Arte presepiale Napoli, siglato patto di amicizia con Greccio per promuovere relazioni culturali ed economiche

 

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Napoli,

Le Amministrazioni di Napoli e Greccio (provincia di Rieti nel Lazio) hanno avviato un percorso- si apprende –  volto a condividere e a promuovere attività ed iniziative legate al Presepe e all’arte presepiale.

A Greccio è avvenuta la firma di un Patto di amicizia che costituisce atto formale che prefigura una particolare continuità di rapporti preparatori al gemellaggio per sviluppare relazioni sempre più strette in campo economico, turistico e culturale.

Per il comune di Greccio erano presenti il sindaco Emiliano Fabi, il vicesindaco e assessore al turismo e ai grandi eventi Fiorenzo Marchetti e il consigliere con delega alla cultura Alessio Valloni. Per la città di Napoli era presente il dirigente del Servizio promozione della Città, progetti internazionali, Unesco, afferente al Gabinetto del sindaco Gaetano Manfredi, Valeria de Lisa.

L’obiettivo dell’intesa è quello di produrre nel breve e nel lungo periodo, una serie di effetti positivi dal punto di vista culturale, turistico ed economico, oltre che un arricchimento in termini di scambi di esperienze e di rapporti umani – ha sottolineato Fabi – Lo faremo attraverso l’arte presepiale su cui Greccio sta lavorando da tempo attraverso la Mostra mercato dell’artigiano e dell’oggettistica per il Presepe e il Museo internazionale, che speriamo possa crescere ulteriormente grazie alla città di Napoli che ha fatto della Rappresentazione della Natività un punto qualitativo altissimo a livello internazionale”.

Tale Patto di amicizia consentirà di lavorare per implementare, conservare e sviluppare l’arte presepiale e più in generale l’artigianato artistico anche attraverso visite reciproche, idee e attività, scambio di buone pratiche e tutto quello che può essere utile per far crescere e rafforzare la collaborazione.

Il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha voluto testimoniare la sua vicinanza alla comunità di Greccio attraverso una lettera di ringraziamento e di condivisione del percorso intrapreso, che lega le due Città attraverso il Presepe, e l’invio di un’opera d’arte che rappresenta la Natività della tradizione napoletana.

IL GHIACCIO NEL CUORE

 

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Pubblichiamo un editoriale del sacerdote Don Aldo Buonaiuto , fondatore e direttore del Quotidiano ” Interris”, inviato al ns. direttore Raffaele Lanza,che riteniamo molto interessante per le responsabilità e la partecipazione del cittadino-credente- ai problemi della società odierna.  Aggiungiamo noi solo un punto: che l’uomo deve avere pure il coraggio della partecipazione alle problematiche generali d’interesse pubblico.  Perchè come cantava  Gaber “la libertà è partecipazione”.  

 

E’ sotto gli occhi di tutti come la nostra società soffra di alcuni mali di difficile guarigione. Il cittadino “social” e “global” è costantemente connesso con le piazze virtuali ma sempre più incapace di percorrere con empatia e curiosità intellettuale le strade reali della propria esistenza. Capita così che su una panchina di un giardino pubblico di una città benestante ed elegante si possa morire di freddo nell’indifferenza generale, oppure che un gruppo di ragazzi autistici si veda rifiutato l’alloggio perché la presenza del disagio potrebbe rovinare le ferie degli altri vacanzieri. L’idea che deresponsabilizzandoci saremo più felici è il veleno che semina solitudine più spietata e la disperante perdita di senso. C’è un’immagine che ritrovo nel mio passato di studente: la zavorra e l’ancora sono lo stesso oggetto ma la prima è vista come un peso, la seconda come una sicurezza. Ecco cosa significa essere una comunità: prendersi cura di chi ha bisogno, agganciando e donando stabilità, come fa l’ancora, con chi è alla deriva, invece di voltarci dall’altra parte.

Quante volte accolgo vittime di violenze che aspettavano una parola di attenzione magari da parte di un vicino che le vedeva scendere le scale con i lividi sul volto. La tentazione diabolica è quella di alzare le spalle e pensare che non sono affari nostri. La sofferenza esiste? “Occhio non vede, cuore non duole”. Da qui la deriva egoistica che ci rende tristi individui, ripiegati su noi stessi, con l’errata e mistificante convinzione che sia sufficiente delegare al “potere” le nostre responsabilità. E’ per questo che la situazione sociale, economica, culturale ristagna: è tutto fermo perché “non è compito mio”. Mai come adesso vale l’immagine filosofica della monade: ognuno è chiuso nel proprio guscio, rintanato nel fuorviante universo digitale, persuaso che tanto “provvederanno lo Stato, le istituzioni civili e religiose, forse il volontariato”. Messi di fronte ai nostri mali sociali, siamo tenuti a ribellarci ad una situazione che ci vede calpestare quotidianamente la dignità e la diversità. L’Italia ha potenzialità e risorse in grado di farle rialzare la testa a patto che sappia riappropriarsi delle radici valoriali che affondano nella civiltà cristiana. Occorre ricominciare a sentirci come un “noi“, smettendola di illuderci e di scaricare su indefiniti “poteri” i compiti da svolgere collettivamente.

Solo tre input: responsabilità, partecipazione, condivisione. Sia nella nostra dimensione di cittadini sia in quella di credenti. E proprio qui sta la domanda fondamentale: c’è ancora spazio per il trascendente in una società che misura tutto in termini di tornaconto personale? Non solo l’occidente secolarizzato ma anche le antiche culle della spiritualità orientale sono diventate teatro della vorticosa rincorsa edonistica e consumistica. L’unica medicina ai mali contemporanei è la riscoperta della comunità perché ingannarsi che non ci sia nulla per cui valga la pena meritare Salvezza equivale ad appiattire la vita individuale e collettiva su una dimensione abbrutita, imbarbarita, limitante e soprattutto priva di anima. Quindi una mera gratificazione dell’effimero. Quando mi formavo mi affascinava due branche della conoscenza: la filosofia parlava principalmente all’io, la teologia alla Trinità che univa la persona al noi. Oggi la dimensione comunitaria della religione crea solo fastidio a molti, si vorrebbe eliminare la fede già confinata alla sfera strettamente privata. Benedetto XVI definiva “dittatura del relativismo” quella che il suo Successore stigmatizza come “relativismo pratico”, cioè, va bene il sacro purché non incida sulla sfera sociale. Insomma, “pregate se volete, ma rassegnatevi: non è più tempo di difendere in concreto la vita, la famiglia, la dignità umana”, sostengono i neo-nichilisti. Nel terzo decennio del nuovo millennio l’ipocrisia impedisce di chiamare con il loro nome le nuove forme di martirio in un’epoca che ha sostituito Dio con la trionfante tecnologia post-umana. L’era “progredita” della sempre più alta definizione è glaciale, asettica e incapace di scaldare il cuore con un abbraccio e un sorriso autentici. Sarà davvero un “buon anno” se torneremo ad essere più umani.