LO SCEMPIO DI VITE UMANE -Operazione “HYPNOS” su maltrattamenti, abbandono di incapaci ed esercizio abusivo della professione

I NAS  RISCONTRANO NUMEROSI CASI DI CONDOTTE OPPRESSIVE E AVVILENTI NEI CONFRONTI DEGLI ANZIANI  : INGIURIE, URLA, STRATTONAMENTI, ABBANDONO, SOMMINISTRAZIONE DI PSICOFARMACI

Anziani maltrattati: inaccettabile scempio di vite umane | Vanna Iori

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Ragusa,

Su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa, i Carabinieri del NAS di Ragusa, con la collaborazione dei Carabinieri di quel Comando Provinciale, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale nei confronti otto soggetti, due dei quali destinatari della misura cautelare personale degli arresti domiciliari e sei di misure interdittive, nei confronti dei gestori e di alcuni dipendenti di una struttura impegnata nella cura e custodia di persone anziane e disabili, gravemente indiziati – allo stato degli atti e nella presente fase del procedimento, nella quale non è stato ancora instaurato il contraddittorio con gli indagati – in concorso tra loro del reato continuato di maltrattamenti, abbandono di incapaci ed esercizio abusivo della professione medica ed infermieristica.

Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Ragusa e condotte dal NAS di Ragusa con servizi di osservazione, pedinamento, ispezioni e mediante attività tecnica di intercettazione telefonica ed ambientali, hanno permesso di approfondire l’illecita condotta degli indagati nel gestire la casa di riposo, all’interno della quale erano ospitate 29 (ventinove) persone, in sovrannumero rispetto alle capacità ricettive della struttura e accudite da personale sottodimensionato e non qualificato che, specie in orario notturno, somministrava in difetto di prescrizione medica farmaci ipnoinducenti, al solo scopo di intorpidire e quindi poter gestire gli ospiti della struttura con un personale ridotto e così limitando le spese di gestione.

L’attività investigativa, ricadente nell’ambito di servizi disposti in campo nazionale dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute di Roma, d’intesa con il Ministero della Salute, finalizzati a monitorare la corretta gestione delle strutture socio – assistenziali dedicate ad ospitare le fasce più deboli della società, è scaturita da una segnalazione pervenuta al Nas di Ragusa da parte di ex dipendenti della struttura e riguardante le indegne condizioni in cui gli anziani erano costretti a vivere.

Dal complesso degli elementi indiziari sarebbero emerse gravi anomalie nella gestione della casa di riposo, improntata alla massimizzazione dei profitti a discapito delle condizioni igienico sanitarie, funzionali e organizzative della struttura, con una inappropriata assistenza sanitaria nei confronti degli ospiti. Sarebbero inoltre stati riscontrati numerosi casi di condotte oppressive e avvilenti nei confronti degli anziani (spesso costretti a dormire in letti pieghevoli e fatiscenti), messe in atto tramite ingiurie, urla, strattonamenti, abbandono, somministrazione di psicofarmaci. Commesso con sistematicità, infine, il reato di esercizio abusivo della professione medica da parte di uno dei titolari della struttura, che arbitrariamente modificava le prescrizioni o inseriva farmaci (spesso ad azione psicoattiva) nelle terapie degli ospiti, così come l’abusivismo infermieristico dei dipendenti che approssimativamente somministravano, benché sprovvisti di specifico titolo professionale, medicinali agli ospiti loro affidati.

Al termine delle attività è stato disposto il sequestro preventivo dell’intera struttura sociosanitaria per anziani e disabili oggetto dell’attività di indagine, con nomina, da parte del G.I.P., di apposito amministratore giudiziario. Tutte le ipotesi accusatorie, allo stato condivise dal G.I.P. in sede, dovranno trovare conferma allorché verrà instaurato il contraddittorio tra le parti, come legislativamente previsto.

Indagini della Procura della Repubblica e provvedimenti restrittivi a carico di persone accusate di sequestro

 

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 Ragusa – Modica ,
Su richiesta delle competenti Procure della Repubblica presso il tribunale ordinario (Direzione Distrettuale Antimafia) e presso il Tribunale per i Minorenni di Catania, che hanno coordinato le indagini, nelle prime ore della mattinata odierna, i Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Modica – supportati dai Reparti Investigativi dei Comandi Provinciali di Ragusa e Siracusa, che hanno contribuito allo svolgimento delle indagini – hanno dato esecuzione a due distinti provvedimenti restrittivi emessi dai GIP di Catania (sia presso il Tribunale ordinario che presso il il Tribunale per i minorenni) nei confronti di soggetti originari e gravitanti nell’area siracusana che fatta salva la presunzione di innocenza – venivano ritenuti gravemente indiziati , con i ruoli di mandanti, esecutori e carcerieri, dei sequestri di persona di 3 giovani avvenuti, in fasi diverse, a Scicli il 20 giugno dello scorso anno e che hanno suscitato profondo allarme nella città.
Per la liberazione di uno degli ostaggi, non appena localizzato il giorno successivo, è stato necessario l’impiego del Gruppo d’Intervento Speciale (GIS) dell’Arma dei Carabinieri, così da evitare possibili reazioni e ulteriori conseguenze in danno del giovane sequestrato. L’operazione si concludeva con l’arresto in flagranza di uno dei custodi e il sequestro di una pistola, della quale il carceriere era in possesso.
Sotto la direzione della AG Catanese l’Aliquota Operativa della Compagnia di Modica proseguiva le investigazioni in ordine al grave delitto commesso con il fattivo contributo dei Carabinieri di Siracusa.
Le indagini avrebbero quindi consentito di ricostruire il movente del sequestro del giovane, che si è ritenuto sia consistito in una ritorsione per la sottrazione di 4 chili di hashish, del valore di circa 15 mila euro, avvenuta a Modica il 19 giugno 2024 in danno di alcuni delle persone arrestatie già fornitricii di altre partite di droga in favore di giovani spacciatori locali. Il sequestro di persona avrebbe dunque avuto lo scopo di recuperare la somma di denaro a pagamento della droga, condizione per la liberazione del sequestrato.
Il commando, secondo la ricostruzione accusatoria da verificare nel prosieguo del procedimento — un gruppo composto da otto siracusani armati di pistole, giungeva a Scicli per rintracciare coloro che si erano impossessati della droga, bloccando per alcune ore e picchiando selvaggiamente, con la minaccia delle armi, due giovani sciclitani, di cui un minorenne, per poi rilasciarli; subito dopo, ne1 quartiere Jungi di Scicli, il commando avrebbe sequestrato il giovane da loro ricercato che, sempre sotto minaccia armata, sarebbe stato caricato con violenza a bordo di una delle loro autovetture e trasportato a Siracusa. Nel tentativo di difendere il giovane dai suoi aggressori, un cugino del sequestrato veniva attinto ad una gamba da un colpo di arma da fuoco. Anche l’ostaggio durante il tragitto veniva ferito alla spalla con un colpo di pistola, mentre tentava di lanciarsi da1l’autovettura in corsa.
\ Siracusa sarebbe stato poi rinchiuso in un appartamento di via Privitera, nel popolare rione di Santa Lucia, utilizzato quale covo per lo spaccio della droga.
Le indagini, i cui esiti sono stati sin qui convalidati dai giudici, avrebbero permesso anche di delineare le dinamiche del gruppo che risultava dedito allo spaccio di stupefacenti.
Ai risultati investigativi sin qui ottenuti – suscettibili di ulteriori convalide in sede giurisdizionale – si è giunti attraverso l’acquisizione delle informazioni assunte dai testimoni, l’analisi dei dati acquisiti sulla base del vaglio delle immagini di videosorveglianza presenti sui luoghi.
Gli arrestati sono stati condotti presso la Casa Circondariale di Ragusa e presso l’Istituto Penale per i Minorenni di Catania-Bicocca.

Palermo , contrasto allo spaccio di droga. In manette due persone

 

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Palermo,
I militari della Stazione San Filippo Neri hanno arrestato un 23enne, palermitano, già noto alle forze dell’ordine, per spaccio di sostanze stupefacenti. I militari, nell’ambito di un servizio di controllo del territorio nel quartiere “Zen 2” finalizzato alla prevenzione e al contrasto dello spaccio di droga hanno notato il giovane che cedeva alcuni involucri ad alcuni avventori. Immediato l’intervento dei Carabinieri che hanno bloccato l’uomo che, perquisito, è stato trovato in possesso di 13 dosi tra cocaina e hashish ingegnosamente occultate all’interno del doppio fondo di una bottiglietta d’acqua che i militari hanno recuperato nei pressi del luogo dove il presunto pusher è stato osservato intento a cedere la sostanza. Inoltre l’attività di ricerca ha permesso di rinvenire nella disponibilità dell’indagato quasi 150 euro in banconote di piccolo taglio, verosimilmente provento dell’illecita attività di spaccio.
Il Tribunale di Palermo – Quarta Sezione ha convalidato l’arresto.
Nell’ambito di un’altra attività effettuata sempre nel quartiere “Zen 2,” la Stazione della San Filippo Neri ha arrestato, in flagranza di reato con l’accusa di detenzione illecita ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, un palermitano, di 36 anni, già noto alle forze dell’ordine. Anche in questa circostanza, gli insoliti movimenti del presunto pusher, non sono sfuggiti allo sguardo attento dei militari che hanno osservato il 36enne intento a spacciare.
L’uomo è stato immediatamente fermato e perquisito dai Carabinieri che hanno rinvenuto nella sua disponibilità quasi 30 dosi di cocaina nascoste sotto un vaso di plastica poggiato per terra in prossimità del punto dove l’indagato era stato poco prima notato mentre cedeva lo stupefacente. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo ha convalidato l’arresto.
La droga sequestrata è stata trasmessa al Laboratorio di Analisi delle Sostanze Stupefacenti del Comando Provinciale di Palermo per gli accertamenti di rito. È obbligo rilevare- informanoi Carabinieri in un Comunicato –  che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

Catania, duro colpo ai Clan mafiosi, 21 persone arrestate

di  ALESSIO  EVANGELISTA    (Comunicato )

Catania,

I poliziotti della Squadra mobile di Catania e del Commissariato di P.S. di Adrano hanno arrestato 21 persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, porto e detenzione di armi da sparo, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza.

Gli investigatori, proseguendo filoni di precedenti indagini, dal luglio 2021 hanno evidenziato come uno dei componenti di alto livello nella gerarchia del clan Scalisi, una volta scarcerato, si sia subito posto ai vertici del gruppo criminale, diventandone il reggente.

Dalle analisi dei poliziotti si è potuto ricostruire l’organigramma del clan, portando alla luce le numerose estorsioni che commercianti e imprenditori locali subivano, costretti a versare mensilmente il “pizzo”, con il timore di subire danni alle loro imprese se non avessero pagato.

Dalle indagini, infatti, sono emersi diversi episodi di danneggiamento e intimidazione nei confronti di quelli che non avevano ceduto al pagamento del dovuto agli emissari del clan.

I poliziotti hanno dimostrato che l’estorsione non era la sola fonte di guadagno dell’associazione mafiosa. Il clan, infatti, gestiva un esteso traffico di cocaina e marijuana, dopo essersi inserito prepotentemente nel mercato degli stupefacenti grazie alla debolezza dell’altro clan adranita, colpito negli anni da numerosi arresti.

Proprio per difendere questo predominio, presidiare il loro territorio e preservare i loro affari dalle interferenze dei rivali, i membri dell’organizzazione criminale si erano dotati di numerose armi, pronti a sostenere il confronto con gli altri gruppi mafiosi.

L’operazione, su delega della Direzione distrettuale antimafia, si è conclusa con il supporto operativo degli equipaggi del Reparto prevenzione crimine, Reparto mobile, Polizia scientifica, nonché con la supervisione dall’alto di un elicottero del Reparto volo etneo.

 

Contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso Palermo – Notificate dalla Finanza 18 misure cautelari personali

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Palermo,

Nelle prime ore di questa mattina, i finanzieri del Comando Provinciale Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, su richiesta della locale Procura della Repubblica – D.D.A., nei confronti di 18 soggetti, di cui 7 in carcere, 10 ai domiciliari e 1 destinatario dell’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Contestualmente, sono in corso di svolgimento perquisizioni presso le abitazioni e gli altri luoghi nella disponibilità degli indagati, nei cui confronti si procede, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, porto abusivo d’armi, turbata libertà degli incanti, estorsione, rapina e favoreggiamento personale.

Le indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo, hanno permesso di far luce sulle trame illecite poste in essere dalla famiglia mafiosa di Mazara del Vallo (TP), disvelando i rapporti verticistici esistenti tra gli affiliati.

In particolare, sono state ricostruite le fasi che hanno portato all’ascesa di un soggetto, attivo nel settore dell’allevamento di ovini, che, agendo quale braccio operativo del capo mandamento (attualmente detenuto), è divenuto, nel tempo, il punto di riferimento per lo svolgimento delle più diverse attività criminali (tra cui riscuotere crediti insoluti, dirimere controversie e organizzare un traffico di stupefacenti tra Palermo e i territori ricadenti nel mandamento).

In tale contesto è stata riscontrata l’esistenza di un penetrante potere di controllo economico del territorio, esercitato mediante la gestione mafiosa delle aree di pascolo e delle aste fallimentari.

Al riguardo, le investigazioni hanno consentito di documentare anche diversi episodi di violenza legati al mancato rispetto di accordi presi per la spartizione di alcuni immobili.

Parallelamente, è stato possibile ricostruire le dinamiche criminali che hanno favorito lo sviluppo, in territorio trapanese, di una capillare rete di supermercati riconducibile a un noto imprenditore mazarese; questi, forte di un rapporto diretto con il vertice storico del mandamento mafioso di Mazara del Vallo sin dalla metà degli anni 2000, ha potuto espandere la propria sfera di affari in diversi settori merceologici, acquisendo la proprietà e la gestione di numerose società.

In cambio del sostegno garantitogli dall’associazione, il medesimo imprenditore avrebbe assicurato a Cosa nostra l’assunzione di affiliati e di loro parenti, aiuti finanziari per l’avvio di nuove attività economiche, nonché l’acquisto di beni posti in asta e riconducibili a soggetti contigui, così che gli stessi ritornassero nella loro disponibilità.

L’odierna attività di servizio, che ha previsto l’impiego di oltre 150 fiamme gialle, testimonia la costante attenzione e il perdurante impegno della Guardia di Finanza, nell’ambito delle indagini delegate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, al fine di contrastare ogni possibile tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-produttivo, nell’ottica di garantire al mercato le necessarie condizioni di legalità e competitività…..

 

Siracusa, stop ad una fiorente piazza di spaccio

 

 

Droga: caratteristiche, definizione ed effetti | Studenti.it

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Siracusa – Solarino (
I Carabinieri della Compagnia di Siracusa hanno arrestato 10 persone, 7 uomini e 3 donne, di età compresa tra i 18 e i 62 anni, in esecuzione di ordinanza su richiesta di misura cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Siracusa, ritenute responsabili, a vario titolo, di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.
L’attività d’indagine, condotta dai Carabinieri della Sezione Operativa della Compagnia di Siracusa e coordinata dalla Procura della Repubblica presso il locale Tribunale, ha avuto inizio a settembre dello scorso anno dopo che nel comune di Solarino era stata individuata una fiorente piazza di spaccio.
L’attività investigativa, sviluppata attraverso attività tecnica di intercettazione, servizi di osservazione controllo e pedinamento e diversi sequestri di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e crack, ha consentito di smantellare la piazza di spaccio dopo avere ricostruito le fasi dell’attività di vendita al minuto, le modalità operative e i luoghi di stoccaggio dello stupefacente. In particolare la base logistica era situata nell’appartamento di uno degli arrestati, a Solarino, dove l’uomo viveva con la moglie e il figlio e, proprio nei pressi dell’abitazione, avvenivano   quotidianamente le cessioni.
È inoltre emerso che gli spacciatori sfruttavano due diversi canali di approvvigionamento, uno siracusano e l’altro catanese. Nel corso dell’indagine sono stati identificati e segnalati alla Prefettura diversi assuntori di sostanze stupefacenti e due uomini sono stati arrestati in flagranza di reato, è stato stimato che, in media, venivano effettuate circa 60/70 cessioni giornaliere per un guadagno superiore ai mille euro al giorno.
Due uomini di 50 e 31 anni ed una 62enne sono stati associati rispettivamente alla casa circondariale “Cavadonna” di Siracusa e di “Piazza Lanza” di Catania, a un 57enne è stata notificata la misura della custodia cautelare in carcere presso la casa circondariale di Caltagirone ove si trovava già ristretto per altra causa, un 31enne ed una 45enne sono stati sottoposti agli arresti domiciliari con il presidio del braccialetto elettronico per l’uomo, un 40enne è stato sottoposto a obbligo di dimora e di presentazione alla P.G., una 33enne e un uomo di 43 anni sono stati sottoposti a obbligo di dimora e un 19enne all’obbligo di presentazione alla P.G..
È obbligo rilevare- informa il Comando -che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

Polizia postale: operazione contro il falso trading online, due arresti , società di comodo, truffe

 

 

Trading online

 

di   Alessio   Evangelista

Attiravano le loro vittime inserendo in alcuni siti internet dei banner pubblicitari di inesistenti società di investimenti finanziari e successivamente le convincevano a effettuare investimenti con la falsa promessa di lauti guadagni le due persone arrestate dai poliziotti della Polizia postale di Torino.

L’operazione “Trade scam” condotta dagli investigatori della Postale si è conclusa a Tirana, in Albania, e ha visto il coordinamento internazionale di Eurojust e la collaborazione della Spak albanese, la Procura speciale deputata al contrasto della corruzione e della criminalità organizzata.

Le indagini condotte dal   Cosc  (Centro operativo per la sicurezza cibernetica) di Torino e coordinata dal    Servizio polizia postale e per la sicurezza cibernetica, hanno ricostruito, grazie al rilevante sequestro di materiale informatico, l’organigramma preciso, risalendo al ruolo che ognuno aveva all’interno del gruppo criminale che agiva anche grazie alla creazione di società di comodo necessarie per il riciclaggio dei proventi delle truffe.

È seguendo i flussi finanziari che i poliziotti hanno delineato il modus operandi degli indagati che, dopo aver raggirato le vittime, le convincevano a versare le somme da investire. Questo denaro veniva poi immediatamente trasferito su conti stranieri per aggirare i controlli antiriciclaggio e convertito in criptovalute.

La fase finale dell’operazione, conclusasi con l’arresto dei due indagati e il sequestro preventivo di 4 milioni di euro, si è svolta sul territorio albanese con la collaborazione degli organi di Giustizia e di Polizia locali grazie al supporto del Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia (Scip), che, per la diffusione internazionale dei mandati di cattura, ha attivato la sede centrale Interpol,  in stretto contatto con l’Ufficio dell’Esperto per la Sicurezza italiano in Albania, distaccato  all’Ambasciata di Tirana  ( Comunicato)…

 

 

Catania, Operazione “Taken down” contro la pirateria informatica

 

 

Catania,

La Polizia di Stato ha eseguito la più vasta operazione contro la pirateria audiovisiva condotta in Italia ed in Europa. Oltre 270 operatori della Polizia Postale hanno effettuato 89 perquisizioni in quindici regioni italiane e, con la collaborazione delle forze di polizia straniere, 14 perquisizioni nel Regno Unito, Olanda, Svezia, Svizzera, Romania e Croazia, nei confronti di 102 persone. Nel medesimo contesto, la polizia croata ha eseguito 11 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti indagati.
E stata smantellata la più vasta organizzazione criminale transnazionale dedita alla pirateria audiovisiva che si avvaleva di una complessa infrastruttura informatica che serviva illegalmente oltre 22 milioni di utenti finali.

L’Operazione basata su oltre due anni di indagini dirette dalla Procura distrettuale della Repubblica di Catania e condotte dai poliziotti del locale Centro operativo per la sicurezza cibernetica della Polizia postale, coordinati dal Servizio polizia postale e per la sicurezza cibernetica di Roma. Grazie al coordinamento di   Europol e Eurojiust e il supporto della rete operativa @ON (Operation network), finanziata dalla Commissione europea e guidata dalla Direzione investigativa antimafia (Dia), l’inchiesta ha permesso l’esecuzione di provvedimenti di perquisizione e sequestro in Italia e in quasi tutta Europa.

Oltre 270 poliziotti hanno effettuato 89 perquisizioni in 15 regioni italiane, mentre altre 14 perquisizioni, sono state fatte dalle polizie dei relativi paesi in Regno Unito, Olanda, Svezia, Svizzera, Romania, Croazia, e Cina nei confronti di 102 persone.

Operazione “Taken down” contro la pirateria informatica

 

La risonanza internazionale delle investigazioni partite dal capoluogo siciliano ha sviluppato diversi filoni di indagini che, ad esempio, hanno permesso alla polizia croata di eseguire 11 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti indagati.

L’operazione di oggi ha smantellato una complessa, estesa e capillare infrastruttura informatica che serviva illegalmente oltre 22 milioni di utenti finali, dentro e fuori i confini nazionali. Infatti, attraverso strutture informatiche disseminate su tutto il globo, utilizzando il sistema informatico delle Iptv (Internet protocol television) illegali, venivano illecitamente captati e rivenduti i palinsesti delle più note piattaforme televisive nazionali e internazionali come Sky, Mediaset, Amazon prime, Netflix, Paramount, Disney+.

Grazie alle indagini svolte, sono stati spenti e sequestrati oltre 2500 canali illegali e server che gestivano la maggior parte dei segnali illeciti in Europa e che generavano un giro d’affari illegale di oltre 250 milioni di euro al mese.

Operazione “Taken down” contro la pirateria informatica

 

Secondo le ricostruzioni degli investigatori la struttura criminale, con una organizzazione di tipo verticistico, al cui interno ognuno degli indagati rivestiva ruoli distinti e ben determinati, era ben congeniata per commettere una serie di reati, in particolare inerenti lo streaming illegale, l’accesso abusivo in sistemi informatici, frode informatica e riciclaggio.

I poliziotti della postale hanno rintracciato in Romania e ad Hong Kong 9 server attraverso i quali veniva diffuso in tutta Europa il segnale audiovisivo piratato, che in collaborazione con le locali forze di polizia hanno provveduto a spegnere. Sono stati individuati, inoltre, in Inghilterra e Olanda 3 amministratori di livello superiore e 80 pannelli di controllo dei flussi streaming per i vari canali Iptv.

Nel corso delle perquisizioni sono state rinvenute e sequestrate criptovalute per un valore di circa 1.650.000 di euro e oltre 40.000 euro di denaro contante, ritenuto frutto dell’attività criminale. Si stima che il denaro sequestrato, infatti, sia solo una minima parte del giro d’affari illegale che ogni anno frutta circa 3 miliardi di euro e provoca oltre 10 miliardi di euro di danno economico alle aziende che gestiscono le pay tv.

Operazione “Taken down” contro la pirateria informatica

 

Per tentare di eludere le investigazioni gli indagati usavano app di messaggistica crittografata, identità e documenti falsi utili per intestarsi utenze telefoniche, carte di credito, abbonamenti televisivi e noleggio di server. I poliziotti hanno rilevato inoltre che, utilizzando piattaforme social di canali, gruppi, account, forum e blog, gli indagati hanno pubblicizzato nel tempo i loro prodotti di streaming illegale anche con l’offerta di abbonamenti mensili.

Oltre agli indagati nel Regno Unito, Svezia, Svizzera, Olanda, Germania, i server collocati in Olanda, Romania e Cina, l’inchiesta ha toccato oltre 40 città italiane.

Autoriciclaggio e circonvenzione di incapace Palermo – Provvedimento di confisca del valore di oltre 2 milioni di euro a carico di una badante

 

 

 

Palermo,

Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Palermo hanno dato esecuzione a un provvedimento di confisca, del valore di 2.150.000 euro, emesso dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, a seguito della condanna definitiva di una donna per il reato di autoriciclaggio e prosciolta, per intervenuta prescrizione, dalla sola accusa di circonvenzione di incapace, rispetto alla quale tuttavia i fatti sono risultati completamente provati in giudizio.

Le indagini di polizia giudiziaria eseguite dalla Compagnia di Bagheria, a cavallo tra il 2015 e il 2018, avevano messo in luce un articolato e milionario disegno criminoso di spoliazione patrimoniale a danno di un benestante imprenditore italo-americano, del figlio disabile ed erede universale di tutti i suoi beni, attuato dalla badante, cittadina italiana originaria di Misilmeri.

La stessa, infatti, era stata assunta quale assistente del ricco imprenditore di origine siciliana, già titolare di una importante catena di lavanderie negli Stati Uniti e rientrato in Italia per gli ultimi anni della propria vita insieme al figlio, affetto da una grave patologia. Lo stesso imprenditore benestante l’aveva incaricata, con proprio testamento, di occuparsene per tutta la vita. In cambio, le aveva lasciato in eredità 31 cespiti immobiliari tra terreni e appartamenti, distribuiti nell’entroterra palermitano, per alcuni dei quali era stato però concesso l’usufrutto al figlio finché fosse rimasto in vita. A quest’ultimo, inoltre, erano state lasciate in eredità anche rilevanti polizze per un valore di oltre 2 milioni di euro.

Gli accertamenti, eseguiti in fase investigativa e successivi alla morte dell’imprenditore italo-americano nel 2014, sono scaturiti dalle denunce del perito del Tribunale, incaricato di valutare la capacità del figlio del de cuius. Quest’ultimo ha accertato come il tutelato non fosse capace di esprimersi correttamente, né di attribuire valore al denaro e alle cose di cui si serviva.

Non solo: il giovane, dopo la perdita del padre, aveva sviluppato una attrazione affettiva nei confronti della badante, verso cui era in stato di sudditanza. Resasi conto delle attività investigative in corso, la condannata aveva addirittura tentato, in pendenza di accertamenti, di far istruire il figlio dell’italo-americano affinché fosse preparato e collaborativo nel corso dell’effettuazione delle perizie giudiziarie, con l’intento di far apparire le sue donazioni frutto di scelte coscienti e volontarie.

Le indagini, svolte all’epoca dei fatti, anche con intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno appurato l’evidenza di questi tentativi di inquinamento delle prove. Gli accertamenti bancari, invece, svolti in seguito alla morte del padre, sono serviti a ricostruire come la badante abbia anzitutto fatto smobilitare al giovane l’intero importo delle polizze, per farselo trasferire sui propri conti correnti con numerose operazioni dispositive. Successivamente, con l’aiuto di uno dei figli conviventi, ha reimpiegato le somme sui conti bancari di una società ungherese costituita ad hoc di cui era socia unica in modo da occultarne la reale provenienza.

Da lì, sono stati compiuti ulteriori trasferimenti, anche verso Paesi extracomunitari, che ne hanno reso difficoltoso il rintraccio. Anche per questi motivi, è stata disposta la confisca per equivalente dei profitti del reato.

Il provvedimento in corso di esecuzione, che permetterà di assicurare all’erario la quasi totalità delle somme, riguarderà numerosi cespiti immobiliari intestati alla condannata, nonché al nucleo familiare, cui sono stati via via trasferiti alcuni dei beni. Saranno apprese, inoltre, anche le disponibilità liquide giacenti sui conti correnti della condannata e dei familiari, e ogni altra disponibilità economica e finanziaria, incluse quelle presso terzi.

Si conferma così l’impegno della Guardia di Finanza informa infine il Comando del Corpo – quale forza di polizia a tutela della legalità economica e finanziaria, a contrasto dell’accumulo di patrimoni illeciti e a difesa dei cittadini più deboli spesso bersaglio di individui senza scrupoli.

Contrasto a un diffuso sistema di somministrazione fraudolenta di manodopera e frode fiscale – Catania – Misure cautelari personali nei confronti di 15 soggetti

 

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Catania,

I Finanzieri del Comando Provinciale di Catania, a conclusione di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, hanno dato esecuzione, nelle province di Catania, Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese, con il supporto degli omologhi Comandi Provinciali nonché del I Gruppo etneo, a un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale ha disposto l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 15 soggetti (2 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 9 destinatari di interdittiva), a vario titolo indagati, unitamente ad altre 14 persone, per associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante l’utilizzo di FOI nonché indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti.

Sulla scorta del medesimo provvedimento cautelare, i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania hanno eseguito anche il sequestro preventivo di 28 società commerciali coinvolte nella frode fiscale nonché di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili ai principali indagati per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.

Le indagini, svolte anche mediante attività di intercettazione telefonica e ambientale, accertamenti bancari, acquisizioni documentali, escussione di persone informate sui fatti e servizi di osservazione, hanno portato alla luce, nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti, un diffuso sistema di frodi fiscali, realizzato attraverso la creazione di consorzi di imprese con il solo scopo di operare la somministrazione illecita di manodopera a favore delle aziende clienti, celata sotto forma di falsi appalti di servizi.

Le investigazioni hanno preso avvio a seguito dello svolgimento di una serie di controlli fiscali, che avrebbero fatto emergere i segnali di un fenomeno illecito organizzato e particolarmente diffuso, specie tra le imprese operanti nel settore turistico-alberghiero di Sicilia, Calabria e Lazio, dannoso sia per l’Erario, a causa dell’ingente evasione di imposte (dirette e IVA) e contributi previdenziali, sia per le aziende che operano lecitamente sul mercato, meno concorrenziali rispetto a quelle che si sarebbero avvantaggiate della frode, in grado di praticare tariffe più convenienti in virtù dei conseguenti più elevati margini di guadagno.

Il meccanismo di frode prevedeva uno schema operativo ricorrente.

In primo luogo, la costituzione di entità giuridiche in forma di consorzi (con sede legale a Roma e Firenze) e società consorziate (oltre 26 susseguitesi nel tempo distribuite tra le province di Milano, Firenze, Roma, Catania e Messina), tutte prive di una propria organizzazione, di mezzi e senza l’assunzione di alcun rischio d’impresa, aventi di norma un ciclo di vita molto breve durante il quale avrebbero accumulato, senza onorarli, ingenti debiti tributari.

Tali soggetti giuridici, legalmente rappresentati da prestanome, spesso nullatenenti e privi di competenze professionali adeguate al ruolo apparentemente rivestito, avrebbero operato come meri serbatoi di manodopera, nel senso che sarebbero stati utilizzati esclusivamente per assumere un numero elevatissimo di lavoratori, per la maggior parte provenienti dalle aziende divenute clienti, per poi metterli a disposizione proprio di queste ultime sotto forma di appalto di servizi fittizio. In realtà, come emerso dalle investigazioni, i lavoratori non hanno mutato né sede lavorativa, né qualifica professionale, rimanendo, di fatto, alle dipendenze dell’originario datore di lavoro per continuare a svolgere le proprie ordinarie mansioni.

Lo scopo sarebbe stato dunque quello di esternalizzare, solo in apparenza, la forza lavoro, in modo da conseguire diversi vantaggi consistenti:

  • per le società clienti, nella maggiore flessibilità a fronte di una riduzione di costi sul lavoro, potendo modulare l’entità della manodopera in base alle esigenze di periodo e, al contempo, risparmiare sugli oneri retributivi, assicurativi, previdenziali e normativi connessi alle diverse tutele riconosciute ai lavoratori; ciò per effetto del licenziamento dei dipendenti delle predette aziende e della parallela assunzione in capo alle consorziate. Per di più, la stipula (solo formale) di un contratto di appalto avrebbe consentito alle clienti di detrarre l’iva applicata in fattura (non genuina) relativa ai “presunti servizi” erogati;
  • per gli ideatori del “sistema consorzio”, negli ingenti profitti illeciti derivanti dal mancato pagamento allo Stato dei debiti erariali (per imposte e contributi) maturati dal consorzio e dalle consorziate, neutralizzati attraverso indebite compensazioni con crediti IVA inesistenti derivanti dal simulato acquisto di beni strumentali da società “cartiere”, in realtà appositamente costituite dal sodalizio criminale per emettere fatture false.

Quest’ultima operazione è risultata essenziale nella filiera del sistema fraudolento in quanto, beneficiando di compensazioni con crediti inesistenti, le consorziate hanno potuto certificare al cliente finale di avere “correttamente” assolto agli obblighi di versamento, fornendo la certificazione di regolarità contributiva (da INPS o INAIL competente per territorio) ovvero il modello DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). L’escamotage in parola ha infatti consentito di aggirare le disposizioni introdotte dal legislatore per contrastare il fenomeno delle somministrazione illecita di manodopera come, a esempio, le disposizioni dell’art. 4 del D.L.124/2019 le quali obbligano le imprese che ricorrono ad appalti, subappalti, affidamenti a soggetti consorziati caratterizzati da prevalente utilizzo di forza-lavoro, come nel caso di specie, a richiedere certificazione di regolarità di pagamento delle imposte e dei contributi.

E’ stato stimato che, negli ultimi 5 anni, il giro di fatture “false” legato al sistema di frode nel suo complesso sarebbe stato pari a oltre 56 milioni di euro di imponibile e oltre 13 milioni di IVA, garantendo profitti illeciti all’associazione a delinquere per oltre 8 milioni di euro, la metà dei quali distribuita agli organizzatori del sistema sotto forma di compensi professionali, stipendi, rimborsi spese.

Le attività di indagine hanno permesso di comprendere che il centro decisionale di tutto il sistema fraudolento sarebbe ubicato a Catania, presso lo studio di un commercialista e del suo collaboratore, promotori e organizzatori del sodalizio criminale sebbene gli stessi non abbiano ricoperto alcun ruolo formale nei consorzi e nelle consorziate e nonostante il fatto che le tali società avessero sede legale in diverse province italiane (Milano, Firenze, Roma, Messina e Catania), talvolta presso civici inesistenti o locali vuoti e/o in disuso.

Per la realizzazione del disegno criminoso, i predetti ideatori del “sistema consorzio” sarebbero stati coadiuvati da una serie di partecipi all’associazione a delinquere e da altri collaboratori esterni ad essa. Tra i primi vi è un soggetto originario di Cosenza (cl. 1969), responsabile e referente della rete commerciale in Calabria e nel Lazio, uno di Catanzaro (cl. 1969), referente di alcune strutture ricettizie operanti in Calabria, nelle plurime vesti di imprenditore, professionista, consulente del lavoro e depositario delle scritture contabili di società clienti dei consorzi nonché procacciatore di clienti per questi ultimi, e due addette, originarie di Nicosia e Roma (cl. 1982 e 1968), per la gestione dei clienti/appaltanti, degli adempimenti giuslavoristici riguardanti i lavoratori in carico alle consorziate affidatarie e dell’interlocuzione e gestione delle teste di legno posti a capo dei consorzi e delle consorziate in qualità di legali rappresentanti.

Gli altri collaboratori, esterni alla compagine criminale, sarebbero costituiti da una serie di fedeli personaggi, in tutto 9, pronti ad assumere il ruolo di amministratore di diritto delle diverse società via via costituite, facendo da paravento all’attività svolta dai suddetti indagati e informandoli anche nei casi di avvio di attività ispettive da parte di reparti territoriali della Guardia di Finanza.

Sulla scorta delle evidenze acquisite dai finanzieri del Nucleo PEF di Catania, il GIP presso il locale Tribunale, su proposta della Procura etnea, ha dunque ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in ordine ai reati contestati disponendo:

  • la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due promotori dell’associazione a delinquere, già destinatari di analoga misura nel 2020 a seguito delle indagini per frode fiscale condotte sempre dalle Fiamme Gialle etnee, su delega della locale Procura, nell’ambito dell’operazione convenzionalmente denominata “FAKE CREDITS”; gli arresti domiciliari per gli altri 4 partecipi all’associazione a delinquere e il divieto per un anno di esercitare uffici direttivi di persone giuridiche per i restanti 9 soggetti, ritenuti più stretti collaboratori dei suddetti promotori;
  • il sequestro di 28 società, utilizzate per realizzare il sistema di frode, nonché di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili agli indagati per un valore complessivo di oltre 8,2 milioni di euro.

Nel corso dell’esecuzione dei provvedimenti del G.I.P. si è parallelamente proceduto alla perquisizione locale e informatica disposta dal P.M. inquirente nei confronti dei rappresentanti legali delle aziende “clienti” che appaiono aver usufruito maggiormente della somministrazione illecita di manodopera, al fine di raccogliere ulteriori elementi indiziari a riprova dell’ipotesi di reato a loro ascritta di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e della sussistenza di responsabilità amministrativa, ai sensi del d.lgs. 231/2001, in capo alle società da loro amministrate per i vantaggi che avrebbero ottenuto dalla frode.

L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura e dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a tutelare le imprese sane dalle più insidiose forme di frode fiscale, contrastando fenomeni illegali in grado di distorcere le regole della libera concorrenza, e, dall’altro, a garantire- informa il Comando – il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.