Due sentenze contrastanti, adesso un’altra della Corte d’appello di Catania assolve l’ex presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, per concorso esterno all’associazione e corruzione elettorale.
Si apprende c he da diversi anni Raffaele Lombardo sta sulla graticola in attesa di essere “liberato” dal comune dire che lui e la classe dirigenziale che ha fatto passi avanti con il suo nome , sono una cosa comune “mafiosa”.
Anche un annullamento con rinvio della Cassazione che verte su indagini dei carabinieri del Ros di Catania su rapporti tra politica, imprenditori, “colletti bianchi” e Cosa nostra. Per la Procura Lombardo avrebbe favorito clan e ricevuto voti alle regionali del 2008, quando fu eletto governatore. Accuse che lui ha sempre respinto.
La Corte ha assolto Lombardo dall’accusa di concorso esterno perché il fatto non sussiste e da quella di reato elettorale aggravato dall’avere favorito la mafia per non avere commesso il fatto.
Sotto i riflettori i presunti contatti di Raffaele Lombardo con esponenti dei clan etnei … Ricorderemo che l’ex presidente aveva sostenuto a difesa di avere «sempre combattuto Cosa nostra».
I suoi legali , gli avvocati Maria Licata e il professore Vincenzo Maiello, hanno chiesto l’assoluzione del loro assistito «perché il fatto non sussiste». Il procedimento ha anche trattato presunti favori elettorali del clan a Raffaele Lombardo nelle regionali del 2008, in cui fu eletto governatore, e a suo fratello Angelo, per cui si procede separatamente, per le politiche del medesimo anno.
La Seconda sezione penale della Cassazione, tre anni fa, ha annullato con rinvio la sentenza emessa il 31 marzo 2017 dalla Corte d’appello di Catania che aveva assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa l’ex governatore e lo aveva condannato a due anni (pena sospesa) per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza intimidazione e violenza.
Una sentenza, quella di secondo grado, che aveva riformato quella emessa il 19 febbraio 2014, col rito abbreviato, dal Gup Marina Rizza che lo aveva condannato a sei anni e otto mesi per concorso esterno all’associazione mafiosa ritenendolo, tra l’altro, «arbitro» e «moderatore» dei rapporti tra mafia, politica e imprenditoria.
Nelle motivazioni la Corte d’appello di Catania, nel riformare la sentenza di primo grado, aveva rilevato che «il summit tra i vertici mafiosi e Raffaele Lombardo nel giugno del 2003 a casa dell’ex presidente della Regione, uno dei pilastri dell’accusa, «è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio». Erano stati invece dimostrati, secondo i giudici di secondo grado, «i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore».
La Corte d’appello gli aveva contestato la corruzione elettorale con l’aggravante di avere favorito la mafia, che non usa violenza né intimidisce, ma compra i voti con soldi, buoni spesa e favori. Una decisione non condivisa dalla Cassazione che «in accoglimento del ricorso della Procura generale di Catania» aveva poi annullato «la sentenza con rinvio ad altra sezione» della Corte d’appello di Catania, davanti alla quale si è celebrato il nuovo processo.