Bonus Sicilia: pioggia di soldi regionali ma assenza di criteri corretti e pochi che hanno capito qualcosa

 

 

«BONUS SICILIA: 2000 EURO, MANCETTA STANDARDIZZATA PER LE PMI SICILIANE E MIGLIAIA DI PARTITE IVA ABBANDONATE»

 

Impresa di costruzioni Generali in Sicilia - Intea S.r.l

 

Daniele Virgillito: «Disponibili a sostenere la Regione per elaborare proposte fondate sul “merito” che possano accelerare la ripartenza»

 

«Bonus Sicilia: dopo l’annuncio in pompa magna, l’attesa estenuante del ristoro economico per tantissime Pmi, la débâcle tecnologica, il flop del click day e la riapertura delle domande, arriva il ricalcolo dei contributi. Duemila euro per 60mila istanze: una cifra, quella erogata dalla Regione per dare un sostegno agli imprenditori siciliani, che risuona come una beffa in un momento in cui c’è davvero poco da ridere». È questo il commento del rappresentante di ConfProfessioni Sicilia Daniele Virgillito, all’indomani dell’annuncio della “cura dimagrante” della misura inserita nel “Piano Covid” dell’Isola.

«Eppure il Governo siciliano era stato da più parti ammonito – sottolinea Virgillito, a nome della Confederazione Italiana Libere Professioni – sull’inopportunità di procedere con il click day, ma è comunque andato avanti svelando i limiti di un sistema che, oltre a non premiare il merito, si è affidato a una ristretta finestra digitale che ha creato un’inaccettabile coda informatica. Il 5 ottobre, infatti, il sito della Regione è andato in tilt costringendo l’assessorato alle Attività Produttive a rinviare l’appuntamento per raccogliere le istanze. Dopo lo stop non è seguita una rapida ripartenza: due giorni dopo la Regione ha annullato il click day promettendo, attraverso le parole dell’assessore al ramo Mimmo Turano, che non ci sarebbe stata una “riapertura” del bando e che sarebbero state “costruite misure correttive per ogni singolo scaglione”».

Secondo Confprofessioni Sicilia, sarebbe stato opportuno “cristallizzare” le domande ricevute e assicurare “proporzionalità” rispetto all’erogazione degli indennizzi, «ma nessuno di questi ragionevoli impegni è stato mantenuto – continua Virgillito – ogni singolo beneficiario, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa, dal volume d’affari, dalle perdite subite, dalla filiera di appartenenza riceverà, ahinoi, una mancetta “standardizzata” da una mera frazione aritmetica. Una goccia sprecata per l’assenza di criteri metodologicamente e operativamente corretti che avrebbero dovuto essere pensati, sin dall’inizio, non per premiare il dito più veloce ma per ristorare “proporzionalmente” le imprese maggiormente colpite dalla pandemia. E invece, in questa pioggia di bonus, ai liberi professionisti viene ancora negata la possibilità di partecipare al “Bonus Sicilia”: migliaia di Partite Iva, figlie di un Dio minore, restano abbandonate. Incoraggiamo quindi il Governo siciliano a effettuare un cambio di paradigma che orienti le agevolazioni sui cluster di imprese e professionisti che hanno subìto maggiori e concreti danni dal Covid19 e che avranno presumibilmente tempi di rigenerazione del cash flow più lunghi».

 

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Nella foto  Daniele Virgillito

Le indecenze in Italia non finiscono mai: ecco i nomi di “manager” che superano il tetto del milione di euro

Le indecenze in Italia sembrano non finire mai. Abbiamo riferito dei compensi vergognosi degli uomini dello spettacolo, dello sport, della politica dove è più rivolta l’attenzione, adesso si aggiunge un’altra ” perla ” alla torta italiana

Parliamo dei  manager che lavorano in enti pubblici o in alcune aziende partecipate dallo Stato. I loro 740, custoditi dalla Presidenza del Consiglio, rivelano redditi record,. Si tratta dei redditi 2018, ‘anno d’imposta 2017’, da cui emerge che sono ben sette i manager milionari, quelli cioè che superano il tetto del milione di euro.

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In vetta alla classifica c’è Stefano Ambrosini, presidente Finpiemonte, con 3 milioni 991mila 686 euro, seguito da Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale dell’Enel, che dichiara al fisco 3 milioni 373mila 719 euro, e da Claudio Tesauro, presidente dell’agenzia pubblica Invitalia, che dichiara 2 milioni 721mila 922 euro. Al quarto posto Marco Arato, ex presidente dell’Aeroporto di Genova, a quota 1 milione 841mila 190 euro, mentre in quinta posizione troviamo Giovanni Malagò, presidente del Coni, con 1 milione 52mila 855 euro. Chiudono la top seven dei milionari Giovanni De Gennaro, ex capo della polizia e attuale presidente di Leonardo, che dichiara 1 milione 20mila 476 euro, e Gioia Maria Ghezzi, ex presidente di Ferrovie dello Stato, con 1 milione 20mila e 370 euro.

Sotto la soglia del milione di euro ma sopra quella degli 800mila Maria Patrizia Grieco (presidente dell’Enel), l’ex sottosegretario Massimo Tononi, ora presidente della Cassa Depositi e Prestiti, e Giovanni Giol, presidente del Conservatorio di Venezia. Tra i più noti, al 12esimo posto troviamo Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, con 743mila 952 euro, e al 17esimo Giuseppe Vegas, ex presidente Consob, con 569mila 474 euro.

Per legge tutti questi manager di altissimo grado devono depositare la loro dichiarazione dei redditi presso la Presidenza del Consiglio proprio perché hanno lavorato (o tuttora lavorano) in enti pubblici, in aziende partecipate dallo Stato per oltre il 20 per cento, in enti anche privati la cui gestione è sostenuta dallo Stato per oltre il 50 per cento. Le cariche che entrano nel radar della Presidenza del Consiglio sono scritte nella legge 441 del 1982 e i criteri lasciano comunque fuori aziende importanti.  E’ un’altra problematica che rientra nello spreco tipicamente italiano. Che vergogna!

Comunicazione Ag.