Pubblichiamo un’indagine di Open Polis riguardo il sistema di finanziamento dei partiti e l’idea di ridurre le quote assegnate ai partiti con le donazioni dei privati . Tra 2013 e 2017 le entrate dei partiti si sono fortemente ridotte. Questa contrazione è dovuta a due fattori: la progressiva fine dei rimborsi elettorali e la diminuzione delle donazioni da aziende e privati. Nell’arco di tempo, in esame, 2013/17, è cessato il rimborso elettorale. Oggi i partiti possono avvalersi del 2 x 1000 e gli incentivi fiscali sulle donazioni dai privati ai partiti
Nel primo caso è possibile farlo con la dichiarazione dei redditi destinando una quota irpef ad un partito ma non è la stessa cosa. I vecchi rimborsi elettorali valevano infatti oltre 180 milioni di euro all’anno ed erano automatici ,venivano erogati cioè a secondo dei voti ricevuti dalla lista nelle elezioni.La forza politica riceve il corrispettivo solo se il contribuente decide di darlo anche se spesso è il Caf o commercialista a fare questa indicazione all’insaputa del cliente/contribuente. Questo sistema ha garantito nell’anno migliore 15,3 milioni di euro di entrate. Meno quindi della garanzia offerta dai rimborsi elettorali “automatici”.
il nuovo metodo di finanziamento pubblico
In origine gli stanziamenti erano 27,7 milioni per il 2016 e 45,1 milioni per il 2017, poi ridotti con legge di stabilità 2016. Nel 2015 sono stati erogati 9,6 milioni (come da stanziamento), mentre la parte restante (2,7 milioni) è stata versata l’anno successivo. (dati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (11 gennaio 2018)
La conseguenza è stata un calo delle entrate complessive dei partiti, ridotte di oltre il 60% nel periodo considerato. Un cambiamento traumatico per le forze politiche, se si considera che è avvenuto in appena 5 esercizi di bilancio. Sotto molti aspetti prevedibile, data la mole di introiti che garantivano i rimborsi elettorali.
Tralasciamo qui – osserviamo noi di SUD LIBERTA’ – tutto il periodo contrassegnato dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto gran parte delle classi politiche precedenti , in particolare i segretari, cassieri, economi, a dirottare somme ingentissime di finanziamento pubblico nei propri conti correnti privati. Il Pool di magistrati “Mani pulite” farà storia….
il valore del 2×1000 nel 2017
Dall’introduzione il 2×1000 è cresciuto, ma non abbastanza sia rispetto allo stanziamento (25,1 milioni di euro a regime dal 2017), sia in confronto a quanto garantivano i vecchi rimborsi elettorali. Con conseguenze negative sulle casse dei partiti politici.
Ma la contrazione delle entrate dei partiti non va addebitata unicamente al taglio del finanziamento pubblico. Anche le donazioni da privati sono diminuite tra 2013 e 2017, nonostante uno degli obiettivi fosse proprio incoraggiarle. Il decreto Letta infatti ha previsto una detrazione (irpef e ires) del 26% su quanto donato alle forze politiche iscritte nel registro dei partiti, per cifre comprese tra 30 e 30mila euro. Per questa misura la stessa legge aveva quantificato minori entrate pari a 27,4 milioni nel 2015 e a 15,65 milioni dal 2016, prevedendo quindi donazioni annue molto superiori.
Contrariamente alle aspettative, le forze politiche stanno ricevendo molto meno di quanto previsto. La contribuzione dai privati ai partiti politici è passata dagli oltre 40 milioni di euro del 2013 a circa 16 milioni nel 2017.
Solo dal 2014 è stato inserito un tetto annuo alle donazioni private.
Il 2013 è stato l’anno record nel periodo esaminato (oltre 40 milioni di euro di donazioni complessive), ma merita alcune considerazioni a parte rispetto al resto della serie storica. Primo perché si tenevano le elezioni politiche, quindi è ragionevole ipotizzare che i partiti avessero attivato meccanismi di raccolta fondi più efficaci. In secondo luogo, era l’ultimo anno senza limiti al finanziamento privato: dal 2014 il decreto Letta ha introdotto un tetto di 100mila euro annui a persona o azienda. Per fare un esempio, nel 2013 il solo Silvio Berlusconi versò a Forza Italia 15 milioni di euro, operazione che sarebbe stata impossibile pochi mesi dopo.
-72% le donazioni ai partiti da aziende e altri enti tra 2013 e 2017.
Negli anni successivi la tendenza è stata discendente, in particolare sulle donazioni da persone giuridiche. Al contrario per le erogazioni da persone fisiche, dopo anni di calo, dal 2017 si registra una prima inversione di tendenza. Sarà interessante capire se questo trend sarà confermato nei bilanci 2018, data la necessità di raccogliere fondi per le politiche del 4 marzo.
C’è comunque un aspetto da tenere presente quando parliamo di donazioni da persone fisiche. Buona parte di queste non sono donate da comuni cittadini: sono versate da parlamentari ed eletti al partito di appartenenza. Si tratta delle quote di indennità versate come contributo al partito, una prassi di lunga data, talvolta prevista anche da statuti e regolamenti interni.
Donazioni dagli eletti
Sul piano giuridico non c’è alcuna differenza tra i contributi degli eletti e le altre donazioni private. Possono infatti essere portate ugualmente in detrazione, se versate ad un partito registrato. Ma nella sostanza la differenza è netta. Il contributo del parlamentare è calcolato rispetto a un’indennità erogata dallo stato o dalla regione. Non è quindi irragionevole ipotizzare che indennità e rimborsi vengano mantenuti all’attuale livello anche allo scopo di finanziare partiti e movimenti.
A maggior ragione in tempi di contrazione delle entrate, il contributo di parlamentari e rappresentanti delle istituzioni diventa strategico per gli equilibri di bilancio.
Venuti meno i rimborsi elettorali, molte delle principali forze politiche in questi anni hanno cercato massimizzare questo tipo di entrate. Sono le stesse relazioni allegate ai bilanci dei partiti a raccontarlo. Ad esempio in quella di Forza Italia l’amministratore nazionale segnala:
Rispetto al precedente esercizio si è verificato un notevole generale aumento (…) in particolare, le contribuzioni da parlamentari si incrementano di circa il 76%, mentre quelle provenienti da consiglieri regionali evidenziano un importo di circa sette volte maggiore rispetto a quanto raccolto il precedente anno. Nasce la consapevolezza per qualche partito politico che raccogliere i contributi dagli eletti diventa una via necessaria per finanziare la propria attività politica. Lo stesso M5s, dalla XVIII legislatura, ha scelto di far versare ai propri parlamentari una quota dell’indennità (300 euro al mese) per il funzionamento dell’associazione Rousseau e della relativa piattaforma.
5,9 milioni i contributi che i parlamentari del M5s verseranno all’associazione Rousseau nel corso della legislatura se questa durerà 5 anni.
Questo meccanismo di finanziamento pubblico però rischia di generare delle pesanti distorsioni nella competizione politica. Favorisce a dismisura le forze che hanno già una ampia presenza nelle istituzioni, mentre penalizza quelle con meno eletti. Nella stessa direzione si muove il sistema di finanziamento dei gruppi parlamentari, che viene erogato in parte in quota fissa e in parte in proporzione alla numerosità del gruppo.
Una nuova centralità ai gruppi parlamentari
Mentre il finanziamento pubblico ai partiti veniva ridotto drasticamente, quello ai gruppi parlamentari è rimasto abbastanza stabile. Stiamo parlando dei contributi che i due rami del parlamento versano ai gruppi per le loro attività istituzionali. Si tratta di 32 milioni di euro alla camera e 21 milioni di euro al senato. Con la fine dei rimborsi elettorali, queste cifre hanno dato una nuova centralità ai gruppi parlamentari a discapito dei partiti politici.
53 milioni i contributi pubblici annuali che le due camere versano ai gruppi parlamentari.
Per averne riscontro, basta confrontare le entrate delle 4 maggiori forze politiche, in termini di finanziamento pubblico ai partiti e ai gruppi parlamentari.
Il M5s non ha mai ricevuto 2×1000 e rimborsi elettorali, ma non ha rinunciato ai contributi pubblici ai gruppi parlamentari (quasi 32 milioni tra 2013 e 2017).
Per tutte le maggiori forze politiche, ad eccezione della Lega Nord, il finanziamento pubblico incassato dai gruppi è stato superiore a quello ricevuto dai rispettivi partiti. Una tendenza che nei prossimi anni potrebbe consolidarsi, data l’eliminazione dei rimborsi e i limiti finora riscontrati nella raccolta del 2×1000. l gruppi parlamentari si sono trovati così ad acquisire sempre più importanza negli equilibri del sistema politico. Tra le altre cose, hanno finito per farsi carico anche di attività che tradizionalmente spettavano alle strutture di partito.
Tra 2013 e 2017 i partiti censiti hanno ridotto le loro spese del 75%, passando complessivamente da 129 a 31 milioni di euro. Una delle voci di spesa più importanti tra quelle tagliate è stata quella per il personale, grosso modo dimezzata nel periodo considerato. Presi insieme, i partiti spendevano circa 20 milioni per pagare i propri dipendenti, oggi questa voce di spesa ne vale meno di 10.
-52% la spesa per il personale dei partiti tra 2013 e 2017.
Gli interventi normativi di questi anni hanno cercato di facilitare la ristrutturazione degli apparati partitici, anche attraverso incentivi come la cassa integrazione e i contratti di solidarietà.
Altro esempio di incremento dell’attività dei gruppi parlamentari lo si vede dall’andamento delle spese in comunicazione. Si tratta di una voce di spesa pensata per l’ordinaria comunicazione dell’attività di ciascun gruppo parlamentare, ma nel corso degli anni questo capitolo ha contribuito in modo decisivo alle spese per la propaganda anche in occasione delle campagne elettorali. Così mentre i partiti riducevano la loro esposizione, i gruppi hanno aumentato le spese per la comunicazione da 2,9 a 5,4 milioni di euro tra 2014 e 2016. Si tratta di una scelta lecita, ma impropria rispetto alle finalità per cui erano stati previsti quei fondi.
Occorre un urgente intervento
L’analisi conferma la necessità di intervenire con una legge organica che disciplini il finanziamento alla politica. Le riforme più recenti intendevano ridurre il finanziamento pubblico e incentivare quello privato. Dopo cinque anni si sono acuiti gli squilibri del sistema, con i partiti sempre meno rilevanti e altri soggetti che acquisiscono un peso politico crescente. Abbiamo visto il caso dei gruppi parlamentari, più semplice da ricostruire in quanto i loro bilanci sono pubblicati in allegato ai consuntivi di camera e senato.
Nessuna riforma finora ha preso atto che la politica è svolta da più soggetti, non solo dai partiti.
Oltre ai gruppi, si fa strada una pluralità di attori, generalmente non trattati come soggetti politici di rilievo: associazioni, fondazioni, singole personalità politiche. Questi possono raccogliere finanziamenti privati (e in alcuni casi anche pubblici), ma sono sottoposti ad obblighi di trasparenza diversi da quelli dei partiti. Lo stesso vale le articolazioni locali delle forze politiche, che solo in limitati casi sono tenute a far revisionare i propri bilanci. In questo contesto, interventi che regolamentano, magari in modo stringente, solo una parte degli attori in campo rischiano di essere controproducenti. Serve un testo di legge che parta dal presupposto che la politica ormai è svolta da tanti soggetti, e non possono essere lasciate zone grigie su come si finanziano.
le donazioni private derivano dagli eletti (80%)
Le donazioni da privati dovevano essere l’altro canale di finanziamento del nuovo sistema. In realtà queste non sono decollate, gran parte delle donazioni da persone fisiche derivano dal contributo degli stessi eletti, come parlamentari e consiglieri regionali. Con percentuali che variano tra le singole forze politiche.
il rapporto tra le spese dei gruppi e quelle dei partiti per il personale
La spesa principale dei gruppi parlamentari – concludiamo lo studio di Open Polis- è quella per il personale, e vale circa 40 milioni di euro annui. Parallelamente, per i partiti questa voce è calata a meno di 10 milioni annui. Un esempio che aiuta a capire come nella crisi dei partiti si facciano strada altri soggetti politici. Con una differenza sostanziale: i gruppi parlamentari sono tenuti a svolgere attività istituzionale, ed è improprio utilizzarli per altre finalità.