Un provvedimento di sequestro emesso dalla Sezione per l’Applicazione delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli, su proposta della locale Procura della Repubblica, avente ad oggetto un patrimonio mobiliare e immobiliare del valore di oltre 290 milioni di euro è stato notificato ad un imprenditore ritenuto contiguo alla criminalità organizzata campana, nel cui interesse egli avrebbe operato, nel corso di un lunghissimo arco temporale, a fini di riciclaggio e attraverso fittizie intestazioni di beni (condotta, quest’ultima, accertata con sentenza di condanna definitiva).
In particolare, il materiale probatorio acquisito nel corso delle indagini svolte dalle fiamme gialle felsinee e campane, corroborato dalle concordi dichiarazioni di cinque collaboratori di giustizia, ha consentito di appurare come il detto imprenditore abbia agito in sinergia economica con esponenti di spicco di diversi clan camorristici, fungendone da catalizzatore degli interessi criminaliin vari settori commerciali, primo fra tutti quello degli investimenti immobiliari.
Le emergenze investigative hanno fatto emergere, inoltre, una sistematica attività di sottrazione all’imposizione tributaria di ingentissime somme di denaro, reinvestite in operazioni commerciali ed edilizie.
Le indagini economico-patrimoniali eseguite sul predetto imprenditore e sui componenti del suo nucleo familiare hanno acclarato, nel periodo 1993-2021, la totale assenza di redditi ovvero l’esistenza di redditi dichiarati del tutto irrilevanti e decisamente incongruenti rispetto alla cospicua disponibilità finanziaria, alla titolarità di numerose partecipazioni societarie e al vastissimo patrimonio immobiliare.
Su queste basi, in applicazione delle disposizioni del “Codice Antimafia”, sono stati sottoposti a sequestro 12 società, 16 autoveicoli, 37 rapporti finanziari e 639 immobili e terreni, ubicati nelle province di Napoli, Benevento, Caserta, Bologna, Ravenna, Latina e Sassari.
Una inchiesta della Guardia di Finanza di Enna si conclude con tredici arresti. Reati: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Tra i fermati anche un avvocato catanese.
Tredici ordinanze di custodia cautelari sono state emesse e notificate-dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello, nell’ambito dell’operazione “Carta bianca” nel territorio di Centuripe, Regalbuto, Troina, Adrano, Catania e Randazzo. Sequestrate somme di denaro, società e aziende per oltre 3 milioni di euro. I reati contestati sono vari: interposizione fittizia, truffa, falso, reimpiego di capitali illeciti. Tra i soggetti destinatari della custodia cautelare anche un avvocato del Foro di Catania e l’ex direttore dell’Azienda Speciale Silvo Pastorale del Comune di Troina. Altri sei sono stati invece sottoposti alla misura degli arresti domiciliari.
«Le indagini della Guardia di Finanza di Nicosia e della DDA di Caltanissetta, con a capo il Procuratore Salvatore De Luca e coordinate dai Sostituti Pasquale Pacifico e Dario Bonanno, hanno consentito di acclarare come il metodo fosse sempre quello da tempo denunciato da Antoci, cioè le sistematiche infiltrazioni nel settore dei contributi europei per l’agricoltura».
«Questa volta a cadere sotto la scure del ”Protocollo Antoci” e della Giustizia è una famiglia criminale che utilizzava prestanomi visto che i suoi componenti erano impossibilitati a conseguire i contributi comunitari in quanto destinataria di interdittiva antimafia ai sensi del Protocollo Antoci oggi legge dello Stato. Inoltre, per poi rientrare dalle somme erogate ai prestanomi, effettuavano emissione di fatture false per operazioni inesistenti».
Gli indagati avevano messo le mani anche sui pascoli demaniali sempre utilizzando tutta una serie di imprese a loro collegate tentando di aggirare fraudolentemente le regole previste dal cosiddetto “Protocollo Antoci” e del conseguente “nuovo codice antimafia” che lo ha in toto recepito nel 2017. Circa 1200 ettari di pascoli demaniali, hanno permesso agli indagati di percepire illecitamente elevati contributi comunitari.
Dall’attività di indagine, inoltre, «è emerso che gli indagati risultano anche legati da rapporti di parentela o affinità con soggetti già condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso in quanto esponenti di rilievo di famiglie di cosa nostra operanti nel territorio».
«Come ormai noto, bastava mantenersi sotto la soglia dei 150 mila euro, oltre la quale risultava obbligatorio per la pubblica amministrazione richiedere l’informativa antimafia, per eludere e autocertificare falsamente di avere i requisiti previsti dalla norma – –
Gli inquirenti ricordano che negli anni hanno usufruito di tali erogazioni personaggi come Gaetano Riina fratello di Totò, le famiglie Santa Paola Ercolano e tantissimi altri capi mafia non solo siciliani. È così che in questi lunghi anni sono state assicurate alle consorterie criminali milioni e milioni di euro a discapito dei poveri agricoltori onesti per anni vessati dai mafiosi».
Per contrastare tutto ciò Giuseppe Antoci creò nel 2015, insieme al Prefetto di Messina Stefano Trotta, un protocollo di legalità stipulato il 18.03.2015 tra la Prefettura di Messina e l’Ente Parco dei Nebrodi (appunto il cosiddetto “Protocollo Antocì’), ormai divenuto legge dello Stato e votato in Parlamento il 27 settembre 2017. Con il Protocollo è stato stabilito un nuovo e più stringente obbligo e cioè l’abbassamento della soglia da 150 mila euro a zero. Una vera svolta nella legislazione antimafia, una norma considerata epocale da tanti giuristi per l’attacco ai patrimoni dei mafiosi, una norma che, come ha dichiarato anche il Ministro degli Interni Luciana Lamorgese, è ormai “un paradigma nella lotta alla mafia, quale modello cooperativo per prevenire infiltrazioni nel tessuto economico sano”.
I “Protocollo Antoci” dopo la interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Catania e dopo aver subito la revoca dei contratti e la conseguente perdita delle erogazioni, cercava nuovi prestanomi. Ma il trucco era già conoscenza delle Procure.
CATANIA, OLTRE SEICENTO I BENI CONFISCATI E SEQUESTRATI
ALLA CRIMINALITÀ ..
Annunciato corso formativo specialistico sul ruolo dell’amministratore giudiziario
CATANIA – Alla data di oggi, 11 aprile 2018, nella provincia di Catania si contano 456 immobili e 153 aziende confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata. Altri 611 immobili e 48 aziende sono invece quelli destinati al provvedimento. Il distretto giudiziario di Catania ha in capo 151 procedure in gestione, di cui 21 con procedimento penale, il resto con misure di prevenzione. Oltre la metà di questi immobili sottoposti ad amministrazione giudiziaria è terreno agricolo, mentre tra quelli destinati cresce il numero delle abitazioni indipendenti. Fra le aziende in gestione le cifre maggiori si registrano nei settori delle costruzioni e del commercio ingrosso-dettaglio.
Sono dati importanti – forniti dall’Anbsc (Associazione nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) – non soltanto perché contribuiscono a un triste primato della Sicilia tra le regioni italiane, ma perché, alla luce delnuovo Codice antimafia, rileva l’insufficienza numerica dei professionisti chiamati a ricoprire il ruolo di amministratore giudiziario, cioè quella figura chiamata a “prendersi cura” dell’immobile o dell’azienda durante il periodo delle indagini o del processo. Un incarico sempre più centrale perché il fulcro della riforma del Codice, in vigore dallo scorso ottobre, è proprio la garanzia della continuità delle attività sequestrate, per far sì che possano essere comunque in grado di competere sul mercato nella legalità.
Eppure in tutta Italia sono poco meno di 900 i professionisti abilitati a questo ruolo, di cui oltre l’80 per cento dottori commercialisti. «Le nostre competenze manageriali e contabili, ma anche di gestione della crisi, sono certamente le più congrue per l’incarico di custode-amministratore giudiziario. Siamo consapevoli della delicatezza del compito, così come della sua importanza sociale, ragione per la quale riteniamo doveroso un percorso di formazione specializzato», ha affermato il presidente dell’Ordine etneo di categoria Giorgio Sangiorgio, in occasione del convegno sul tema che si è svolto ieri (10 aprile) nella sala adunanze del Tribunale di Catania (presieduto da Francesco Mannino, presente all’incontro).
Insieme ai consiglieri dell’Ordine Dario Scelfo e Salvatore Virgillito, il presidente Sangiorgio ha annunciato dunque l’avvio di un corso formativo destinato a colleghi ed esperti che desiderano specializzarsi nell’ambito. «D’altronde, l’effetto diretto delle opzioni legislative del nuovo Codice antimafia sarà un aumento delle misure di prevenzione e dei processi penali, e dunque di beni da gestire – hanno sottolineato i due consiglieri Scelfo e Virgillito – quindi diventa prioritario accelerare il processo di utilizzazione dei beni e, dove possibile, incrementarne la redditività ai fini della successiva eventuale devoluzione all’Erario».
Al convegno sono intervenuti inoltre: il presidente dell’Area Studio Giudiziale dell’Ordine Domenico La Porta, il commercialista Angelo Bonomo, il presidente e il giudice della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania, rispettivamente, Nunzio Trovato e Alba Sammartino.
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