Mafia nell’economia palermitana – misure cautelari e sequestri beni per 5 milioni di euro

 

 

Infiltrazioni mafiose nell'economia palermitana - Eseguite misure cautelari e sequestrati beni per 5 milioni di euro

 

 

Palermo,

I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal G.I.P. del locale Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – Sezione Palermo, nei confronti di  7 soggetti, di cui 2 in carcere, 2 colpiti dagli arresti domiciliari e 3 destinatari della misura interdittiva del divieto di esercitare attività imprenditoriali per un anno.

Gli indagati sono indiziati, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare Cosa Nostra.

Con il medesimo provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo di 5 società operanti nel settore della vendita al dettaglio di capi d’abbigliamento, intimo ed accessori e dei relativi 13 punti vendita con sede a Palermo, Cefalù e Favignana, oltre a un’autovettura nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.

Le indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo – G.I.C.O. hanno riguardato le attività di due imprenditori palermitani che, gestendo attraverso prestanome un articolato reticolo societario, avrebbero posto in essere un complesso di condotte finalizzate ad agevolare e rafforzare gli interessi economicocriminali del mandamento mafioso di Pagliarelli.

Gli elementi acquisiti allo stato delle indagini consentono di ipotizzare, in particolare, che uno degli indagati, imprenditore di successo, abbia fornito sostegno a colui che risulterebbe essere il “reggente” del citato mandamento, già condannato per associazione mafiosa:

  • sollecitando la costituzione, appena uscito dal carcere, di un’impresa edile cui sarebbero stati affidati importanti lavori di ristrutturazione di numerosi punti vendita;
  • procurando contatti con soggetti di rilievo del mondo imprenditoriale;
  • assumendo familiari dello stesso;
  • dopo l’arresto, elargendo somme di denaro ed altre forme di supporto economico durante il periodo di detenzione.

Tale condotta avrebbe permesso di rafforzare il potere dell’uomo d’onore sul territorio, consentendo di conseguire notevoli guadagni da utilizzare per le finalità proprie dell’organizzazione mafiosa, prima fra tutte l’assistenza alle famiglie dei detenuti, condizione imprescindibile per la sopravvivenza stessa di Cosa Nostra.

L’odierna operazione conferma il perdurante impegno della Guardia di Finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, per individuare i segnali di inquinamento dell’economia da parte delle consorterie criminali mafiose e per aggredire i patrimoni illecitamente accumulati, a tutela dei cittadini e degli imprenditori onesti che operano nel rispetto delle norme.

 

V I D E O –

 

 

Napoli, la Finanza sequestra 1200 piante di cannabis

 

La Finanza scopre 1200 piante di Cannabis

 

Napoli,

Il Comando Provinciale e il Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Napoli hanno scoperto, tra Torre Annunziata e Trecase, una piantagione di marijuana costituita da 1200 piante di cannabis indica e arrestato un ventenne di Trecase con precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti. La scoperta è stata effettuata dai finanzieri del Gruppo di Torre Annunziata grazie alle sofisticate apparecchiature dell’innovativo elicottero PH-139D in uso alla Sezione Aerea di Napoli che, nel corso delle quotidiane perlustrazioni aeree della provincia partenopea, ha individuato delle colture sospette, verosimilmente di cannabis, occultate in un anello boschivo, ubicato in un appezzamento di terra ai confini tra i due comuni vesuviani.

Il nuovo sistema in uso al comparto aereo del Corpo ha permesso di effettuare delle riprese che hanno consentito di individuare i punti di accesso alla piantagione e persino i sistemi di irrigazione che vi erano stati installati. Alla luce di tali evidenze, le Fiamme Gialle partenopee hanno avviato degli approfondimenti volti a individuare i soggetti che gestivano la piantagione e, coadiuvati dall’alto e a terra dai colleghi della componente aeronavale, hanno effettuato l’accesso nell’area in questione dove hanno rinvenuto le 1200 piante di cannabis. La resa stimata della coltivazione sarebbe stata di circa 350,00 kg. di marijuana, per un controvalore di mercato di oltre 550.000,00 euro.

Le approfondite ricerche nell’area e, in particolare, tra gli alberi che fungevano da occultamento per la piantagione, hanno poi portato a ulteriori scoperte. Infatti, all’interno di alcuni tubi per l’irrigazione sono state rinvenute armi da sparo, comuni e da guerra, munizioni nonché un considerevole quantitativo di sostanze stupefacenti già confezionate. In particolare, sono state ritrovate, perfettamente funzionanti e appena lubrificati, una pistola mitragliatrice e un fucile a pompa Franchi con matricola abrasa, una pistola a tamburo senza matricola, un fucile da guerra cal. 8×57 tipo Mauser, 4 fucili cal. 20, un fucile cal. 12, n. 317 cartucce di vario calibro. Sequestrati anche 4,7 kg. di hashish e altre sostanze sottovuoto (548 gr. di lidocaina, 450 gr. di cocaina e 320 gr. di marijuana), già pronti per essere immessi sul mercato, del controvalore al dettaglio di oltre 70.000,00 euro.

La piantagione e il locale adibito ad essiccatoio e confezionamento dei panetti di hashish e delle dosi di cocaina erano energizzati elettricamente con allaccio abusivo alla rete elettrica nazionale, concretizzando anche l’ipotesi di furto aggravato. Al termine dell’operazione, il responsabile, risultato avere nella propria disponibilità la piantagione, lo stupefacente e le armi, è stato tratto in arresto in flagranza di reato. Si tratta di un giovane ventiduenne originario della zona. Il provvedimento è stato convalidato dal GIP. Su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, la piantagione è stata distrutta previo campionamento e analisi delle piante.

 

Napoli, scoperta una articolata frode carosello con interposizione fittizie di società e fatturazioni inesistenti

 

Napoli, le Fiamme gialle eseguono un’ordinanza di custodia cautelare

 

Napoli,

Ieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Napoli, i finanzieri dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli, Frosinone e Trieste, in collaborazione con i funzionari del Nucleo Operativo Accise (NOA) dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali a carico di due soggetti, nonché a un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni mobili e immobili, in via diretta e per equivalente, per complessivi 44 milioni di euro, a carico di cinque società e sei persone fisiche indiziate di partecipazione ad una associazione per delinquere attiva nelle province di Napoli e Frosinone, di dichiarazione fraudolenta mediante l’emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e di frode nella commercializzazione di prodotti petroliferi.

In particolare, sono state applicate misure cautelari personali a carico dei legali rappresentanti di due delle principali società coinvolte; segnatamente la misura cautelare degli arresti domiciliari congiuntamente a quella interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi nei confronti di un soggetto e quella interdittiva del divieto temporaneo di esercitare imprese e uffici direttivi a carico dell’altro.

Le indagini riguardano una articolata frode carosello che sarebbe stata posta in essere dal 2016 al 2021, effettuata mediante interposizioni fittizie di altre società e fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti; le indagini hanno fatto emergere che sarebbe stata creata una catena di società dislocate in Friuli Venezia Giulia, Lazio e Campania, per assicurare introiti illeciti ai partecipi dell’associazione, commisurati alle imposte evase in termini di IVA e di accise per decine di milioni di euro.

Una delle società operanti nel frusinate, titolare di licenza di trader, a seguito della revoca intervenuta per violazioni di carattere fiscale, avrebbe ceduto circa 15 milioni di litri di gasolio, in sospensione d’accisa pur non avendone più i requisiti, a un’altra società, sempre riconducibile al medesimo soggetto.

Tale condotta avrebbe consentito – in soli due mesi – di evadere circa 10 milioni di euro di accise. L’odierna operazione è il frutto della sinergia tra l’azione della Guardia di Finanza e quella della Agenzia delle Dogane – con il coordinamento dell’Autorità Giudiziaria partenopea – a tutela del corretto andamento dei mercati e a contrasto di pratiche commerciali scorrette in danno dell’Erario in un momento storico particolarmente delicato per il settore dei prodotti petroliferi ed energetici.

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Gip Tribunale di Salerno: ordinanza custodia per 38 malavitosi accusati di estorsioni ,truffa e Mafia

Palazzo Tribunale di Salerno- Archivi Sud Libertà

 

Salerno,

Questa mattina, nelle province di Salerno, Avellino, Frosinone, Caserta e Chieti, i Carabinieri del Comando Provinciale di Salerno, supportati da quelli dei reparti territorialmente competenti e da unità cinofile del nucleo di Pontecagnano, hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali e reali emessa dall’ufficio GIP del Tribunale del capoluogo, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 38 persone (14 delle quali sottoposte alla custodia cautelare in carcere, 21 agli arresti domiciliari e le rimanenti 3 all’obbligo di presentazione alla p.g.), indagate, a vario titolo, per i reati di “estorsione e lesioni personali, aggravati dalla finalità mafiosa, porto e detenzione di armi in luogo pubblico, concorso in spaccio di sostanze stupefacenti, indebita percezione di erogazioni pubbliche, ricettazione, riciclaggio, truffa

Nel medesimo provvedimento cautelare è stato disposto ed eseguito il “sequestro preventivo in forma diretta o anche per interposta persona” di circa 74.000 euro a carico due società, un bar e una società di servizi. Nel corso delle operazioni, che hanno complessivamente visto impiegati oltre 250 Carabinieri, sono state altresì eseguite perquisizioni personali e locali per la ricerca di stupefacenti e altre cose pertinenti ai reati contestati.

Le accuse nei confronti degli indagati, ritenute allo stato assistite dal requisito della gravità indiziaria e destinate all’ulteriore vaglio dibattimentale, traggono origine da un’articolata attività d’indagine intrapresa dal Nucleo Investigativo Carabinieri di Salerno nel mese di aprile 2019, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia.

L’attività, condotta attraverso indagini tecniche e mirati servizi di osservazione, controllo e pedinamento, è risultata particolarmente complessa poiché è stato necessario ricostruire i reali titolari di schede telefoniche fittiziamente intestate ed utilizzate per lo svolgimento di traffici illeciti. Nella impostazione accusatoria gli indagati gravitavano attorno alla figura di G.S., alias “pappachione”, che avrebbe nel tempo assunto una posizione di predominante rilievo, già prima della sua definitiva scarcerazione, avvenuta nel mese di maggio 2020, servendosi di permessi che gli davano la possibilità di rientrare sul territorio del capoluogo.

Questi, direttamente o tramite intermediari, avrebbe instaurato e riallacciato rapporti, attraverso l’invio di lettere o incontri personali, con svariati pregiudicati salernitani, nel tentativo di formare un gruppo criminale finalizzato ad acquisire il controllo dell’attività di spaccio di stupefacenti nella citata “zona orientale” di Salerno, fino al suo arresto in flagranza, operato il 25 luglio 2020 dai Carabinieri di Salerno, per la violazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S..  

Secondo la prospettazione accusatoria, allo stato ritenuta valida dal Giudice, lo S. avrebbe estorto una parte dei proventi delle attività di spaccio percepite dai pusher presenti nell’area orientale di Salerno e in alcune strade del centro cittadino, nonché danaro ai danni di un esercente commerciale e portato e detenuto in luogo pubblico delle armi (tra cui un kalashnikov), con le quali avrebbe esploso, nel mese di luglio 2020, su pubblica via, 13 colpi di pistola senza un obiettivo preciso, ma al solo scopo dimostrativo, danneggiando alcuni palazzi, mentre era a bordo della sua auto con altri due indagati. Nello stesso mese, unitamente ad altri 7 indagati, avrebbe altresì gambizzato con due colpi di pistola un pusher, cagionandogli lesioni giudicate guaribili in 30 giorni di prognosi, al fine di imporre la propria supremazia territoriale. Gli inquirenti hanno inoltre individuato un’attività di spaccio all’interno del carcere di Bellizzi Irpino (AV), da parte di due detenuti, che sarebbero riusciti ad ottenere la droga per il tramite di alcuni familiari e il loro legale di fiducia, anch’egli tra gli odierni arrestati, i quali avrebbero più volte consegnato lo stupefacente durante i colloqui. Inoltre, tre indagati, tra cui il predetto avvocato e uno dei leader del tifo organizzato locale, avrebbero commesso una truffa nei confronti dei genitori di un ventenne, anch’egli appartenente agli “ultras”, deceduto in un incidente stradale mortale.

In particolare, secondo la ricostruzione fatta propria dal Giudice, il capo del gruppo ultras, sfruttando la fiducia a lui riconosciuta proprio in quanto leader della tifoseria organizzata, sarebbe riuscito a carpire la buona fede dei genitori della vittima, ai quali avrebbe indicato il predetto legale per le procedure assicurative relative alla morte del figlio.
L’avvocato, mediante la falsificazione totale o parziale di documentazione fiscale attestante presunte spese sostenute in relazione al funerale della vittima e successive consulenze tecniche di parte, avrebbe poi indotto in errore i familiari circa gli oneri complessivamente lui dovuti, appropriandosi della somma di 160 mila euro, dal totale del risarcimento liquidato dall’assicurazione per il sinistro, ripartendola con il capo ultras e un altro indagato. A tutti gli indagati è contestata l’aggravante di aver approfittato della “condizione di minorata difesa delle vittime, dovuto allo stato di sofferenza psicologica derivante dalla morte del giovane”.
Parte della somma provento di truffa sarebbe stata poi riciclata attraverso una fattura falsa di 43.310 euro, emessa dalla società di consulenza di proprietà della moglie di uno dei tre.
Le indagini, anche bancarie, hanno consentito inoltre di ipotizzare che la citata donna, legale rappresentante di un’impresa individuale con sede in Pontecagnano Faiano (SA), mediante l’utilizzo e la presentazione di dichiarazioni e documentazione attestante cose non vere, avrebbe conseguito indebitamente un contributo a fondo perduto che lo Stato ha erogato al fine di sostenere le imprese colpite dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”, ricavandone un vantaggio patrimoniale quantificato in 30.856 euro corrisposto dall’Agenzia delle entrate, mediante accreditamento diretto in conto corrente intestato al soggetto beneficiario.
Da qui la connessa ipotesi delittuosa di indebita percezione di erogazioni pubbliche.
A riscontro delle risultanze emerse dalle intercettazioni e a seguito di appositi servizi di osservazione e pedinamento, nell’intero corso degli accertamenti di polizia giudiziaria sono state sequestrate sostanze stupefacenti per oltre 28 Kg, prevalentemente hashish, con contestale arresto in flagranza o deferimento in stato di libertà di 13 soggetti per i reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione e porto illegale in luogo pubblico di armi, nonché numerosi altri sequestri amministrativi a carico di acquirenti-assuntori e correlate segnalazioni alla Prefettura di Salerno.

 

 

Napoli, al culmine di un litigio figlio uccide a coltellate la madre

 

Napoli,

Altre notizie di drammi in famiglia si susseguono dopo quella di Catania. Qui l’attore principale è il figlio assassino.

Una donna di 61 anni è stata uccisa a coltellate dal figlio 17enne. Il delitto consumato  a Napoli, in un’abitazione a rampe San Giovanni Maggiore, traversa di via Mezzocannone, nel centro storico.

Violenza e delitti in famiglia -Archivi SUD LIBERTA'

L’omicidio- si apprende –  è avvenuto al culmine di un litigio tra madre e figlio. Quest’ultimo, dopo aver ucciso la donna, si è chiuso in casa. Si apprende che vicini di casa,  hanno sentito i due litigare violentemente, e hanno inviato segnalazioni alla Polizia

I primi a riuscire ad entrare nell’abitazione sono stati i vigili del fuoco attraverso una finestra. Sul posto sono intervenuti i poliziotti dell’Ufficio prevenzione generale della Questura di Napoli e del Commissariato Decumani. Sono in corso accertamenti e indagini.      Si sta valutando la posizione del ragazzo, figlio adottivo della donna, soprattutto se è sano di mente.

 

Catania, la madre uccide la figlia Elena – Che Dio salvi la mente di una donna-madre

 

Che Dio salvi la mente di una donna-madre. Ma nel caso il destino della bambina si conclude qui. La donna è andata a prendere la figlia all’asilo. La bambina uccisa a coltellate, il corpo nascosto in un campo

Foto -Carabinieri Comando Ct –

 

 

Sotto interrogatorio Martina Patti ha confessato di aver ucciso a coltellate la figlia Elena, 5 anni, scomparsa ieri a Mascalucia, in provincia di Catania. Dopo il delitto, ha nascosto il corpo della bambina sotterrandolo in un campo

  La donna ieri ricordava  il rapimento della bambina,  interrogata ancora dagli inquirenti oggi ha indicato ai militari il luogo dove rinvenire il corpo della figlia (sotterrato in un campo vicino alla via Euclide di Mascalucia).

Conclusione. Presso il Comando Provinciale dei Carabinieri  con  presenza di magistrati dalla Procura di Catania, la madre ha confessato l’omicidio.

Come nei film dell’orrore ,riferiva  di aver agito da sola dopo essere andata a prendere la figlia all’asilo, di aver usato un coltello da cucina e dei sacchi neri per nascondere il corpo della figlia nella terra.

 

Napoli,macabro ritrovamento di un cadavere decomposto in sacco di plastica

Napoli, la "lista dei carabinieri corrotti" raccontata dal pentito: "Loro  sono Starsky & Hutch, ricevevano dal clan 1500 euro a testa" - Il Fatto  Quotidiano
Napoli, immagine dei Carabinieri -Archivi Sud Libertà

 

 

Napoli,

Macabro ritrovamento nel napoletano. Il cadavere di un uomo è stato trovato in un sacco di plastica in un fondo agricolo in via Molino a Scisciano. Il corpo è in parziale stato di decomposizione.

Sono in corso indagini dei carabinieri del nucleo investigativo di Castello di Cisterna per chiarire l’accaduto e procedere all’identificazione con informativa dettagliata all’Autorità Giudiziaria.

Caltanissetta, arresti per Mafia: gli indagati “inducevano persino ad interrompere il rapporto di lavoro”

 

 

 

 

Caltanissetta,

I finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta hanno eseguito, in data 30.05.22, Un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 12 persone,è  stata notificata dai finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta..  I destinatari sono indagati – in concorso e a vario titolo – per i delitti di furto ed estorsione aggravata dal metodo mafioso, a nove degli stessi è stata applicata la misura detentiva in carcere ed agli altri tre quella degli arresti domiciliari.

Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Caltanissetta, nel corso delle indagini preliminari, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nissena, giunge al culmine di complesse investigazioni, che hanno consentito di accertare gravi indizi in relazione alle presunte “interferenze” nella gestione di beni aziendali.

I gravi indizi ritenuti dal GIP, che di seguito saranno esposti, sono stati accertati grazie alle indagini, condotte dal G.I.C.O. di Caltanissetta (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata), coadiuvati dai finanzieri della locale Sezione di Polizia Giudiziaria; indagini che si collocano nel più ampio contesto investigativo delle cosiddette “agromafie”. Tali gravi indizi  sulle persistenti “ingerenze”,  sarebbero state perpetrate da due fratelli – imprenditori agricoli operanti nell’agro della provincia di Enna, sulle aziende agli stessi confiscate a seguito di procedimento di prevenzione.

In particolare, i due germani, attraverso dipendenti “fidelizzati”, avrebbero inciso nelle dinamiche aziendali a più livelli, talvolta anche attraverso l’erogazione di direttive in contrasto con quelle dell’amministratore giudiziario, arrivando alla presunta sottrazione di beni strumentali all’attività agricola per fini personali.

Inoltre, in danno delle stesse aziende, oltre ai ricorrenti furti, sarebbero state accertate diversificate forme di intimidazione nei confronti dei lavoratori assunti dall’amministrazione giudiziaria, configurandosi, in danno di questi ultimi, una singolare forma di estorsione aggravata dal metodo mafioso, perché sarebbero stati indotti ad interrompere precocemente il rapporto di lavoro.

Secondo il suindicato provvedimento cautelare le minacce non sarebbero state direttamente avanzate dai due fratelli, per non sovraesporsi, attesa la loro sottoposizione a procedimento di prevenzione e procedimento penale; si sarebbero avvalsi, invece, dell’operato di soggetti a loro “vicini”, ovvero di “fiancheggiatori” per indurre i dipendenti assunti dall’amministratore giudiziario ad abbandonare il posto di lavoro.

Tali minacce sarebbero avvenute con le classiche modalità proprie di chi esercita una capacità di intimidazione mafiosa, tanto che le vittime non solo non hanno sporto denuncia, ma avrebbero altresì sottaciuto al datore di lavoro, l’amministratore giudiziario, le reali ragioni del repentino recesso dal rapporto di lavoro appena instaurato.

Nella sostanza, i due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà presso le imprese loro sequestrate, che avrebbe garantito il costante controllo sul divenire delle diverse attività aziendali.

Ma non è tutto. Essi avrebbero organizzato, all’interno di una delle imprese sequestrate, anche un evento conviviale “una cena a base di porchetta”. Evento che, in tale contesto, assumerebbe un alto valore simbolico: una dimostrazione di forza, che avrebbe accresciuto altresì il loro prestigio di fronte agli intervenuti.

Inoltre uno dei due fratelli, attraverso “l’intermediazione” di altri “fiancheggiatori”, uno dei quali dentro  “cosa nostra” e operanti nella provincia di Messina, avrebbe preteso, con modalità estorsive, la restituzione di un autocarro aziendale che un privato, dimorante nella provincia di Messina, aveva legittimamente e “incautamente” acquistato dall’amministrazione giudiziaria.

Si precisa, infine, sono stati raccolti gravi indizi circa l’attualità di una vera e propria rete di presunti “sodali” e “fiancheggiatori”, con ramificazioni nelle province di Enna, Catania e Messina, che avrebbe agevolato la pervicace interferenza dei fratelli nelle quotidiane attività aziendali delle imprese confiscate.

 

 

Sequestro beni ad imprenditore edile mafioso del Clan “Casalesi”per 6,5 milioni di euro

 

Sequestrati tra Campania e Abruzzo beni per 6,5 milioni di Euro a imprenditore edile

Napoli,

In data odierna, -comunica la Finanza – i Finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata e i Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale di Napoli hanno eseguito, tra le province di Napoli, Caserta e L’Aquila, un decreto di sequestro di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie per un valore di circa 6.500.000 di euro.

Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione per le Misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, – su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli – nei confronti di un membro del clan ZAGARIA.

Lo stesso, attualmente detenuto, imprenditore nel campo dell’edilizia, originario di Casapesenna (CE), ma stabilmente domiciliato a Caserta, risulta condannato in via definitiva per associazione mafiosa avendo partecipato all’organizzazione operante nella provincia di Caserta e in altre aree del territorio nazionale, denominata clan dei Casalesi – fazione ZAGARIA, a seguito dell’indagine condotta dal ROS dei Carabinieri denominata SISTEMA MEDEA diretta dalla Procura della Repubblica di Napoli e conclusa il 14 luglio 2015, con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti, tra gli altri, del “proposto” per i reati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione, intestazione fittizia di beni, rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio, turbata libertà degli incanti, finanziamento illecito a partiti politici ed altri delitti aggravati dalle finalità mafiose.

Le indagini economico-patrimoniali condotte dal G.I.C.O. della Guardia di Finanza hanno consentito di individuare un cospicuo patrimonio in capo allo stesso e ai componenti del proprio nucleo familiare, non giustificato rispetto ai redditi e alle attività economiche dichiarate.

Il sequestro, in particolare, riguarda 33 immobili, di cui 26 ubicati in provincia di Caserta, 6 nella provincia di Napoli e 1 nella provincia de L’Aquila, 4 terreni in provincia di Napoli, 3 società con sede in provincia di Caserta operanti nel settore edile e immobiliare, 5 autoveicoli e rapporti finanziari.

 

Maxoperazione antimafia a Palermo: disarticolati i Clan mafiosi Del Noce e Cruillas

Vertici del mandamento mafioso della Noce in stato di fermo

I 40 anni della polizia di Stato: «cresciuta assieme a Bergamo» - Video - Cronaca, Bergamo
Foto Archivi Sud Libertà

Palermo,

Maxiperazione antimafia a Palermo, la Polizia di Stato smantella i vertici del mandamento mafioso della Noce. Cinque indagati hanno già scontato una condanna.

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo ha delegato oggi la Polizia di Stato a dare esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del capoluogo, nei confronti di 9 indagati (di cui 8 in carcere ed 1 agli arresti domiciliari), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione di tipo mafioso ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine avviata dalla Squadra Mobile di Palermo e dal Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, nel 2020 e coordinata dalla locale Procura della Repubblica –DDA -, che avrebbe consentito di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose del mandamento della Noce/Cruillas che comprende le famiglie mafiose della Noce, Cruillas/Malaspina ed Altarello.

Le più recenti operazioni condotte dalla Squadra Mobile di Palermo su questo mandamento avevano permesso di disarticolare la struttura organizzativa consentendo l’arresto e la condanna di numerosi affiliati, tra capi e gregari, delle famiglie mafiose che compongono il mandamento.

Cinque gli arrestati sono già stati condannati a vario titolo per l’appartenenza a Cosa Nostra, affiliazione che comporta “l’assoluta accettazione delle regole dell’agire mafioso e conseguentemente la messa a disposizione del sodalizio di ogni energia e risorsa personale per qualsiasi richiesto impiego criminale nell’ambito delle finalità proprie della stessa Cosa nostra, “offrendo a questa un contributo anche materiale permanente, e sempre utilizzabile, già di per sé idoneo a potenziare l’operatività complessiva dell’organizzazione criminale”.

Sarebbe stata così documentata l’ascesa al vertice del mandamento Noce/Cruillas di colui che sarebbe ritenuto l’attuale capo, dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione in carcere. La sua ascesa ai vertici di cosa nostra “sarebbe già stata favorita, negli anni passati, dai fratelli Lo Piccolo, alla presenza dei quali, peraltro, sarebbe stato ritualmente “combinato”, e sempre per volere di questi sarebbe stato, allora, posto a capo del suddetto sodalizio mafioso”, dicono gli inquirenti.

La sua storia criminale- comunicano gli investigatori alla stampa – gli avrebbe permesso così di riorganizzare ed imporre nuove regole all’intero del mandamento, attraverso riunioni che sarebbero state registrate dalla polizia giudiziaria, rese riservate dai partecipanti, secondo un collaudato protocollo di riservatezza, consistente nell’avviarsi, senza telefonino, in lunghe passeggiate lungo le pubbliche vie con i vertici delle altre famiglie mafiose.

La riorganizzazione avrebbe comportato l’ascesa criminale di uomini di sua totale fiducia ed il contestuale ridimensionamento di quelli ritenuti nel mirino delle forze dell’ordine. L’indagine avrebbe evidenziato “alcuni soggetti di vertice dell’organizzazione tra cui colui che avrebbe assunto il controllo della cassa della famiglia acquisendone direttamente la gestione (“u vacilieddu”), nella sua strategia rientrerebbe la presunta estensione a tappeto delle estorsioni, con imposizione del pizzo a tutti gli esercizi commerciali, strategia questa criticata da alcuni affiliati poiché sarebbero state coinvolte attività di poco conto e ciò avrebbe creato malcontento”.