Guardia di Finanza di Catania,Contrasto ad un sofisticato sistema di somministrazione fraudolenta di manodopera, frode fiscale su scala nazionale e riciclaggio

 

Catania – Eseguite misure cautelari personali nei confronti di 16 soggetti

 

Il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre € 61 mln, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa € 25 mln.

 

 

primo primo di pistola nera in mano. - mafia foto e immagini stock

 

 

Catania,

Nell’ambito di complesse attività d’indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno dato esecuzione, con il supporto dello SCICO, dei Comandi Provinciali di Milano, Brescia, Roma, Pesaro, Ragusa, Siracusa ed Enna nonché del I Gruppo Catania e delle unità Cinofile

(AT-PI) etnee, a due ordinanze con cui il GIP presso il locale Tribunale ha applicato misure cautelari personali e patrimoniali nei confronti di 16 soggetti, a vario titolo indagati, unitamente ad altre 17 persone, per associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante utilizzo di FOI, omesso versamento di ritenute previdenziali e di IVA, autoriciclaggio e riciclaggio di denaro illecito.

Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania, avrebbero fatto emergere un raffinato e sofisticato sistema di frode fiscale su scala nazionale, con regia unica su Catania, realizzato abusando dei vantaggi normativi in tema di “distacco di personale” previsti per i contratti di “rete tra imprese”.

Il diffuso sistema di frode sarebbe stato alimentato dalla creazione di ben 14 reti di impresa, di cui avrebbero fatto parte 37 società con funzione di “distaccanti”, operanti in molteplici località del territorio nazionale, e 439 imprese “distaccatarie” dislocate in tutto il Paese (Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), utilizzatrici di personale in posizione di distacco.

Nell’ambito di tali reti, caratterizzate da una regia unitaria in Catania, le società capofila:

  • avrebbero agito da meri “serbatoi di manodopera” e sarebbero state organizzate secondo le esigenze gestionali del “sistema”, il cui core business si sarebbe limitato esclusivamente a consentire il distacco dei lavoratori a scopo di lucro nei confronti di 439 società retiste o distaccatarie;
  • dopo avere accumulato un debito tributario e contributivo significativo, sarebbero state sistematicamente poste in liquidazione e sostituite da altre società che avrebbero assorbito i medesimi lavoratori, posti nuovamente in distacco a favore della stessa impresa beneficiaria.

Un ruolo centrale nella realizzazione delle condotte delittuose sarebbe stato svolto da un soggetto di origini agrigentine ma residente a Catania, che si sarebbe avvalso di due studi di consulenza operanti nella città etnea, uno legale e uno amministrativo. Nel dettaglio, l’associazione a delinquere vedrebbe il principale indagato nella veste di capo e promotore, l’avvocato dello studio legale quale promotore ed organizzatore e ulteriori 14 soggetti, in qualità di membri, con ruoli gestori dei profili operativi e amministrativi delle reti di imprese.

Sotto la direzione del promotore del sodalizio e dei suoi collaboratori, le società caporetiste o fondatrici delle diverse reti di imprese succedutesi nel tempo avrebbero emesso FOI caricandosi di importanti debiti IVA, destinati a non essere onorati, consentendo a centinaia di società utilizzatrici della manodopera di ottenere un duplice vantaggio:

  • incrementare la flessibilità aziendale, essendosi spogliate della gestione formale dei propri lavoratori dipendenti;
  • ridurre i costi del lavoro subordinato, potendo contare su un onere per il servizio di erogazione di personale in distacco più economico rispetto a quello da sostenere con assunzioni in proprio, tenuto conto anche della possibilità di portare in detrazione l’iva applicata alle fatture emesse dalle società distaccanti;

Per gli organizzatori del sistema di frode, i guadagni illeciti sarebbero derivati dalla presentazione di dichiarazioni dei redditi infedeli e fraudolente per le società coinvolte nella frode e dalla sistematica omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali dei lavoratori e dell’IVA incassata sulle FOI emesse. I “numeri” del sistema fraudolento darebbero contezza della vastità del fenomeno, atteso che, in soli 5 anni, il fatturato delle società gestite dal principale indagato avrebbe raggiunto oltre € 61 mln, a fronte del quale sarebbe stato calcolato il mancato versamento di imposte e contributi dovuti per circa € 25 mln.

Gli ingenti proventi di natura illecita sarebbero stati in parte reimpiegati verso specifiche società in parte dirottati a favore del promotore del sodalizio e di altri indagati, anche attraverso una vorticosa movimentazione di denaro contante, utilizzato per assicurarsi un tenore di vita molto elevato e per l’acquisto, in diverse occasioni, di beni rifugio o di lusso per € 270 mila.

Per il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbero inoltre emerse due peculiari figure romane prive di capacità reddituale, le quali avrebbero consegnato in plurime occasioni contanti di rilevante importo, ritenuti di provenienza illecita, al principale indagato per poi emettere, nella veste di amministratori di fatto di 3 società romane, fatture nei confronti delle imprese facenti capo di fatto allo stesso promotore.

Quest’ultimo, poi, avrebbe effettuato bonifici alle predette aziende romane a saldo delle fatture per un importo complessivo di € 8,7 mln, consentendo ai soggetti capitolini di rientrare in possesso del denaro consegnato.

Sulla scorta delle evidenze acquisite dal Nucleo PEF di Catania, il GIP etneo ha ritenuto sussistente in capo agli indagati un grave quadro indiziario in ordine ai reati contestati disponendo la custodia cautelare in carcere nei confronti di 5 soggetti, gli arresti domiciliari per 7 indagati e l’obbligo di presentazione alla p.g. per ulteriori 4 persone nonché il sequestro delle quote di 37 società, di disponibilità finanziarie, di beni mobili ed immobili riconducibili ai destinatari della misura per un valore totale di circa € 29 mln.

Le misure cautelari sono state emesse nell’ambito delle indagini preliminari, basate sulle attuali risultanze probatorie. Pertanto, in attesa del giudizio definitivo, vale la presunzione di innocenza degli indagati.

L’attività si inserisce nel quadro delle azioni svolte dalla Guardia di finanza e dalla Procura della Repubblica di Catania a tutela della finanza pubblica, con complesse indagini volte, da un lato, a contrastare le più insidiose forme di frode fiscale e riciclaggio che ledono gli interessi finanziari della collettività e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

 

 

 

 

Catania, il GIP indaga 28 persone, sequestra attività commerciali, beni e disponibilità finanziarie per un valore di circa 86 milioni di euro

 

La giustizia - bilancia non è l'unico modello possibile: «Il bene non si  costruisce con altro male» - Santalessandro

Archivi-Sud Libertà- (la spada della Giustizia)

Catania

Nell’ambito di articolate attività di indagine coordinate dalla Procura della Repubblica etnea, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata (SCICO) e con l’ausilio dei Comandi Provinciali di Milano, Monza, Napoli, Roma, Varese e Verona, un’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale etneo ha disposto l’applicazione di misure coercitive personali nei confronti di 3 persone, indagate, a vario titolo e in concorso con ulteriori 28 soggetti, dei reati di bancarotta fraudolenta e documentale, omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e reimpiego di denaro illecito.

Il Giudice ha disposto, inoltre, il sequestro, nei confronti di tutti gli indagati, delle quote sociali di 25 imprese nonché di beni e altre utilità nella disponibilità di ciascuno di essi per un ammontare complessivo pari a 86 milioni di euro.

Nel dettaglio, l’indagine trae origine dallo sviluppo di talune evidenze emerse nel corso dell’operazione “FOLLOW THE MONEY”, che pone in luce l’attività di  alcuni degli attuali destinatari di misura, tra cui due imprenditori ritenuti nel precedente contesto investigativo contigui al clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”.

Il procedimento penale scaturito dalla citata operazione è stato definito con la condanna in primo grado di 8 imputati che avevano optato per il rito abbreviato ed il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa dei citati imprenditori, già tratti in arresto nel 2021.

Questi ultimi, alla luce delle evidenze emerse in quell’indagine, avrebbero sistematicamente favorito il clan “Scalisi” di Adrano (CT), articolazione locale della famiglia mafiosa “Laudani”, e il suo esponente di spicco, fornendo, mediante l’alimentazione della cassa e il mantenimento del gruppo e dei suoi sodali, un contributo, stabile e protratto nel tempo, alla realizzazione delle finalità dell’organizzazione mafiosa, al consolidamento del potere economico e all’occultamento e all’incremento del patrimonio del sodalizio, in cambio del quale avrebbero ricevuto protezione e agevolazione nell’espansione delle proprie attività imprenditoriali.

In particolare, a conclusione della citata operazione “FOLLOW THE MONEY”, unità specializzate del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania e dello SCICO della Guardia di Finanza hanno effettuato perquisizioni locali in esecuzione delle misure cautelari disposte dal Tribunale di Catania nel 2021 nei confronti di 5 indagati, rivenendo documenti societari riferibili non soltanto alle aziende già monitorate in quella fase d’indagine, ma anche a ulteriori società e attività imprenditoriali, apparentemente intestate a soggetti terzi, ma di fatto ritenute riconducibili ai due imprenditori.

Nel nuovo filone investigativo, su delega della Procura della Repubblica di Catania, sono stati approfonditi i rapporti commerciali e i flussi finanziari all’interno della rete di 25 imprese facenti capo a tali imprenditori e, al contempo, ricostruite le cause che hanno portato al gravissimo dissesto economico di una delle principali società gestite dai medesimi, avente sede a Catania. Tale impresa, attiva nella commercializzazione di carburante e formalmente amministrata da un soggetto di comodo, è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Catania con sentenza del 15 ottobre 2021, a seguito di istanza di fallimento presentata dalla locale Procura.

I mirati approfondimenti svolti dal Nucleo PEF di Catania della Guardia di Finanza sulla società fallita hanno messo in luce – nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti – che lo stato di decozione societario sarebbe stato determinato da due principali fattori:

  • le molteplici e ripetute violazioni alle norme tributarie legate all’omesso versamento dell’IVA per oltre 9,7 milioni di euro solo nel 2019 e stimate nel complesso (per gli anni 2019-2020) in 50 milioni di euro;
  • le condotte di carattere distrattivo operate dai reali dominus, ovverosia i predetti due imprenditori, che, con il concorso di soggetti prestanome a capo di 6 diverse società, tutte riconducibili ai predetti, avrebbero operato ingiustificati prelievi in contante e bonifici in favore di tali compagini societarie, così drenando liquidità per non meno di 27,7 milioni di euro in un arco temporale di poco più di 3 anni (metà 2018 – inizi 2021).

Le distrazioni delle risorse della fallita sarebbero avvenute in un primo momento a favore di 6 società (con sede a Catania, Enna e Milano, operanti nel settore della commercializzazione di carburanti, nella logistica e trasporti e nella compravendita di autoveicoli) e di una persona fisica – rappresentante legale di ulteriori 2 imprese (con sede a Catania e in Bulgaria, attive nel settore della logistica e dei trasporti).

Sono state inoltre individuate e ricostruite molteplici operazioni di trasferimento di fondi “infragruppo”, potendo gli imprenditori contare sul “controllo di fatto” di un numero consistente di aziende, in totale 25, dislocate in diverse province del territorio nazionale (Catania, Milano, Napoli, Roma, Varese e Verona). Tali operazioni avrebbero consentito di riciclare e reimpiegare nel circuito economico legale somme di denaro stimate in circa 48 milioni di euro, rendendo difficoltosa l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

In un caso, ad esempio, le somme trasferite dalla fallita ad un’altra società della “rete”, pari a 6 milioni di euro, sono state successivamente frazionate e trasferite, senza una reale ragione economica, ad altre 11 imprese rientranti sempre nel reticolo societario controllato dai due principali indagati.

In un altro caso, invece, la fallita ha trasferito circa 9,5 milioni di euro ad una società la quale, analogamente a quanto avvenuto nell’esempio precedente, ha a sua volta frazionato e dirottato tali somme su altre 10 aziende del “gruppo”, una delle quali ha poi impiegato parte della liquidità per l’acquisto di beni di lusso del valore di 240.000 euro.

L’anello di congiunzione tra i due imprenditori e la rete dei prestanome a capo delle 25 società e ditte coinvolte sarebbe stato il soggetto posto agli arresti domiciliari, il quale avrebbe rappresentato per i formali rappresentanti legali il referente da cui ricevere indicazioni e a cui rivolgersi in caso di necessità.

Le complesse attività investigative sviluppate dal Nucleo PEF etneo della Guardia di finanza, anche mediante l’acquisizione e l’analisi di copiosa documentazione bancaria, contabile e contrattuale, hanno permesso di sottoporre al vaglio dell’Autorità Giudiziaria etnea plurimi elementi indiziari in merito a condotte di omesso versamento dell’IVA, bancarotta, trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio.

Alla luce del complesso delle evidenze investigative raccolte, il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale – su richiesta della Procura della Repubblica catanese – ha pertanto disposto:

  • la custodia cautelare in carcere nei confronti dei due imprenditori e gli arresti domiciliari a carico del referente per la rete di prestanome;
  • il sequestro delle quote sociali di 25 attività commerciali (13 società e 12 ditte individuali), site nelle province di Catania (n. 5), Enna (n. 1), Mantova (n. 1), Napoli (n. 1), Milano (n. 13), Roma (n. 3), Verona (n. 1), operanti nel settore della logistica e dei trasporti, delle ricerche di mercato, della commercializzazione di prodotti petroliferi e metalliferi nonché della compravendita di autoveicoli;
  • il sequestro di beni e altre utilità nella disponibilità degli indagati e comunque agli stessi riconducibili fino a concorrenza del valore complessivo di 86 milioni di euro.

L’attività dei Finanzieri di Catania si inquadra nel più ampio quadro delle azioni svolte dalla Procura della Repubblica di Catania e dalla Guardia di finanza volte a contrastare sotto il profilo economico-finanziario ogni forma di manifestazione criminale e ad evitare i tentativi, sempre più insidiosi, di inquinamento del tessuto imprenditoriale, mediante partecipazione al capitale di imprese sane, e di distorsione della concorrenza.