Quella telefonata -un pò galeotta- a Papa Francesco ( a sua insaputa )del cardinale Becciu indagato nel processo Vaticano

Papa Francesco si recherà in Sud Sudan all'inizio del prossimo anno

 

Pubblichiamo l’audio integrale della conversazione con Papa Francesco registrata (all’insaputa del Pontefice) dal cardinale Angelo Becciu il 24 luglio 2021, solo pochi giorni dopo le dimissioni di Bergoglio dall’ospedale dove aveva subito una complessa operazione  L’audio è  registrato dalla Guardia di Finanza e ora diffuso ai media e agenzie stampa nazionali.  Non vi nulla di scandoloso-premettiamo subito- nei confronti di Papa Francesco – che non conosce ovviamente le procedure giuridiche ma si nota il tentativo. quasi disperato, per la ripetizione della sua richiesta al Papa e di cambiare “consigliere” , del cardinale Becciu che si vede -così pare – alle corde e chiede aiuto aiuto a Papa Francesco

Ecco le parole del Papa sofferente.  l’audio integrale della conversazione con Papa Francesco registrata (all’insaputa del pontefice) dal cardinale Angelo Becciu il 24 luglio 2021, solo pochi giorni dopo le dimissioni di Bergoglio dall’ospedale dove aveva subito una complessa operazione. Una telefonata rintracciata dalla Guardia di Finanza di Oristano su due telefoni e un tablet appartenenti a Maria Luisa Zambrano, amica di famiglia di Becciu, indagata nell’inchiesta della Procura di Sassari sulla Caritas di Ozieri. Una conversazione delicata, che, secondo gli investigatori, è stata fatta registrare a una terza persona (la Zambrano, appunto), pur avendo il cardinale ripetutamente invocato il Segreto di Stato durante le fasi di indagine e del processo.

    DOVE SONO FINITI I SOLDI- 575 MILA EURO- VERSATI DAL VATICANO PER LA LIBERAZIONE DELLA SUORA RAPITA?

Sono  cinque minuti e trentasette secondi di conversazione in cui si sente la voce affaticata del Papa rispondere alle sollecitazioni dell’ex Sostituto della Segreteria di Stato Vaticano, che gli chiede, tra l’altro, se ricorda di averlo autorizzato ad “avviare le operazioni per liberare la suora”. Il riferimento è al denaro versato a Cecilia Marogna (mai menzionata nella telefonata con Francesco), imputata nel processo vaticano in concorso con Becciu in relazione ai 575mila euro versati dalla segreteria di Stato alla società di lei per attività di intelligence tra cui, appunto, la liberazione della suora rapita in Mali dai jihadisti. Soldi che invece, secondo l’accusa, sarebbero stati spesi dall’ex collaboratrice del cardinale in beni di lusso.

Nella registrazione – un file generato alle 14.25.555 del 24/07/2021 da un dispositivo geolocalizzato in piazza del Sant’Uffizio – si sente, a parere della Gdf, anche la Zambrano, che, secondo i finanzieri, avrebbe svolto “un ruolo attivo nella realizzazione delle operazioni di registrazione”: sarebbe la sua la voce che si può ascoltare all’inizio della traccia subito prima della conversazione tra il Papa e Becciu, avvenuta verosimilmente, secondo gli investigatori, tra due telefoni di rete fissa. Nella registrazione a un certo punto si sente anche una voce maschile in sottofondo, che sembra affermare “Mi faccia sentire”. Non è chiaro a quale dei due interlocutori sia vicino il quarto partecipante.

Ecco la trascrizione integrale della registrazione.

Cardinale Becciu: Oh, sei pronta?

Zambrano: Pronta

(minuto 00.05) si sente un rumore verosimilmente corrispondente all’attivazione dell’apparato telefonico del chiamante.

Papa: Pronto?

Cardinale Becciu: Si pronto, Santo Padre.

Papa: Come sta?

Cardinale Becciu: Ehh cosi cosi, Lei come sta? Si sta riprendendo?

Papa: Ehh riprendendomi da poco eh.

Cardinale Becciu: Eh lo immagino, il cammino sarà lungo, un pochino, della ripresa eh.

Papa: Si si.

(minuto 00:26) si sente una voce maschile in sottofondo, che sembra affermare “Mi faccia sentire”. Non è chiaro a quale dei due interlocutori sia vicino il quarto partecipante.

Cardinale Becciu: Si, senta Santo Padre io Le sto telefonando come ehh con grande sofferenza …ehhh, cioè, io per me quasi non dovrei andare più a processo, perché, mi spiace, ma la lettera che mi ha inviato è una condanna… è una condanna… ehh perché …io Le volevo solo chiedere se alcuni dati…. Cioè, la cosa è questa, che io non posso chiamarLa in Tribunale come testimone, non mi permetterei mai, però ci deve essere una Sua dichiarazione. Eeh i due punti sono questi: cioè, mi ha dato o no l’autorizzazione ad avviare le operazioni per liberare la suora? Eh, io mi pare glielo chiesi guardi dovrei andare a Londra eeeh eeeh emmmh …contattare questa agenzia che si darebbe da fare, poi le dissi…ehhh che le spese che ci volevano erano 350 mila euro per le spese di questa agenzia, questi che si dovevano muovere, e poi per il riscatto avevamo fissato 500 mila, dicevamo non di più perché mi sembrava immorale dare più soldi alla… aaa… che andavano nelle tasche dei terroristi ….ecco io mi pare che l’avevo informato su tutto questo… si ricorda?

Papa: Quello si mi ricordo ehh vagamente ma ricordo si ce l’avevo si.

Cardinale Becciu: Eh…

Papa: Ma per essere preciso ….eh ho voluto…. eh… chiedere bene bene come erano le cose… eh ho scritto quello no?

Cardinale Becciu: Si, però mi ha scritto le accuse cioè … è la teoria degli accusatori dei magistrati, cioè loro mi accusano che ho imbrogliato Lei, che non era vero che io ero stato da Lei autorizzato a fare queste opere, e quindi Lei condivide le accuse di ques… dei magistrati ed io come posso difendermi lì se Lei già mi accusa così …eh …mi hanno scritto cioè la lettera è proprio giuridica in cui sono le stesse frasi, stesse idee che mi trovo nell’atto di giudizio che mi porta in processo e quindi Lei condivide quelle.. quelle accuse eh… Lei mi ha sempre detto che è al di sopra non vuole interferire…

Papa: lo sono al di sopra, facciamo una cosa…

Cardinale Becciu: Si…

Papa: Su questo perché non mi invia uno scritto perché io devo consultare prima di scrivere, no? Mi invia uno scritto, si narra tutto questo e facendo un’altra relazione, eh?

Cardinale Becciu: Si perché io gliele avevo mandate quella dichiarazioni, forse non sono piaciute, non lo so; perché a me basterebbe che mi annullasse questa lettera, poi, se mi vuol dare delle dichiarazioni, bene… cioè dire “ecco, io ho autorizzato monsignore Becciu quando era Sostituto a fare queste operazioni” a me basterebbe quello…

Papa: Mi scriva tutto questo mi fa il favore perché.

Cardinale Becciu: Eh…

Papa: lo non conosco tutte queste procedure.

Cardinale Becciu: Infatti infatti li hanno preso la mano perché si vede che non è scritto da Lei tutto giuridico.

Papa: No no questo è vero.

Cardinale Becciu: E vero è tutto è tutto diritto, ci conosciamo Santo Padre eh…

Papa: Sì sì.

Cardinale Becciu: Mancava il padre che mi scrive, li è tutto è tutto diritto, come anche sul segreto di Stato… basta che Lei dica “lo osserviamo? No, non lo osserviamo”, va bene, siamo liberi di parlare… “Lo osserviamo? Si” ma questa è una decisione Sua Santo Padre, io non La obbligo se non lo osserviamo il segreto di Stato…eeeeeh siamo liberi di dire tutto quello che dobbiamo dire, ecco poi…

Papa: Ho capito.

Cardinale Becciu: Ehh quindi..

Papa: Si, mi invii un po’ queste spiegazioni bene e cosa Lei vorrebbe che io scrivessi.

Cardinale Becciu: Va bene allora io gliele mando, eh?

Papa: E io vedo domani lo vedrò, eh?

 

Napoli, Operazione contro il traffico di droga e riciclaggio

 

21,022 Foto Cocaina, Immagini e Vettoriali

Archivi- SUD LIBERTA’

 

 Un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali -già emessa – informano i finanzieri-  dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia,è stata notificata nei giorni scorsi a carico di 28 persone, gravemente indiziate di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e riciclaggio.

Le indagini hanno consentito di disvelare l’operatività di un sodalizio criminale, con base operativa in provincia di Napoli, facente capo a un noto narcotrafficante, dedito all’introduzione sul territorio nazionale (e all’esportazione verso altri paesi, tra cui l’Australia) di ingenti partite di cocaina.

Il narcotrafficante ha fatto sì che lo stupefacente proveniente dal Sud America, nascosto all’interno di container, raggiungesse via mare i principali scali marittimi commerciali europei grazie ad accordi, alleanze e joint ventures intrecciate, a partire da gennaio 2017, con narcotrafficanti sud americani ed europei di primissimo livello: sia colombiani delle famigerate formazioni paramilitari conosciute come Clan del Golfo, sia olandesi di origine marocchina che nel frattempo si affermavano sulla scena tra i principali gruppi criminali nel controllo del traffico di cocaina dal Sudamerica nei porti di Rotterdam (Paesi Bassi) e Anversa (Belgio), sia irlandesi.

Giunto sulla terra ferma, lo stupefacente veniva prelevato e trasportato su gomma da autotrasportatori compiacenti, per essere occultato all’interno di depositi, covi e nascondigli nella disponibilità dell’organizzazione, ubicati in Campania, Calabria, Emilia Romagna e Lazio.

Il narcotrafficante, già condannato in un precedente procedimento instaurato presso la Procura della Repubblica di Napoli mentre era in stato di latitanza a Dubai, è stato capace nel corso degli anni successivi di assurgere ad un ruolo assolutamente primario quale broker internazionale della droga.

L’associazione per delinquere, oltre ad avere articolazioni in Europa, Africa e Sud America, poteva contare anche su una fitta rete di sodalizi attivi in varie regioni italiane. La consorteria criminale ha infatti intrattenuto stabili rapporti con clan camorristici di tutto il napoletano nonché con organizzazioni di stampo mafioso operanti in Calabria che, oltre ad approvvigionarsi di cocaina dal gruppo indagato, hanno fornito supporto nel recupero di ingenti partite di stupefacente in arrivo presso lo scalo marittimo di Gioia Tauro, grazie ad operatori portuali infedeli.

Una parte dei referenti della rete di distribuzione italiana è stata compiutamente identificata e arrestata (a fine marzo 2021) in un’operazione congiunta della Squadra Mobile di Napoli e del GICO, con sequestro di ingenti quantitativi di cocaina, di hashish e di denaro.

Gli appartenenti all’organizzazione erano in costante contatto tra loro grazie a sistemi di comunicazione crittografati (tra i quali Encro-Chat e Sky-Ecc), oggetto di indagine da parte di una squadra investigativa comune franco-olandese-belga e acquisiti attraverso una proficua collaborazione internazionale con l’Agenzia Europol e con l’Autorità giudiziaria francese ed olandese, coordinata da Eurojust.

Queste acquisizioni sono state sottoposte ad opportuna ed approfondita verifica, risultando perfettamente congruenti ed intersecabili con le autonome investigazioni condotte nell’ambito del procedimento instaurato presso la D.D.A. di Napoli ed articolatesi in attività di intercettazione telefoniche ed ambientali, videoriprese e riscontri sul campo (perquisizioni, sequestri ed arresti in flagranza).

Tali attività hanno portato alla completa identificazione dei trafficanti, non solo in Italia, consentendo di identificare i soggetti che coordinavano la gestione del denaro, impartivano disposizioni ai “corrieri” dello stupefacente e gestivano gli automezzi utilizzati per il trasporto della droga e del contante e, in generale, la filiera logistica a supporto dell’organizzazione.

Nel complesso gli investigatori hanno ricostruito – da marzo 2020 a marzo 2021 – movimentazioni di cocaina per oltre 7 tonnellate, di cui 1,3 sottoposte a sequestro in Italia e all’estero.

L’organizzazione indagata ha fatto ricorso, inoltre, a sistematiche condotte di riciclaggio e reimpiego dei proventi illecitamente acquisiti con il traffico di stupefacenti.

In particolare, i proventi del narcotraffico sono stati in parte trasferiti all’estero (avvalendosi di sistemi di movimentazione monetaria alternativa, basata sull’opera di cambisti internazionali, c.d. Hawala) e, in parte, reinvestiti in attività speculative quali la compravendita di oro.

 

Operazione antimafia tra Sicilia e Lombardia

Si cucì la bocca a processo, boss Ercolano di nuovo ...

Nella foto d’Archivio Benedetto Santapaola e a dx Salvatore Ercolano

Catania

Il Comando regionale della Finanza informa che, su delega della Procura della Repubblica di Catania, i Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania, con l’ausilio di militari del Comando Provinciale di Messina e di Monza-Brianza, hanno ieri dato esecuzione nella Provincia di Catania, Messina e Monza-Brianza a un’ordinanza, concernente complessivamente 37 indagati, con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania ha disposto:

la custodia cautelare in carcere nei confronti di 24 persone, gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, traffico organizzato di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori e detenzione di armi;

il sequestro, finalizzato alla confisca, di tre attività commerciali operanti nei comuni di Calatabiano (CT) e Giardini Naxos (ME).

L’indagine condotta dal GICO del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catania, ha riguardato i clan mafiosi CINTORINO e BRUNETTO – articolazioni territoriali, rispettivamente, dei clan catanesi CAPPELLO e SANTAPAOLA-ERCOLANO – attivi nei territori, in particolare, di Calatabiano, Giarre, Fiumefreddo, Castiglione di Sicilia, Mascali e in zone limitrofe, anche della provincia di Messina, come l’area di Giardini Naxos e Taormina.

Le investigazioni hanno consentito, nell’attuale stato del procedimento in cui non è stato ancora instaurato il contradittorio con le parti, di ricostruire l’organigramma e gli interessi criminali dei predetti clan nella fascia ionico-etnea, anche attraverso attività tecniche e servizi di osservazione sul territorio, ulteriormente riscontrate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e da indagini patrimoniali.

Sotto il primo profilo, sono stati individuati i personaggi di spicco delle predette associazioni che avrebbero ricoperto ruoli di rilievo all’interno delle stesse, contribuendo non soltanto al controllo e alla gestione delle attività criminali sui territori di rispettiva competenza, principalmente connesse alle estorsioni e al traffico di droga, ma anche partecipando agli incontri periodici tra i due clan, volti alla spartizione degli affari mafiosi e alla risoluzione di controversie o problematiche nelle zone di comune interesse, come quelle di Giardini Naxos e Taormina.

L’attività investigativa ha inoltre permesso di ricostruire gli interessi criminali dei clan, acquisendo un quadro gravemente indiziario in merito ai “reati fine”, strumentali al sostentamento delle associazioni mafiose e dei sodali detenuti, tra cui le estorsioni ai danni di imprenditori catanesi e delle aree contigue in provincia di Messina, il traffico di sostanze stupefacenti e l’acquisizione della gestione e del controllo di attività economiche.

Nel dettaglio, con riferimento all’attività estorsiva, le indagini avrebbero documentato 6 estorsioni che sarebbero state consumate con modalità tipicamente mafiose ai danni di attività commerciali attive nei settori della vendita di alimenti e bevande, della balneazione ed edile, corroborate dalle evidenze emerse dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e dall’escussione di persone informate sui fatti. la custodia cautelare in carcere nei confronti di 24 soggetti nonché il sequestro delle predette società.

L’attività investigativa in questione si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte da questa Procura e dalla Guardia di Finanza volte al contrasto, sotto il profilo economico-finanziario, delle associazioni a delinquere di tipo mafioso, anche al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, e di partecipazione al capitale di imprese sane, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica.

Valuta non dichiarata all’aeroporto di Fiumicino: un milione e 700 mila euro sequestrati perchè superano la soglia di legge

 

 

 

Video G.di Finanza (Comunicato)

Roma,

Da Catania a Palermo. Dal capoluogo siciliano a Napoli fino a Roma.  La capitale coagula le somme di denaro la cui valuta non risulta essere dichiarata .Nei mesi di settembre e ottobre dell’anno in corso circa 1.700.000 euro di denaro contante non dichiarati sono stati intercettati dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma e dai funzionari dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli.

In particolare, nell’esecuzione dei controlli di routine svolti presso lo scalo aeroportuale di Fiumicino, sono state accertate 116 violazioni per il mancato rispetto delle normative valutarie per un totale di quasi € 1.700.000 di valuta non dichiarata.

Essendo stata superata la soglia di legge, parte della somma è stata sottoposta a sequestro in via amministrativa, a garanzia del versamento della sanzione che sarà irrogata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il risultato raggiunto è il frutto di un’accurata attività di analisi e di un attento monitoraggio dei flussi di passeggeri in transito presso il citato scalo aeroportuale della provincia di Roma, attuato quotidianamente per reprimere e contrastare l’illecita circolazione di capitali.

L’attività rientra nel più ampio dispositivo di contrasto ai traffici illeciti messo in campo dalla Guardia di Finanza in sinergia con la citata Agenzia.

L’Odissea del mare continua: Un bimbo trovato morto su uno dei barchini dei migranti

 

Immigrati Barca - Foto e Immagini Stock - iStock

Archivi Sud Libertà-

 

L’Odissea del mare e dei migranti continua senza soste.  Un destino amaro  per  un bimbo, deceduto probabilmente per un malore, ritrovato su uno dei barchini soccorsi nella notte dagli uomini della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza al largo di Lampedusa. In 147 hanno raggiunto la più grande delle Pelagie nelle scorse ore, si aggiungono ai 374 approdati ieri.

In 28, tra cui 8 donne, tutti di origine subsahariana, sono stati bloccati dai finanzieri a Cala Francese, dove erano riusciti ad approdare . Nessuna traccia dell’imbarcazione usata per la traversata. Poco dopo al molo Favaloro dalla motovedetta della Capitaneria di porto sono sbarcati 51 migranti, tra cui 13 donne e 5 minori.

Contributi europei : tredici arresti in Sicilia per truffa ed operazioni inesistenti

Arresti per truffa per richiesta contributi europei

Enna,

Una inchiesta  della Guardia di Finanza di Enna si conclude con tredici arresti. Reati:  interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.   Tra i fermati anche  un avvocato catanese.

Tredici  ordinanze di custodia cautelari sono state emesse e notificate-dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello, nell’ambito dell’operazione “Carta bianca” nel territorio di Centuripe, Regalbuto, Troina, Adrano, Catania e Randazzo. Sequestrate somme di denaro, società e aziende per oltre 3 milioni di euro. I reati contestati sono vari: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti. Tra i soggetti destinatari della custodia cautelare anche un avvocato del Foro di Catania e l’ex direttore dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Troina. Altri sei sono stati invece sottoposti alla misura degli arresti domiciliari. 

«Le indagini della Guardia di Finanza di Nicosia e della DDA di Caltanissetta, con a capo il Procuratore Salvatore De Luca e coordinate dai Sostituti Pasquale Pacifico e Dario Bonanno, hanno consentito di acclarare come il metodo fosse sempre quello da tempo denunciato da Antoci, cioè le sistematiche infiltrazioni nel settore dei contributi europei per l’agricoltura».

«Questa volta a cadere sotto la scure del ”Protocollo Antoci” e della Giustizia è una famiglia criminale che utilizzava prestanomi visto che i suoi componenti erano impossibilitati a conseguire i contributi comunitari in quanto destinataria di interdittiva antimafia ai sensi del Protocollo Antoci oggi legge dello Stato. Inoltre, per poi rientrare dalle somme erogate ai prestanomi, effettuavano emissione di fatture false per operazioni inesistenti».

Gli indagati avevano messo le mani anche sui pascoli demaniali sempre utilizzando tutta una serie di imprese a loro collegate tentando di aggirare fraudolentemente le regole previste dal cosiddetto  “Protocollo Antoci” e del conseguente “nuovo codice antimafia” che lo ha in toto recepito nel 2017. Circa 1200 ettari di pascoli demaniali, hanno permesso agli indagati di percepire illecitamente elevati contributi comunitari.

Dall’attività di indagine, inoltre, «è emerso che gli indagati risultano anche legati da rapporti di parentela o affinità con soggetti già condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso in quanto esponenti di rilievo di famiglie di cosa nostra operanti nel territorio». 

«Come ormai noto, bastava mantenersi sotto la soglia dei 150 mila euro, oltre la quale risultava obbligatorio per la pubblica amministrazione richiedere l’informativa antimafia, per eludere e autocertificare falsamente di avere i requisiti previsti dalla norma –  –

Gli inquirenti ricordano che  negli anni hanno usufruito di tali erogazioni personaggi come Gaetano Riina fratello di Totò, le famiglie Santa Paola Ercolano e tantissimi altri capi mafia non solo siciliani. È così che in questi lunghi anni sono state assicurate alle consorterie criminali milioni e milioni di euro a discapito dei poveri agricoltori onesti per anni vessati dai mafiosi». 

Per contrastare tutto ciò Giuseppe Antoci creò nel 2015, insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta, un protocollo di legalità stipulato il 18.03.2015 tra la Prefettura di Messina e l’Ente Parco dei Nebrodi (appunto il cosiddetto “Protocollo Antocì’), ormai divenuto legge dello Stato e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. Con il Protocollo è stato stabilito un nuovo e più stringente obbligo e cioè l’abbassamento della soglia da 150 mila euro a zero. Una vera svolta nella legislazione antimafia, una norma considerata epocale da tanti giuristi per l’attacco ai patrimoni dei mafiosi, una norma che, come ha dichiarato anche il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, è ormai “un paradigma nella lotta alla mafia, quale modello cooperativo per prevenire infiltrazioni nel tessuto economico sano”. 

I “Protocollo Antoci” dopo la  interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Catania e dopo aver subito la revoca dei contratti e la conseguente perdita delle erogazioni,  cercava nuovi prestanomi.    Ma il trucco era già conoscenza delle Procure.

Stop alle infiltrazioni alla “ndrangheta” e associazioni mafiose

Confiscati beni per un valore di circa 160 milioni di euro

La Guardia di Finanza confisca beni per un valore di circa 160 milioni di euro 

 

Reggio Calabria,

Militari dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Reggio Calabria, unitamente a personale della D.I.A. e dello S.C.I.C.O., con il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Dott. Giovanni Bombardieri, stanno dando esecuzione a un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria che dispone l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di beni – per un valore complessivo stimato in oltre 160 milioni di euro – riconducibili ad un imprenditore reggino, operante nel settore edile.

Secondo quanto emerso dalle indagini, il proposto, dalla metà degli anni ’80 al 2017, avrebbe avviato e consolidato nel territorio reggino il suo ruolo di imprenditore nel settore edile, facendo leva sul sostegno di storiche locali di ‘Ndrangheta, dapprima su quella dei L. e dagli anni 2000 in avanti su quella dei D.

Tali evidenze erano emerse, tra le altre, nell’ambito delle operazioni “Monopoli” e “Martingala”.

La prima, eseguita dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, ha fatto luce su un sistema di cointeressenze criminali coltivate da imprenditori reggini che, sfruttando l’appoggio di cosche cittadine, sarebbero riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali. Le indagini sono culminate, nel 2018, con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 4 soggetti per i reati – tra gli altri – di cui all’art. 416 bis c.p. (associazione per delinquere di tipo mafioso), 12 quinquies D.L. 306/92 (oggi 512 bis c.p.) (trasferimento fraudolento di valori) e art. 648 ter 1 c.p. (autoriciclaggio) aggravati dall’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 D.L. 152/1991 (oggi 416 bis 1 c.p.), nonché reali su compendi aziendali di imprese/società, beni mobili e immobili, per un valore complessivo stimato in 50 milioni di euro.

In tale ambito, il proposto – allo stato e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento della responsabilità – è stato condannato in primo grado alla pena di anni 12 di reclusione e alla misura di sicurezza della libertà vigilata per anni 3, in ordine al reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Tra l’altro, l’attività investigativa avrebbe consentito di appurare come il citato imprenditore avesse stretto un patto sinallagmatico con l’organizzazione criminale e, in particolare, con la cosca De Stefano, in base al quale egli aveva espanso le sue attività economiche a carattere speculativo immobiliare, imponendosi come uno dei principali imprenditori cittadini in tale settore e consentendone l’infiltrazione alla ‘ndrangheta.

La seconda è stata, invece, condotta dal locale Centro Operativo della D.I.A. e dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria nei confronti di un articolato sodalizio criminale dedito alla commissione di gravi delitti tra cui, a vario titolo, quelli di associazione mafiosa, riciclaggio, autoriciclaggio e associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, con l’aggravante, per alcuni di essi, del metodo mafioso. L’attività è stata conclusa nel 2018 con l’esecuzione di provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, nonché di provvedimenti cautelari reali nei confronti di 51 società – anche estere – partecipazioni sociali, beni mobili e immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo stimato in circa € 119.000.000.

In tale ambito, in relazione al proposto, sarebbero emersi indizi in ordine alla commissione di reati tributari posti in essere mediante un indebito risparmio d’imposta che avrebbe consentito all’imprenditore di produrre illeciti profitti da reinvestire anche nelle proprie attività aziendali.

Alla luce delle richiamate evidenze, la locale Direzione Distrettuale Antimafia – sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata – ha delegato il Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) della Guardia di Finanza, il Nucleo Investigativo dei Carabinieri ed il locale Centro Operativo D.I.A. a svolgere apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti del citato imprenditore, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

L’attività in rassegna, anche valorizzando le risultanze delle pregresse indagini, ha consentito di ricostruire le acquisizioni patrimoniali effettuate dall’anno 1985 all’anno 2017 e di rilevare, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, anche documentale, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata.

Nel mese di ottobre 2019 la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, ha disposto, di conseguenza, il sequestro del patrimonio riconducibile al citato imprenditore e, successivamente, riconoscendo la validità dell’impianto indiziario, con il provvedimento in esecuzione ha decretato – allo stato del procedimento ed impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca dell’intero compendio aziendale di 7 tra imprese e società commerciali attive nel settore edile/immobiliare – comprensivo, altresì, di 99 immobili e 16 veicoli – quote di partecipazione al capitale di 2 società attive nei settori edile e turistico, 234 tra terreni e fabbricati, beni mobili, nonché disponibilità finanziarie per un valore complessivamente stimato in oltre 160 milioni di euro.

Con il medesimo provvedimento, il locale Tribunale ha sottoposto l’imprenditore alla misura personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per la durata di anni 3, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.

L’attività di servizio in rassegna, frutto di una sinergica collaborazione tra Forze di Polizia, efficacemente coordinate dalla Procura Distrettuale reggina, testimonia l’elevata attenzione rivolta all’individuazione e alla conseguente aggressione dei patrimoni e delle disponibilità finanziarie illecitamente accumulati dalle consorterie criminali di stampo mafioso, allo scopo di arginare l’inquinamento del mercato e della sana imprenditoria, con l’intento di ripristinare adeguati livelli di legalità, trasparenza e sicurezza pubblica.

La Guardia di Finanza smonta un articolato sistema di frode per l’aggiudicazione di gare d’appalto del valore di 120 milioni di euro

 

 

I Finanzieri del Comando Provinciale di Bari, al termine di un’indagine di polizia giudiziaria hanno notificato, su delega della locale Procura della Repubblica, un avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel quale vengono riconosciuti gravi indizi di colpevolezza (accertamento compiuto nella fase delle indagini preliminari che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa) nel procedimento a carico di n. 8 soggetti, cinque dei quali dipendenti comunali e tre responsabili aziendali, indagati a vario titolo per turbata libertà degli incanti – art. 353 c.p. – e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale – art. 479 c.p.-.

L’attività di polizia economico finanziaria sviluppata dalla Compagnia di Monopoli, avviata nel 2018, ha consentito di ricostruire un articolato sistema di frode, ad avviso della Procura, finalizzato alla illecita partecipazione e aggiudicazione di gare d’appalto indette da una stazione appaltante, insediata nel sud est barese, del valore complessivo di circa 120 milioni di euro, da parte di una società campana operante nel settore della raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani.

Le indagini hanno permesso di ipotizzare come l’amministratore unico della società appaltante e due stretti collaboratori turbavano la procedura di gara indetta dal Comune di Monopoli, in qualità di capofila dell’A.R.O. BA/8, avente ad oggetto l’affidamento del servizio di raccolta e trasporto rifiuti sui territori di quattro comuni (Monopoli, Conversano, Polignano a Mare, Mola di Bari) mediante collusioni con diversi pubblici ufficiali.

Questi ultimi avrebbero omesso intenzionalmente, nelle fasi dei controlli d’ufficio e delle verifiche prodromiche alla stipula dei contratti esecutivi con le stazioni appaltanti interessate, di segnalare la sussistenza di una serie di esposizioni debitorie con il fisco e con gli enti previdenziali a carico della società affidataria, anziché procedere all’avvio della procedura di esclusione della stessa dalla gara.

Nello specifico, i R.u.p. dell’ARO Ba/8 e dei comuni di Monopoli e Conversano, in concorso con i rispettivi direttori esecutivi del contratto d’appalto, pur essendo a conoscenza di tali irregolarità fiscali e contributive, per oltre 4 milioni di euro, accertate tramite l’avvenuta consultazione della banca dati DURC ON LINE ed una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate inviata agli enti pubblici interessati, attestavano, secondo la tesi accusatoria, la regolarità dei requisiti di legge previsti dal Codice dei Contratti Pubblici.

Simulano la somministrazione del vaccino per avere il green pass. In arresto medico e due pazienti

 

 

Roma,

Hanno simulato la somministrazione del vaccino per ottenere il “green pass”. Un medico e due pazienti sono stati arrestati in flagranza di reato dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma.

Le Fiamme Gialle della Compagnia di Velletri – coordinate dalla locale Procura della Repubblica – hanno scoperto che il medico, dietro compenso, anziché inoculare il siero vaccinale messo a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale, avrebbe iniettato un’innocua soluzione fisiologica.

Conseguentemente, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro, presso il Ministero della Salute, delle certificazioni verdi ritenute fittizie e dei corrispondenti codici sorgente “Qrcode”.

I tre dovranno ora rispondere delle ipotesi di reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, peculato e falso.

Allo stato delle attuali acquisizioni probatorie e in attesa di giudizio definitivo, vale la presunzione di non colpevolezza degli indagati.

Scoperta max frode fiscale La Finanza sequestra oltre 600 mila euro

Scoperta a Pomezia maxi frode fiscale. Sequestrati beni per circa 600.000 euro
Frode fiscale scoperta dalla G.DI fINANZA

Roma

Beni mobili e immobili, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore di circa 600.000 euro sono stati sequestrati dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma nei confronti di 5 persone, indagate per le ipotesi di reato di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, occultamento di scritture contabili, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Il provvedimento cautelare, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Velletri, è frutto delle indagini condotte dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Pomezia, coordinate dal II Gruppo di Ostia, nei confronti di alcune società operanti nei settori delle pulizie e della pubblicità.

Dagli accertamenti è emerso che due imprese, formalmente intestate a “prestanome” e inadempienti agli obblighi fiscali, erano riconducibili a un unico dominus, estraneo alle compagini sociali, artefice di un vorticoso giro di emissione di fatture false ammontanti a circa 2 milioni di euro, funzionali per le società utilizzatrici ad ottenere un illecito risparmio d’imposta.

Le attività eseguite hanno permesso di riscontrare, oltre ai reati di distruzione delle scritture contabili e di emissione di oltre cento fatture per operazioni inesistenti, quelli di omessa ed infedele dichiarazione per circa600.000 euro nei confronti delle società emittenti le fatture false.

Sulla base degli elementi raccolti, la Procura della Repubblica di Velletri ha ottenuto l’emissione di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche “per equivalente”, dei beni nella disponibilità dei soggetti sottoposti alle indagini, eseguito in diversi Comuni della provincia di Roma.

L’operazione si inquadra nella più ampia azione svolta dalla Guardia di Finanza a contrasto dell’economia sommersa e delle frodi fiscali che, oltre a sottrarre ingenti risorse finanziarie allo Stato, alterano le regole del mercato e danneggiano i cittadini e gli imprenditori onesti.