Ucciso nella sua abitazione privata Jovenel Moise presidente di Haiti

alternate text

Ag.

Il presidente di Haiti Jovenel Moise è stato assassinato nella sua abitazione dopo che un gruppo di persone armate non identificate ha preso d’assalto la sua residenza privata. Neanche la moglie di Moise e first lady di Haiti, Martine, sarebbe sopravvissuta all’agguato. Trasportata urgentemente in ospedale, la donna sarebbe deceduta questa mattina. 

Jovenel Moise, 53 anni, era al potere dal febbraio 2017, dopo le dimissioni del suo predecessore Michel Martelly. Durante la sua presidenza, Moise ha dovuto affrontare accuse di corruzione e ondate di proteste antigovernative spesso violente.

Moise aveva fortemente sostenuto il referendum costituzionale che si dovrebbe tenere a settembre e che è stato ampiamente contestato dall’opposizione e da molte organizzazioni della società civile. La Costituzione attualmente in vigore a Haiti è stata redatta nel 1987 dopo la caduta della dittatura di Duvalier e dichiara che “è formalmente vietata qualsiasi consultazione popolare volta a modificare la Costituzione mediante referendum”.

Joseph ha rivolto alla popolazione un appello alla calma dopo l’uccisione del presidente, chiarendo che spetta all’esercito e alla polizia far rispettare l’ordine e condannando ”questo atto barbaro, disumano e atroce”.

Il premier ad interim ha chiesto alla popolazione di Haiti di restare ”calma” e spiegato che ”la situazione della sicurezza nel paese è sotto il controllo della polizia nazionale e delle forze armate haitiane”.

”Sono stati compiuti i passi necessari per garantire la continuità dello Stato”, ha assicurato Joseph, annunciando che assumerà la guida del Paese dopo l’assassinio del presidente nel quartiere Pelerin a Port-au-Prince.

Il premier Joseph avrebbe dovuto essere sostituito dal presidente Moise proprio questa settimana, dopo solo tre mesi in carica.

La Casa Bianca ha definito ”orribile” e ”tragico” l’omicidio di Moise. Durante un’intervista a Msnbc, la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki ha spiegato che il presidente americano Joe Biden verrà informato sull’accaduto dal suo team per la sicurezza nazionale, mentre si stanno ancora raccogliendo elementi per comprendere la dinamica.

Operazione Gulasch: false fatturazioni e indebite percezioni di finanziamenti pubblici

 

Operazione Gulasch - False fatturazioni ed evasioni fiscali

 

PALERMO

Su delega della Procura della Repubblica di Termini Imerese i finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo hanno dato esecuzione ad un provvedimento con cui il GIP del Tribunale termitano ha disposto il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili fino alla concorrenza di 6,4 milioni di euro, pari all’IVA ed alle imposte sui redditi complessivamente evase dagli indagati mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Il provvedimento in parola deriva dallo sviluppo delle indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo che a marzo del 2020 hanno portato all’esecuzione di 24 misure cautelari personali per le ipotesi di reato, tra le altre, di associazione a delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in relazione all’indebita percezione di finanziamenti erogati dall’Unione Europea e dalla Regione Siciliana nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale per un valore di oltre 15 milioni di euro.

Nei mesi successivi, la Procura della Repubblica di Termini Imerese – che nel frattempo ha emesso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e ha formulato apposita richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 36 imputati – ha chiesto al competente GIP anche il sequestro preventivo dei vantaggi patrimoniali conseguiti attraverso l’utilizzo di false fatturazioni.

In base a quanto emerso allo stato delle indagini, il ricorso sistematico a fatture false da parte del sodalizio riconducibile a due imprenditori di Belmonte Mezzagno era finalizzato a documentare costi in realtà non sostenuti in tutto o in parte per la realizzazione di programmi di investimento (ammodernamento aziende agricole, realizzazione di un mattatoio e di un complesso agro-industriale) al fine di ottenere: i rilevanti contributi europei e nazionali facendo gravare l’investimento completamente sui bilanci pubblici; un vantaggio fiscale connesso a un indebito risparmio di imposta.

Gli approfondimenti eseguiti dalle Fiamme Gialle palermitane, infatti, hanno fatto emergere l’utilizzo in dichiarazione delle fatture false con una conseguente evasione delle imposte sui redditi e dell’IVA per un importo complessivo pari a circa 6,4 milioni di euro.

Prosegue incessante l’azione della Guardia di Finanza di Palermo, coordinata dalla Procura della Repubblica di Termini Imerese, a contrasto delle frodi fiscali che, oltre a sottrarre ingenti risorse finanziarie allo Stato, alterano le regole del mercato e danneggiano gli imprenditori onesti e rispettosi delle regole.

 

Un destino avverso cancella di colpo 14 vite umane

 

Video Vigili del fuoco del luogo

 

Funivia, destino amaro.Sono ora 14 le vittime dello schianto. Un “giorno di grande tristezza, tutto il Paese,il ministero già ieri sera ha istituto una commissione che si aggiunge alle indagini della magistratura” annuncia spiegando che non mancherà “l’impegno di tutte le istituzioni non solo per evitare che questo accada ancora, ma per aiutare chi è stato colpito”. “Fin da ieri tutte le istituzioni hanno reagito in maniera straordinariamente rapida, efficiente e coordinata”. “L’assistenza ai familiari (delle vittime e dell’unico sopravvissuto, ndr.) in questo momento è cruciale, le azioni che sono state messe in atto non devono terminare”.

Tragedia della funivia del Mottarone | Le ipotesi sulle cause dell'incidente,  quella revisione di 6 mesi fa, la gestione dell'impianto - Il Fatto  Quotidiano

La Procura di Verbania

Oltre alla Commissione governativa, la Procura di Verbania tenterà di capire le cause leggendo la documentazione richiesta al sindaco completa degli atti del bando e della relativa manutenzione. I primi accertamenti irripetibili sul cavo trainante, che si è spezzato e sul sistema frenante di sicurezza che non sarebbe entrato in funzione, potrebbero essere affidati a breve ad alcuni periti.

 

Incidente funivia Mottarone: cabina precipita nel vuoto, 14 morti (anche  bambini) - Il Mattino.it

Presunti problemi sui dispositivi di sicurezza che potrebbero essere la causa della caduta della cabinovia, sebbene la manutenzione dell’impianto sembrerebbe in regola. Gli accertamenti riguarderanno anche la cabina di comando, la Procura di Verbania che procede per omicidio colposo plurimo non vuole tralasciare nulla….

A breve la Procura potrebbe procedere alle prime iscrizioni nel registro degli indagati per consentire gli accertamenti irripetibili che richiedono la presenza dei consulenti di parte.

 

Vittime funivia Mottarone: chi sono i turisti coinvolti nell'incidente - la  Repubblica

Alcune delle vittime della tragedia : erano giovani e felici

Il bimbo sopravvissuto

Sono gravi ma stabili le condizioni del bimbo di 5 anni rimasto, invece, ferito nello schianto della funivia. “Le condizioni sono stabili” ha ribadito il direttore generale della Città della Salute di Torino, Giovanni La Valle. “In questo momento è monitorato, resta in prognosi riservata e lo resterà per le prossime 48 ore”. “Un dramma nel dramma”. “La giornata di ieri è stata difficile dal punto di vista empatico ed emozionale, nonostante in ospedale si vedano tutti i giorni situazioni particolarmente drammatiche. Siamo rimasti tutti coinvolti come se fossero figli nostri”. “La famiglia è qui, in ospedale, ma ha chiesto in questo momento il massimo riserbo, è in lutto per quello che è successo e in ansia per il bambino, non vuole per questo rilasciare alcuna dichiarazione” aggiungendo che la famiglia chiede di pregare con loro.

OPERAZIONE BIS DELLA FINANZA- RINVIATI A GIUDIZIO 19 SOGGETTI “ECCELLENTI”, SEGNALATI DANNI ERARIALI PER OLTRE 4 MILIONI DI EURO

 

REGGIO CALABRIA

Ancora una volta la Guardia di Finanza salvaguarda la spesa pubblica.Conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio di 19 soggetti, tra cui il Commissario Straordinario, il Direttore Generale e il Direttore Amministrativo dell’A.S.P. di Reggio Calabria, nonché l’assessore regionale pro tempore, una delle attività d’indagine in corso a danno del Servizio Sanitario Calabrese.

Le attività di indagini, che hanno riguardato i doppi pagamenti erogati dalla citata Azienda Sanitaria Provinciale in favore di una clinica privata di Siderno, sono state condotte dai finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria – sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo Dott. Giovanni Bombardieri, coordinata dal Procuratore Aggiunto dott. Gerardo Dominijanni e dalle dottoresse Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua.

L’azione repressiva è culminata con un provvedimento di sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili per un valore complessivo di 4.020.225,75 euro, disposto dal Tribunale di Reggio Calabria, a seguito di articolate e complesse indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, che hanno permesso di constatare una duplicazione di pagamenti, per oltre 4 milioni di euro, corrisposti dall’Azienda Sanitaria Provinciale reggina a favore di uno studio radiologico privato, operante nel settore dell’erogazione di prestazioni diagnostiche ai pazienti in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Le indagini si sono concentrate sul dettagliato esame di un accordo transattivo, concluso nel 2015 tra l’Ente Pubblico ed il privato fornitore, con il quale è stato disposto il pagamento, in favore di quest’ultimo, della somma di € 7.974.219,16 (tra capitale, interessi di mora e spese legali) a saldo di crediti pregressi, presuntivamente vantati come non ancora riscossi. I militari hanno, quindi, analizzato nel dettaglio ciascuna delle quasi cento fatture in questione, relative ad oltre dieci anni di prestazioni sanitarie, appurando che una notevole parte delle stesse, dichiarate non pagate dallo studio radiologico in questione e poste a fondamento di diversi decreti ingiuntivi divenuti esecutivi a seguito della mancata opposizione dell’ASP Reggina, erano state già liquidate per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro, compresi interessi.

Dopo gli interrogatori eseguiti nei confronti di coloro che ne hanno fatto richiesta, la Procura ha richiesto il rinvio a giudizio di 19 indagati. I reati contestati sono quelli di falso ideologico e truffa aggravata nei confronti del rappresentante legale e di altri individui riconducibili allo studio radiologico, dei funzionari dell’ASP e di altri 13 soggetti, ritenuti a vario titolo responsabili.

Tra le contestazioni a carico del rappresentante legale e del socio di fatto dello Studio radiologico, figura anche quella per l’ipotesi di reato di autoriciclaggio, per aver trasferito complessivamente € 1.393.094,12, provento del delitto di truffa, al fine di ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa. Contestato, inoltre, il reato di riciclaggio ai quattro soci dello studio radiologico, per aver percepito i dividendi frutto dei proventi della truffa.

La truffa ai danni del servizio sanitario ed il riciclaggio di denaro sono solo uno degli aspetti posti sotto la lente investigativa della Guardia di Finanza. Infatti, le Fiamme Gialle Reggine, grazie ad un approccio trasversale proprio del Corpo, hanno posto l’attenzione anche sugli aspetti economico-finanziari, riconducendo a tassazione i proventi illeciti percepiti dal legale rappresentante pro tempore dello studio radiologico. L’attività eseguita ha permesso di constatare una base imponibile sottratta a tassazione, ai fini delle imposte sui redditi ed ai fini I.R.A.P., pari ad € 2.300.746,82 ed un I.R.A.P. dovuta pari ad € 110.896,00.

Il cerchio investigativo si è concluso con un’ulteriore attività effettuata a favore della Procura Regionale della Corte dei Conti, alla quale, previo nulla osta dell’A.G. penale, è stato comunicato l’ingente danno erariale scaturito dalle condotte illecite perpetrate dai funzionari dell’ente sanitario, pari ad € 4.020.225,75.

 

La gran parte dei reperti archeologici è venduta all’estero dalla Puglia e dalla Basilicata

IL MONITORAGGIO DEI CARABINIERI HA PERMESSO IL RECUPERO DI 1181 REPERTI ARCHEOLOGICI DEL IV-II SEC.a.c..

Un anno di indagini sulle opere d'arte rubate: 53 persone denunciate, ma 8  nuovi colpi messi a segno - Il Secolo XIX
Foto Archivio Sud Libertà
Il Nucleo Carabinieri TPC di Bari, nell’ambito delle numerosissime attività investigative avviate sui territori di Puglia e Basilicata e spesso conclusesi in altre regioni italiane o all’estero, ha restituito nel 2020, al patrimonio culturale nazionale, beni archeologici, antiquariali e di arte contemporanea che rischiavano di essere definitivamente dispersi. Le attività delinquenziali connesse ai beni culturali, infatti, hanno sì risentito della crisi pandemica, ma hanno trovato un florido sbocco nel commercio illecito a mezzo e-commerce.    
Sotto l’aspetto repressivo, le investigazioni a contrasto delle aggressioni al patrimonio culturale pugliese e lucano concluse lo scorso anno, hanno consentito il deferimento all’Autorità Giudiziaria di 90 persone per i reati di ricettazione, violazioni in materia di ricerche archeologiche, detenzione di materiale archeologico, contraffazione di opere d’arte, violazioni in danno del paesaggio ed altre tipologie di reati previste dal Codice dei beni Culturali e del paesaggio e dal Codice Penale. 
28 sono state le perquisizioni domiciliari e locali eseguite a seguito degli esiti investigativi delle indagini.
Nell’arco dei dodici mesi sono stati complessivamente sequestrati 1.329 beni (contro i 531 del 2019), di cui 126 di tipo antiquariale, archivistico e librario, 19 reperti paleontologici, 1.181 reperti archeologici e 3 opere d’arte contraffatte, per un valore economico stimato in € 1.530.000 per i beni autentici e di € 7.000 per quelli contraffatti, qualora immessi sul mercato come originali. 
Particolare impulso è stato dato alla tutela delle aree archeologiche. Infatti, il fenomeno che ancora oggi minaccia maggiormente il patrimonio culturale in Puglia e in Basilicata è sicuramente lo scavo clandestino che alimenta un traffico di importanti proporzioni, intorno al quale ruotano enormi interessi economici e commerciali.
E’ da queste due regioni, del resto, che gran parte dei reperti archeologici nazionali (spesso di inestimabile valore storico-culturale) vengono illecitamente trasferiti e venduti all’estero. In tale quadro, nel 2020, sono state adottate misure tese all’identificazione sia dei diretti responsabili degli scavi clandestini che dei fruitori dei beni archeologici estirpati dal territorio. Le molteplici iniziative investigative hanno consentito il deferimento all’Autorità Giudiziaria di 6 persone per lo specifico reato di scavo clandestino.
L’attento monitoraggio di siti e-commerce ormai divenuti, come detto, canale preferenziale per la compravendita di arte, ha permesso il recupero di 1.181 reperti archeologici databili IV- II sec. a.C. dei quali 871 monete di natura archeologica e il contestuale deferimento all’Autorità Giudiziaria di 66 persone per impossessamento e detenzione illecita di beni culturali appartenenti allo Stato.  

Indagine “Ivan” dei ROS, lotta ai mercenari: arrestato italiano che combatteva in Ucraina

Sicurezza: italiano combatteva come mercenario nel Donbass (Ucraina),

I mercenari 3, il film con Stallone: trama, cast, trailer e streaming
Foto d’Archivio: Il film  “I  Mercenari”  con il noto attore americano Stallone (a destra)
Indagine “Ivan” dei Carabinieri del ROS: da Messina al Donbass (Ucraina orientale) per combattere come “mercenario”.  
I carabinieri del ROS, con il supporto dei Comandi Provinciali territorialmente competenti, all’alba di oggi hanno avviato le procedure per l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Messina a carico di G.R., messinese di 28 anni, gravemente indiziato della violazione dell’art.3 l.n.210/1995 che ha ratificato la Convenzione internazionale di New York del 4 dicembre 1989 sul contrasto al fenomeno dei “mercenari”.
Le ricerche si sono svolte a Messina e Lodi, ultimi domicili del nucleo familiare del ricercato, e contestualmente sono state attivati i canali di cooperazione internazionale per l’esecuzione del provvedimento all’estero, ove il destinatario si sarebbe trasferito dal 2016 per svolgere quella che la Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 definisce attività di ”combattente illegittimo”.
Il giovane, dopo essere stato reclutato in Italia, combatteva – in cambio di un corrispettivo economico –  al fianco delle milizie filo-russe nel conflitto armato che, a partire dal 2014, si è sviluppato nel Donbass (Ucraina orientale), tra l’esercito ucraino e truppe filorusse, senza essere cittadino di quello Stato, né stabilmente residente. Gli viene, pertanto, contestata anche l’aggravante della transnazionalità, poiché le condotte si inquadrano in un gruppo organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
I militari dell’Arma hanno eseguito anche perquisizioni finalizzate alla ricerca di materiale probatorio che potrebbe definire il ruolo di eventuali facilitatori che avrebbero agevolato e sostenuto, anche finanziariamente, le attività dei mercenari nel Donbass.
Le indagini, avviate nel 2019 e coordinate dalla D.D.A. di Messina, diretta dal Procuratore, dr. Maurizio de Lucia, si sono avvalse anche dell’analisi dei flussi finanziari internazionali e dei dati forniti da Facebook sulla base di una commissione rogatoria con gli Stati Uniti avviata dalla Procura peloritana. È stato, in tal modo, possibile documentare che G.R. operava come combattente mercenario nella regione del Donbass, ove si era stabilito dal 2016, condividendo mediante i social network le proprie attività militari con congiunti e amici, alcuni dei quali gli chiedevano consigli e indicazioni per intraprendere la medesima attività.  
Ha trovato, inoltre, conferma l’esistenza e l’operatività di una struttura organizzata attiva nell’area Italia – Ucraina e dedita al reclutamento e al finanziamento di mercenari destinati ad integrare le fila delle milizie separatiste filorusse nella regione del Donbass, già emersa da un’analoga attività condotta dal R.O.S. nel 2018.
Il circuito coinvolge soggetti provenienti da diverse regioni d’Italia che hanno intrapreso l’attività di “combattenti”, schierati a fianco delle milizie filorusse e contro l’esercito regolare ucraino nei territori contesi delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk e, in tale contesto, particolarmente allarmanti sono risultati i rapporti dell’indagato messinese con altri mercenari e, in particolare, con PALMERI Andrea, livornese, detto “il generalissimo”, già destinatario di un mandato di arresto europeo in quanto ritenuto responsabile di arruolamento/reclutamento di mercenari a scopo terroristico/eversivo ed associazione per delinquere. 
Il fenomeno dei mercenari nella regione del Donbass è stato ripreso anche da alcune trasmissioni televisive nazionali e si inserisce nella complessa vicenda diplomatica e geopolitica che recentemente ha fatto registrare una presa di posizione del Parlamento Europeo. 

 

 

Mafia, stop al mercato della droga e 46 arresti per estorsioni e spaccio

La legge della Mafia locale era di imporre il pizzo a tutti i commercianti e imprenditori della zona e di monopolizzare il mercato della droga, sfruttando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza alla famiglia di Cosa Nostra di Enna, per costringere le vittime a sottostare ai loro voleri. I 30 appartenenti al gruppo criminale oggetto dell’indagine “Caput silente” sono stati arrestati questa mattina al termine di un’attività investigativa condotta dagli agenti della Squadra mobile di Enna e del commissariato di Leonforte.

Gli indagati sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, aggravata dall’utilizzo delle armi, estorsioni, danneggiamenti, associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi.
Nel corso dell’indagine sono state arrestate altre 16 persone in flagranza di reato, e sequestrate numerose armi da fuoco e notevoli quantità di cocaina, hashish e marijuana.

All’indagine hanno preso parte anche i poliziotti della Squadra mobile di Catania, dei Reparti prevenzione crimine e delle unità cinofile di Palermo e Catania, del Reparto volo di Palermo e della Polizia di frontiera di Catania.

L’attività odierna è una costola dell’operazione “Homo novus”, che nel 2014 aveva portato alla condanna per mafia degli affiliati alla famiglia di Cosa Nostra attiva a Leonforte.

L’operazione “Caput silente” ha evidenziato come i capi del gruppo criminale, nonostante fossero reclusi, abbiano continuato a dare disposizioni e direttive, anche con l’utilizzo di messaggi scritti su pezzi di carta, i cosiddetti pizzini, particolare che ha dato il nome all’indagine. Attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e videoriprese, supportate anche dai classici appostamenti e pedinamenti, gli investigatori hanno documentato l’attività criminale svolta dagli indagati.

Innumerevoli cessioni di sostanze stupefacenti, numerosi episodi di danneggiamento ai danni di commercianti, imprenditori, e di due agenti della polizia giudiziaria del commissariato di Leonforte che davano particolarmente “fastidio” all’organizzazione criminale.

I tipici “messaggi” utilizzati per minacciare le vittime erano costituiti dal taglio degli pneumatici delle auto, sulle quali venivano incise, con evidenti solchi sulla carrozzeria, anche delle croci. Ad un imprenditore sono state invece recapitate buste da lettera contenenti proiettili, insieme alla richiesta di una notevole somma di denaro.

Un altro particolare emerso dall’indagine è quello relativo alla politica delle estorsioni messa in atto dagli indagati, che chiedevano piccoli importi per la “protezione”, in modo che tutti potessero pagare senza problemi, con lo scopo di soggiogare la totalità degli operatori economici del loro territorio.

Le direttive all’interno dell’organizzazione venivano impartite con i classici pizzini, in modo da evitare il più possibile i contatti diretti tra gli appartenenti; questi godevano anche di una sorta di assicurazione interna, che scattava in caso di arresto, sotto forma di somme elargite ai familiari dei detenuti.

Nel corso dell’indagine gli investigatori hanno anche evitato l’omicidio di un pusher che doveva essere punito per non aver onorato un debito legato allo spaccio e per i suoi tentativi di contrastare il monopolio dell’organizzazione.

Librino, quel giorno lo scontro a fuoco tra il Clan dei Cursoti Milanesi e dei Cappello

 

CATANIA –

I carabinieri del comando provinciale di Catania hanno eseguito una misura cautelare in carcere emessa dal Gip nei confronti di 14 persone indagate, a vario titolo, di concorso in duplice omicidio, sei tentati omicidi e porto e detenzione illegale di armi da fuoco in luogo pubblico.

A tutti la Dda contesta l’aggravante di avere agito per motivi abbietti e avvalendosi delle condizioni previste dall’associazione di tipo mafioso, al fine di agevolare i clan di appartenenza.

Al centro dell’inchiesta la sparatoria dell’8 agosto 2020 quando affiliati e esponenti di vertice dei clan mafiosi dei ‘Cursoti milanesi’ e dei Cappello, su almeno 14 motoveicoli, si sono scontrati nelle strade del rione di Librino. Il bilancio dello scontro armato fu di due morti e di diversi feriti.

“Esito che – sottolinea la Dda della Procura di Catania – poteva essere ben più nefasto se si considera che lo scontro a fuoco si è verificato di sera nel quartiere Librino, caratterizzato da un’elevata densità abitativa e dove i residenti , anche donne e bambini, soprattutto per la calura estiva, sono soliti trattenersi in strada fino a tardi”.

In sostanza, come già era emerso, si è trattato di un vero e proprio scontro armato tra esponenti del clan Cappello e dei Cursoti originato in seguito a distinti episodi avvenuti nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti i fatti, che avevano nutrito e acuito una radicata e storica contrapposizione tra i due clan, sfociata, infine, nella spedizione punitiva organizzata da esponenti di rilievo del clan Cappello nei confronti di Di Stefano Carmelo e del gruppo di soggetti a lui vicini appartenenti al clan dei Cursoti Milanesi.

Emesse  due ordinanze di convalida di fermo e di custodia in carcere nei confronti di Di Stefano Carmelo, considerato l’elemento di spicco  del Clan dei Cursoti Milanesi, e di Sanfilippo Martino Carmelo, altro esponente della  cosca 

La collaborazione di Sanfilippo ha permesso alle forze dell’ordine di risalire gradualmente agli altri elementi coinvolti. L’antefatto della vicenda criminale risale ai contrasti insorti tra Di Stefano Carmelo e Nobile Gaetano e tra Lombardo Salvuccio Junior e Campisi Giorgio.

Proprio le dichiarazioni di Sanfilippo Martino Carmelo, hanno consentito l’identificazione di ulteriori indagati, componenti del gruppo armato dei Cursoti Milanesi, sino a quel momento ancora non individuati, i quali, sottoposti a interrogatorio, di fronte a precise contestazioni, ammettevano la loro presenza sul luogo dei fatti esibendo, alcuni, persino le lesioni riportate a seguito dei colpi d’arma da fuoco ricevuti.

Fondamentali alle indagini, inoltre, si sono rivelati gli accertamenti balistici e medico-legali che riscontravano la veridicità delle dichiarazioni dei collaboratori in ordine alla tipologia delle armi utilizzate e alle specifiche condotte avute da numerosi indagati, fornendo, altresì, elementi decisivi per l’individuazione degli esecutori materiali dei due omicidi.

Quel destino avverso di Grillo e un processo “fantasioso” per il figlio che condurrà all’assoluzione. Ecco perchè..

Il figlio di Beppe Grillo verso il rinvio a giudizio per violenza di gruppo

 

di   RAFFAELE LANZA

“Mio figlio è su tutti i giornali come stupratore seriale insieme ad altri 3 ragazzi… Io voglio chiedere veramente perché un gruppo di stupratori seriali non sono stati arrestati, la legge dice che vanno presi e messi in galera e interrogati. Sono liberi da due anni, ce li avrei portati io in galera a calci nel culo”. “Allora perché non li avete arrestati? Perché vi siete resi conto che non è vero niente, non c’è stato niente perché chi viene stuprato fa una denuncia dopo 8 giorni vi è sembrato strano”, ha detto ancora Grillo nel video. “E’ strano. E poi c’è tutto un video, passaggio per passaggio, in cui si vede che c’è un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande e saltellano con il pisello, così…perché sono quattro coglioni”.

Le accuse della Procura di Tempio Pausania al figlio di Grillo e agli altri tre ragazzi sono  gravi e lesive dell’immagine del leader pentastellato.

“Costretta ad avere rapporti sessuali in camera da letto e nel box del bagno”, “afferrata per la testa a bere mezza bottiglia di vodka” e “costretta ad avere rapporti di gruppo” dai quattro giovani indagati che hanno “approfittato delle sue condizioni di inferiorità psicologica e fisica” di quel momento. Eccolo, nero su bianco, l’atto di accusa della Procura di Tempio Pausania (Sassari) a carico di quattro ragazzi della Genova bene, tra cui Ciro Grillo.

Tutto “raccontato” dalla giovane studentessa italo-svedese S.J, di appena 19 anni, che avrebbe subito, nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2019, una violenza di gruppo (amici)nella villa in Costa Smeralda di proprietà di Grillo. 

L'ira di Grillo in difesa del figlio: «Lui e i suoi amici quattro c..., non  quattro stupratori» - Corriere TV

 

Cosa deciderà il procuratore Gregorio Capasso che ha chiuso  le indagini non si sa . .forse un rinvio a giudizio . Sono casi  quelli delle “ipotetiche” violenze attuate dai  vip o figli di leader politici molto noti, dubbi che non conducono da nessuna parte. Anzi all’assoluzione finale perchè nel caso in esame le testimonianze dei ragazzi hanno un peso molto rilevante visto pure il ritardo di denuncia della ragazza e che la ragazza doveva essere molto “libera” nei suoi movimenti.   Trascurando pure che già aveva accettato di andare nella villa del leader pentastellato.

 

Grillo, figlio accusato di stupro. Procura: «Ragazza tenuta per i capelli e  costretta a rapporti» Lui: «Fu consenziente»

Il video di Grillo non “costituisce una farsa ripugnante di cui vergognarsi” come politici  imprudentemente e “un pò troppo velocemente” hanno azzardato a dichiarare per provare il sapore della vendetta, Boschi (genitori) e Matteo Salvini, coinvolti in vicende giudiziarie molto gravi per la tipicità sociale (con danni alla comunità) dei reati commessi,

 

Accuse al figlio di Grillo, il duro attacco di Maria Elena Boschi |  VirgilioNotizie

Ma solo un messaggio alla procura di non cadere nella trappola di moda oggigiorno delle ragazze respinte sentimentalmente dai loro uomini di mettersi in vetrina dietro un falso femminismo per richiedere subito dopo il procedimento penale il risarcimento economico quale premio della recita.

Quanti casi, quante accuse ad attori noti e manager, di donne spregiudicate, certe del vantaggio dei venti favorevoli giudiziari,non solo in Italia ma nel mondo,sono cadute nel nulla?

Se il giudice del procedimento si scopre poi essere una donna,per destino avverso,non ci sarà nulla da fare per l’imputato accusato di “violenze”       Gli uomini dovranno stare molto attenti nei loro approcci amorosi perchè il rifiuto o l’allontanamento della donna “usata” può far scattare oggi un percorso molto “fantasioso”e creare agevolmente il “mostro”

Si apprende che nell’ultimo periodo, , la ragazza è stata nuovamente ascoltata dagli inquirenti. La Procura ha inviato la notifica alle difese e messo a disposizione il materiale agli atti. 

 Avrebbe rifiutato di avere un rapporto con un primo ragazzo e sarebbe stata “stuprata”; in seguito anche gli altri giovani- secondo il racconto della “vittima” avrebbero abusato di lei.

La vicenda apparentemente complessa,in realtà ha un risvolto educativo . Nella notte del 16 luglio 2019 quattro giovani, tra cui Ciro Grillo, stavano passando una serata al Billionaire, in Sardegna. Sarebbero quindi usciti dal locale assieme a due studentesse che avevano concordato insieme di recarsi alla villa di Grillo .   Era già attiva una amicizia nel gruppo. E la libertà della vittima dove la mettiamo ?  Non è da preventivare che una donna non debba uscire con degli “amici” in luoghi isolati e solitari? Una ragazza perbene non va a trascorrere diversi giorni con un gruppo di ragazzi. Una ragazza perbene non beve dal primo istante alcool o birra.  Una ragazza perbene sa bene come vanno a finire queste vacanze.  Queste cose i genitori l’avranno pur detto             nel corso della vita alle ragazze.  

Finiamola dunque di dare addosso a Grillo che ha il solo torto in questo video trasmesso di apparire una specie di orso bianco disperato a difesa del proprio cucciolo.      Anche tu, Grillo, sei vulnerabile, un pò scomposto, hai prestato il fianco alle vibrate diffamazioni contro di te e il movimento che lotta-sappiamo tutti- per la moralità e la giustizia.       Avresti dovuto sapere come funzionano queste cose in Italia e quel che per te si rivela un’ingiustizia -perchè appare davvero tale- il movimento che tu hai fondato lotta per ingiustizie peggiori , il degrado del Sud che mette sulla strada tanti ragazzi, e un Paese spaccato in due: ricchi e poveri.        Se vuoi migliorare la politica non devi ,caro Grillo lasciarti prendere dall’emozione, devi avere più stomaco , imparare ancora ad assorbire le avversità della vita

 

La bilancia, simbolo di giustizia - Il Capoluogo

La vicenda. La ragazza rimasta sveglia sostiene di essere stata costretta ad avere un rapporto con uno dei giovani – con il quale si era appartata – e di essere stata violentata, fino al mattino, dagli altri tre. Dal canto loro i ragazzi ammettono di aver fatto  sesso di gruppo ma sostengono che la 19enne fosse consenziente e consapevole. A riprova della circostanza – aggiungono –  dopo il primo rapporto i due giovani sarebbero andati, insieme, ad acquistare le sigarette, e che al ritorno lei avrebbe avuto rapporti consenzienti con gli altri due. .

Se fosse il contrario una donna “normale” sarebbe uscita dalla villa di Grillo per correre disperata alla prima stazione dei carabinieri. Perchè non è stato fatto?       Sono questi i motivi insieme alle testimonianze che porteranno -facile profezia visti gli elementi in atto -ad un nulla di fatto ,ad un processo perfettamente inutile e costoso per le udienze che inevitalmente conterà con chiare sfaccettature politiche, a vibrate polemiche senza fine,opportunistiche,all’assoluzione senza ombra di dubbio,infine,  del figlio “ingenuo” di Grillo

“”Omissione di atti d’ufficio ed attentato alla sicurezza”. Sequestrato il ponte di Pilati in Melito Porto Salvo ed il viadotto sulla Fiumara Tuccio a rischio crollo

Reggio Calabria

I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria hanno eseguito un decreto d’urgenza, emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, che dispone il sequestro preventivo d’urgenza del ponte di “Pilati” in Melito di Porto Salvo, un viadotto “ad arco”, lungo oltre cento metri e composto da tre arcate, che consente di attraversare la fiumara “Tuccio” del comune ionico.

Il provvedimento magistratuale scaturisce da indagini di polizia giudiziaria, condotte dalla Compagnia di Melito di Porto Salvo, in materia di reati contro la pubblica amministrazione e contro l’incolumità pubblica, durante le quali è stata accertata una grave situazione di rischio in cui versa, allo stato, la via di trasporto, nonostante i recenti lavori di ristrutturazione cui è stata sottoposta nel 2020.

I sopralluoghi svolti negli ultimi giorni dagli investigatori, coordinati dal Procuratore Aggiunto Dott. Gerardo Dominijanni, hanno consentito di accertare una condizione precaria del viadotto, soprattutto nella sua parte inferiore, ove i ferri dell’armatura della struttura sono arrugginiti e corrosi.

Alla luce degli elementi raccolti dalla Fiamme Gialle, la Procura della Repubblica di Reggo Calabria, diretta dal Procuratore Capo Dott. Giovanni Bombardieri, ha ritenuto di dover emettere la misura ablatoria in relazione ai reati di omissione di atti d’ufficio ed attentato alla sicurezza dei trasporti. Allo stato nessun soggetto è iscritto nel registro degli indagati e sono in corso ulteriori accertamenti al fine di individuare eventuali responsabili.

l viadotto, attraversato ogni giorno da veicoli e pedoni, è stato chiuso al traffico ed affidato in giudiziale custodia alle autorità comunali affinché provvedano all’adozione degli adempimenti necessari per la tutela dell’incolumità pubblica.

L’attività di servizio testimonia il costante presidio esercitato dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria sul territorio a salvaguardia delle leggi ed a contrasto dei fenomeni connotati da forte pericolosità sociale e degli illeciti che mettono a rischio l’incolumità dei cittadini.