Sequestrate tre navi traghetto per frode,truffa e contributi indebitamente percepiti

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MESSINA –

La Procura di Messina, dopo un’approfondita indagine, ha disposto il sequestro con l’ausilio dei  finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo e quelli di Messina, di 3 navi traghetto della Caronte & Tourist (la Pace, la Caronte e l’Ulisse), denaro, beni mobili  ed immobili e quote societarie, per oltre 3,5 milioni.     L’accusa è pesante , esprime i reati di truffa per il conseguimento di pubbliche erogazioni, falsità ideologica e frode nelle pubbliche forniture. Le navi sequestrate sono attualmente impiegate nei collegamenti La Maddalena/Palau, Trapani/Isole Egadi e Palermo/Ustica.

Il provvedimento giudiziario è stato notificato a  Sergio La Cava, 56 anni, consigliere e amministratore delegato della “Ngi Spa” (incorporata nel 2017 dalla Caronte & Tourist Isole Minori Spa) e legale rappresentante della “Maddalena Lines Srl” (società partecipata nel 70% dalla Ngi Spa ed armatrice della «Pace»), Luigi Genchi, 55 anni, consigliere e amministratore delegato della Ngi Spa, Edoardo Bonanno, 48 anni, amministratore delegato della Caronte & Tourist Isole Minori Spa e Vincenzo Franza, 55 anni, presidente della Caronte & Tourist Isole Minori Spa e già consigliere delegato della Ngi Spa. La società Caronte & Tourist Isole Minori Spa è stata segnalata per la responsabilità amministrativa derivante da reato.

L’inchiesta ruota attorno alla gara con cui la Navigazione Generale Italiana (Ngi Spa), società poi fusa per incorporazione nella Caronte & Tourist Isole Minori Spa nel 2017, si era aggiudicata nel 2015 il lotto II (Trapani-Isole Egadi) del bando disposto dall’assessorato Regionale delle Infrastrutture e della Mobilità per il servizio di collegamento marittimo per cinque anni tra la Sicilia e le isole minori. Il valore del lotto era di circa 15,9 milioni, con aggiudicazione, attraverso un significativo ribasso, a 5,3 milioni.

Per partecipare e aggiudicarsi la gara ciascuno dei concorrenti aveva individuato una nave-traghetto (la Ngi aveva designato la «Pace») da dedicare esclusivamente alla tratta oggetto del singolo lotto, dotata di caratteristiche strutturali che avrebbero consentito la navigazione in piena sicurezza anche alle persone a “mobilità ridotta”. Una formula in cui rientra chiunque abbia una particolare difficoltà nell’uso dei trasporti pubblici, compresi gli anziani, i disabili, le persone con disturbi sensoriali e quanti usano sedie a rotelle, le gestanti e chi accompagna bambini piccoli.

La nave «Pace», per l’accusa, presenta invece gravi carenze tecniche e strutturali che la rendono inidonea a trasportare in sicurezza persone a mobilità ridotta. Le difformità (rispetto a quanto previsto sia dalla normativa che dal bando), nascoste attraverso false attestazioni di conformità, accertate anche da organi tecnici nel corso delle attività ispettive, non sono mai state sanate e, conseguentemente, non avrebbero consentito la partecipazione né, soprattutto, l’aggiudicazione della gara alla Ngi Spa (ora Caronte & Tourist Isole Minori Spa).

Le indagini avrebbero inoltre consentito di riscontrare l’avvenuto ricorso a sostituzioni irregolari del traghetto designato per la tratta Trapani/Isole Egadi, non autorizzate preventivamente dalla stazione appaltante, ma, soprattutto, avvenute con ulteriori traghetti («Caronte» e «Ulisse») anche questi privi dei requisiti previsti per il trasporto delle persona a ridotta mobilità. Ulteriori ispezioni delle navi con l’intervento di ingegneri navali, nominati consulenti tecnici dalla Procura, hanno confermato l’ipotesi investigativa, – circa l’inidoneità di tutti e tre i traghetti e sul conseguente concreto rischio (in caso di naufragio, incendio ecc.) per l’incolumità delle persone a mobilità ridotta.

Ma c’è pure un’altra storia, non meno grave. Quello dei contributi indebitamente percepiti.La società di navigazione Caronteamp; Tourist avrebbe  percepito indebitamente contribuzioni pubbliche nel periodo 2016-2019 per oltre 3,5 milioni.

La normativa nazionale e il diritto dell’Unione Europea in tema di aiuti di Stato, per rendere economicamente conveniente il servizio di collegamento di linea, prevede contributi a beneficio degli aggiudicatari del servizio, in base a una stima del costo di gestione della tratta, al netto dei ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti. I mezzi navali sequestrati sono stati affidati ad amministratori giudiziari nominati dal Gip, mentre la società armatrice è stata designata dal magistrato, custode.

 

ANTONIO DI PIETRO: “COLLABORAI CON FALCONE E BORSELLINO PER IL CONTROLLO APPALTI IN SICILIA”

 “MANI PULITE”  SI BLOCCO’ PERCHE’ I POLITICI MI AVEVANO DELEGITTIMATO E IO MI DIMISI PER DIFENDERMI”

 

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Antonio Di Pietro, il famoso pm di “Mani Pulite” sentito come teste dalla difesa del generale Mario Mori in merito  all’inchiesta Tangentopoli nel 1992 per i “collegamenti tra affari e politica” rispolvera le polveri di un tempo ed afferma:Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i Cct che gli girò Cirino Pomicino”.. “I soldi di Gardini finirono anche a Salvo Lima”. All’epoca Di Pietro aveva avuto anche dei rapporti di collaborazione con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “Il primo che mi disse ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo chiudere il cerchio’ fu Paolo Borsellino”, spiega  Di Pietro sul processo della Trattativa tra Stato e Mafia.

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“L’elemento predominante del collegamento Nord-Sud o affari e mafia, l’ho avuto quando ho avuto il riscontro della destinazione della tangente Enimont da 150 miliardi di lire – dice Di Pietro – e il mio impegno allora era di trovare chi erano i destinatari, perché avevamo trovato la gallina dalle uova d’oro, la cosa che avevamo davanti era la necessitò di trovare i destinatari”. E spiega: Lima incassò tramite Cct. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima venne ucciso a Palermo e Gardini si uccise“. “Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i Cct a Salvo Lima”.

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“Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio Di Falcone, l’inchiesta ‘Mani pulite’ si allargò e assunse una rilevanza nazionale – dice ancora Antonio Di Pietro nel corso della deposizione rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio -. Io mi confrontai con Giovanni Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”. Di Pietro parlò anche con Paolo Borsellino “degli stessi argomenti”. “Man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista”.

Il suicidio di Raul Gardini, rivela ancora Di Pietro “è il dramma che mi porto dentro…“. Nel luglio del 1993 “l’avvocato di Raul Gardini, che all’epoca era latitante, mi assicurò che il suo cliente si sarebbe consegnato. Io volevo sapere che fine avessero fatto i soldi della maxi tangente Enimont. Ma la notte prima dell’interrogatorio l’imprenditore Gardini tornò nella sua abitazione, che tenevamo sotto controllo. La polizia giudiziaria mi chiese se doveva scattare l’arresto. E io dissi di aspettare”, racconta Di Pietro. Ma la mattina dopo l’imprenditore si uccise con un colpo di pistola. “E’ il dramma che mi porto dentro…”, dice Di Pietro con un filo di voce. Per poi aggiungere: “Ma questo che c’azzecca con la trattativa?…”.

Poi la denuncia dell’ex pm: “L’inchiesta ‘Mani pulite’ è stata fermata quando è arrivata allo stesso punto del rapporto tra mafia e appalti. Sono stato fermato da una delegittimazione gravissima portata avanti in modo abnorme”.

Nei miei confronti sono stati svolti una serie di dossieraggi portati avanti da personaggi su ordine di alcuni politici che hanno portato alle mie dimissioni – dice Di Pietro rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio – Da lì a poco sarebbe arrivata non solo una grossa indagine nei miei confronti ma anche una richiesta di arresti e io mi dimisi per potermi difendere. Sono stato prosciolto e ho detto che chi ha indagato su di me non poteva indagare, cioè Fabio Salamone che io denunciai al Csm”.

Finalmente Salvini “ubbidisce” a Conte: ok allo sbarco dei minori

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Il trasbordo dalla nave alle motovedette di Guardia costiera e di Guardia di Finanza dei 27 minori non accompagnati, dopo il pressing con una incisiva missiva del premier Giuseppe Conte è iniziato con il beneplacito successivo del ministro dell’Interno Matteo Salvini. I minori sono “ragazzi di 16, 17 anni, soli” afferma  la Ong, che parla di “molte lacrime” tra i ragazzi.”Hanno lasciato amici e compagni di viaggio. Vi auguriamo il meglio. E andiamo avanti. Per tutti” 

Subito sbarcati i minori non accompagnati ricevono la prima assistenza: cibo, acqua, un pacca sulla spalla da parte della polizia, e il sorriso che compare finalmente sui loro volti, nella camionetta che li porta via, dopo 16 giorni in mare. Si tratta di 13 eritrei, 5 sudanesi, due del Ciad, due del Gambia, un ghanese, un maliano, un nigeriano, un etiope e un egiziano, tutti trasferiti all’hotspot di Lampedusa. Sulla nave restano ancora 107 migranti adulti.in – attesa di ulteriori sviluppi dell’inchiesta della Procura di Agrigento coordinata dal Procuratore aggiunto Salvatore Vella. 

CHI SONO I MINORI SBARCATI – I minori sbarcati, stando a quanto comunicato dalla Ong al Tribunale dei minori, sono due di 15 anni, undici di 16 e quattordici di 17 anni. In tutto 26 ragazzi e una ragazza. I giovani (tra cui eritrei, sudanesi, gambiani, ghanesi, nigeriani ed egiziani) sono stati trasferiti all’hotspot di Lampedusa e sono in corso le procedure di identificazione. “

MAFIA MESSINA-CATANIA: CONFISCATI I BENI AL CLAN DI SALVATORE SANTALUCIA ,28 MILIONI DI EURO

gare e appalti

MESSINA

La confisca del patrimonio- già esecutiva del Tribunale – di oltre 28 milioni di euro, nella disponibilità di Salvatore Santalucia, imprenditore di Roccella Valdemone (ME), ritenuto elemento di congiunzione tra la mafia delle provincie di Messina e Catania nei settori dell’energia da fonti rinnovabili, del movimento terra e della produzione di conglomerato cementizio.

I Legami con i clan

L’inchiesta su Santalucia è stata condotta dalla Dia di Messina e coordinata dalla Dda della città dello Stretto guidata da Maurizio De Lucia. Tre i sequestri eseguiti tra il dicembre 2015 e il marzo 2016 e nel provvedimento di confisca di primo grado del maggio del 2017. Dagli atti delle indagini sono emersi gli stretti legami di Santalucia, detto ‘Turi più’, con le famiglie mafiose Santapaola di Catania, per il tramite di esponenti di vertice del clan Brunetto, attivo nel versante jonico della provincia etnea, e barcellonese, come confermato dalle dichiarazioni del capo di quella famiglia mafiosa, oggi collaboratore di giustizia, Carmelo Bisognano, che lo aveva indicato quale referente per la zona di Roccella Valdemone per il controllo degli appalti in quell’area.

Gli appalti

I rapporti di Santalucia con i più importanti esponenti della famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto hanno trovato riscontro anche nell’ambito dell’indagine “Gotha III” dove sono stati tracciati i suoi contatti con Carmelo Bisognano, la sorella di quest’ultimo, Vincenza, con Beniamino Cambria, collaboratore di Bisognano, e con Tindaro Calabrese, successore di Bisognano. Tra il 2003 e il 2010, Santalucia ha avuto un rapporto di partnership con la “Eolo Costruzioni srl” riconducibile a Vito Nicastri, l’imprenditore di Alcamo leader in Sicilia nella realizzazione delle opere civili dei parchi eolici e considerato in stretti rapporti con il boss latitante Matteo Messina Denaro. A Nicastri è stato sequestrato un patrimonio di 1,5 miliardi. I beni confiscati a Santalucia consistono in aziende, 220 ettari di terreno nei comuni di Roccella Valdemone e Gaggi, nel Messinese, e Castiglione di Sicilia (Catania), 23 fabbricati, 26 veicoli e vari rapporti finanziari.

Ag.

Clamore della prima puntata di “Realiti”: persino il giudice antimafia della Procura di Catania, CarmeloPetralia, apre procedimento

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Nella foto d’Archivio il giudice Carmelo Petralia della Procura di Catania

Persino la Procura di Catania ha aperto un fascicolo,  senza indagati, sulla prima puntata della trasmissione ‘Realiti”andata in onda su Rai2 la settimana scorsa. Titolare del fascicolo è il procuratore aggiunto Carmelo Petralia, che ha delegato le indagini preliminari alla Polizia Postale di Catania, che dovrà acquisire i video della trasmissione e fare le proprie osservazioni.

Si intendono esaminare le dichiarazioni di due cantanti neomelodici, Leonardo Zappalà, presente in studio, e Niko Pandetta, nipote del boss ergastolano Salvatore Cappello, sui giudici Falcone e Borsellino.

Probabilmente il clamore è sproporzionato alle cose dette dagli attori ma anche la Rai vuol vederci chiaro avviando una istruttoria interna..

Pandetta ha commentato pubblicamente : “Volevo solo dire che io ho parlato e replicato degli sbagli che ho fatto da adolescente e che ho pagato con consapevolezza. Oggi sono una persona diversa grazie alla musica e al pubblico che mi ha reso ‘Niko Pandetta’. Non ho mai offeso questi due grandi eroi, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che hanno dato la propria vita per una giusta lotta. Oggi sono un uomo diverso e canto per essere ogni giorno una persona migliore”.

Eutanasia Caso Giordano: la Procura ipotizza il reato di istigazione al suicidio

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  ALESSANDRA GIORDANO SOFFRIVA SOLO DI DEPRESSIONE:  CHI L’HA SPINTA AL SUICIDIO?

La Procura di Catania ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio   Il caso di  Alessandra Giordano ,l’insegnante di Paternò con  problemi psicologici, che il 27 marzo è morta a Forch per aver ha fatto ricorso all’eutanasia in una Clinica in un paese della Svizzera, la Dignitas di Zurigo, (la stessa Clinica-che legalizza l’eutanasia- di  Dj Fabo),focalizzato dalla magistratura etnea, adesso si tramuta in una indagine giudiziaria. La donna non era malata terminale, ma da tempo soffriva di depressione  diagnosticata dall’Asp. La famiglia della donna aveva manifestato dubbi sulla sua decisione e, con l’assistenza di tre legali, ha presentato una denuncia ai carabinieri.   Dubbi che sarebbero stati accolti dai magistrati etnei.

La Giordano , che non soffriva di cancro o tumori devastanti,”potrebbe essere stata ‘assecondata’ in maniera  superficiale: inoltre i parenti temono che abbia addirittura fatto testamento a favore della clinica che aveva assistito Dj Fabo, . . 

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Foto d’Archivio Sud Libertà-( Il caso di Dj Fabo)

La Procura di Catania informa pure  di aver  ipotizzato il reato di istigazione al suicidio e disposto, a scopo cautelativo, il sequestro di un conto corrente e di un bene   immobile della donna,…

Il provvedimento, però, è stato rigettato dal Gip che ha sottolineato come la donna abbia seguito regolarmentela procedura  per la preparazione per la morte assistita..  Il giudice delle indagini preliminari ha osservato che la 47enne, “quando si è rivolta all’associazione in Svizzera, non fosse in uno stato di infermità o deficienza fisica tale da indurla ad avere compiuto la sua scelta senza averne la necessaria consapevolezza. La Procura è di parere diverso e ora vuol vederci chiaro.

 

 

 

PATTO TRA MAFIA E ‘INDRANGHETA’ SULL’OMICIDIO DEL GIUDICE SCOPELLITI: C’E’ ANCHE LA PRIMULA ROSSA ,MATTEO MESSINA DENARO

 

Giudice Scopelliti ucciso per volere di M. Denaro? Primula rossa tra 17 indagati per delitto

(Nella foto a sinistra il latitante Matteo Messina Denaro, a destra il Giudice Scopelliti-  Archivio Sud Libertà)

La Procura distrettuale di Reggio Calabria ha indagato 17 persone per l’omicidio del Sostituto Procuratore generale della Corte di Cassazione Antonio Scopelliti ucciso- ricorderemo – da un commando mafioso il 9 agosto del 1991 a “Piale”, Villa San Giovanni, mentre faceva ritorno a Campo Calabro dove viveva e trascorreva le vacanze.

Tra i 17 indagati un boss di spicco,attorno al quale il cerchio si stringe sempre più,  il “Capo dei capi” dopo la morte di Totò Riina,  Matteo Messina Denaro, come  comunicato dal Procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri. L’inchiesta della Dda di Reggio mette in luce che dietro  l’omicidio del giudice ci sarebbe stata una vera e propria alleanza tra mafia e ‘ndrangheta. I 17 indagati sono infatti boss siciliani e calabresi e di ciò avrebbe dato conferma anche il pentito catanese Maurizio Avola.

Che l’alleanza  tra mafia siciliana e calabrese fosse poi  concreta  già all’epoca del delitto,era intuibile dal momento che il giudice Scopellitti si doveva sostenere l’accusa nel maxi processo in Cassazione contro la mafia. Per questo i vertici della cupola finirono a processo: i boss Bernardo Provenzano, Giuseppe Calo’, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola ed i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano però poi furono assolti in via definitiva dall’accusa di avere svolto un ruolo nell’assassinio dell’alto magistrato.Dieci gli indagati calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti

Tutti gli  indagati , ad eccezione, ovviamente, del latitante Matteo Messina Denaro, hanno ricevuto un avviso di garanzia finalizzato all’affidamento di una perizia tecnica sul fucile ritrovato nell’estate scorsa nel catanese e che sarebbe, secondo le indagini degli inquirenti, una delle armi usate per l’omicidio del magistrato. L’affidamento peritale dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.
I tecnici dovranno analizzare il fucile calibro 12, 50 cartucce Fiocchi, un borsone blu e due buste, una blu con la scritta “Mukuku casual wear» ed una grigia con scritto «Boutique Loris via R. Imbriani 137 – Catania» alla ricerca di tracce genetiche, balistiche e impronte che potrebbero trovarsi sui reperti e che potrebbero risultare decisive per le indagini. 

Nell’ambito del processo ‘ndrangheta stragista, il collaboratore di giustizia Francesco Onorato ha dichiarato che il giudice Scopelliti fu ucciso dalle cosche calabresi per favorire il boss siciliano Totò Riina. Riina -si sa- prendeva di mira i magistrati che controllavano la sua attività mafiosa in espansione  e  temeva l’esito del giudizio in Cassazione sul maxiprocesso a Cosa Nostra.

 

Inchiesta “12 Apostoli a Catania”: abusi sessuali sulle ragazzine,”purificazione di un “arcangelo”- Tutti a giudizio

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Accertamenti ed indagini preliminari ,la Procura di Catania ha raccolto gli elementi per il rinvio a giudizio degli indagati nell’inchiesta ’12 apostoli’ per presunti  abusi sessuali su minorenni consumati all’interno di una comunità di  ispirazione cattolica nel Catanese.

Secondo l’accusa del Pubblico ministero e della Procura, gli abusi erano  presentati come purificazione compiuti da un ‘arcangelo’ reincarnato,  messaggio che veniva fatto passare tra le ragazze plagiandole. I  destinatari del provvedimento si dichiarano innocenti.

Tra loro il ‘santone’ P.A.C., bancario in pensione di 74 anni, alla  guida della comunità che avrebbe abusato di ragazzine di età compresa  tra 13 e 15 anni, in alcuni casi con la complicità delle madri delle  vittime. Chiesto il giudizio anche di tre donne ritenute delle  fiancheggiatrici del ‘santone’: K.C.S., di 58 anni, F.R., di 56, e  R.G., di 58.

Le altre tre persone per cui la Procura chiede il processo, ma per  favoreggiamento, sono: l’ex deputato e assessore regionale, D.R.; un  sacerdote e l’ex presidente dell’Associazione Cattolica Cultura ed  ambiente di Aci Bonaccorsi. La richiesta di rinvio a giudizio è stata  firmata dal procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Marisa Scavo e  dal sostituto Agata Consoli. La data dell’udienza preliminare non è  stata ancora fissata.

In rialzo la popolarità del Giudice Luigi Patronaggio : minacce di morte,un proiettile e la scritta, ” zecca sei nel mirino”

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Il magistrato Luigi Patronaggio , noto per gli avvisi di garanzia al Ministro Salvini, indagato per “sequestro aggravato” nella prima fase dell’inchiesta sulla  nave della Guardia costiera “Diciotti”, riesce ancora- suo malgrado– ad essere al centro dell’attenzione per aver ricevuto- si apprende – minacce di morte con una  busta, contenente un grosso proiettile da guerra e una lettera su cui c’è scritto “zecca, sei nel mirino” .

Sulla busta – la Digos e la Scientifica indagano  – c’è il simbolo di Gladio, un chiaro riferimento all’estrema destra. Il simbolo trovato dagli inquirenti è in bianco e nero su una busta grigia.

Gladio- affermano gli investigatori-  era un’organizzazione paramilitare appartenente alla rete internazionale ‘Stay-behind’, che in Italia prende il nome di Gladio, promossa dalla Nato nell’ambito dell’operazione organizzata dalla Central Intelligence Agency per contrastare un’ipotetica invasione dell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica e dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia, attraverso atti di sabotaggio, guerra psicologica e guerriglia dietro le linee nemiche, con la collaborazione dei servizi segreti e di altre strutture“.

La Procura di Caltanissetta, competente per territorio, ha aperto un’inchiesta. Il Prefetto Dario Caputo ha indetto una riunione urgente del comitato per l’ordine e la sicurezza    Tutti indagano – oltre ai Carabinieri – anche se l’ipotesi più accreditata riconduce i più recenti avvenimenti ad aver scatenato “una reazione a catena”

SOPRINTENDENZA SOTTO INCHIESTA PER REATO “DI CROLLO COLPOSO” PER IL CEDIMENTO DELLA VOLTA DELLA CHIESA S.GIUSEPPE DI ROMA

 

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E’ periodo di crolli. Stavolta senza vittime.Ha ceduto a Roma  la volta della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami in Clivo Argentario . Sul posto i carabinieri del Comando Piazza Venezia, che hanno chiamato anche Vigili del Fuoco e 118.        Non vi sono state vittime perchè la Chiesa era chiusa.Una prima informativa dei vigili del fuoco è attesa a piazzale Clodio. . Non si esclude che vi siano  delle responsabilità per il reato di  “crollo colposo”.

Il ministro per i Beni e le attività culturali, Alberto Bonisoli, “sta seguendo la vicenda del crollo del tetto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano, in Roma ed è costantemente in contatto con il Segretario Generale, Giovanni Panebianco, che sta coordinando le unità del Mibac per far fronte all’emergenza.  È infatti subito intervenuto personale della Soprintendenza speciale di Roma, del Parco archeologico del Colosseo e i Carabinieri del Nucleo Tutela”.

Sembrerebbe che la maggiore responsabilità  sia quella della Soprintendenza che ne ha a carico la manutenzione e quindi la sicurezza.   I Carabinieri dovranno dunque identificare il responsabile della Sicurezza della Soprintendenza e gli addetti alla sicurezza e manutenzione della Chiesa (l’Unità competente) e trasmettere successivamente il fascicolo alla Procura.   Adesso-come il ponte di Genova- tutte le Soprintendenze d’Italia sono in stato di fibrillazione. Non è escluso un monitoraggio anche in Sicilia ricchissima di Chiese e beni culturali dove i Carabinieri potranno controllare lo stato di sicurezza dei beni tramite” l’Unità alla Sicurezza ( qui è una invenzione siciliana per collocare il dirigente “amico del manager”) del Dipartimento ai beni culturali”..
Chiesa di San Giuseppe ai Falegnami

 

“La chiesa di San Giuseppe dei Falegnami è proprietà del Vicariato di Roma che ne ha la custodia. Al Mibac competono le funzioni di tutela. È stata inoltre tempestivamente attivata, tramite l’Istituto centrale per il catalogo, la raccolta di dati circa le opere d’arte contenute nella Chiesa. Dalle prime informazioni acquisite, sembrerebbe che la preziosa tela seicentesca di Carlo Maratta non avrebbe subito danni.

Si apprende da studiosi ed esperti di beni culturali che “la chiesa ha una valenza storica, archeologica e culturale importantissima: sorge proprio sopra il carcere Mamertino, in cui sarebbero stati rinchiusi anche San Pietro e San Paolo, e i romani la sentono particolarmente loro perché la vivono e vi si celebrano matrimoni tre giorni alla settimana. Un simile evento non sarebbe dovuto accadere perchè gli  enti chiamati a vigilare sulla sua integrità sono tre anche se  le responsabilità maggiori vertono sulla Soprintendenza: la confraternita di San Giuseppe dei Falegnami, che risulta proprietaria dell’edificio e che fa capo al Vicariato; la Soprintendenza -appunto- del ministero dei Beni Culturali, a cui è affidata la cura, sicurezza e manutenzione; il Parco archeologico del Colosseo, che cura lo stato di salute del carcere Mamertino”.