Le indecenze in Italia non finiscono mai: ecco i nomi di “manager” che superano il tetto del milione di euro

Le indecenze in Italia sembrano non finire mai. Abbiamo riferito dei compensi vergognosi degli uomini dello spettacolo, dello sport, della politica dove è più rivolta l’attenzione, adesso si aggiunge un’altra ” perla ” alla torta italiana

Parliamo dei  manager che lavorano in enti pubblici o in alcune aziende partecipate dallo Stato. I loro 740, custoditi dalla Presidenza del Consiglio, rivelano redditi record,. Si tratta dei redditi 2018, ‘anno d’imposta 2017’, da cui emerge che sono ben sette i manager milionari, quelli cioè che superano il tetto del milione di euro.

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In vetta alla classifica c’è Stefano Ambrosini, presidente Finpiemonte, con 3 milioni 991mila 686 euro, seguito da Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale dell’Enel, che dichiara al fisco 3 milioni 373mila 719 euro, e da Claudio Tesauro, presidente dell’agenzia pubblica Invitalia, che dichiara 2 milioni 721mila 922 euro. Al quarto posto Marco Arato, ex presidente dell’Aeroporto di Genova, a quota 1 milione 841mila 190 euro, mentre in quinta posizione troviamo Giovanni Malagò, presidente del Coni, con 1 milione 52mila 855 euro. Chiudono la top seven dei milionari Giovanni De Gennaro, ex capo della polizia e attuale presidente di Leonardo, che dichiara 1 milione 20mila 476 euro, e Gioia Maria Ghezzi, ex presidente di Ferrovie dello Stato, con 1 milione 20mila e 370 euro.

Sotto la soglia del milione di euro ma sopra quella degli 800mila Maria Patrizia Grieco (presidente dell’Enel), l’ex sottosegretario Massimo Tononi, ora presidente della Cassa Depositi e Prestiti, e Giovanni Giol, presidente del Conservatorio di Venezia. Tra i più noti, al 12esimo posto troviamo Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, con 743mila 952 euro, e al 17esimo Giuseppe Vegas, ex presidente Consob, con 569mila 474 euro.

Per legge tutti questi manager di altissimo grado devono depositare la loro dichiarazione dei redditi presso la Presidenza del Consiglio proprio perché hanno lavorato (o tuttora lavorano) in enti pubblici, in aziende partecipate dallo Stato per oltre il 20 per cento, in enti anche privati la cui gestione è sostenuta dallo Stato per oltre il 50 per cento. Le cariche che entrano nel radar della Presidenza del Consiglio sono scritte nella legge 441 del 1982 e i criteri lasciano comunque fuori aziende importanti.  E’ un’altra problematica che rientra nello spreco tipicamente italiano. Che vergogna!

Comunicazione Ag.