Palermo,
Palermo,
Messina,
Il sindaco di Messina, Federico Basile, domani, domenica 8 dicembre, nel giorno della festa dell’Immacolata, alle ore 17, come da tradizione con l’accensione dell’albero nell’atrio di palazzo Zanca, cui si uniranno il Presidente del Consiglio comunale, gli Assessori, consiglieri comunali e rappresentanti delle sei Municipalità e i vertici delle Partecipate, darà il via agli appuntamenti del Natale 2024 a Messina che allieteranno la comunità nel periodo più magico dell’anno sino al 6 gennaio 2025.
Il programma dell’evento, aperto alla cittadinanza, prevede a seguire l’accensione dell’albero che adorna piazza Unione Europea, per spostarsi poi nello spazio antistante il Vittorio Emanuele con il suo abete natalizio, e proseguimento verso l’albero di piazza Università, quello di piazza Lo Sardo e a concludere l’albero di piazza Cairoli. Quest’anno, sono 90 gli alberi collocati dall’Amministrazione comunale nelle principali piazze della città e quelle dei villaggi con il supporto e cura degli allestimenti della Partecipata MessinaServizi Bene Comune.
Dal centro storico ai villaggi numerosi gli appuntamenti: si parte anche l’8 dicembre con i tradizionali mercatini proposti dal “Villaggio di Natale” a piazza Cairoli insieme a attrazioni ludiche e spettacoli musicali per animare l’isola pedonale S. Martino; e il Christmas Village-Natale in Teatro lungo la via Laudamo. Seguiranno come da calendario, rassegne musicali a Santa Maria Alemanna e spettacoli vari al Palacultura; e poi ancora la sezione dedicata alle Ville cittadine, villa Dante, villa Sabin, villa Mazzini, il Parco Aldo Moro e la Pineta Montepiselli tra luci, magie e colori per incantare bambini e adulti.
Tra gli oltre 200 eventi natalizi si rinnovano poi quelli più tradizionali tra questi: il Presepe vivente di Castanea, Santa Claus village a Massa San Nicola, il Natale a Cristo Re, la Mostra di arti presepiali nei Chiostri dell’Arcivescovado, il Presepe della galleria Inps, la cavalcata dei 3 magi, i 100 presepi del borgo di Ganzirri, il Natale a Forte Cavalli, Cultura Food e Wine al binario 1, e Music on the Bus.
Infine, per la categoria grandi eventi, i concerti a piazza Duomo della cantante Arisa il 23 dicembre, il 27 dicembre sarà la volta di Clementino, mentre la notte di San Silvestro del 31 dicembre, grande festa per salutare il nuovo anno con “Tutti pazzi per RDS”.
ALL’APPELLO NON HANNO ANCORA ADERITO TUTTI GLI ASSESSORI DEL SUD E DELLA SICILIA
Giovedì 12 dicembre, alle ore 11:00, l’Assessore all’urbanistica del Comune di Napoli Laura Lieto –informa un Comunicato stampa del Comune di Napoli – interverrà al presidio dei Comuni, rappresentati dagli Assessori alla Casa, che si terrà a Roma, in Piazza Capranica, per chiedere un incontro al Governo al fine di discutere la loro proposta in cinque punti per un Piano Casa Nazionale.
“Ogni giorno – io – nelle nostre città il diritto alla casa è messo in discussione e con esso il godimento di molti diritti: alla salute, al lavoro, allo studio, ad avere una vita degna. Noi pensiamo che dopo decenni di disinvestimento strutturale nel diritto all’abitare serva invertire la rotta. Stiamo ristrutturando il nostro patrimonio di edilizia popolare, creando esperienze di abitare collaborativo e solidale, studentati pubblici, edilizia sociale e investendo nei canoni concordati o nell’aiutare chi è in condizione di morosità incolpevole. Ma non basta: per moltiplicare i nostri sforzi e assicurare il diritto alla casa serve un piano casa nazionale. Per questo abbiamo stilato cinque proposte e chiediamo un incontro al Ministro per le politiche abitative Matteo Salvini.
La lista delle adesioni ad oggi: Emily Clancy (Vicesindaca di Bologna), Tobia Zevi (Assessore a Roma), Guido Bardelli (Assessore a Milano), Laura Lieto (Vicesindaca di Napoli), Jacopo Rosatelli (Assessore a Torino), Nicola Paulesu (Assessore a Firenze), Costanza Spera (Assessora a Perugia), Anna Puddu (Assessora a Cagliari), Francesca Benciolini (Assessora a Padova), Luisa Ceni (Assessora a Verona), Matteo Tosetto (Assessore a Vicenza), Andrea Zini (Assessore a Udine), Ettore Brianti (Assessore a Parma), Maria Rosa De Vecchi (Assessora a Lodi), Claudia Lenzini (Assessora a Bergamo), Emanuele Manzoni (Assessore a Lecco), Alessandro Cantoni (Assessore a Brescia), Andreina Fumagalli (Assessora a Monza), Annalisa Rabitti (Assessora a Reggio Emilia), Francesca Maletti (Assessora a Modena), Nicola Grasso (Assessore a Bari), Kristian Gianfreda (Assessore a Rimini), Gianandrea Baroncini (Assessore a Ravenna), Enzo Lattuca (Sindaco di Cesena)
Alleanza strategica che investe nelle politiche educative, sociali, della prevenzione culturale
“Ancora una volta Napoli si trova a dover fare i conti con una tragedia che colpisce un giovanissimo. Un ragazzo di appena diciotto anni, Arcangelo Correra, è stato ferito mortalmente nella centralissima via Tribunali, luogo simbolico e frequentato quotidianamente da residenti e turisti.
Come Presidente del Consiglio Comunale di Napoli esprimo profondo dolore, per la famiglia, gli amici, per la nostra comunità. L’omicidio di Arcangelo si somma ad altri atti violenti che hanno visto giovani vite spezzate per mano di altri giovani.
Stamattina ci siamo incontrati in Piazza del Gesù. Eravamo tanti cittadini insieme alle tante associazioni che hanno voluto organizzare la mobilitazione per contrastare questa mattanza, che allarga e alimenta una falla pericolosa in cui la camorra espande le proprie logiche, ammalando la nostra città, la nostra area metropolitana con la morte dei nostri giovani. La piazza ha chiesto un intervento urgente, profondo, incisivo, stamattina.
Dobbiamo fare di più, dobbiamo ricucire quella falla rafforzando e rinsaldando quella alleanza strategica che investe nelle politiche educative, sociali, della prevenzione culturale e lo fa in una collaborazione stretta, quotidiana tra istituzioni, operatori del terzo settore, la scuola, la chiesa, l’associazionismo. Un deciso investimento sulle fragilità minorili, sui giovani e sulle famiglie più delicate della nostra realtà
Messina,
Il Consorzio per le Autostrade Siciliane rende noto, con ordinanza n. 149 di ieri, giovedì 7 novembre, dalle ore 21 di lunedì 11 novembre alle 6 di martedì 12 novembre, la chiusura al traffico veicolare dello svincolo di Boccetta (km. 8+970), in uscita, della tangenziale di Messina – Autostrada A/20 Messina – Palermo, per i veicoli provenienti da entrambi i sensi di marcia; dalle ore 21 di martedì 12 novembre alle 6 di mercoledì 13 novembre, la chiusura al traffico veicolare dello svincolo di Boccetta (km. 8+970), in uscita, della tangenziale di Messina – Autostrada A/20 Messina – Palermo, per i veicoli provenienti da entrambi i sensi di marcia; dalle ore 21 di mercoledì 13 novembre alle 6 di giovedì 14 novembre, la chiusura al traffico veicolare dello svincolo di Boccetta (km. 8+970), sia in uscita che in entrata, della tangenziale di Messina – Autostrada A/20 Messina – Palermo, per i veicoli provenienti e diretti in entrambi i sensi di marcia; con decorrenza dalle ore 9 sino alle 18 di giovedì 14 novembre, la chiusura al traffico veicolare, in uscita, dello svincolo di Villafranca Tirrena (km. 20+516), dell’autostrada A/20 Messina – Palermo.
Istituito inoltre il limite massimo di velocità di 60 km/h ed il divieto di sorpasso sul tratto autostradale interessato dalla limitazione, in ossequio al decreto ministeriale Infrastrutture e Trasporti del 10.07.2002 e al D. M. 22.01.2019.
Il provvedimento è stato disposto, compatibilmente con le esigenze derivanti dalla circolazione veicolare, per consentire la prosecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria della pavimentazione con ripristino dello strato di usura, impermeabilizzazione provvisoria, riprese avvallamenti, piccole riparazioni localizzate e interventi ove occorrenti, dalla barriera di Messina Sud fino allo svincolo di Milazzo e relativi svincoli e pertinenze, in entrambe le direzioni Autostrada A/20 Messina – Palermo.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, condividendo il numero dell’Unità di crisi della Farnesina +390636225 invita gli italiani a lasciare il Paese e comunica:
“Visto l’aggravarsi della situazione, invitiamo gli italiani che soggiornano temporaneamente in Libano a non recarsi assolutamente nel Sud del Paese e a rientrare in Italia con voli commerciali il più presto possibile“. . Un invito che, ovviamente, si allarga anche ai turisti italiani a cui si chiede di non recarsi nel Paese.
Anche la Spagna ha esortato i suoi connazionali a lasciare il Libano, mentre si attende l’attacco iraniano contro Israele in rappresaglia all’uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh. “Agli spagnoli che si trovano in Libano, soprattutto se il loro soggiorno è temporaneo, si raccomanda di lasciare il Paese utilizzando i mezzi commerciali esistenti”, fa sapere il ministero degli Esteri, sottolineando “il contesto generale di instabilità”.
La Francia esorta i connazionale “a lasciare il Libano il più presto possibile“. In una nota, il ministero degli Esteri di Parigi avverte: “In un contesto di sicurezza altamente instabile, richiamiamo ancora una volta l’attenzione dei cittadini francesi, in particolare di quelli di passaggio, sul fatto che sono ancora disponibili voli commerciali diretti con scalo in Francia e li invitiamo a organizzarsi fin da ora per lasciare il Libano il prima possibile”.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Simone Ferraiuolo, Socio della Cooperativa Sociale “Oltre l’Arte” di Matera e Carla Barbanti,
Presidente di Confcooperative Habitat Sicilia e Mons. Giuseppe Baturi, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, alla cerimonia di apertura della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia
Trieste, 03/07/2024
Rivolgo un saluto di grande cordialità al Presidente della Conferenza Episcopale, ai Vescovi presenti, al Nunzio Apostolico; alle autorità di questa splendida parte dell’Italia, il Presidente della Regione, il Sindaco, gli altri Sindaci presenti; a tutti voi, ringraziandovi per l’invito e, soprattutto, per quello che fanno le Settimane Sociali.
Democrazia.
Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo.
È ampiamente diffusa. Suggerisce un valore.
Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere.
Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera.
Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte.
Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria.
Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro.
L’interpretazione che si dà di questo ordito essenziale della nostra vita appare talora strumentale, non assunto in misura sufficiente come base di rispetto reciproco.
Si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra loro valori come libertà e democrazia, con quest’ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima.
Non è fuor di luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un’anima della democrazia.
O questa si traduce soltanto in un metodo?
Cosa la ispira?
Cosa ne fa l’ossatura che sorregge il corpo delle nostre Istituzioni e la vita civile della nostra comunità?
È un interrogativo che ha accompagnato e accompagna il progresso dell’Italia, dell’Europa.
Alexis de Tocqueville affermava che una democrazia senz’anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali, naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno.
Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rivolgeva lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con la acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale.
Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiava “l’alito della libertà”, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini.
L’alito della libertà, anzitutto, come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale o politico, come diritto all’opposizione.
La democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando, naturalmente, l’imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”.
Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità ed eguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine, non da ultimo, limiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che queste possano, a loro volta, divenire maggioranza.
È la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere.
Quali le ragioni del riferimento all’alito della libertà parlando di democrazia?
Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa.
Il tema impegnativo che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella quindi, con forza, tutti.
La democrazia, infatti, si invera ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che questo possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità.
Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta?
Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”?
Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”?
Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori? Per porre mente alla defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali.
Occorre attenzione per evitare di commettere l’errore di confondere il parteggiare con il partecipare.
Occorre, piuttosto, adoperarsi concretamente affinché ogni cittadino si trovi nelle condizioni di potere, appieno, prender parte alla vita della Repubblica.
I diritti si inverano attraverso l’esercizio democratico.
Se questo si attenua, si riduce la garanzia della loro effettiva vigenza.
Democrazie imperfette vulnerano le libertà: ove si manifesta una partecipazione elettorale modesta. Oppure ove il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterino la rappresentatività e la volontà degli elettori.
Ancor più le libertà risulterebbero vulnerate ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali.
Ci soccorre anche qui Bobbio, quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o a restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”.
Una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà.
Al cuore della democrazia – come qui leggiamo – vi sono le persone, le relazioni e le comunità a cui esse danno vita, le espressioni civili, sociali, economiche che sono frutto della loro libertà, delle loro aspirazioni, della loro umanità: questo è il cardine della nostra Costituzione.
Questa chiave di volta della democrazia opera e sostiene la crescita di un Paese, compreso il funzionamento delle sue Istituzioni, se al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune.
Se non si cede alla ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione.
Se l’universalità dei diritti non viene menomata da condizioni di squilibrio, se la solidarietà resta il tessuto connettivo di una economia sostenibile, se la partecipazione è viva, diffusa, consapevole del proprio valore e della propria necessità, della propria essenziale necessità.
Nel cambiamento d’epoca che ci è dato di vivere avvertiamo tutta la difficoltà, e a volte persino un certo affanno, nel funzionamento delle democrazie.
Oggi constatiamo criticità inedite, che si aggiungono a problemi più antichi.
La democrazia non è mai conquistata per sempre.
Anzi, il succedersi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche, ne richiede un attento, costante inveramento.
Nella complessità delle società contemporanee, a elementi critici conosciuti, che mettono a rischio la vita degli Stati e delle comunità, si aggiungono nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale.
Le nostre appaiono sempre più società del rischio, a fronteggiare il quale si disegnano, talora, soluzioni meramente tecnocratiche.
È tutt’altro che improprio, allora, interrogarsi sul futuro della democrazia e sui compiti che le sono affidati, proprio perché essa non è semplicemente un metodo, bensì costituisce lo “spazio pubblico” in cui si esprimono le voci protagoniste dei cittadini.
Nel corso del tempo, è stata più volte posta, malauguratamente, la domanda “a cosa serve la democrazia?”. La risposta è semplice: a riconoscere – perché preesistono, come indica l’art. 2 della nostra Costituzione – e a rendere effettive le libertà delle persone e delle comunità.
Karl Popper ha indicato come le forme di vita democratica realizzino, essenzialmente, quella “società aperta” che può massimizzare le opportunità di costituzione di identità sociali destinate a trasferirsi, poi, sul terreno politico e istituzionale.
La stessa esperienza italiana degli ultimi trent’anni ne è un esempio.
Nei settantotto anni dalla scelta referendaria del 1946, libertà di impronta liberale e libertà democratica hanno contribuito, al “cantiere aperto” della nostra democrazia repubblicana, con la diversità delle alternative, le realtà di vita e le differenti mobilitazioni che ne sono derivate.
La libertà di tradizione liberale ci richiama a un’area intangibile di diritti fondamentali delle persone, e alla indisponibilità di questi rispetto al contingente succedersi di maggioranze e, ancor più, a effimeri esercizi di aggregazione di interessi.
La libertà espressa nelle vicende novecentesche, con l’irruzione della questione sociale, ha messo poi a fuoco la dinamica delle aspettative e dei bisogni delle identità collettive nella società in permanente trasformazione.
È questione nota al movimento cattolico, se è vero che quel giovane e brillante componente dell’Assemblea Costituente, che fu Giuseppe Dossetti, pose il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere e a tutto il potere, non solo quello politico, ma anche a quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”.
A segnare in tal modo il passaggio ai contenuti che sarebbero stati poi consacrati negli articoli della prima parte della nostra Costituzione. Fra essi i diritti economico-sociali.
Una riflessione impegnativa con l’ambizione di mirare al “bene comune” che non è il “bene pubblico” nell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno, al tempo stesso; di tutti e di ciascuno, secondo quanto già la Settimana Sociale del ’45 volle indicare.
Il percorso dei cattolici – con il loro contributo alla causa della democrazia- non è stato occasionale né data di recente, eppure va riconosciuto che l’adesione dottrinaria alla democrazia fu condizionata dalla “questione romana”, con il percorso accidentato della sua soluzione.
Ma già l’ottava Settimana Sociale, a Milano, nel 1913, non aveva remore nell’affermare la fedeltà dei cattolici allo Stato e alla Patria – quest’ultima posta più in alto dello Stato – sollecitando, contemporaneamente, il diritto di respingere – come venne enunciato – ogni tentativo di “trasformare la Patria, lo Stato, la sua sovranità, in altrettante istituzioni ostili… mentre sentiamo di non essere a nessuno secondi nell’adempimento di quei doveri che all’una e all’altro ci legano”. Una espressione di matura responsabilità.
Il tema che veniva posto, era fondamentalmente un tema di libertà – anche religiosa – e questo riguardava tutta la società, non esclusivamente i rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede.
Ho poc’anzi ricordato la 19^ edizione della Settimana, a Firenze, nell’ottobre 1945. In quell’occasione, nelle espressioni di un giurista eminente – poi costituente – Egidio Tosato, troviamo proposto il tema dell’equilibrio tra i valori di libertà e di democrazia, con la individuazione di garanzie costituzionali a salvaguardia dei cittadini.
La democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o di utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce.
Anche da questo si è fatta strada l’idea di una suprema Corte Costituzionale.
Tosato contestò l’assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola.
Lo fece Tosato con parole molto nette: “Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e oppressiva che non la volontà di un principe”. Esprimeva un fermo no, quindi, all’assolutismo di Stato, a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice.
La coscienza dei limiti è un fattore imprescindibile per qualunque Istituzione, a partire dalla Presidenza della Repubblica, per una leale e irrinunziabile vitalità democratica.
Guido Gonella, personalità di primo piano del movimento cattolico italiano, e poi statista insigne nella stagione repubblicana, relatore anch’egli alla Settimana di Firenze del ’45, non ebbe esitazioni nel rinvenire nelle Costituzioni, una “forma di vita – come disse – più alta e universale”, con la presenza di elementi costanti, “categorie etiche” le definì, e di elementi variabili, secondo le “esigenze storiche”, ponendo in guardia dei rischi posti da una eccessiva rigidezza conservatrice e da una troppo facile flessibilità demagogica che avrebbe potuto caratterizzarle, con il risultato di poter passare con indifferenza dall’assolutismo alla demagogia, per ricadere indietro verso la dittatura.
Su questo si basa la distinzione tra prima e seconda parte della nostra Costituzione.
Il messaggio fu limpido: sbagliato e rischioso cedere a sensibilità contingenti, sulla spinta delle tentazioni quotidiane della contesa politica. Come avviene con la frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella prima parte della Costituzione, che del resto – per effetto della saggezza dei suoi estensori – regola tutti questi aspetti comunque, in base ai suoi principi e valori di fondo.
La Costituzione seppe dare un senso e uno spessore nuovo all’unità del Paese e, per i cattolici, l’adesione ad essa ha coinciso con un impegno a rafforzare, e mai indebolire, l’unità e la coesione degli italiani.
Spirito prezioso, come ha ricordato di recente il Cardinale Zuppi, perché la condivisione intorno ai valori supremi di libertà e democrazia è il collante irrinunciabile della nostra comunità nazionale.
Pio XII, nel messaggio natalizio del 1944, era stato ricco di indicazioni importanti e feconde.
Permettetemi di soffermarmi su quel testo per richiamarne l’indicazione che, al legame tra libertà e democrazia, unisce il tema della democrazia connesso a quello della pace.
Perché la guerra soffoca, può soffocare, la democrazia.
L’ordine democratico, ricordava il Papa, include la unità del genere umano e della famiglia dei popoli. “Da questo principio – diceva – deriva l’avvenire della pace”. Con l’invocazione “guerra alla guerra” e l’appello a “bandire una volta per sempre la guerra di aggressione come soluzione legittima delle controversie internazionali e come strumento di aspirazioni nazionali”.
Un grido di pace oggi rinnovato da Papa Francesco.
Non si trattava di un dovuto “irenismo”, di uno scontato ossequio pacifista della Chiesa di fronte alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale.
Era, piuttosto, una ferma reazione morale che interpreta la coscienza civile, presente certamente nei credenti – e, comunque, nella coscienza dei popoli europei – destinata a incrociarsi con le sensibilità di altre posizioni ideali.
Prova ne è stata la generazione delle Costituzioni del Secondo dopoguerra, in Italia come in Germania, in Austria, in Francia.
Per l’Italia gli art. 10 e 11 della nostra Carta, volti a definire la comunità internazionale per assicurare e pervenire alla pace.
Sarebbe stato il professor Pergolesi, sempre a Firenze 1945, ad affermare il diritto del cittadino alla pace, interna ed esterna, con la proposta di inserimento di questo principio nelle Costituzioni, dando così vita a una concezione nuova dei rapporti tra gli Stati.
Se in passato la democrazia si è inverata negli Stati – spesso contrapposti e comunque con rigidi, insormontabili frontiere – oggi, proprio nel continente che degli Stati è stato la culla, si avverte l’esigenza di costruire una solida sovranità europea che integri e conferisca sostanza concreta e non illusoria a quella degli Stati membri. Che consenta e rafforzi la sovranità del popolo disegnata dalle nostre Costituzioni ed espressa, a livello delle Istituzioni comunitarie, nel Parlamento Europeo.
Il percorso democratico, avviato in Europa dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, ha permesso di rafforzare le Istituzioni dei Paesi membri e di ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e adesso è l’Unione.
Una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà e di uguaglianza, di solidarietà e di pace.
Tornando alla riflessione sui cardini della democrazia, va sottolineato che la democrazia comporta il principio di eguaglianza – poc’anzi richiamato dal Cardinale Zuppi – perché riconosce che le persone hanno eguale dignità.
La democrazia è strumento di affermazione degli ideali di libertà.
La democrazia è antidoto alla guerra.
Quando ci chiediamo se la democrazia possiede un’anima, quando ci chiediamo a cosa serva, troviamo agevolmente risposte chiare.
Lo sforzo che, anche in questa occasione, vi apprestate a produrre per la comunità nazionale, richiama le parole con cui il Cardinale Poletti, nel 1988, alla XXX assemblea generale Conferenza Episcopale, accompagnò, dopo vent’anni, la ripresa delle Settimane Sociali: “diaconia della Chiesa italiana al Paese”.
Con il vostro contributo avete arricchito, in questi quasi centoventi anni dalla prima edizione, il bene comune della Patria e, di questo, la Repubblica vi è riconoscente.
La nostra democrazia ha messo radici, si è sviluppata, è divenuta un tratto irrinunciabile dell’identità nazionale – mentre diveniva anche identità europea – sostenuta da partiti e movimenti, che avevano raggiunto la democrazia nel corso del loro cammino e su di essa stavano rifondando la loro azione politica nella nuova fase storica.
Oggi dobbiamo rivolgere lo sguardo e l’attenzione a quanto avviene attorno a noi, nel mondo sempre più raccolto e interconnesso.
Accanto al riproporsi di tentazioni neo-colonialistiche e neo-imperialistiche, nuovi mutamenti geopolitici sono sospinti anche dai ritmi di crescita di Stati-continente in precedenza meno sviluppati, da tensioni territoriali, etniche, religiose che, non di rado sfociano in guerre drammatiche, da andamenti demografici e giganteschi flussi migratori.
Attraversiamo fenomeni – questi e altri – che mutano profondamente le condizioni in cui si viveva in precedenza e che è impossibile illudersi che possano tornare.
Dalla dimensione nazionale dei problemi – e delle conseguenti sfere decisionali – siamo passati a quella europea e, per qualche aspetto, a quella globale.
È questa la condizione della quale siamo parte e nella quale dobbiamo far sì che a prevalere sia il futuro dei cittadini e non delle sovrastrutture formatesi nel tempo.
All’opposto della cooperazione fra eguali si presenta il ritorno alle sfere di influenza dei più forti o meglio armati – che si sta praticando e teorizzando, in sede internazionale, con la guerra, l’intimidazione, la prevaricazione – e, in altri ambiti, di chi dispone di forza economica che supera la dimensione e le funzioni degli Stati.
Risalta la visione storica e la sagacia di Alcide De Gasperi con la scelta di libertà del Patto Atlantico compiuta dalla Repubblica nel 1949 e con il suo coraggioso apostolato europeo.
Venti anni fa, a Bologna, la 44^ Settimana si poneva il tema dei nuovi scenari e dei nuovi poteri di fronte ai quali la democrazia si trovava.
È necessario misurarsi con la storia, porsi di fronte allo stato di salute delle Istituzioni nazionali e sovranazionali e dell’organizzazione politica della società.
Nuovi steccati sono sempre in agguato a minare le basi della convivenza sociale: le basi della democrazia non sono né esclusivamente istituzionali né esclusivamente sociali, interagiscono fra loro.
Cosa ci aiuta? Dare risposte che vedono diritti politici e sociali dei cittadini e dei popoli concorrere insieme alla definizione di un futuro comune.
Vogliamo riprendere per un attimo l’Enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI: “essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi – diceva -, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio questo legittimo desiderio”.
Vi è qualcuno che potrebbe rifiutarsi di sottoscrivere queste indicazioni?
Temo di sì, in realtà, anche se nessuno avrebbe il coraggio di farlo apertamente.
Anche per questo l’esercizio della democrazia, come si è visto, non si riduce a un semplice aspetto procedurale e non si consuma neppure soltanto con la irrinunziabile espressione del proprio voto nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa. Né si tratta di una questione limitata ad ambiti statali.
Mons. Adriano Bernareggi, nelle sue conclusioni della Settimana Sociale del ’45, – l’abbiamo poc’anzi visto nelle immagini – argomentò, citando Jacques Maritain, che una nuova cristianità si affacciava in Europa.
L’unità da raggiungere nelle comunità civili moderne non aveva più un’unica “base spirituale”, bensì un bene comune terreno, che doveva fondarsi proprio sull’intangibile “dignità della persona umana”.
Questa la consapevolezza che è stata alla base di una stagione di pace così lunga – che speriamo continui – nel continente europeo.
Continuava l’allora Vescovo di Bergamo, “la democrazia non è soltanto governo di popolo, ma governo per il popolo”.
Affrontare il disagio, il deficit democratico che si rischia, deve partire da qui.
Dal fatto che, in termini ovviamente diversi, ogni volta si riparte dalla capacità di inverare il principio di eguaglianza, da cui trova origine una partecipazione consapevole.
Perché ciascuno sappia di essere protagonista della storia.
Don Lorenzo Milani esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere, cioè, alfabeti nella società.
La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai.
Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia.
Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea.
Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia” è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere.
Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme.
Vi auguro, mi auguro, che si sia numerosi a ritrovarsi in questo cammino.
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Primo Ministro inglese Rishi Sunak
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Cancelliere tedesco Olaf Scholz
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Primo Ministro giapponese Fumio Kishida
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Primo Ministro Canadese Justin Trudeau
L’arrivo al Castello Svevo di Brindisi del Presidente Francese Emmanuel Macron
La foto di famiglia in occasione del Pranzo offerto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai Capi di Stato e di Governo del Vertice G7
Brindisi, -Comunicato On Mattarella
“Signore e Signori Capi di Stato e di Governo,
Illustri partecipanti,
è per me un piacere porgervi il benvenuto.
Rispetto all’incontro del G7 che la Repubblica Italiana ha presieduto sette anni fa, a Taormina, il contesto internazionale è profondamente mutato.
Oggi registriamo che il crescente processo di interdipendenza promosso dalla globalizzazione è bruscamente venuto meno, unitamente alla spinta verso valori e obiettivi globalmente condivisi.
Antichi fantasmi sono riapparsi e il linguaggio della cooperazione, e della costruzione di regole di convivenza internazionali rispettose dei popoli, viene messo a dura prova, lasciando il posto a crescenti tensioni geopolitiche, quando, purtroppo, non a conflitti.
L’ambizione di nuovi attori di giocare un ruolo più profilato interpella la capacità della comunità internazionale – e in essa del G7 – di promuovere processi positivi orientati alla pace e allo sviluppo.
Per taluno si tratta di procedere alla realizzazione comunque – spesso in modo affannoso – di nuovi assetti internazionali, nella presunzione che saranno più vantaggiosi per sè di quelli raggiunti nei decenni che hanno fatto seguito alla Seconda guerra mondiale mentre, spesso, aprono, invece, spazi a insidie di neo-colonialismi se non di neo-imperialismi.
E’ utile, allora, interrogarsi su quale sia, in questo contesto, il ruolo del G7 e vorrei prospettare tre considerazioni.
Una prima risposta risiede nella constatazione che il G7 è un insieme di Paesi uniti non soltanto da un elevato livello di sviluppo e di reddito, ma anche e soprattutto da valori.
Valori che hanno promosso in modo significativo la dignità delle persone e dei popoli, sulla base delle Carte e delle Dichiarazioni dell’ONU.
Valori, obiettivi, regole, che vanno preservati e sviluppati nella nuova condizione della vita internazionale.
Il Vertice si è così trasformato, da foro di coordinamento economico, in una piattaforma di rilevante confronto sui grandi temi del presente.
Un confronto reso possibile proprio dall’essere basato anzitutto su valori condivisi.
Gli Stati rappresentati a questo tavolo si riconoscono nei principi dello Stato di diritto, della democrazia, del rispetto dei diritti della persona, della cooperazione internazionale.
Considerazioni tutt’altro che scontate, se si pensa al preoccupante aumento delle pulsioni autoritarie in tante parti del mondo, con le conseguenze che ne derivano: compressione dell’inviolabile sfera della persona a livello interno e condotte aggressive nella sfera internazionale.
Il secondo elemento che caratterizza il G7 è costituito dalla adesione convinta a un sistema di regole, che vede nella Carta delle Nazioni Unite la sua manifestazione più alta.
La cura di questo sistema di regole – la prima delle quali consiste nel divieto di minaccia e uso della forza nei rapporti fra gli Stati – è un aspetto, oggi, tristemente sfidato.
Si affaccia la convinzione che sia possibile sostituire alla comunità internazionale, alle sue regole, al criterio di pari dignità fra gli Stati, la violenza e la sopraffazione.
Tendenza raffigurata da due date recenti.
Il 24 febbraio del 2022, in cui la Federazione Russa si è assunta la responsabilità storica di riportare la guerra in Europa in un pericoloso tentativo di revanche neo-imperiale che contraddice tutti i passi avanti realizzati nel continente sin dalla Conferenza di Helsinki del 1975.
Una svolta che non si può fingere di ignorare o sottovalutare come insegna la storia del ‘900.
Sostenendo la indipendenza dell’Ucraina, difendiamo principi generali di convivenza fra le nazioni, sui quali poggia, dal secondo dopoguerra in poi, la libertà, la sicurezza, la prosperità dei nostri popoli nonché lo sviluppo e il ruolo crescente di quelli che allora erano, loro malgrado, spettatori della storia.
Il 7 ottobre 2023 è un’altra data che ha segnato drammaticamente il nostro presente.
Il barbaro attacco di Hamas, con l’uccisione di inermi cittadini israeliani e il disumano sequestro di ostaggi, ha riaperto una ferita che continua ad essere alimentata dal macabro conteggio delle migliaia di vittime civili palestinesi, donne e bambini, che hanno perso la vita negli oltre otto mesi di conflitto.
I negoziati in corso per giungere al cessate il fuoco devono rappresentare una tappa per intraprendere un concreto percorso politico verso una pace duratura, che non può che fondarsi sulla soluzione a due Stati.
Occorre la volontà di perseguirla da parte di tutti gli attori coinvolti, per non abbandonare il dialogo a metà – come già accaduto in troppe occasioni – con l’inevitabile ripresa, nel tempo, del conflitto, con violenza e vittime sempre maggiori.
La terza dimensione del G7 che vorrei richiamare è quella di una piattaforma aperta.
A partire dal Vertice del 2007 in Germania veniva introdotto il cosiddetto “processo Heiligendamm” che apriva il G7 al resto del mondo e coinvolgeva nell’esercizio altri cinque Paesi, rappresentativi di tutti i continenti, per un dialogo sui grandi temi globali dello sviluppo economico, dell’innovazione e del cambiamento climatico. Temi ulteriormente ampliati, a L’Aquila, nel 2009, a quelli della sicurezza alimentare e dell’energia.
Il formato del G7 è, quindi, in grado di adeguarsi ai mutamenti del contesto internazionale – e lo conferma questa edizione – nella consapevolezza che non possono essere affrontati in un circuito limitato.
Nuove tematiche – dallo sviluppo sostenibile del continente africano, ai flussi migratori, alla rivoluzione indotta dall’intelligenza artificiale – trovano giusto spazio nel Vertice di Borgo Egnazia e sollecitano collaborazione con gli altri attori rilevanti dello scacchiere mondiale.
Le grandi economie libere raccolte nel G7 continuano certamente a esercitare una rilevante forza di attrazione e d’influenza, ma, naturalmente, in un mondo multipolare, questa esperienza si confronta con tentativi di dar vita a schemi alternativi se non contrapposti.
La capacità di costruire partenariati con quella parte del mondo che, nelle fisiologiche differenze, è disponibile al dialogo sulle nostre opzioni, è il naturale orizzonte al quale guardare.
Le indicazioni provenienti dai Capi di Stato e di Governo qui riuniti saranno, al riguardo, preziose.
I Paesi G7 condividono una responsabilità accentuata nell’affrontare i problemi del presente; consapevoli, tuttavia, di non poterlo fare da soli.
Formulo a tutti Voi auguri di buon lavoro e levo il calice al Vostro benessere personale e a quello dei popoli che rappresentate”.
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato al Capo di Stato Maggiore della Difesa, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il seguente messaggio:
«Celebrare i settantotto anni della nascita della Repubblica Italiana richiama i valori della nostra identità e di una Costituzione lungimirante e saggia, frutto della straordinaria rinascita che prese le mosse dalla lotta di Liberazione.
Indipendenza e libertà sono conquiste che vanno difese ogni giorno, in comunione di intenti e con la capacità di cooperare per il bene comune.
I Padri della Patria erano consapevoli dei rischi e dei limiti della chiusura negli ambiti nazionali e sognavano una Italia aperta all’Europa, vicina ai popoli che ovunque nel mondo stessero combattendo per le proprie libertà.
Il nostro contributo – e in esso delle Forze Armate – alla causa della pace e della stabilità internazionali è più che mai prezioso nell’odierna situazione caratterizzata da devastazioni e aggressioni alle popolazioni civili in Europa e in Medio Oriente. La Repubblica è grata alle donne e agli uomini delle Forze Armate per i compiti assolti negli impegnativi teatri operativi ove sono chiamati ad operare, nell’ambito delle missioni delle Nazioni Unite, di quelle frutto della solidarietà fra i Paesi dell’Alleanza Atlantica, delle decisioni alle quali abbiamo concorso in sede di Unione Europea.
La garanzia della civile convivenza, lo sviluppo e il perseguimento della giustizia internazionale sanno di poter contare sulla cornice di sicurezza offerta dalle Forze Armate.
Nel fare memoria di quanti hanno perso la vita a difesa dei valori della nostra comunità rivolgo il mio deferente pensiero ai caduti che hanno contribuito a rendere l’Italia un Paese unito e una nazione libera e democratica.
In questo giorno di festa giunga a tutti gli appartenenti alle Forze Armate l’apprezzamento del popolo italiano per il servizio svolto e l’augurio più cordiale.
Viva la Repubblica, viva le Forze Armate».
C o m u n i c a t o
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato, in data 31 maggio, il decreto con il quale, su proposta del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Sen. Adolfo Urso, sono stati nominati 25 Cavalieri del Lavoro.
Ecco l’elenco completo degli insigniti, con l’indicazione, per ciascuno, del settore di attività e della Regione di provenienza:
ALEOTTI Lucia – Industria – Farmaceutica – Toscana;
ANGHILERI Eufrasio – Industria – Siderurgica – Lombardia;
ARENA Giovanni – Commercio – Grande distribuzione – Sicilia;
BECCARI Pietro – Industria – Moda e design di lusso – Estero;
BERLUSCONI Marina Elvira – Industria – Editoria – Lombardia;
BERTAZZONI Paolo – Industria – Elettrodomestici – Emilia-Romagna;
BONI Maria Chiara – Industria – Moda e abbigliamento – Lombardia;
CAMPAGNOLO Giorgio – Industria – Abbigliamento sportivo – Veneto;
CAPUTO Carmine – Industria Alimentare – Molitoria – Campania;
CASELLI Caterina Imelde – Industria – Discografia – Lombardia;
CIMBRI Carlo – Terziario – Assicurazioni – Emilia-Romagna;
GIORDANI Graziano – Artigianato – Ricami – Marche;
LEONE Raffaella – Terziario – Cinematografia – Lazio;
LUNELLI Matteo Bruno – Vitivinicolo – Spumanti – Trentino-Alto Adige;
MANZANA Fausto – Terziario – Servizi informatici – Trentino-Alto Adige;
MARINO Giuseppe – Industria – Ferroviaria – Piemonte;
MUNTONI Francesco Giovanni – Terziario – Alberghiero – Sardegna;
PAOLINO Duilio -Industria – Macchinari agricoli – Piemonte;
PRIMICERI Vito Antonio – Terziario – Credito – Puglia;
RAVANELLI Fabio – Industria – Cosmetica – Piemonte;
RONCADIN Edoardo – Industria e commercio – Prodotti surgelati – Friuli-Venezia Giulia;
SAMER Enrico – Terziario – Logistica – Friuli-Venezia Giulia;
SERENA MONGHINI Antonio – Industria energetica – Petrolio – Emilia-Romagna;
SGARIBOLDI Giovanni – Industria – Cosmetici e profumi – Lombardia;
VILLANO AQUILINO Carlo – Industria – Aerospazio – Campania.