Caro direttore,
nelle ultime settimane il futuro dell’Europa è al centro di un importante dibattito nell’opinione pubblica. Il prossimo rinnovo del Parlamento europeo, d’altra parte, costituisce un’occasione preziosa per avviare una discussione franca e consapevole, che dovremo responsabilmente estendere anche alle cause che hanno determinato l’attuale crisi del processo di integrazione.
Solo in questo modo potremo confidare di rilanciare il progetto europeo, che – ormai da alcuni anni – sembra aver perso la sua forza propulsiva. Siamo chiamati a operare scelte coraggiose, che siano all’altezza dei tempi straordinari che stiamo vivendo. L’Europa non ha alcun bisogno di apologeti o sostenitori fideistici. Ha bisogno di contributi lucidi e critici, che sappiano rilanciare la grande capacità visionaria espressa dai grandi statisti del secondo dopoguerra. La sfiducia dei cittadini nelle Istituzioni europee e nella loro capacità di offrire un benessere futuro è la più grave insidia con cui dobbiamo confrontarci. Non possiamo più indugiare.
Sin dall’inizio del mio mandato ho affermato, in varie sedi, che dobbiamo offrire all’Europa un nuovo umanesimo, ponendo al centro della nostra azione la persona, i suoi inalienabili diritti, ma anche i suoi sogni e le sue paure. Un progetto integrale che vada incontro all’uomo nella concretezza della sua esistenza. Per inaugurare questo nuovo umanesimo occorrono visione e creatività. Ma soprattutto, è necessario acquisire consapevolezza della propria missione nel mondo.
Decisivo è il rapporto tra cittadini e Istituzioni europee. Non possiamo lasciare a una élite il potere di definire il destino di una nazione, né quello di un continente. Occorre favorire la costruzione di un vero popolo europeo, comunità di donne e di uomini che condividono un comune destino. Per realizzare con coraggio l’ambizioso progetto di creazione di un demos europeo occorre rafforzare ruolo e poteri del Parlamento europeo, l’unica Istituzione direttamente legittimata dal voto dei cittadini: il potere di iniziativa legislativa; il potere di inchiesta; il riconoscimento di un generale potere di accountability rispetto alle altre Istituzioni dell’Unione.
Il dibattito politico, negli ultimi anni, va assumendo una dimensione europea. Possiamo ormai ragionare di un’opinione pubblica europea. Per questo dobbiamo guardare con favore anche all’introduzione di istituti di democrazia diretta, fattore essenziale per coinvolgere i cittadini in una più ampia partecipazione, accrescendo il tasso di democraticità dell’intero ordinamento europeo.
Dobbiamo inoltre intervenire per contenere le spese e i costi delle Istituzioni europee, in modo da evitare che possano essere percepite come i ” luoghi dei privilegiati del vecchio sistema”, come è stato per molte Istituzioni nazionali.
Un’Europa capace di futuro nel mondo globale deve produrre crescita. Crescita vera. Nel XXI secolo, questo significa investire nella politica industriale aperta alle nuove tecnologie, nella ricerca e nell’innovazione, nelle infrastrutture materiali e digitali, nella cultura. I frutti di questi investimenti devono però essere distribuiti fra tutti i cittadini. Abbiamo imparato a caro prezzo che una crescita che genera benefici solo per alcuni è insostenibile, non solo dal punto di vista sociale, ma anche macroeconomico.
L’Europa, se investe di più e meglio su tutto questo, può acquisire un vantaggio competitivo nei confronti degli altri attori globali. Essere competitivi significa anche garantirci le opportunità di “dire la nostra”, di promuovere la nostra agenda, di pretendere il rispetto di regole che proteggano imprese e consumatori, che tutelino beni e valori primari, tra cui assume un ruolo decisivo l’ambiente. Dobbiamo essere coerenti col “principio di responsabilità” richiamato dal filosofo Jonas: non possediamo il Pianeta, ma lo custodiamo per trasmetterlo alle generazioni future.
Con uno sforzo di responsabilità collettiva, va affrontata la priorità centrale del lavoro. Il nostro continente ha tassi di disoccupazione giovanile che rallentano le prospettive di sviluppo e mettono a rischio la prossima generazione di europei. L’Europa deve perseguire con vigore e urgenza una efficace tutela della dignità della persona. Una tutela che protegga sia il salario dei cittadini sia i disoccupati, prevedendo ad esempio un’assicurazione europea contro la disoccupazione, come pure l’introduzione di un salario minimo europeo, così come proposto, peraltro, da esponenti del nostro governo. Anche su questo fronte, dopo l’approvazione, a novembre 2017, del Pilastro sui Diritti sociali, l’Europa ha ampi margini di miglioramento. La sicurezza che i cittadini europei chiedono a ogni elezione, nazionale e locale, passa anche per la sicurezza sociale. La mancanza di lavoro allontana l’Europa dai suoi popoli, alimentando delusione e rancore, precarietà esistenziale e smarrimento, sentimenti che possono alimentare reazioni dagli esiti imprevedibili, come dimostrano fenomeni in atto in alcuni Paesi europei.
Scuola e università sono le istituzioni più importanti per una collettività che voglia puntare a uno sviluppo duraturo ed equilibrato. Non avremo mai un’Europa con forte identità e coscienza di sé finché i divari delle conoscenze, tra i cittadini europei, rimarranno così elevati; il demos a cui accennavo prima può nascere proprio da una scuola che – pur nel rispetto delle specificità di ciascuna collettività – esalti le ragioni e i benefici dello stare insieme.
Sicurezza sociale e creazione di lavoro significa anche un’Europa che non resta prigioniera del dilemma crescita- stabilità. Lo vediamo nel faticoso percorso di completamento dell’Unione economica e monetaria e dell’Unione bancaria: i membri più ricchi della famiglia europea richiedono ai membri rimasti indietro crescenti assicurazioni contro i rischi. Oltre un certo limite, queste richieste finiscono per aumentare, anziché diminuire, la pressione dei mercati; espongono i Paesi a pressioni finanziarie indipendenti dai fondamentali economici degli stessi. Colmare questo squilibrio è nell’interesse di tutti per favorire uno sviluppo equilibrato e sostenibile.
La stabilità europea ha bisogno, oltre che di crescita durevole e sostenibile, anche di sicurezza dentro e fuori dai confini. Anche per la migrazione s’impone una responsabilità condivisa degli Stati membri, basata su solidarietà e coesione, in coerenza con la strada indicata dal Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018. L’Europa deve affrontare il fenomeno delle migrazioni sulla base di un approccio strutturale, sfuggendo alla logica emergenziale sin qui prevalsa. Nessuno Stato membro può farcela da solo.
Costruire il futuro dell’Europa vuol dire anche ripensare il nostro approccio verso il continente africano. È giunto il momento di promuovere un serio dibattito su un nuovo partenariato europeo con l’Africa, fondato sulla condivisione dei traguardi da raggiungere, delle responsabilità da assumere e dei frutti da raccogliere. È un modello che ho definito “partenariato tra pari“, che presuppone il superamento delle sfere di influenza nazionali e si offre di contribuire alla crescita economica, alla sicurezza e allo sviluppo di tutti i popoli africani.
Un nuovo approccio verso l’Africa richiede un’Europa all’altezza della sua vocazione mediterranea, cuore della stessa civiltà europea. Una priorità che richiede una strategia multilivello, anche con una più incisiva partecipazione allo sviluppo economico e sociale della regione. L’Italia ha fatto e continua a fare la sua parte nel Mediterraneo, come dimostra l’azione costante a favore del processo di stabilizzazione in Libia.
Lavorare per un’Europa solidale ed equa al suo interno rafforza anche la sua credibilità e la sua leadership nei confronti dei grandi attori globali. È fondamentale continuare ad alimentare il valore strategico del rapporto con gli Stati Uniti, cui ci uniscono prima di tutto valori e principi, e nei cui confronti le tante convergenze prevalgono largamente rispetto a ogni possibile incomprensione. Con la Russia e con la Cina, parti di ogni soluzione nelle crisi internazionali, l’Europa deve continuare un dialogo e un engagement a tutto campo. Sul piano economico, abbiamo interesse a cogliere le opportunità offerte dall’immenso mercato cinese e dagli investimenti bilaterali. Dobbiamo essere in grado di impostare la collaborazione con Pechino su un piano di parità, senza cedere di un passo sui nostri valori e principi, senza mettere in discussione i nostri legami, le nostre regole, le nostre storiche alleanze. Un’Europa forte può aiutare anche le economie più fragili a vincere questa sfida. Isolarsi è impossibile, sottrarsi al dialogo non ha alcun senso e non è coerente con i valori fondanti della casa comune europea.
Responsabilità, solidarietà, crescita e lavoro, stabilità, competitività e leadership verso il resto del mondo, sono tutti pilastri senza i quali l’edificio europeo rimane sbilanciato e a rischio di continui cedimenti o crolli. Per tenere in piedi questi pilastri serve però un materiale sempre più raro nell’Europa di oggi e che dobbiamo tutti, con urgenza, recuperare: la fiducia. Il recupero della fiducia è indispensabile, perché senza fiducia rimarremo fermi, non potremo raggiungere nessun traguardo, mentre il mondo globale andrà sempre più avanti. L’incertezza politica, economica e sociale generata da Brexit nell’Europa intera rende ancora più evidente la necessità di rilanciare un’assunzione di responsabilità verso i cittadini europei. La prospettiva dell’uscita della Gran Bretagna deve farci riflettere e renderci consapevoli della forte domanda di cambiamento che va intercettata per tempo, con risposte adeguate. Questa domanda merita una risposta autenticamente democratica e popolare, l’unica all’altezza di un efficace progetto di pace, di libertà, di giustizia, quale quello europeo.