Infiltrazioni mafiose in due comuni della fascia ionica, fermato un sindaco ed un vice sindaco in carica ed un ex assessore ai lavori pubblici

 

Infiltrazioni mafiose in due comuni della fascia ionica, tratti in arresto un sindaco ed un vice sindaco in carica ed un ex assessore ai lavori pubblici

Messina,

I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 soggetti, indagati per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e per diversi episodi di reati contro la Pubblica Amministrazione.

Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura messinese, interviene nella fase delle indagini preliminari ed è basato su imputazioni provvisorie, che dovranno comunque trovare riscontro in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, nel rispetto, pertanto, della presunzione di innocenza che l’art. 27 della Costituzione garantisce ai cittadini fino a sentenza definitiva.

Le indagini della Guardia di Finanza hanno riguardato l’infiltrazione mafiosa ed il condizionamento delle amministrazioni comunali dei Comuni di Moio Alcantara e Malvagna, centri della fascia ionica della provincia peloritana, ad opera di Cosa Nostra siciliana.

In particolare, le complesse investigazioni, svolte su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Messina dagli specialisti del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata delle Fiamme Gialle di Messina, hanno consentito di far luce sull’operatività criminale di una cellula decisionale e operativa mafiosa del tutto autonoma rispetto alle articolazioni di Cosa Nostra catanese che, in passato, gestivano gli affari mafiosi anche nel territorio della valle dell’Alcantara.

Tale struttura criminale, secondo ipotesi accusa e che ha trovato una prima valutazione confermativa da parte del competente GIP del Tribunale peloritano, salvo il successivo vaglio di merito, è risultata in grado di ingerirsi, condizionandole, nelle dinamiche elettorali – politiche dei due comuni, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa, attraverso l’infiltrazione di soggetti alla stessa struttura criminale direttamente e/o indirettamente riconducibili.

In altre parole, non il classico gruppo criminale che fa della violenza la cifra del suo modo di agire, bensì qualcosa di diverso, di molto meno visibile ma non per questo meno pericoloso, comunque forte di una ormai riconosciuta forza criminale: una “cellula criminale autonoma che, avvalendosi della legittimazione mafiosa derivante dalla contiguità al famigerato clan dei Cintorino, la cui fama criminale, anche per la efferata violenza di numerosi omicidi commessi alla fine degli anni ’90, promana senza alcuna necessità di ulteriori e specifici atti di violenza e minaccia, è riuscita ad imporsi all’interno del tessuto sociale delle due piccole realtà comunali”.

Le indagini, secondo le valutazioni del Giudice, documentano uno spaccato assolutamente significativo del nuovo modo di “fare mafia”: “un gruppo che, per il suo modus operandi, rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale ormai consolidata e che non abbisogna di manifestazioni esteriori di violenza, per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche, al fine di imporre il proprio silente condizionamento”.

Uno dei principali indagati, anche da detenuto, disponeva affinché i suoi sodali prendessero contatti con le ditte appaltatrici di lavori assegnati dai due enti locali di Moio e Malvagna, anche garantendo sostegno ai candidati elettorali in occasione del rinnovo dei rispettivi consigli comunali.

Concretamente, le disposizioni da lui dettate venivano tradotte in azione operativa dal padre e, soprattutto, dalla sorella, quest’ultima Vicesindaco in carica del Comune di Moio Alcantara, entrambi oggi destinatari della custodia cautelare in carcere.

In tal senso, il gruppo indagato faceva pervenire al Sindaco di Moio inequivoche sollecitazioni, cui peraltro aderiva, affinché interessasse gli amministratori comunali di altre distinti enti locali a bloccare, o sbloccare, indebitamente, procedure esecutive a vantaggio della famiglia: comportamenti ritenuti sintomatici di una “patente subordinazione del sindaco”.

Dello stesso tenore, peraltro, la disponibilità offerta alla cellula indagata dal già Assessore ai lavori pubblici del Comune di Malvagna il quale, nell’interesse della medesima struttura criminale, si adoperava per l’assegnazione di appalti di lavori a ditte vicine, anche mediante il compimento di reati di corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione.

La corruzione, secondo ipotesi d’indagine e fermo restando il generale principio di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato, è risultata il collante dell’operatività generale del contesto oggetto d’indagine; più in particolare:

– il Sindaco di Moio, oggi destinatario della misura della custodia cautelare in carcere, unitamente al responsabile dell’Area Servizi Territoriali e Ambiente del Comune di Moio, oggi in quiescenza, accettavano utilità consistenti in somme di denaro o relative promesse; il medesimo Sindaco, inoltre, favoriva vendite di materiale edile da parte di una società in cui vantava cointeressenze, per compiere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio, così turbando la procedura di gara relativa al recupero del tessuto urbano locale, a favore di un imprenditore di Santa Teresa Riva (ME), oggi posto ai domiciliari;

– analogamente, il già Assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Malvagna (sino all’ottobre 2020), oggi associato in carcere, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, induceva il rappresentante di una ditta edile di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), aggiudicataria di lavori pubblici a Malvagna, a rifornirsi di materiale edile da una ditta di Randazzo (CT), il tutto con lo scopo di agevolare l’associazione mafiosa oggetto d’indagine. Per tale interessamento, peraltro, il titolare della ditta edile catanese – parimenti destinatario di custodia cautelare in carcere – corrispondeva all’amministratore pubblico una dazione corruttiva.

Le indagini dei Finanzieri di Messina, oltre a basarsi su attività tipiche di polizia giudiziaria, quali intercettazioni, rilevamenti, pedinamenti, perquisizioni e sequestri, si sono altresì avvalse del contributo fornito da un importante collaboratore di giustizia che, a valle del suo arresto nella nota operazione “Isola Bella”, che ha documentato interessi mafiosi nel settore turistico, chiariva ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina le dinamiche criminali insistenti nella fascia ionica della provincia peloritana.

Per quanto di odierno interesse, le indagini hanno chiarito quali fossero le modalità di ingerenza nella gestione degli appalti pubblici locali in affidamento diretto, ovvero come il tutto avvenisse attraverso l’imposizione di ditte gradite, per il tramite di amministratori locali compiacenti che, a loro volta, quando non direttamente destinatari di provviste corruttive, ottenevano in cambio sostegno elettorale, così come illustravano le modalità di drenare provviste finanziarie attraverso il sistema delle sovrafatturazioni nei lavori pubblici

L’odierna operazione testimonia il costante impegno della Guardia di Finanza volto a contrastare fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata, vieppiù di matrice mafiosa, in apparati della Pubblica Amministrazione. Tale attività risulta ancora più significativa nell’attuale periodo storico, per lo strategico stanziamento di importanti risorse comunitarie a valere sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un’opportunità imperdibile di sviluppo e investimento.

v i d e o

Palermo,in ginocchio il Clan Brancaccio

Maxi operazione antimafia a Palermo. La Polizia di Stato e l’Arma dei carabinieri, su delega della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 31 indagati (di cui 29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari).

Sono accusati, a vario titolo, di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. “L’ordinanza segna l’epilogo di una fase operativa già avviata lo scorso 20 luglio – spiegano gli investigatori -, attraverso l’esecuzione del decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda di Palermo a carico di numerosi indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata”. 

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Ricostruito l’organigramma del mandamento di Brancaccio e delle famiglie di Corso dei Mille e Roccella, identificando 26 tra vertici, gregari e soldati. Le misure cautelari, personali e reali, sono state eseguite, oltre che a Palermo anche a Reggio Calabria, Alessandria e Genova. L’attività investigativa sviluppata dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, invece, ha messo a fuoco i reati della famiglia di Ciaculli. Cinque in tutto le ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite dai militari a carico di altrettanti indagati, ritenuti direttamente legati ai vertici del mandamento, già arrestati nell’ambito dell’operazione ‘Stirpe’ dello scorso 20 luglio.

Per gli investigatori dell’Arma sarebbero stati in grado di coadiuvare i due boss nella gestione del mandamento e delle attività illecite che alimentavano le casse della famiglia. Nell’ambito dell’operazione è scattato anche il sequestro per intestazione fittizia di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due di caffè e tre agenzie di scommesse. 

– Estorsioni e non solo. Per alimentare le casse di Cosa nostra e mantenere le famiglie dei detenuti i boss di Brancaccio puntavano al traffico di droga che resta “un importante voce di arricchimento illecito”. Le sei piazze di spaccio del quartiere Sperone, tutte direttamente gestite o, comunque, controllate dagli indagati, garantivano un vero e proprio tesoretto: circa 80mila euro a settimana.

Nel corso delle indagini sono stati eseguiti 16 arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sequestrati circa 80 chili di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8.000.000 di euro. A garantire il rifornimento di parte della droga erano due calabresi, tra i destinatari delle misure cautelari eseguite oggi.

Le piantagioni di cannabis-sativa, da cui ricavare la droga destinata alle piazze di spaccio, e la gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali, ma anche l’attività di sensaleria. Il clan avrebbe imposto l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. Il compenso, tuttavia, sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali. Il gruppo criminale si occupava anche dell’imposizione delle cosiddette ‘sensalerie’ sulle compravendite di immobili ricadenti sotto l’area di influenza, commettendo vere e proprie condotte estorsive ai danni di quei cittadini che, per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati.

 A fermare gli esattori del racket a Brancaccio non era bastato neppure il Covid. “Anche in piena emergenza epidemiologica sono stati acquisiti gravi indizi in merito al rastrellamento di denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e con volumi di affari certamente ridotti”, spiegano gli investigatori. In un caso un indagato, appartenente al bacino ‘Emergenza Palermo’ si è impossessato di venti cartoni con 16mila mascherine Ffp3, destinate a un ospedale cittadino per poi rivenderle sul mercato nero. Gli indagati sono accusati a vario titolo di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale e estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

– Le mani dei boss nella gestione delle acque irrigue. Le indagini dei militari del Nucleo Investigativo hanno fatto luce sugli affari di una delle famiglie che avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue, impropriamente sottratte direttamente alla conduttura ‘San Leonardo’, di proprietà del Consorzio di bonifica Palermo 2. Gli affiliati sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ad alcuni contadini. “Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa – spiegano gli investigatori dell’Arma -, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua”.

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La Guardia di Finanza smonta un articolato sistema di frode per l’aggiudicazione di gare d’appalto del valore di 120 milioni di euro

 

 

I Finanzieri del Comando Provinciale di Bari, al termine di un’indagine di polizia giudiziaria hanno notificato, su delega della locale Procura della Repubblica, un avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel quale vengono riconosciuti gravi indizi di colpevolezza (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) nel procedimento a carico di n. 8 soggetti, cinque dei quali dipendenti comunali e tre responsabili aziendali, indagati a vario titolo per turbata libertà degli incanti – art. 353 c.p. – e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale – art. 479 c.p.-.

L’attività di polizia economico finanziaria sviluppata dalla Compagnia di Monopoli, avviata nel 2018, ha consentito di ricostruire un articolato sistema di frode, ad avviso della Procura, finalizzato alla illecita partecipazione e aggiudicazione di gare d’appalto indette da una stazione appaltante, insediata nel sud est barese, del valore complessivo di circa 120 milioni di euro, da parte di una società campana operante nel settore della raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani.

Le indagini hanno permesso di ipotizzare come l’amministratore unico della società appaltante e due stretti collaboratori turbavano la procedura di gara indetta dal Comune di Monopoli, in qualità di capofila dell’A.R.O. BA/8, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto rifiuti sui territori di quattro comuni (Monopoli, Conversano, Polignano a Mare, Mola di Bari) mediante collusioni con diversi pubblici ufficiali.

Questi ultimi avrebbero omesso intenzionalmente, nelle fasi dei controlli d’ufficio e delle verifiche prodromiche alla stipula dei contratti esecutivi con le stazioni appaltanti interessate, di segnalare la sussistenza di una serie di esposizioni debitorie con il fisco e con gli enti previdenziali a carico della società affidataria, anziché procedere all’avvio della procedura di esclusione della stessa dalla gara.

Nello specifico, i R.u.p. dell’ARO Ba/8 e dei comuni di Monopoli e Conversano, in concorso con i rispettivi direttori esecutivi del contratto d’appalto, pur essendo a conoscenza di tali irregolarità fiscali e contributive, per oltre 4 milioni di euro, accertate tramite l’avvenuta consultazione della banca dati DURC ON LINE ed una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate inviata agli enti pubblici interessati, attestavano, secondo la tesi accusatoria, la regolarità dei requisiti di legge previsti dal Codice dei Contratti Pubblici.

Pensione di invalidità per 38 anni a falsa invalida: beni sotto sequestro

 

L’ha fatta franca per lunghissimo tempo e ormai pensava di non essere più scoperta.         Aveva simulato una grave disabilità mentale beneficiando, dal dicembre 1983, di un trattamento pensionistico di invalidità civile, integrato dall’indennità di accompagnamento da 800 euro al mese.                La donna ha 67 anni e i suoi beni sono stati posti sotto sequestro per 205 mila euro. Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Termini Imerese e notificato  dalla Guardia di finanza del comando provinciale di Palermo.

La donna è indagata truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche. Secondo le indagini del Nucleo di Polizia economico-finanziaria delle Fiamme gialle l’indagata avrebbe simulato la grave infermità mentale, ma in realtà «sarebbe autonoma nel suo vivere quotidiano, in grado di provvedere ai propri bisogni senza alcun aiuto».

«Nel corso delle indagini – comunica  la Guardia di finanza – l’indagata è stata osservata mentre era intenta a fare la spesa al mercato rionale, interagendo normalmente con avventori e commercianti e, inoltre, le foto estrapolate dal suo profilo social la ritrarrebbero in atteggiamenti verosimilmente incompatibili con la patologia certificata: in una immagine, ad esempio, l’indagata sarebbe ritratta mentre compie attività ludico motoria (danza del ventre) e nuoto al mare, nonostante sia stata riconosciuta non rispondente a stimoli esterni».

«Sulla base degli elementi acquisiti, la donna nel corso degli accertamenti sanitari all’epoca svolti, sarebbe riuscita ad ingannare la commissione medica – è l’accusa contestata dalla Procura di Termini Imerese – risultando affetta da una grave patologia, diagnosi successivamente confermata nel 2010 che le ha garantito la corresponsione di un trattamento pensionistico di oltre 800 euro mensili».

Il Gip del Tribunale di Termini Imerese ha emesso un provvedimento di sequestro cautelare di disponibilità finanziarie per complessivi 205.559,57 euro, pari alle somme che nel tempo, secondo l’accusa, sarebbero state indebitamente percepite dall’indagata.

 

«Ogni tanto andavo dal dottore e mi facevo prescrivere due pacchi di piccole e le mettevo dentro, e poi infatti le buttavo. Certo, io le caramelle eh.. le dovevo prendere, se non le prendo risulta, perché comunque prendo le caramelle, ha capito?»

Lo afferma, in una telefonata ascoltata dall e  Fiamme gialle di Palermo, la 67enne denunciata per truffa perché accusata di avere, per 38 anni, simulato una grave disabilità mentale beneficiando di un trattamento pensionistico di invalidità civile, integrato dall’indennità di accompagnamento.

Ritrovato impiccato Vincenzo Cancemi: ma il suicidio non convince nessuno perchè l’albero era troppo basso per suicidarsi

La foresta dei suicidi | Mondo Tempo Reale
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Un pachinese, Vincenzo Cancemi, 41 anni, si sarebbe suicidato – ritrovato penzolante da un albero-anche se non tutti i contorni della vicenda sembrano ancora chiariti. 
L’uomo, molto noto e altrettanto stimato a Pachino come a Portopalo di Capo Passero per via del suo lavoro, potrebbe non essersi tolto la vita. . Sul caso stanno indagando i carabinieri della stazione pachinese che avrebbero già sentito alcune persone che potrebbero fornire particolari rilevanti legati alla vita privata di Cancemi. 

Il primo elemento al vaglio degli inquirenti scaturirebbe da alcune considerazioni che sarebbero state fatte da persone accorse nel luogo dove due giorni fa è stato ritrovato il corpo dell’uomo, in contrada Lettiera, alle porte di Marzamemi. L’albero, infatti, sarebbe troppo basso per giustificare un’azione suicida.

Ma non sarebbe questo l’unico elemento sufficiente a fare ipotizzare qualcosa di diverso dall’intenzione di togliersi la vita messa in atto da Cancemi. Ad attrarre l’attenzione degli investigatori sarebbe anche una vicenda, rimasta piuttosto oscura, risalente a pochi mesi fa e riguardante una lettera diffamatoria, oltremodo circostanziata. In questa lettera si faceva riferimento, in modo capillare, a una serie di rapporti extraconiugali che avrebbero coinvolto persone di Pachino e Portopalo. Tra gli uomini inseriti dall’anonima mano che ha scritto e divulgato minuziosamente la lettera-volantino c’era anche il nome di Vincenzo Cancemi. Un testo anonimo che fece scalpore nei due centri della provincia siracusana, anche perché chiamava in causa persone quasi tutte legate da stabili rapporti sentimentali e che venne distribuita con il sistema del “porta a porta” nel centro abitato portopalese.

Un documento apocrifo che non lesinava particolari legati a presunte performance sessuali di una donna coniugata. La vicenda sarebbe persino sfociata in querele. 

I carabinieri ascoltano parenti e amici dell’uomo, che svolgeva l’attività di tecnico riparatore di elettrodomestici, al fine di ricostruire i suoi ultimi giorni di vita. Tantissimi i messaggi di cordoglio. Cancemi si era fatto stimare da tante persone per la sua disponibilità e competenza in ambito lavorativo, già per il sol fatto di essere sempre pronto ad intervenire quando le esigenze lo richiedevano, a Pachino come a Portopalo. 

 

 

Indagini patrimoniali in materia antimafia – Valore complessivo 20 milioni di euro circa

Catania,

 Un provvedimento di sequestro in materia di prevenzione antimafia, emesso dal locale Tribunale, relativo al patrimonio di soggetto, pregiudicato per gravissimi reati, originario di Misterbianco e residente a Rimini,è stato notificato dai Finanzieri del Comando Provinciale di Catania, con il supporto del Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di finanza (SCICO) e del Comando Provinciale di Bologna

Le investigazioni patrimoniali relative al proposto sono state inizialmente delegate dalla Procura della Repubblica di Bologna al locale Nucleo PEF, in ragione della residenza del soggetto. A seguito dell’analitica ricostruzione del profilo soggettivo del proposto e delle disponibilità patrimoniali allo stesso riconducibili, anche per interposta persona, il Tribunale di Bologna, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica, ha disposto, nel mese di agosto del 2021, il sequestro dell’intero patrimonio del proposto, eseguito dai Finanzieri del Nucleo PEF di Bologna. Successivamente, nel corso della relativa udienza dibattimentale, il Tribunale ha dichiarato la propria incompetenza territoriale e disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Catania, che ha delegato ulteriori indagini al Nucleo PEF di Catania, anche al fine di attualizzare gli elementi relativi al profilo soggettivo e patrimoniale del proposto.

In particolare, le investigazioni – nell’attuale fase del procedimento di prevenzione, in cui non si è realizzato pienamente il contradittorio con la parte – hanno consentito di evidenziare:

• da un lato, la ritenuta pericolosità sociale del proposto, il quale, nel periodo di tempo dal 1991 al 2016, è risultato essere sottoposto a indagini per gravissimi reati contro la persona (tentato omicidio), per usura ed estorsione, in un caso anche aggravato dal metodo mafioso, oltre che per reati tributari;

• dall’altro, la presunta sproporzione tra il profilo reddituale del nucleo familiare del proposto e il complesso societario a loro riconducibile.

Al riguardo, le indagini, svolte dalle unità specializzate del GICO del Nucleo PEF di Bologna e di Catania, hanno consentito di porre in luce come la condizione economico-finanziaria del soggetto e dei suoi congiunti – titolari di un ingente patrimonio immobiliare e societario – risulterebbe essere legata alle condotte illecite del proposto.

Sul punto, si osserva  come il Tribunale di Catania, nel provvedimento di sequestro, ha avuto modo di osservare che il proposto costituisca l’esempio di un imprenditore – attivo principalmente nel settore delle costruzioni e nella lavorazione dei metalli – che ha fondato un percorso di accumulo patrimoniale interamente illecito, basato, in particolare, sulle attività usurarie ed estorsive, oltre che sull’evasione fiscale.

Per quanto sopra, all’esito delle sopra indicate investigazioni, il Tribunale di Catania, accogliendo, sul punto, la prospettazione della Procura di Catania, ha disposto il sequestro dei seguenti beni intestati al proposto e ai suoi familiari:

• 70 immobili siti nelle provincie di Catania e Bologna, tra i quali sono stati sottoposti a sequestro 4 ville a Misterbianco, di cui una con piscina;

• quote societarie di 10 società operanti in provincia di Catania e Bologna e attive nei settori della costruzione di edifici, mediazione immobiliare, facchinaggio e movimentazione delle merci;

• 12 automezzi; • disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente e polizze pegni) del proposto, dei suoi famigliari e delle società, per il valore stimato, al momento, di 20 milioni di euro.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura, dalla Guardia di Finanza di Catania e dallo SCICO, volte al contrasto, sotto il profilo economico-finanziario, delle associazioni a delinquere di tipo mafioso, al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, e di partecipazione al capitale di imprese sane, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica.

 

“Codice rosso”: arrestato fidanzato violento che aggrediva la convivente anche alla presenza della figlia

 

Come riconoscere un uomo violento - Non sprecare

Siracusa,

I Carabinieri della Stazione di Siracusa Principale hanno arrestato, su ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, un pregiudicato srilankese di 33 anni, responsabile di maltrattamenti nei confronti della convivente.

Le indagini sono partite dalla denuncia della donna che da ben 5 anni sopportava violenze fisiche e morali di ogni genere. La vittima era finita più volte in ospedale ma aveva sempre giustificato le lesioni come accidentali o da caduta. I maltrattamenti sono proseguiti anche durante il periodo di gravidanza della donna e l’arrestato, secondo le testimonianze della vittima e dei vicini, ha aggredito la convivente anche alla presenza della figlia appena nata.

I Carabinieri a seguito dei preliminari accertamenti hanno avviato le procedure previste dal c.d. “codice rosso” ed in tempi rapidissimi la Procura della Repubblica di Siracusa ha emesso il provvedimento cautelare nei confronti dell’uomo.

 

 

5 arresti per associazione per delinquere e riciclaggio – sequestri per 1,6 mln di euro

 

5 arresti per associazione per delinquere e riciclaggio - sequestri per 1,6 mln di euro

Roma,

Il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, su richiesta della Procura della Repubblica di Roma, sta dando esecuzione ad una ordinanza emessa dal G.I.P. del Tribunale capitolino impositiva della misura cautelare personale nei confronti di cinque soggetti, indagati per i reati di cui agli artt. 416, 648-bis, 648-ter, 110 e 512-bis c.p.

L’indagine – coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma – riguarda un’ipotesi di riciclaggio internazionale delle somme che sarebbero provento dei reati ipotizzati di corruzione e di appropriazione indebita di fondi pubblici venezuelani, destinati all’attuazione di un programma di sussidi alimentari, per i quali un imprenditore colombiano risulta imputato di fronte all’Autorità giudiziaria statunitense.

Quest’ultimo, recentemente tratto in arresto all’aeroporto dell’isola di Capo Verde ed estradato in esecuzione del mandato emesso dagli Stati Uniti d’America, avrebbe inoltre costituito numerose società attraverso le quali riciclare i proventi illeciti.

In tale contesto investigativo, su delega della Procura capitolina, nell’ottobre 2019 il medesimo Nucleo Speciale aveva già sottoposto a sequestro un appartamento di pregio sito nel centro storico di Roma (Via Condotti), del valore di circa euro 4,8 milioni, nonché 1,8 milioni di euro giacenti su un conto corrente acceso presso una banca italiana.

In base agli elementi finora raccolti dalle Fiamme Gialle, sono emersi indizi secondo i quali l’imprenditore colombiano avrebbe fittiziamente intestato le società di diritto estero a quattro cittadini italiani che avrebbero quindi agito quali prestanomi.

Sulla base del quadro accusatorio delineatosi nel corso delle investigazioni, il GIP del Tribunale di Roma ha ora disposto: – la custodia in carcere nei confronti di n. 2 indagati; – gli arresti domiciliari nei confronti di ulteriori n. 3 soggetti; – il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per un importo di 1,6 mln di euro.

Il procedimento -precisano nel Comunicato stampa- i finanzieri – pende nella fase delle indagini preliminari e che fino a sentenze definitive vale la presunzione di non colpevolezza.

Disarticolata famiglia mafiosa nel palermitano. Nove arresti

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Palermo,

Alle prime ore di stamattina, in varie località in provincia di Palermo, i militari del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 9 provvedimenti cautelari in carcere, emessi dall’ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione di armi clandestine e ricettazione, questi ultimi reati aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.

L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Dottore Paolo GUIDO, costituisce l’esito di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sulla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione mafiosa, organicamente inserita nel mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. 

L’importante dispositivo di contrasto a “Cosa Nostra”, di cui si è dotato il Comando Provinciale Carabinieri di Palermo, ha sviluppato un articolato percorso investigativo, coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che ha permesso l’esecuzione, negli ultimi 15 anni, di importanti operazioni nei confronti di esponenti delle famiglie mafiose del mandamento di Misilmeri- Belmonte Mezzagno, tra cui, “Perseo” (2008), “Sisma” (2009 e 2011), “Jafar” e “Jafar 2” (2015) e “Cupola 2.0” (2018/2019).

L’indagine, iniziata dai Carabinieri nel gennaio 2020, ha consentito di acquisire un grave quadro indiziario che è stato sostanzialmente accolto, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, nella suindicata ordinanza cautelare. Secondo tale provvedimento, per l’appunto, sussistono gravi indizi per affermare la piena operatività dell’organizzazione criminale “Cosa Nostra” a Belmonte Mezzagno, che nell’ultimo triennio è stato teatro dei più eclatanti fatti di sangue dell’intera provincia di Palermo, immortalando un contesto territoriale caratterizzato da uno spietato ricorso alla violenza ed all’uso delle armi. 
L’attività d’indagine, infatti, consegue ai seguenti gravissimi eventi criminali:  Sempre secondo l’ordinanza cautelare, sussistono gravi indizi, che dovranno successivamente essere confermati dagli ulteriori passaggi processuali, per affermare:
l’operatività e lo stretto controllo sul territorio esercitato della decina, ritenuta la più potente e pericolosa della famiglia di Belmonte Mezzagno. Questi, per il quale emergono gravi indizi sulla sua appartenenza al citato sodalizio, avrebbe coordinato l’attività nei settori tipici di controllo di Cosa Nostra, curando il mantenimento dell’ordine pubblico sul territorio e adoperandosi – in modo paritetico ad altri sodali oggi arrestati – per la risoluzione di svariate controversie tra privati, in alternativa allo Stato. In particolare, risulterebbe essersi attivato per il sostentamento dei detenuti della famiglia di Belmonte Mezzagno e per la restituzione della refurtiva asportata ad un commerciante, organico alla famiglia mafiosa e anch’egli arrestato, con il quale, sfruttando la forza di intimidazione promanante dalla loro appartenenza a Cosa Nostra, avrebbe influenzato la libertà di iniziativa economica locale, limitando la possibilità di esercizio ad aziende concorrenti;
La piena ed attuale disponibilità di armi da parte della famiglia di Belmonte Mezzagno, delle quali solo due sono state rinvenute: un fucile da caccia marca Winchester cal. 12 con matricola parzialmente punzonata e un revolver cal. 38 special Smith & Wesson con matricola abrasa.

La pistola, provento di una vecchia rapina, è stata sequestrata nel corso di un tentativo, messo in atto dai sodali, di venderla a soggetti palermitani, permettendo così di configurare agli odierni arrestati, oltre che la ricettazione, anche l’aggravante di cui al comma 5 dell’art. 416 bis. In particolare sarebbe attribuibile, sulla base delle risultanze sino ad ora acquisite, il ruolo di presunto custode dell’arsenale della famiglia di Belmonte, poiché questi risulterebbe coinvolto in ciascuna delle vicende riguardanti le armi della consorteria.
L’operazione di oggi rappresenta una forte e concreta risposta delle Istituzioni alla costante operatività criminale e alla capacità di controllo e condizionamento del territorio operato ancora oggi, in modo pervasivo, da “Cosa Nostra” sul territorio belmontese, nonostante la perseverante e incessante azione di contrasto condotta negli ultimi decenni dallo Stato.

Infine i Carabinieri precisano: “È obbligo rilevare che gli odierni indagati e destinatari della misura restrittiva, sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, pur gravemente, e che la loro posizione sarà definitivamente vagliata giudizialmente solo dopo la emissione di una sentenza passata in giudicato in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

 

 

Catania,: rinvenuto un vero arsenale da guerra a disposizione di gruppi e Clan mafiosi

 

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Foto Fucile d’alta precisione- Archivi Sud Libertà
Catania,
Nell’ultimo bimestre, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale etneo hanno intensificato le attività finalizzate a contrastare le organizzazioni malavitose nel territorio urbano con mirati servizi di controllo e perquisizioni, tesi soprattutto alla ricerca di armi e droga nel quartiere di San Cristoforo.
L’efficace attività info investigativa ha consentito il rinvenimento di esplosivi e di numerose armi da fuoco, comuni e da guerra.
Nella zona più isolata di un’area adibita a parcheggio di un centro commerciale, i militari hanno notato la presenza di alcuni sacchi contenenti rifiuti non organici che erano stati in tal modo sovrapposti per occultare un beauty case al cui interno hanno rinvenuto una pistola Benelli Army cal. 9 sprovvista di matricola, nonché circa 300 cartucce di vario calibro.
All’interno di un’abitazione di via Bianchi, apparentemente in stato d’abbandono, i militari, dopo aver raggiunto attraverso scale strette il piano superiore, hanno riscontrato la presenza di due borsoni contenenti una pistola Benelli Army cal. 9 sprovvista di matricola, 2 fucili mitragliatori (specificamente un AK 47 Kalasnikov cal. 7,62 ed un “MP brasilien” cal. 9 munito di silenziatore), 1 fucile lanciagranate con 6 proietti e 757 cartucce di vario calibro, oltre ad un passamontagna con un giubbotto antiproiettile e 9 ordigni esplosivi che, per la loro estrema pericolosità, hanno richiesto l’intervento specializzato della Squadra Artificieri del Comando Provinciale.
Nel prosieguo dell’attività, alcuni giorni dopo, nelle adiacenze di un edificio scolastico ubicato nel medesimo quartiere è stato rinvenuto un altro borsone anche questo contenente un ulteriore mitra AK 47 Kalashnikov, un fucile a pompa, una pistola a tamburo cal. 38 con matricola abrasa, 68 cartucce di vario calibro ed un puntatore laser e, anche in questo caso, 3 ordigni esplosivi di tipo artigianale.
Nel contesto del medesimo servizio coordinato sono stati altresì arrestati un catanese 43enne ritenuto gravemente indiziato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio perché, bloccato nei pressi della propria abitazione di via Campisano, è stato trovato in possesso di quasi 400 grammi di cocaina in pietra e di 2800 euro e, inoltre, un 36enne di Catania perché destinatario di un ordine di espiazione di pena detentiva emesso dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello etnea.
Quest’ultimo in particolare, ritenuto essere un affiliato di spicco del gruppo mafioso dei “Nizza” e già precedentemente sottrattosi all’esecuzione del provvedimento, per il quale doveva scontare la pena di 11 mesi e 4 giorni di reclusione, è stato localizzato e bloccato all’interno di un’abitazione allo stesso in uso in via Cave di Villarà, dove aveva trovato rifugio. La perquisizione dell’uomo ha consentito di rinvenire e sequestrare una pistola Beretta cal. 7,65 con matricola abrasa avente 12 cartucce nel serbatoio, circa 230 grammi di marijuana e la somma di circa 11.000 euro.
Gli arrestati sono stati successivamente tradotti nelle carceri catanesi di Piazza Lanza e di Bicocca. Nell’ultimo bimestre, in sintesi, l’efficace azione di contrasto dei Carabinieri del Reparto Operativo di Catania ha consentito di sottrare alla criminalità organizzata le sottonotate armi, ordigni artigianali e munizionamento vario, riconducibili al gruppo mafioso “Nizza” della famiglia di Cosa Nostra etnea “Santapaola Ercolano:  – n. 9, tra pistole, fucili mitragliatori e un fucile lanciagranate, efficienti e in ottimo stato di conservazione; – n. 12 ordigni artigianali improvvisati (tra flash bang e cd. “pipe bomb”), contenenti esplosivo/bulloni e atti ad offendere; – n. 837 tra proiettili e cartucce vari calibri e marchi.
Le armi sono state versate al R.I.S. di Messina per lo svolgimento degli accertamenti tecnici tesi a verificarne l’eventuale utilizzo in episodi delittuosi.