttora ristretto.

L’importo del vitalizio indebitamente percepito dalle due donne sino alla data odierna è pari a 166.174,84 euro.

Il sequestro odierno da parte delle Fiamme Gialle, che stanno passando al vaglio le movimentazioni bancarie e finanziarie delle due donne, è stato reso possibile anche grazie alla stretta collaborazione con la Prefettura di Napoli.

La finanza scopre soggetti mafiosi che non avrebbero potuto accedere alla misura del sostegno familiare

Illeciti contro il reddito di cittadinanza - 120 perquisizioni e sequestri per oltre 1.180.000 euro

NAPOLI

I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, su delega delle Procure della Repubblica presso i Tribunali di Napoli, Napoli Nord, Nola e Torre Annunziata, stanno dando esecuzione a 120 perquisizioni nei confronti di soggetti che risultano aver percepito il reddito di cittadinanza indebitamente, in quanto condannati in via definitiva nell’ultimo decennio per il reato di associazione di tipo mafioso, e al sequestro preventivo delle somme ricevute dagli indagati nonché delle carte prepagate, utilizzate per l’erogazione del beneficio.

L’attività investigativa, sotto la direzione delle citate Procure, è stata effettuata dai militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Napoli e del Gruppo di Torre Annunziata, mediante un’accurata analisi orientata a verificare i requisiti per la legittima percezione del beneficio. È stato così possibile individuare centinaia di domande presentate dai soggetti residenti nella provincia di Napoli nonostante la sussistenza di cause impeditive.

Come noto, infatti, il reddito di cittadinanza è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, all’atto della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di particolari requisiti di cittadinanza, residenza, soggiorno, reddituali e patrimoniali, nonché di ulteriori presupposti di compatibilità (tra i quali la mancanza di condanna definitiva, intervenuta nei 10 anni precedenti la richiesta, per il reato, tra gli altri, di associazione di tipo mafioso).

In particolare, nel corso delle indagini sono state accertate l’omissione di informazioni dovute e la non veridicità dei dati autocertificati nelle domande di reddito di cittadinanza, presentate da coloro che, essendo stati condannati per il reato di associazione mafiosa, non avrebbero potuto, in alcun modo, accedere alla misura di sostegno al reddito familiare. All’esito degli accertamenti condotti, le Autorità Giudiziarie interessate hanno disposto le 120 perquisizioni in corso di svolgimento, volte a sottoporre a sequestro le somme indebitamente percepite dagli indagati, a titolo di reddito di cittadinanza, per un ammontare complessivo pari ad oltre 1.180.000 euro, nel periodo compreso da aprile 2019 a gennaio 2021.

L’operazione ha richiesto un massiccio impiego di forze quantificabile in oltre 500 militari del Comando Provinciale con l’ausilio anche dei baschi verdi. Nel corso delle attività sono state sottoposte a sequestro le disponibilità finanziarie degli indagati, rinvenute sia sui conti correnti a loro riconducibili, sia presso le rispettive abitazioni, intervenendo nelle diverse zone della città partenopea, tra le quali Scampia, Secondigliano, Barra, Ponticelli e Chiaiano, nonché nelle altre località della provincia di Napoli, tra cui, Ercolano, Portici, Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia, Casalnuovo di Napoli, Somma Vesuviana, Acerra, Pollena Trocchia, Giugliano, Casoria, Caivano, Sant’Antimo, Afragola, Marigliano e Cicciano.

archivi

Mega- Yacht di lusso sequestrato ad imprenditore: “sproporzione tra i redditi dichiarati e i costi della lussuosa imbarcazione”

 

L’intuito dei finanzieri del Comando Provinciale di Milano ha consentito di procedere all’esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza emesso dalla Procura della Repubblica di Milano – Sost. Proc. dott. Ernesto Giordano BAGGIO e dott. Paolo STORARI – e avente ad oggetto uno yacht di lusso, ormeggiato al porto di Genova e battente bandiera britannica, oltre a 1,5 milioni di euro circa depositati sui conti correnti societari e personali, nei confronti di imprenditori, a capo di un gruppo attivo nel settore della produzione di materiali edili.

Le indagini di polizia giudiziaria delegate al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano, nel cui ambito sono confluite anche risultanze acquisite nel corso di attività ispettive condotte dall’Agenzia delle Entrate, hanno consentito di far emergere un complesso meccanismo di frode fiscale posto in essere mediante il ricorso sistematico a false fatturazioni di prestazioni pubblicitarie e funzionale alla commissione di condotte di auto-riciclaggio, attraverso l’interposizione di società straniere.

Nel corso delle attività è emerso che gli indagati, grazie alla complicità di un sodalizio criminale composto da professionisti ed altri imprenditori, italiani ed esteri, hanno impiegato somme di denaro, provento di frode fiscale, veicolandole verso società off-shore con sede in Croazia, Svizzera, Principato di Monaco e Panama, funzionali all’acquisito e alla gestione della predetta imbarcazione.

Le indagini di natura finanziaria e documentale hanno consentito di accertare la titolarità effettiva del mega-yacht in capo ad uno degli imprenditori indagati, opportunamente “schermata” nel tempo da veicoli societari con sede nel Regno Unito, con conti in Svizzera e a Malta, nonché di dimostrare la sproporzione tra i redditi dichiarati dal medesimo negli ultimi 15 anni e i costi sostenuti per l’acquisto e la gestione dell’imbarcazione nello stesso arco temporale, pari ad oltre 30 milioni di euro.

Sanzionato per violazione delle norme antiCovid, giovane lancia bottiglie incendiarie contro la stazione dei militari

 

Costa molto caro ad un  giovane di 21 anni , sanzionato dai Carabinieri per violazione norme antivirus, pensare di vendicarsi con la fabbricazione di ordigni incendiari.       Il giovane incensurato è stato fermato a Campofiorito con l’accusa di avere lanciato tre bottiglie incendiarie contro la locale stazione dei carabinieri. E’ successo ieri notte. I militari lo hanno incastrato al termine di accurate indagini, scoprendo che era stato verbalizzato a Brancaccio per inosservanza delle norme in vigore contro la pandemia

. Il 21enne (D.C. le sue iniziali) residente a Campofiorito, è stato tratto in arresto  perché ritenuto “responsabile della fabbricazione e del lancio delle bottiglie”. 

“Il riconoscimento del giovane – comunicano i Carabinieri – è avvenuto attraverso la visione dei filmati, dopo la quale è scattata una perquisizione in casa. Sono stati acquisiti ulteriori elementi utili a configiruare a suo carico reati di fabbricazione e porti di armi da guerra e danneggiamento aggravato seguito da incendio”.

Il ragazzo, sottoposto “a fermo di indiziato delitto della polizia giudiziaria”, è stato portato in carcere a Termini Imerese in attesa dell’udienza di convalida del Gip. Sono in corso indagini per accertare l’eventuale coinvolgimento del giovane in altri episodi simili avvenuti a Campofiorito negli ultimi giorni. Il 21enne – si tratta di un disoccupato che risulta incensurato – lo scorso novembre era stato fermato dai carabinieri a Brancaccio ed era stato multato per la violazione delle norme anti Covid.

 

Smantellata un’organizzazione operante in diverse Regioni d’Italia che distribuiva dispositivi di decodificazione e fruire così di qualsiasi contenuto televisivo

Intervento della Guardia di Finanza nel contrasto ad ogni forma di violazione del diritto d’autore.I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Milano, coordinati dalla Procura della Repubblica di Milano (Procuratore Aggiunto, Dott. Eugenio Fusco – Sostituto Procuratore, Dott.ssa Paola Pirotta), hanno eseguito un sequestro preventivo mediante inibizione all’accesso a un network di piattaforme digitali, attraverso il quale era consentito a oltre 50.000 utenti l’accesso a contenuti televisivi fruibili tramite Internet Protocol Television (IPTV), peculiare sistema criptato di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche.

Le indagini, condotte dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano e dalla Squadra Reati Informatici della locale Procura della Repubblica, sono partite ed hanno sviluppato gli esiti di preliminari accertamenti eseguiti da SKY ITALIA e dalla LEGA NAZIONALE PROFESSIONISTI SERIE A per individuare servizi pirata on line che consentivano la fruizione di contenuti televisivi diffusi mediante segnali video digitali criptati.

Le successive investigazioni hanno rivelato l’esistenza di un’articolata organizzazione, operante in diverse regioni del territorio nazionale, dedita alla vendita e distribuzione di dispositivi di decodificazione idonei a permettere l’accesso al servizio criptato IPTV per fruire di contenuti televisivi, senza il pagamento del canone dovuto; i fruitori del servizio pirata ottenevano dall’organizzazione anche assistenza tecnica per la manutenzione dei dispositivi elettronici. Le attività di polizia economico-finanziaria, rese maggiormente complesse dall’impiego, da parte degli indagati, di sistemi VPN (Virtual Private Network) per anonimizzare le comunicazioni, hanno portato alla denuncia di 3 soggetti per il reato previsto dall’art. 171-ter della Legge sul diritto d’autore; ulteriori approfondimenti sono in corso al fine di identificare compiutamente i singoli utenti destinatari dell’IPTV illegale.

Le indagini condotte confermano l’impegno quotidiano della Guardia di Finanza nel contrasto ad ogni forma di violazione del diritto d’autore, a tutela delle imprese e dei cittadini onesti.

SMANTELLATO DALLA GUARDIA DI FINANZA UN “STRUTTURATO SISTEMA ILLECITO DI MATRIMONI “FITTIZI” PER FAVORIRE EXTRACOMUNITARI

MESSINA

Carte di soggiorno con matrimoni fittizi. Le Fiamme gialle di Messina hanno decapitato l’organizzazione specialista in questi “affari” e notificato un’ordinanza di custodia cautelare a 16 soggetti (5 dei quali in carcere e 11 agli arresti domiciliari), promotori e membri di due gruppi criminali, con base a Messina, dediti al favoreggiamento dell’ingresso/permanenza clandestina di cittadini extracomunitari irregolari sul territorio italiano.

Le indagini, condotte dagli specialisti del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina, sotto la direzione della Procura Distrettuale Antimafia peloritana, hanno permesso di far luce su uno strutturato sistema illecito, finalizzato all’organizzazione di matrimoni fittizi tra cittadini italiani e stranieri (marocchini, algerini e tunisini), con lo scopo di conseguire la carta di soggiorno per motivi di famiglia, essenziale per l’ingresso e/o la permanenza nel territorio dello Stato italiano, ovvero per “sanare” la posizione di quelli destinatari di Decreti di Espulsione dal territorio dello Stato, già emanati dalla Prefettura e resi esecutivi dalla Questura.

FALSE DICHIARAZIONI SULLE QUALITA’ PERSONALI- INDAGINI – MATRIMONI “MISTI” E RIPETITIVITA’ DI TESTIMONI DI NOZZE

Gli inquirenti spiegano anche che le investigazioni trovavano la loro genesi in singolari false dichiarazioni rese da cittadini italiani a pubblici ufficiali sulle loro qualità personali, con specifico riferimento allo status di celibe/nubile. Venivano pertanto avviati mirati approfondimenti che permettevano di rilevare, sin da subito, anomale ricorrenze rispetto a numerosi cd. “matrimoni misti”: ripetitività di testimoni di nozze e/o interpreti stranieri, reiterate parentele tra testimoni e sposi, tali da ipotizzare l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere tesa all’organizzazione illecita dei citati matrimoni.

Quanto ipotizzato trovava, quindi, puntuale riscontro all’esito di più penetranti attività di polizia giudiziaria, disposte dalla Procura della Repubblica di Messina, anche attraverso indagini tecniche ed acquisizioni documentali. Nel dettaglio, emergeva l’inequivoca operatività di due collaudate organizzazioni criminali, da tempo attive a Messina e con consolidate ramificazioni in Marocco, facenti capo a due cittadini marocchini: E.A.A. detto Samir cl. 84 e C.A. detto Abramo cl. 69.

Erano proprio i due marocchini, infatti, che si occupavano, nello specifico, di organizzare i viaggi in Marocco degli sposi fittizi, di assistere i promessi sposi durante il disbrigo di tutte le pratiche burocratiche, antecedenti e successive, al fittizio matrimonio: dalle pubblicazioni al rito nuziale, sino alla fase finale allorquando, ottenuto l’illecito scopo, si procedeva alla separazione ed al divorzio.

I due wedding planner internazionali, tuttavia, non operavano da soli, potendo contare su una strutturata organizzazione, articolata su più livelli, con ruoli interscambiabili in funzione delle necessità:

  • un primo livello, costituito da fidati collaboratori, tutti marocchini, E.H.O. cl. 83, E.Y. cl. 90, S.K.O. cl. 83, E.F.R. cl. 65, R.I. cl. 71 e E.A.E.H. cl. 78, incaricati: di reclutare i falsi sposi (allorquando contattati da altri marocchini in cerca di una falsa sposa, i dialoganti si attivavano riferendosi alle donne italiane come “pecore” “…c’è un signore che mi ha chiesto se c’è qualche pecora…un signore qui a Messina, c’è un suo amico che vuole venire…”);
    • di curare l’adempimento delle procedure burocratiche relative alla preparazione del matrimonio e alle successive fasi necessarie per l’ottenimento della documentazione a favore dei cittadini extracomunitari.

In tale ambito, si inseriscono stabili riferimenti anche in territorio marocchino, deputati a coadiuvare l’attività di rilascio dei documenti necessari alla celebrazione dei matrimoni in Marocco, presso il Consolato Generale d’Italia a Casablanca, quali la cittadina marocchina Z.L. detta Sara cl. 69 e la figlia L.M. cl. 94;

  • un secondo livello, composto da affezionati testimoni di nozze e interpreti; un terzo livello, infine, rappresentato da una fitta rete di soggetti italiani, principalmente donne, versanti in condizioni disagiate (“…perché il lupo quando ha fame esce dalla tana…”, così si esprimeva un indagato per sollecitare l’accettazione del matrimonio fittizio rivolgendosi ad una donna che mostrava segni di resipiscenza), che venivano coinvolte, dapprima, per essere destinate a false nozze, per poi, successivamente, divenire volano per nuovi illeciti affari, quali reclutatori di ulteriori soggetti da indirizzare verso ulteriori matrimoni falsi: gli italiani T.A. cl. 75, B.L. cl. 65, V.R. cl. 91, O.A. cl. 95, A.A. cl. 92, G.S. cl. 97, A.E. cl. 97.

Colpisce, sul punto, l’assoluta assenza di qualsiasi senso dello Stato da parte dei connazionali, c he  non esitano a minimizzare l’illiceità dei loro comportamenti, ritenendo come il tutto si riduca ad un mero “foglio” su cui apporre qualche firma, per far ottenere “la cittadinanza italiana” a chi non ne ha diritto.

 

In altre parole, le Fiamme Gialle peloritane hanno riscontrato come nulla venisse lasciato al caso, in una spirale infinita dell’illecito, sicuramente in essere dal 2016 e tuttora attivo. Prima di giungere alla stipula del contratto di matrimonio, infatti, si riscontrava come gli organizzatori adottassero ogni possibile cautela per accreditare la fittizia convivenza dei novelli sposi: di qui la necessità di individuare un locale da adibire ad “abitazione coniugale”, in modo che entrambi i coniugi vi portassero la rispettiva residenza anagrafica. A tal riguardo, erano gli stessi capi a dare consigli su come comportarsi con gli accertatori dei Vigili Urbani durante la verifica della convivenza.

IL  MATRIMONIO NON RICHIEDEVA -OVVIAMENTE – ALCUN FESTEGGIAMENTO

Proseguendo, dopo la celebrazione del matrimonio, che non prevedeva, ovviamente, alcun festeggiamento (tranne per qualche sporadico caso in cui è stata simulata una festicciola fittizia), l’extracomunitario richiedeva il permesso di soggiorno al competente Ufficio della Questura di Messina. Il personale dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Messina, quindi, al fine di vagliare la richiesta, di norma, chiamava la coppia per rivolgere alcune domande in merito al loro rapporto, alla loro conoscenza e quant’altro utile a verificare la veridicità dell’unione coniugale.

Anche su tale aspetto, forti del consolidato know how acquisito, gli organizzatori intervenivano direttamente, giungendo ad indottrinare i coniugi sulle risposte da fornire. Finanche l’acquisto delle fedi nuziali, reperite al costo di 1 € da negozi cinesi, era gestito dall’organizzazione, per essere poi fornite agli sposi. Parimenti, si documentava come tutto avesse uno specifico costo standardizzato, secondo un tariffario prestabilito: € 10.000,00 circa corrisposti dallo straniero all’organizzazione, in contanti o attraverso i servizi di Money Transfer, materialmente eseguiti da soggetti apparentemente non coinvolti nella vicenda ma contigui ai membri del sodalizio criminale; € 2.000,00/3.000,00 allo sposo/a fittizio; somme inferiori per intermediari, testimoni di nozze ed interprete, il tutto per un giro d’affari documentato nel corso delle indagini pari ad oltre € 160.000,00. Per il tramite dei competenti Uffici centrali del Comando Generale della Guardia di Finanza e del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale, uno dei soggetti destinatari del provvedimento è stato localizzato in Germania, precisamente nella zona di Francoforte sul Meno, dove sono in corso analoghe operazioni a cura del collaterale organismo di polizia, con l’esecuzione di specifico Mandato d’Arresto Europeo richiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina.

IN  AZIONE ANCHE L’ELICOTTERO  “VOLPE” DELLA GUARDIA DI FINANZA DI PALERMO

La fase esecutiva vede la partecipazione, altresì, delle unità cinofile del Gruppo della Guardia di Finanza di Messina e dell’elicottero “Volpe 311” della Sezione Aerea del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo.

Con l’operazione odierna, il Tribunale, la Direzione Distrettuale Antimafia e la Guardia di Finanza di Messina, hanno assicurato alla giustizia due agguerrite organizzazioni criminali, connotate da “allarmante professionalità e vorticosa ripetitività”, dedite al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ovvero all’illecito ingresso/permanenza nel territorio dello Stato di soggetti non aventi alcun titolo idoneo, recuperando un ampio spazio di legalità, ora restituito alla collettività onesta.

Napoli, indagini dei Carabinieri. le acque del fiume Sarno sono nocive alla salute dell’uomo

Sarno (fiume) - Wikipedia

Napoli
Nella mattinata odierna i Carabinieri del Comando Gruppo per la Tutela Ambientale di Napoli, su delega della Procura della Repubblica, nell’ambito delle indagini finalizzate ad accertare le cause e il grado dell’inquinamento del fiume Sarno e del litorale stabiese, stanno eseguendo una serie di controlli presso gli uffici di due Comuni i cui territori sono attraversati dal citato corso d’acqua.

L’attività investigativa in corso fa seguito ad una prima fase di controlli, tuttora in atto, da parte dei Carabinieri del Comando Gruppo per la Tutela Ambientale di Napoli, nei confronti sia delle aziende che di altri Comuni ubicati nel territorio compreso nel bacino idrografico del fiume Sarno e si inserisce nel più ampio contesto delle indagini finalizzate ad accertare e a rimuovere le cause dell’inquinamento di detto fiume.

Nel corso delle indagini sin qui condotte dai Carabinieri del Comando Gruppo per la Tutela Ambientale di Napoli, unitamente ai Gruppi Carabinieri Forestali di Napoli, Salerno e Avellino,  e coordinate dalle Procure della Repubblica di Avellino, Nocera Inferiore e Torre Annunziata, dall’esame dei risultati delle analisi dei campioni d’acqua del fiume Sarno, effettuati dall’ARPA Campania, è emerso che, con riferimento al parametro batteriologico  dell’Escherichia Coli, sono stati riscontrati, lungo tutto il corso del fiume, valori di concentrazione elevati che eccedono di gran lunga il limite massimo fissato normativamente, tanto da rendere impossibile, per lo strumento di analisi utilizzato, rilevarne l’esatto valore, soprattutto in prossimità della foce del fiume.

Si tratta di uno degli elementi di pressione ambientale, caratteristico della contaminazione fecale, proveniente dagli scarichi dei servizi igienici delle abitazioni e degli opifici industriali, la cui presenza in livelli di concentrazione così elevati rappresenta un importante bioindicatore della compromissione della salute delle acque e assume particolare rilevanza per le possibili conseguenze negative sulla salute dell’uomo e/o degli animali, trattandosi di germi patogeni in grado di provocare patologie attraverso il circuito oro-fecale.

L’ulteriore sviluppo delle indagini ha consentito di accertare che numerosi Comuni rientranti nel bacino idrografico del fiume Sarno risultano allo stato privi di collettamento agli impianti di depurazione esistenti o addirittura privi di una propria rete fognaria, con la conseguenza che i reflui domestici vengono riversati direttamente nel corso d’acqua, contribuendo al grave inquinamento sia del fiume che dell’area marina prospiciente la foce dello stesso.

L’attività investigativa delegata ai Carabinieri dalle Procure della Repubblica di Nocera Inferiore e Torre Annunziata è diretta ad avere un quadro ricognitivo completo dell’attuale stato di inquinamento del fiume Sarno derivante dai reflui domestici non depurati, attraverso un approfondimento in ordine alle modalità di gestione delle acque reflue da parte dei Comuni e allo stato di avanzamento delle opere fognarie e dei collettori di collegamento alle reti fognarie dei depuratori esistenti.

La stessa, dopo aver riguardato in data 5.11.2020 i Comuni di Angri, Sarno, Scafati, Poggiomarino, Striano e Santa Maria la Carità e in data 17.11.2020 i Comuni di Corbara, Nocera Inferiore, Mercato San Severino, Boscoreale, Torre del Greco e Torre Annunziata, attualmente riguarda i Comuni di Pompei e Castellammare di Stabia.

L’attività investigativa odierna è diretta:  – a verificare la completa realizzazione delle reti fognarie;
– ad accertare le cause del mancato collettamento delle reti fognarie esistenti ai depuratori comprensoriali;
– a verificare l’eventuale stanziamento di fondi pubblici per la realizzazione di tali opere e le modalità di utilizzo degli stessi.

In particolare, per i comuni di Castellammare di Stabia e Pompei, dotati solo in parte di reti fognarie, gli accertamenti in corso riguardano i lavori di completamento delle opere fognarie ed il loro collegamento al depuratore “Foce Sarno” che, ad ultimazione avvenuta, consentiranno l’eliminazione degli scarichi delle acque reflue domestiche nell’ambiente, attualmente ancora esistenti.

 

Agrigento: sgominata dai Carabinieri banda di “Rom”per numerosi furti in abitazioni

 

Ardea, ennesima notte di furti e paura a Nuova Florida - Il Faro Online

 

Al termine di una lunga ed articolata indagine volta al contrasto di reati predatori, i Carabinieri della Compagnia di Agrigento, su disposizione della locale Procura, hanno arrestato cinque cittadini di etnia Rom, responsabili di aver commesso venti furti in abitazione. L’ organizzazione criminale, che aveva stabilito la base logistica presso un’abitazione di Agrigento, partiva per raggiungere le località da depredare, svuotando ville isolate e poco frequentate.
Le indagini sono iniziate a seguito di furti avvenuti ad inizio 2019 ad Agrigento, nelle località di San Leone, Villaggio Mosè e Montaperto, fino ad interessare altri paesi circostanti, nonché le province di Caltanissetta ed Enna: i ladri, forzando porte e finestre con guanti e passamontagna, riuscivano ad introdursi all’interno delle abitazioni sottraendo oro, gioielli di valore, computer, persino armi legalmente custodite in cassaforte. I Carabinieri hanno lavorato incessantemente per più di un anno e mezzo, visionando sia le telecamere installate nei centri cittadini, che nelle case private. L’attività investigativa ha dunque permesso di  accertare un vero e proprio sodalizio di stanza ad Agrigento, un consolidato gruppo dove ognuno aveva il suo compito: prima di ogni furto, osservavano con attenzione villette isolate e, nell’ arco temporale di assenza dei proprietari, facevano irruzione.
Al termine quindi delle indagini, sono stati raccolti molteplici elementi in capo all’organizzazione criminale che, con sistematica regolarità e modalità violente e spregiudicate, hanno perpetrato almeno 20 furti in abitazione, a volte scardinando con mazze ferrate le casseforti custodite all’interno delle stanze da letto. La Procura della Repubblica di Agrigento ha così disposto cinque fermi di indiziato di delitto, eseguiti dall’ Arma la notte trascorsa nelle città di Palermo ed Agrigento. Nel corso delle perquisizioni domiciliari è stata rinvenuta refurtiva, monili in oro, tablet e pc, oggetti preziosi ed orologi, verosimile bottino di furti commessi nei mesi precedenti.
Gli arrestati sono stati condotti nelle case circondariali di Agrigento, Sciacca (AG) e Termini Imerese (PA). Gli stessi, dell’età compresa tra i 25 e 40 anni, più uno di 60 anni, sono tutti gravati da precedenti per reati specifici.
Già da questa mattina sono state individuate diverse vittime dei furti e la refurtiva riconosciuta è stata loro restituita. Proseguono le indagini per verificare correlazioni tra furti avvenuti nei mesi scorsi e gli arrestati, nonché per il rintraccio delle vittime e la restituzione dei beni rubati.
L’operazione odierna segna dunque un punto fermo nel contrasto ai reati predatori, soprattutto in prossimità del periodo natalizio, già segnato dalle tante difficoltà dovute al persistere del Coronavirus.