Il clan dei Nebrodi è in ginocchio. Oggi, 6 febbraio, nell’ambito di una vasta operazione contro l’associazione mafiosa di Tortorici (Messina), operativa nell’area dei Nebrodi, 37 persone sono state arrestate con l’accusa, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione dedita alla coltivazione, acquisto, detenzione, cessione e al commercio al minuto di sostanza stupefacente di vario tipo, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in concorso, riciclaggio e autoriciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, malversazioni di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e tentata violenza privata.
Le indagini e gli elementi raccolti dagli investigatori hanno posto in luce ancora una volta l’operatività della famiglia mafiosa tortoriciana nelle sue articolazioni dei Bontempo Scavo e dei Batanesi e il forte interesse dell’organizzazione al percepimento fraudolento di ingenti contributi erogati dalla Comunità Europea attraverso la commissione di un elevatissimo numero di truffe.
Una inchiesta della Guardia di Finanza di Enna si conclude con tredici arresti. Reati: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Tra i fermati anche un avvocato catanese.
Tredici ordinanze di custodia cautelari sono state emesse e notificate-dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello, nell’ambito dell’operazione “Carta bianca” nel territorio di Centuripe, Regalbuto, Troina, Adrano, Catania e Randazzo. Sequestrate somme di denaro, società e aziende per oltre 3 milioni di euro. I reati contestati sono vari: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti. Tra i soggetti destinatari della custodia cautelare anche un avvocato del Foro di Catania e l’ex direttore dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Troina. Altri sei sono stati invece sottoposti alla misura degli arresti domiciliari.
«Le indagini della Guardia di Finanza di Nicosia e della DDA di Caltanissetta, con a capo il Procuratore Salvatore De Luca e coordinate dai Sostituti Pasquale Pacifico e Dario Bonanno, hanno consentito di acclarare come il metodo fosse sempre quello da tempo denunciato da Antoci, cioè le sistematiche infiltrazioni nel settore dei contributi europei per l’agricoltura».
«Questa volta a cadere sotto la scure del ”Protocollo Antoci” e della Giustizia è una famiglia criminale che utilizzava prestanomi visto che i suoi componenti erano impossibilitati a conseguire i contributi comunitari in quanto destinataria di interdittiva antimafia ai sensi del Protocollo Antoci oggi legge dello Stato. Inoltre, per poi rientrare dalle somme erogate ai prestanomi, effettuavano emissione di fatture false per operazioni inesistenti».
Gli indagati avevano messo le mani anche sui pascoli demaniali sempre utilizzando tutta una serie di imprese a loro collegate tentando di aggirare fraudolentemente le regole previste dal cosiddetto “Protocollo Antoci” e del conseguente “nuovo codice antimafia” che lo ha in toto recepito nel 2017. Circa 1200 ettari di pascoli demaniali, hanno permesso agli indagati di percepire illecitamente elevati contributi comunitari.
Dall’attività di indagine, inoltre, «è emerso che gli indagati risultano anche legati da rapporti di parentela o affinità con soggetti già condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso in quanto esponenti di rilievo di famiglie di cosa nostra operanti nel territorio».
«Come ormai noto, bastava mantenersi sotto la soglia dei 150 mila euro, oltre la quale risultava obbligatorio per la pubblica amministrazione richiedere l’informativa antimafia, per eludere e autocertificare falsamente di avere i requisiti previsti dalla norma – –
Gli inquirenti ricordano che negli anni hanno usufruito di tali erogazioni personaggi come Gaetano Riina fratello di Totò, le famiglie Santa Paola Ercolano e tantissimi altri capi mafia non solo siciliani. È così che in questi lunghi anni sono state assicurate alle consorterie criminali milioni e milioni di euro a discapito dei poveri agricoltori onesti per anni vessati dai mafiosi».
Per contrastare tutto ciò Giuseppe Antoci creò nel 2015, insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta, un protocollo di legalità stipulato il 18.03.2015 tra la Prefettura di Messina e l’Ente Parco dei Nebrodi (appunto il cosiddetto “Protocollo Antocì’), ormai divenuto legge dello Stato e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. Con il Protocollo è stato stabilito un nuovo e più stringente obbligo e cioè l’abbassamento della soglia da 150 mila euro a zero. Una vera svolta nella legislazione antimafia, una norma considerata epocale da tanti giuristi per l’attacco ai patrimoni dei mafiosi, una norma che, come ha dichiarato anche il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, è ormai “un paradigma nella lotta alla mafia, quale modello cooperativo per prevenire infiltrazioni nel tessuto economico sano”.
I “Protocollo Antoci” dopo la interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Catania e dopo aver subito la revoca dei contratti e la conseguente perdita delle erogazioni, cercava nuovi prestanomi. Ma il trucco era già conoscenza delle Procure.
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