DISCO ROSSO AD ASSOCIAZIONE A DELINQUERE , 17 MISURE CAUTELARI PER FERMARE MOVIMENTO DI 27 TONNELLATE DI SIGARETTE

 

NAPOLI

Guai in vista per tanti contrabbandieri . Scoperti ed arrestati..I Comandi Provinciali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Napoli, al termine di una complessa attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica partenopea, hanno eseguito un provvedimento cautelare emesso dal G.I.P. del Tribunale di Napoli nei confronti di 17 persone ritenute gravemente indiziate di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri.

Per uno dei sodalizi è stata applicata la custodia in carcere, per sette di essi gli arresti domiciliari.Altri sette sono destinatari di divieto di dimora nella provincia di Napoli, mentre due dell’obbligo di dimora.

Nel complesso sono 67 le persone coinvolte nelle attività investigative e gravemente indiziate, a vario titolo, di aver costituito e fatto parte di sodalizi criminali attivi nella commissione di reati inerenti al contrabbando di T.L.E. provenienti dall’Est Europa e introdotti in Italia per alimentare il mercato clandestino campano.

Già sequestrati, e successivamente confiscati, anche due immobili utilizzati per lo stoccaggio dei TLE, per un valore di oltre 250.000 euro.

Tre i gruppi familiari autonomi investigati, operativi nella città di Napoli, nelle zone di Porta Nolana, Piazza Mercato, via Sant’Antonio Abate, Quartiere Forcella e nell’area metropolitana, tra Cardito, Frattaminore, Casoria e Melito di Napoli.

Tali sodalizi, inseriti in un livello intermedio nella catena distributiva delle sigarette di contrabbando, disponendo di locali adibiti a magazzini clandestini intestati a diversi prestanome, hanno gestito il mercato illegale delle sigarette canalizzando le forniture ai minutanti di posti fissi (le cosiddette “bancarelle”) secondo i differenti flussi di domanda, dipendenti dalla qualità e dai prezzi praticati.

Nel corso delle indagini, svolte tra l’estate del 2015 ed il 2017, sono stati individuati e monitorati sia gli immobili destinati a deposito (box, garage, sottoscala, appartamenti) che gli automezzi utilizzati per le consegne delle forniture di t.l.e. ai clienti: generalmente auto di piccola cilindrata ma capaci di occultare fino a 3 casse di sigarette

Napoli, scoperte fabbriche del falso e della contraffazione

 

NAPOLI

Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli ha scoperto, nel corso di due distinti interventi, due vere e proprie “fabbriche del falso” e 6000 capi di abbigliamento contraffatti o privi di marchio.

Nel corso di un primo intervento, le Fiamme Gialle del Gruppo di Nola hanno sottoposto a sequestro 1 opificio clandestino e 2.000 capi di abbigliamento contraffatti.

In particolare, durante un controllo su strada a Cimitile, i finanzieri hanno fermato un 48enne che trasportava all’interno della sua autovettura diverse centinaia di articoli privi di documentazione amministrativo-fiscale di supporto.

Le successive perquisizioni condotte sia presso una società di articoli sportivi di Saviano che nei confronti di una ditta individuale di Ottaviano, hanno permesso di ricostruire la filiera di commercializzazione della merce, nonché di sequestrare un macchinario composto da 6 linee di produzione e 1 pen-drive utilizzati per la creazione dei capi abbigliamento contraffatto.

Denunciati all’Autorità Giudiziaria 3 responsabili, l’auto trasportatore, la rappresentante legale della società e il titolare della ditta individuale.

Nel corso di un secondo intervento, i “Baschi Verdi” del Gruppo Pronto Impiego di Napoli hanno notato nel quartiere Fuorigrotta del capoluogo trasferimenti sospetti di merci e fermato un soggetto che usciva da un edificio trasportando grandi buste di cellophane contenenti t – shirt prive di marchio.

La successiva ispezione dell’abitazione e di due locali nella sua disponibilità ha portato alla scoperta anche in questo caso di un opificio clandestino, attrezzato con termopresse per l’apposizione dei marchi e utilizzato come deposito di circa 4.000 capi, già confezionati e pronti per essere messi in vendita.

Denunciato il responsabile, un 35enne napoletano, per contraffazione e ricettazione.

Le operazioni rientrano nell’ambito della costante azione di contrasto della contraffazione da parte delle Fiamme Gialle partenopee a difesa non solo del Made in Italy e della sicurezza dei prodotti, ma anche degli imprenditori onesti e dei consumatori.

Perquisizione a Napoli di un capannone, arresto e sequestro di ingente quantitativo di marijuana

Sequestrati 1.675 Kg. di marijuana

NAPOLI

Mercoledì sera, a Cisterna di Latina (LT), la Squadra Mobile e il G.I.C.O. della Guardia di Finanza di Napoli hanno arrestato P.M., classe ‘73, pregiudicato, originario di Rosarno (RC) per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione congiunta di polizia giudiziaria si inserisce nell’ambito di una più ampia attività di indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli, condotta con il supporto del Servizio Centrale Operativo e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza e finalizzata al contrasto del traffico internazionale di stupefacenti.

Gli investigatori hanno individuato un capannone industriale, utilizzato anche per il carico e scarico di tir e autotreni, come possibile luogo di stoccaggio di ingenti quantità di stupefacente. Giunti presso il capannone e rintracciato il titolare dello stesso, i poliziotti e i finanzieri hanno proceduto alla perquisizione del sito e di un tir parcheggiato all’interno, riconducibile a una ditta di autotrasporti per la quale lavora lo stesso P.M.

La perquisizione si è conclusa col rinvenimento e sequestro di 1.675 Kg. di marijuana. La sostanza – in parte già lavorata e confezionata, in parte ancora allo stato grezzo – è stata trovata sia in numerosi sacchi di plastica nascosti dietro alcuni bancali di merce, sia all’interno del vano di carico del tir, già pronta per essere trasferita. Per una vicenda simile, P.M. fu già arrestato nel 2013, in Francia, allorquando, nel corso di un’altra attività investigativa, fu fermato a bordo di un tir al cui interno erano occultati 330 kg. di cocaina.

Confiscati a titolare chiosco-bar, 23 immobili, auto d’epoca e disponibilità finanziarie per un valore di circa 6 milioni di euro

 

LA FINANZA CONTROLLA LE SPROPORZIONI DEI REDDITI DI UNA PERSONA MAFIOSA, NEL CASO DI UN RAPINATORE CON CHIOSCO BAR

 

CATANIA

Nell’ambito di attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un provvedimento di confisca in materia antimafia, emesso dalla Corte di appello etnea, relativo al patrimonio di N.F.T., originario di Catania.

Le indagini, eseguite dal Nucleo PEF della Guardia di finanza di Catania, hanno riguardato tanto il profilo soggettivo quanto le disponibilità economico-finanziarie del proposto e, per il profilo patrimoniale anche quello della sua famiglia.

In particolare, le investigazioni hanno consentito di accertare: da un lato, la pericolosità sociale del proposto.

  • Al riguardo, come confermato dalle intercettazioni telefoniche, captate in altro procedimento penale, di soggetti affiliati al clan mafioso “C.”, è emerso che il citato N.F.T. fosse specializzato in rapine a danno di soggetti cinesi, che aveva pianificato ed eseguito anche fuori dalla Sicilia.
    Inoltre, il proposto è stato condannato, con sentenze passate in giudicato, per plurimi delitti contro il patrimonio e nei suoi confronti pende tutt’ora un procedimento penale per lesioni;
  • dall’altro, la sproporzione tra il profilo reddituale del nucleo familiare del citato N.F.T. e l’ingente complesso patrimoniale riconducibile al proposto e alla sua famiglia.
    Al riguardo, le indagini, svolte dalle unità specializzate del GICO del Nucleo PEF di Catania, hanno consentito di appurare che il proposto (che non risultava svolgere alcuna attività lavorativa) e il suo nucleo familiare, a fronte di redditi modesti, hanno effettuato rilevanti investimenti in particolare per l’acquisto e la ristrutturazione degli immobili sottoposti a confisca.

In esito alle investigazioni del Nucleo PEF di Catania, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catania, su richiesta della Procura della Repubblica, ha disposto in primo luogo il sequestro e poi la confisca dei seguenti beni: 23 unità immobiliari a Catania; 1 ditta individuale, adibita chiosco bar; 3 rapporti finanziari; 3 autoveicoli d’epoca, per un valore complessivo di 6 milioni di euro.

Il provvedimento è stato confermato dalla Corte di appello di Catania e dalla Corte di  Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal proposto.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di Finanza volte al contrasto sotto il profilo economico-finanziario, delle associazioni a delinquere di tipo mafioso, al fine di evitare i tentativi, sempre più pericolosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, e di partecipazione al capitale di imprese sane, anche profittando delle difficoltà legate al periodo di contrazione economica.

Palermo,” Operazione Vanish vat” – Reati tributari e bancarotta-Custodia cautelare per 5 soggetti

 

 

 

PALERMO

 Un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale del capoluogo nei confronti di 5 soggetti, è stata notificata- su delega della locale Procura della Repubblica, dai finanzieri del Comando Provinciale diPalermo:

  • 1 destinatario di custodia cautelare in carcere: G. F. (cl. 66); 4 sottoposti agli arresti domiciliari: S. F. P., (cl. 74), L. E. (cl. 69), T. G. (cl.71), A. G. (cl.70),

a vario titolo indagati per associazione a delinquere, emissione e utilizzo di fatture false, omesso versamento di ritenute, indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti e bancarotta fraudolenta.

Con il medesimo provvedimento il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo di somme di denaro per complessivi € 4.428.929 corrispondente all’ammontare dell’evasione di imposta accertata.

Le indagini condotte dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo – Primo Gruppo Tutela Entrate, attraverso verifiche fiscali, intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno permesso di disvelare un complesso meccanismo fraudolento articolato sulla creazione di una serie di società di comodo asservite a un gruppo imprenditoriale palermitano operante nel settore del trasporto merci.

Tali società, tutte riconducibili alla regia di G. F., operando in evasione d’imposta, negli anni dal 2013 al 2018 hanno prodotto un giro di fatture false per oltre 16 milioni di euro a vantaggio delle uniche due imprese realmente operative – la G. G. s.r.l. con sede a Palermo e la MG Logistica s.r.l. con sede a Ficarazzi (Pa) – beneficiarie della frode.

La finalità del meccanismo fraudolento era quella di abbattere illecitamente il reddito imponibile attraverso la contabilizzazione di costi fittizi, concentrando inoltre sulle società cartiere tutti gli obblighi contributivi, previdenziali e assistenziali gravanti sul datore di lavoro.

La gestione dei lavoratori era, infatti, caratterizzata da frenetici passaggi da una società all’altra, mascherati da dimissioni volontarie ma sostanzialmente imposti dagli indagati.

Lo schema illecito determinava il mancato assolvimento dei rilevanti obblighi fiscali in materia di I.V.A. e I.Re.S., ma anche l’omesso versamento dei contributi assistenziali e previdenziali spettanti ai lavoratori.

Inoltre, il sistematico inadempimento dei debiti impositivi cagionava il dissesto finanziario della G. G. s.r.l., una delle principali società coinvolte nel sistema di frode, dichiarata fallita dal Tribunale di Palermo in data 29.04.2021, che aveva accumulato un’esposizione verso l’Erario per oltre 22 milioni di euro.

L’operazione eseguita dalla Guardia di Finanza si inserisce nel quadro delle linee strategiche dell’azione del Corpo, volte a rafforzare l’azione di contrasto ai contesti di illegalità economico-finanziaria connotati da maggiore gravità, a tutela delle imprese che invece operano nel rispetto della legge e dei lavoratori, soprattutto nell’attuale fase di congiuntura economica negativa causata dall’emergenza pandemica.

A NAPOLI NEPPURE I MORTI HANNO PACE, ESTORSIONI A TAPPETO,500 NEGOZI ALL’ANNO, E INTERESSE DEI CLAN NELLA GESTIONE DEI SERVIZI ONORANZE FUNEBRI

 

Estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti e infiltrazioni nel settore delle onoranze funebri

NAPOLI,

Con l’azione diretta della Direzione distrettuale Antimafia, i finanzieri del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) e gli investigatori della Polizia di Stato di Napoli,  hanno dato esecuzione, tra le province di Napoli e Caserta, a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, nei confronti di 31 soggetti (22 in carcere e 9 agli arresti domiciliari), gravemente indiziati di appartenere o di aver favorito il clan “A.-P.”.

Associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, traffico di stupefacenti, aggravati dal c.d. “metodo mafioso”, questi i reati a vario titolo contestati agli indagati.

Il Clan A.-P., nato dalla scissione del Clan DI L., avrebbe ininterrottamente continuato ad avvalersi della propria forza di intimidazione commettendo una pluralità di reati (omicidi, estorsioni, spaccio di sostanze stupefacenti, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, riciclaggio), per mantenere il controllo del territorio nei Comuni di Melito, Mugnano e Arzano, del mercato all’ingrosso della cocaina nell’intera area nord di Napoli e delle estorsioni nei comuni di Melito, Mugnano, Casavatore e Arzano.

In tal senso, le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Napoli hanno consentito di ricostruire l’organigramma attuale del sodalizio criminale, il cui reggente sarebbe M. L. che, coadiuvato da storici esponenti di spicco come F. M. – individuato come probabile successore designato dello stesso L. – S. R. e R. T., è gravemente indiziato di gestire tutte le attività illecite del clan, con particolare riguardo al traffico e alla vendita dello stupefacente.

Grazie ad una organizzazione capillare, infatti, il clan sarebbe riuscito a gestire una complessa filiera di narcotraffico, soprattutto attraverso il controllo delle diverse piazze di spaccio operanti nei territori ricadenti sotto la sua egida criminale.

Le risultanze investigative restituirebbero una struttura criminale di tipo verticistico, all’interno della quale, come sembra confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, M. L. sarebbe stato l’unico a poter prendere decisioni in merito a tutti gli affari illeciti degli A.-P. e a delegare compiti di gestione e incarichi operativi ad affiliati di sua fiducia.

Le contestuali indagini svolte dagli specialisti del G.I.C.O. avrebbero portato alla luce l’esistenza di una forma di controllo pressoché totale del territorio melitese da parte del clan, grazie anche alla diretta partecipazione alle attività criminali del Presidente dell’A.I.C.A.S.T. (prima ASCOM) di Melito, associazione rappresentativa di plurime categorie commerciali/industriali/artigianali operanti nella città che, proprio in virtù di tale ruolo, era nelle condizioni di favorire il clan attraverso i rapporti con commercianti e imprenditori.

Infatti, proprio presso la sede dell’Associazione si sarebbero tenuti dei summit di Camorra finalizzati a stabilire le strategie criminali da adottare.

Gli indagati sarebbero coinvolti in una massiccia e capillare attività estorsiva, posta in essere “a tappeto” nei confronti di operatori commerciali melitesi, circa 500 negozi ogni anno, oltre che nel diretto interesse del clan nella gestione dei remunerativi servizi di onoranze funebri attraverso la selezione di specifiche ditte con le quali entrava in “quota” consentendo loro di operare, di fatto, in regime di monopolio.

Da segnalare una particolare forma di estorsione, che si aggiungeva rispetto a quella “classica” (posta in essere attraverso l’imposizione delle tre rate annuali, coincidenti con le festività di Natale, Pasqua e Ferragosto), camuffata dall’acquisto (in effetti obbligato) di cc.dd. “gadget natalizi”.

Dalle indagini sarebbe infatti emerso che nella proposta rivolta ai commercianti/vittime, questi potevano ricevere, a fronte della somma estorta, una fattura per “scaricare” il costo dell’illecita devoluzione e questo sarebbe servito, secondo gli indagati, a far accettare più facilmente l’imposizione.

La fattura sarebbe stata, infatti, emessa da una ditta compiacente che, una volta ottenuto il pagamento tramite bonifico, avrebbe provveduto a restituire la somma in contanti al clan, trattenendo per sé un importo corrispondente all’I.V.A.

Nel corso dell’inchiesta è anche emerso il coinvolgimento di due appartenenti alla Polizia Municipale di Melito di Napoli, che avrebbero contribuito ad ampliare il controllo economico del territorio da parte del sodalizio criminale.

Infatti, i due pubblici ufficiali avrebbero eseguito accessi presso attività commerciali o cantieri edili contestando delle irregolarità amministrative alle quali non seguiva alcuna verbalizzazione in quanto, previo compenso per ogni intervento portato a termine, i due suggerivano alle vittime la possibilità di rivolgersi ai rappresentanti del clan per evitare conseguenze pregiudizievoli, ampliando così il novero dei soggetti periodicamente estorti.

Sequestrata anche la sede della A.I.C.A.S.T. di Melito di Napoli, considerata il “quartier generale” di gran parte dei membri del clan e luogo di riunione, di concertazione di deliberazioni criminali e di incontro con le vittime designate delle estorsioni, nonché, tra Campania, Molise ed Emilia-Romagna,18 aziende, 5 delle quali operanti nel settore delle onoranze funebri, 12 tra fabbricati e terreni, 34 autoveicoli, denaro su oltre 300 rapporti finanziari, per un controvalore di circa 25 milioni di euro.

Dei soggetti destinatari di misura cautelare tre sono beneficiari di reddito di cittadinanza, mentre ulteriori cinque risultano inseriti in nuclei familiari percettori del beneficio e pertanto verranno segnalati all’INPS per l’adozione dei conseguenti provvedimenti.

Messina, evasione fiscale internazionale – Scoperto dalla Finanza un ” tesoro “nascosto in un Sham trust

 

Evasione fiscale internazionale - Scoperto un tesoretto nascosto in un Sham trust

 

 

Prosegue l’impegno della Finanza alla scoperta degli illeciti.I Finanzieri del Comando Provinciale di Messina hanno dato esecuzione a provvedimenti di perquisizione e sequestro emessi, rispettivamente, dalla Procura della Repubblica e dal Tribunale di Messina, relativamente ad una maxi frode fiscale, per un valore di oltre 7,5 milioni di euro, per la quale sono stati colpiti da misura ablativa conti correnti, rapporti bancari, quote societarie, nonché beni immobili, tra cui quelli in dotazione ad un trust di diritto maltese.

Un importante intervento contro l’evasione fiscale internazionale che costituisce, vieppiù nell’attuale periodo di auspicata ripresa dell’economia, un grave ostacolo allo sviluppo economico perché distorce la concorrenza e l’allocazione delle risorse, minando il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, penalizzando l’equità e sottraendo spazi d’intervento a favore delle fasce sociali più deboli.

Le attività sono il frutto di complesse investigazioni condotte dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Messina, sotto l’egida della Procura della Repubblica peloritana che – secondo ipotesi investigativa – hanno permesso di disvelare plurime evidenze relative ad un articolato meccanismo fraudolento, ideato e realizzato da un noto imprenditore messinese (A.G. cl. ’68), per il tramite di una società con sede in Messina (M.S. srl) operante nel settore delle pulizie di edifici, con il consapevole coinvolgimento di un fidato sodale e prestanome (S.R. cl. ’55), finalizzato a sottrarsi al pagamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto.

I due soggetti e la società risultano indagati per omessa ed infedele dichiarazione dei redditi, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, nonché in ordine ad ipotesi di falso in bilancio, autoriciclaggio e per non aver predisposto modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati tributari e riciclatori.

Si tratta di operazioni illecite strutturate nell’arco di quasi un decennio che, per la loro realizzazione, hanno coinvolto anche diverse altre società, tutte riconducibili al medesimo gruppo imprenditoriale, operanti nei più svariati settori commerciali (edile, delle pulizie, dei trasporti e della grande distribuzione), con lo scopo di ottenere illeciti guadagni derivanti dalla mancata dichiarazione e pagamento delle imposte.

Più in particolare, l’articolato stratagemma oggi represso è stato realizzato attraverso un solo formale e fittizio spostamento della sede della società investigata a Milano, di fatto invece domiciliata a Messina, nonché attraverso complessi artifizi contabili ad hoc predisposti, volti a dissimulare la relativa realtà economica, finanziaria e patrimoniale.

Nel dettaglio, la società in parola, dopo aver maturato un elevato debito tributario nei confronti dello Stato, derivante dalla sistematica evasione fiscale realizzata negli anni, veniva meticolosamente svuotata delle proprie consistenze finanziarie ed economiche, attraverso più azioni giustificate come operazioni infragruppo o cessioni di rami aziendali a favore di una new company, avente il medesimo oggetto sociale della società oggetto di depauperamento, il tutto al fine di impedire all’Amministrazione Finanziaria l’effettivo recupero delle somme evase.

Un vorticoso giro di trasferimenti finanziari tra plurime società costituenti l’importante gruppo imprenditoriale facente capo all’imprenditore messinese, smascherato solo mediante una puntuale e comparata analisi dei flussi bancari e della documentazione amministrativo-contabile della principale realtà societaria oggetto d’indagine, nonché valorizzando il patrimonio informativo disponibile al Corpo quale centrale presidio del sistema antiriciclaggio.

In tale contesto, con lo scopo di blindare il tesoretto sottratto alla tassazione fiscale accumulato nel corso degli anni, veniva costituito un trust di diritto maltese, nel quale confluiva il patrimonio illegittimamente accumulato.

Gli intenti fraudolenti ed elusivi, per i quali secondo ipotesi investigativa è stato costituito il trust, traspaiono, tra l’altro, come testualmente affermato dal G.I.P. nel provvedimento emesso, dalla “trasmigrazione fittizia all’estero dei beni (immobili e quote societarie) del G. […] si evince infatti che i beni rimangono sostanzialmente nella disponibilità del nucleo familiare […] era intendimento dell’imprenditore porre a riparo il proprio patrimonio dalle temute azioni giudiziarie, intendimento attuato piegando un istituto giuridico legale per finalità illecite.”

Seppur in una fase cautelare – che solo attraverso il contraddittorio tra le parti e le decisioni di Giudici ulteriori e diversi rispetto al G.I.P., si potrà trasformare in una decisione definitiva in ordine alle responsabilità sino ad ora ipotizzate – le fonti di prova assicurate al procedimento sono state considerate dal competente Giudice confermative del fumus della commissione dei gravi reati finanziari ipotizzati, così disponendo l’odierna misura cautelare reale fino alla concorrenza di complessivi euro 7.763.128,61.

Nel merito, quindi, sono stati sottoposti a sequestro i conti correnti e i rapporti bancari facenti capo sia alle persone fisiche (A.G. cl. ’68 e S.R. cl. ’55) sia alla persona giuridica investigata, nonché la maggioranza delle quote della società proprietaria di un noto centro commerciale del capoluogo peloritano e decine di prestigiosi immobili di una società di costruzione locale, il tutto conferito ad hoc, come “dotazione”, nel citato trust di diritto maltese.

L’operazione odierna rientra nell’ambito dell’intensificazione dei controlli e del monitoraggio della onesta libertà di impresa, nel cui ambito le aziende dovrebbero confrontarsi in un clima di assoluta e leale concorrenza.

 

OPERAZIONE BIS DELLA FINANZA- RINVIATI A GIUDIZIO 19 SOGGETTI “ECCELLENTI”, SEGNALATI DANNI ERARIALI PER OLTRE 4 MILIONI DI EURO

 

REGGIO CALABRIA

Ancora una volta la Guardia di Finanza salvaguarda la spesa pubblica.Conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio di 19 soggetti, tra cui il Commissario Straordinario, il Direttore Generale e il Direttore Amministrativo dell’A.S.P. di Reggio Calabria, nonché l’assessore regionale pro tempore, una delle attività d’indagine in corso a danno del Servizio Sanitario Calabrese.

Le attività di indagini, che hanno riguardato i doppi pagamenti erogati dalla citata Azienda Sanitaria Provinciale in favore di una clinica privata di Siderno, sono state condotte dai finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria – sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo Dott. Giovanni Bombardieri, coordinata dal Procuratore Aggiunto dott. Gerardo Dominijanni e dalle dottoresse Giulia Scavello e Marika Mastrapasqua.

L’azione repressiva è culminata con un provvedimento di sequestro preventivo di disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili per un valore complessivo di 4.020.225,75 euro, disposto dal Tribunale di Reggio Calabria, a seguito di articolate e complesse indagini condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, che hanno permesso di constatare una duplicazione di pagamenti, per oltre 4 milioni di euro, corrisposti dall’Azienda Sanitaria Provinciale reggina a favore di uno studio radiologico privato, operante nel settore dell’erogazione di prestazioni diagnostiche ai pazienti in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.

Le indagini si sono concentrate sul dettagliato esame di un accordo transattivo, concluso nel 2015 tra l’Ente Pubblico ed il privato fornitore, con il quale è stato disposto il pagamento, in favore di quest’ultimo, della somma di € 7.974.219,16 (tra capitale, interessi di mora e spese legali) a saldo di crediti pregressi, presuntivamente vantati come non ancora riscossi. I militari hanno, quindi, analizzato nel dettaglio ciascuna delle quasi cento fatture in questione, relative ad oltre dieci anni di prestazioni sanitarie, appurando che una notevole parte delle stesse, dichiarate non pagate dallo studio radiologico in questione e poste a fondamento di diversi decreti ingiuntivi divenuti esecutivi a seguito della mancata opposizione dell’ASP Reggina, erano state già liquidate per un ammontare complessivo di oltre 4 milioni di euro, compresi interessi.

Dopo gli interrogatori eseguiti nei confronti di coloro che ne hanno fatto richiesta, la Procura ha richiesto il rinvio a giudizio di 19 indagati. I reati contestati sono quelli di falso ideologico e truffa aggravata nei confronti del rappresentante legale e di altri individui riconducibili allo studio radiologico, dei funzionari dell’ASP e di altri 13 soggetti, ritenuti a vario titolo responsabili.

Tra le contestazioni a carico del rappresentante legale e del socio di fatto dello Studio radiologico, figura anche quella per l’ipotesi di reato di autoriciclaggio, per aver trasferito complessivamente € 1.393.094,12, provento del delitto di truffa, al fine di ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa. Contestato, inoltre, il reato di riciclaggio ai quattro soci dello studio radiologico, per aver percepito i dividendi frutto dei proventi della truffa.

La truffa ai danni del servizio sanitario ed il riciclaggio di denaro sono solo uno degli aspetti posti sotto la lente investigativa della Guardia di Finanza. Infatti, le Fiamme Gialle Reggine, grazie ad un approccio trasversale proprio del Corpo, hanno posto l’attenzione anche sugli aspetti economico-finanziari, riconducendo a tassazione i proventi illeciti percepiti dal legale rappresentante pro tempore dello studio radiologico. L’attività eseguita ha permesso di constatare una base imponibile sottratta a tassazione, ai fini delle imposte sui redditi ed ai fini I.R.A.P., pari ad € 2.300.746,82 ed un I.R.A.P. dovuta pari ad € 110.896,00.

Il cerchio investigativo si è concluso con un’ulteriore attività effettuata a favore della Procura Regionale della Corte dei Conti, alla quale, previo nulla osta dell’A.G. penale, è stato comunicato l’ingente danno erariale scaturito dalle condotte illecite perpetrate dai funzionari dell’ente sanitario, pari ad € 4.020.225,75.

 

GUARDIA DI FINANZA,PRESIDIO INSOSTITUIBILE, FESTEGGIA IL 246 ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE

 

 

 

 

Sequestrate tre navi traghetto per frode,truffa e contributi indebitamente percepiti

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MESSINA –

La Procura di Messina, dopo un’approfondita indagine, ha disposto il sequestro con l’ausilio dei  finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo e quelli di Messina, di 3 navi traghetto della Caronte & Tourist (la Pace, la Caronte e l’Ulisse), denaro, beni mobili  ed immobili e quote societarie, per oltre 3,5 milioni.     L’accusa è pesante , esprime i reati di truffa per il conseguimento di pubbliche erogazioni, falsità ideologica e frode nelle pubbliche forniture. Le navi sequestrate sono attualmente impiegate nei collegamenti La Maddalena/Palau, Trapani/Isole Egadi e Palermo/Ustica.

Il provvedimento giudiziario è stato notificato a  Sergio La Cava, 56 anni, consigliere e amministratore delegato della “Ngi Spa” (incorporata nel 2017 dalla Caronte & Tourist Isole Minori Spa) e legale rappresentante della “Maddalena Lines Srl” (società partecipata nel 70% dalla Ngi Spa ed armatrice della «Pace»), Luigi Genchi, 55 anni, consigliere e amministratore delegato della Ngi Spa, Edoardo Bonanno, 48 anni, amministratore delegato della Caronte & Tourist Isole Minori Spa e Vincenzo Franza, 55 anni, presidente della Caronte & Tourist Isole Minori Spa e già consigliere delegato della Ngi Spa. La società Caronte & Tourist Isole Minori Spa è stata segnalata per la responsabilità amministrativa derivante da reato.

L’inchiesta ruota attorno alla gara con cui la Navigazione Generale Italiana (Ngi Spa), società poi fusa per incorporazione nella Caronte & Tourist Isole Minori Spa nel 2017, si era aggiudicata nel 2015 il lotto II (Trapani-Isole Egadi) del bando disposto dall’assessorato Regionale delle Infrastrutture e della Mobilità per il servizio di collegamento marittimo per cinque anni tra la Sicilia e le isole minori. Il valore del lotto era di circa 15,9 milioni, con aggiudicazione, attraverso un significativo ribasso, a 5,3 milioni.

Per partecipare e aggiudicarsi la gara ciascuno dei concorrenti aveva individuato una nave-traghetto (la Ngi aveva designato la «Pace») da dedicare esclusivamente alla tratta oggetto del singolo lotto, dotata di caratteristiche strutturali che avrebbero consentito la navigazione in piena sicurezza anche alle persone a “mobilità ridotta”. Una formula in cui rientra chiunque abbia una particolare difficoltà nell’uso dei trasporti pubblici, compresi gli anziani, i disabili, le persone con disturbi sensoriali e quanti usano sedie a rotelle, le gestanti e chi accompagna bambini piccoli.

La nave «Pace», per l’accusa, presenta invece gravi carenze tecniche e strutturali che la rendono inidonea a trasportare in sicurezza persone a mobilità ridotta. Le difformità (rispetto a quanto previsto sia dalla normativa che dal bando), nascoste attraverso false attestazioni di conformità, accertate anche da organi tecnici nel corso delle attività ispettive, non sono mai state sanate e, conseguentemente, non avrebbero consentito la partecipazione né, soprattutto, l’aggiudicazione della gara alla Ngi Spa (ora Caronte & Tourist Isole Minori Spa).

Le indagini avrebbero inoltre consentito di riscontrare l’avvenuto ricorso a sostituzioni irregolari del traghetto designato per la tratta Trapani/Isole Egadi, non autorizzate preventivamente dalla stazione appaltante, ma, soprattutto, avvenute con ulteriori traghetti («Caronte» e «Ulisse») anche questi privi dei requisiti previsti per il trasporto delle persona a ridotta mobilità. Ulteriori ispezioni delle navi con l’intervento di ingegneri navali, nominati consulenti tecnici dalla Procura, hanno confermato l’ipotesi investigativa, – circa l’inidoneità di tutti e tre i traghetti e sul conseguente concreto rischio (in caso di naufragio, incendio ecc.) per l’incolumità delle persone a mobilità ridotta.

Ma c’è pure un’altra storia, non meno grave. Quello dei contributi indebitamente percepiti.La società di navigazione Caronteamp; Tourist avrebbe  percepito indebitamente contribuzioni pubbliche nel periodo 2016-2019 per oltre 3,5 milioni.

La normativa nazionale e il diritto dell’Unione Europea in tema di aiuti di Stato, per rendere economicamente conveniente il servizio di collegamento di linea, prevede contributi a beneficio degli aggiudicatari del servizio, in base a una stima del costo di gestione della tratta, al netto dei ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti. I mezzi navali sequestrati sono stati affidati ad amministratori giudiziari nominati dal Gip, mentre la società armatrice è stata designata dal magistrato, custode.