Ragusa ,spaccio: 3 persone arrestate e 3 chili di stupefacenti sequestrati  –  

 

Dipendenza da cocaina | Psicoterapia Scientifica

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Ragusa ,

I Carabinieri della Stazione di Ragusa Principale e del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Ragusa hanno tratto in arresto in flagranza di reato tre persone, A.G. un 33enne pregiudicato, S.H. e S.A, due 24enni, uno dei quali irregolare nel territorio dello Stato, per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Nel tardo pomeriggio di ieri, 1° aprile, durante un servizio finalizzato alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia di stupefacenti, i militari operanti hanno eseguito una perquisizione all’interno di un’abitazione del centro storico, ove numerose segnalazioni nei giorni precedenti avevano indicato un cospicuo via vai di persone.

All’interno dell’abitazione i Carabinieri hanno rinvenuto complessivamente circa 3 kg di sostanze stupefacenti di ogni tipo, dalla cocaina all’hashish, dalla marijuana alle droghe sintetiche, sequestrando inoltre un bilancino, molto materiale atto al confezionamento, tre machete con lama lunga oltre 35cm e due pistole, una ad aria compressa ed una a salve, prive del tappo rosso.

I tre venivano pertanto tratti in arresto in flagranza di reato per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. Esperite le formalità di rito gli arrestati sono stati associati al carcere del capoluogo ibleo, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria. In virtù del principio di presunzione di innocenza, il grado di responsabilità degli odierni indagati dovrà essere vagliato in sede giurisdizionale, come legislativamente previsto.

Sgominata una rete di “armieri”. 9 arresti

 

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 – Reggio Calabria
Un’operazione imponente dell’Arma dei Carabinieri ha portato all’arresto di nove persone, tutti con precedenti per reati contro il patrimonio e la persona. Il blitz, che ha visto impiegati oltre 100 militari dell’Arma, si è concentrato nel quartiere di Arghillà.
Si precisa-informa il Comando Carabinieri- che il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari e che, per gli arrestati, vale il principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva, come previsto dalla normativa vigente.

L’indagine, condotta dalla Compagnia Carabinieri di Reggio Calabria tra novembre 2024 e marzo 2025 sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal dott. Giuseppe Lombardo, ha permesso di ricostruire l’intensa rete di traffico e detenzione di armi clandestine, evidenziando il ruolo di primo piano del gruppo criminale nell’approvvigionamento e nella distribuzione di armamenti illegali. Gli arrestati erano in grado di reperire e movimentare con estrema facilità un vasto arsenale, grazie a solidi legami con altre organizzazioni malavitose e a una fitta rete di complicità.

I militari dell’Arma hanno accertato come il gruppo avesse stabilito un sistema ben organizzato per il trasporto e la custodia delle armi, sfruttando abitazioni private, magazzini e persino edifici abbandonati. La logistica del sodalizio criminale era tale da consentire la rapida movimentazione degli armamenti, che venivano trasferiti da un luogo all’altro per eludere eventuali controlli delle forze dell’ordine. Inoltre, l’indagine ha rivelato come il traffico di armi fosse strettamente collegato ad altre attività illecite, tra cui estorsioni e regolamenti di conti.

L’inchiesta ha documentato diversi episodi di violenza: in più occasioni, colpi di arma da fuoco sono stati esplosi in luoghi pubblici, generando pericolo per la popolazione locale. Le armi venivano utilizzate per risolvere controversie tra gruppi rivali e per atti intimidatori, contribuendo a un clima di forte tensione nel quartiere.
Gli investigatori hanno accertato che il gruppo criminale disponeva di numerosi nascondigli, sfruttando garage, sottotetti e aree comuni per occultare il proprio arsenale e renderlo immediatamente disponibile all’occorrenza.
L’operazione aveva già condotto, nei mesi scorsi, al sequestro di decine di fucili e pistole, di diverso calibro e modello, tra cui armi di fabbricazione artigianale e modificate per aumentarne la potenza. Sono state inoltre recuperate migliaia di munizioni, comprese cartucce per armi automatiche e da guerra.
Il sequestro più allarmante ha riguardato il ritrovamento di panetti di tritolo con detonatori e componenti elettrici, materiale altamente pericoloso e pronto per essere utilizzato nella realizzazione di ordigni esplosivi telecomandati.
L’arsenale era ben conservato e costantemente rifornito, segno di una gestione meticolosa da parte dell’organizzazione criminale. 

Percepivano indebitamente contributi pubblici con attestazioni false- Truffa all’Ente Parco d’Aspromonte

 

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  – Reggio Calabria,
A seguito di una complessa attività di indagine partita nel 2023, coordinata dal Reparto Carabinieri del Parco Nazionale d’Aspromonte di Reggio Calabria, i militari del Nucleo Carabinieri Parco di Bagaladi hanno dato esecuzione ad una misura cautelare reale emessa dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di un uomo, legale rappresentante di un’associazione di volontariato ritenuta responsabile dell’indebita percezione di contributi ricevuti dall’Ente Parco d’Aspromonte e dall’Azienda Regionale “Calabria Verde” per le campagne antincendi boschivi degli anni 2020, 2021 e 2022.
I Forestali hanno ricostruito il modus operandi dell’associazione che percepiva indebitamente i suddetti contributi sia dall’Ente Parco che da “Calabria Verde”, attestando falsamente ad entrambi gli Enti l’esclusività dell’impegno assunto. Diversamente gli investigatori accertavano che l’associazione aveva stipulato due accordi operativi con tali Enti, aventi ad oggetto la medesima attività di prevenzione e spegnimento incendi boschivi, tramite l’impiego degli stessi mezzi e volontari.
Per tali evidenze, si è pertanto proceduto, in ossequio al disposto del GIP di Reggio Calabria, al sequestro preventivo delle somme disponibili su un conto corrente intestato all’associazione anzidetta, nonché di n. 2 autoveicoli e di un’autobotte, ugualmente intestati all’associazione, per una somma complessiva di circa € 15.000.
La presente indagine- informa il Comando – si colloca nel solco delle attività condotte dai Carabinieri forestali atte ad arginare e contrastare i fenomeni criminosi di varia natura, all’interno dell’Area Naturale Protetta Aspromontana. Quanto precede nel rispetto dei diritti dell’indagato, da ritenersi presunto innocente in considerazione dell’attuale fase del procedimento, fino ad un giudizio definitivo di colpevolezza con sentenza irrevocabile

 

Due ordinanze dei Giudici per le Indagini preliminari di Catania e Messina: arresti per 39 persone affiliate al Clan mafioso “Cappello- Cintorino”

 

 

 

 

 Catania – Messina – 

In data odierna, su delega delle DDA di Catania e Messina, i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e i Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina hanno dato esecuzione a due ordinanze, rispettivamente emesse dai Giudici per le Indagini Preliminari di Catania e Messina, con le quali sono state disposte misure cautelari personali nei confronti, complessivamente, di 39 persone, a vario titolo indiziate per associazione per delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori; associazione finalizzata al narcotraffico; numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti – reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale, poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan “CAPPELLO-CINTORINO”.
All’operazione- comunica il Comando – hanno preso parte oltre 260 tra Carabinieri e Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina, che si sono avvalsi del supporto di: militari dell’Arma dei Carabinieri, segnatamente dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia”, del Nucleo Cinofili e del 12° Nucleo Elicotteri di Catania; personale della Guardia di Finanza della Compagnia Pronto impiego Catania (“Baschi Verdi” e unità cinofile) e della Sezione Aerea di Manovra di Catania.

Le indagini hanno delineato, nel periodo corrente dal 2020, un quadro aggiornato degli equilibri criminali e della loro evoluzione nella fascia di territorio a cavallo tra le province di Catania e Messina, documentando l’influenza su quell’area del clan catanese “CAPPELLO” di Catania e l’attualità del sodalizio criminale di tipo mafioso, denominato clan “CINTORINO”, costituente articolazione locale della menzionata organizzazione catanese, con cui è risultato storicamente e stabilmente collegato e alleato, attivo in particolare tra Calatabiano (CT), Giardini Naxos (ME), Taormina (ME) e zone limitrofe.

Le due ordinanze sono il risultato della strettissima sinergia investigativa attuata dalle DDA di Catania e di Messina, sotto il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, nonché fra i Carabinieri e la Guardia di Finanza, finalizzata a contrastare più efficacemente le persistenti attività, anche di sfruttamento economico del territorio, proprie dei citati sodalizi nei territori “di confine” dei distretti di Catania e Messina.

In tale contesto, sarebbero state ricostruite molteplici vicende criminali che avrebbero confermato, come ricostruito sulla base di indizi ritenuti gravi, come gli indagati si adoperassero per il mantenimento in vita e il rafforzamento del sodalizio mafioso, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere una serie indeterminata di “reati fine”, tra cui, in particolare, quelli legati ad attività estorsive ed al traffico organizzato e spaccio di sostanze stupefacenti.

Nel dettaglio, le investigazioni delegate dalle DDA ai finanzieri dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria etneo – G.I.C.O. – anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e riscontro, acquisizione di dati e notizie tramite banche dati in uso alla G.d.F., avrebbero permesso di acquisire molteplici evidenze indiziarie fortemente sintomatiche della perpetua operatività del clan CINTORINO quali l’impegno mai scemato degli indagati per il mantenimento in carcere dei vertici storici del clan, il coinvolgimento in attività estorsive, il controllo del territorio, la disponibilità di armi da fuoco e il ricorso a figure apparentemente “pulite” e distanti per la loro custodia, l’uso delle armi nei confronti di altri soggetti, l’attitudine a dirimere controversie attraverso il richiamo alla potenza e alla capacità di intimidazione propria del clan mafioso, e ancora l’attitudine di un’esponente storico a continuare ad impartire direttive dal carcere attraverso apparecchi telefonici a lui clandestinamente procurati dai familiari e comunque da persone vicine ..

Nell’ambito delle indagini dirette dalla DDA di Catania sull’associazione mafiosa, a seguito del coordinamento tra gli Uffici requirenti, sono state valorizzate anche utili risultanze delle attività investigative condotte dai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina sotto la direzione della DDA peloritana.

Anche la Guardia di Finanza

La Guardia di Finanza etnea veniva, altresì, delegata dalle DDA ad individuare i soggetti di spicco della predetta associazione, destinatari poi del provvedimento custodiale, ricostruendone le vicende criminali nel periodo investigato.

In particolare, dalle stesse sarebbe risultato che SPINELLA Mariano avrebbe assunto il ruolo di promotore/reggente del clan CINTORINO, mentre PEDICONE Riccardo, braccio destro del boss PACE Mario del clan CAPPELLO, avrebbe rappresentato il referente per tale sodalizio mafioso etneo, affermandosi come organizzatore delle illecite attività sul versante ionico, circostanza questa ultima, specie per il territorio messinese, emersa chiaramente nella indagine condotta anche dai Carabinieri.

Per quanto concerne gli altri partecipi, alle figure storiche di SPINELLA Carmelo (fratello di Mariano) e RANERI Giuseppe, attualmente detenuti, si affiancherebbero soggetti emergenti, come GALASSO Alessandro, MAVILLA Diego, uomo di fiducia di PEDICONE, CINTORINO Christopher Filippo legato a vincoli di sangue con l’esponente di spicco da cui origina la denominazione del clan essendo nipote del boss Antonino. Quest’ultimo, avvalendosi dell’autorità derivante dai legami familiari, si sarebbe imposto sul territorio, primariamente nel settore degli stupefacenti.

I molteplici episodi osservati confermerebbero come il gruppo CINTORINO avrebbe attuato un ramificato controllo del territorio, anche attraverso una metodica attività estorsiva nel comprensorio di Calatabiano e nei comuni limitrofi della fascia ionica etnea e messinese a danno di operatori economici dell’edilizia, dei trasporti e di attività turistico-ricettive. Significativo riscontro della forza d’intimidazione territoriale del clan si desumerebbe inoltre dalle richieste di intervento rivolte al reggente del sodalizio SPINELLA Mariano, per dirimere controversie insorte tra sodali e tra questi ultimi e soggetti esterni all’organizzazione per le questioni più varie, da quelle di carattere economico a quelle sentimentali.

Nel settore degli stupefacenti, l’affiliato CINTORINO Christopher F., imparentato con il capo  storico del sodalizio CINTORINO Antonino avrebbe rivestito un ruolo di primo piano, dirigendo e gestendo un gruppo capace di assicurare in maniera stabile un mercato operativo a “ciclo continuo”, relativo a stupefacenti del tipo cocaina, hashish e marijuana, che avrebbe avuto un nucleo centrale costituito dal predetto sodale, con ruolo direttivo, e da altri tre partecipi GALASSO Alessandro, MOBILIA Carmelo e MURATORE Cinzia, che avrebbero – sulla base degli indizi raccolti –  il ruolo di organizzatori dediti alla contrattazione, al trasporto, al confezionamento e all’occultamento della sostanza stupefacente, affiancato da una rete di spacciatori, stabilmente collegata.

Le indagini tecniche delegate dalle DDA ai Finanzieri etnei avrebbero poi restituito gravi indizi in merito al fiorente business criminale del traffico di stupefacenti, nonostante le cautele adottate dagli indagati, volte a dissimulare l’attività realmente svolta per non attrarre le forze dell’ordine.

Non sarebbero stati rari i tentativi di dissimulare il reale oggetto della conversazione mediante riferimenti all’attività di allevamento canino o a una nota bevanda gassata per la cocaina e sarebbe stato inoltre appurato l’utilizzo di telefoni dedicati e applicazioni di messaggistica non intercettabili con le comuni tecniche, con il verosimile fine di eludere eventuali investigazioni.

Nel corso delle investigazioni delegate dalle DDA alle Fiamme Gialle del Nucleo PEF di Catania, sarebbero, inoltre, stati monitorati diversi episodi di approvvigionamento e di cessione di narcotico, che hanno portato complessivamente, nell’intero corso delle indagini, all’arresto in flagranza di 5 indagati ed al sequestro di circa 13 kg di cocaina, 55 di hashish e 72 di marijuana. Significativo è risultato il ritrovamento e sequestro di 71,5 kg di marijuana tipo SKUNK, quasi 1 kg di hashish e 3 etti di cocaina all’interno del cimitero di Giarre (CT), risultata una delle basi operative e di deposito del gruppo criminale.

Sarebbe stato inoltre accertato, sulla base degli indizi raccolti, come PEDICONE RICCARDO del clan “CAPPELLO” attivo a Giardini Naxos, in occasione delle consultazioni regionali del settembre 2022, si fosse adoperato per supportare la campagna elettorale di un candidato catanese per l’Assemblea Regionale Siciliana. Le risultanze investigative sulla ricerca del sostegno elettorale, seppur non abbiano consentito di configurare a livello di gravità indiziaria il patto idoneo ad integrare il reato di scambio elettorale politico mafioso di cui all’art 416-ter cp, avrebbero consentito, comunque, di acquisire ulteriori elementi indiziari in ordine al riconoscimento mafioso della citata figura di PEDICONE, in quanto sodale influente ed in grado di assicurare l’appoggio elettorale anche in occasione di elezioni di livello regionale.

Grazie alle investigazioni delegate dalle DDA all’Arma dei Carabinieri di Messina sarebbe stato evidenziato, a livello di gravità indiziaria, il ruolo di primo piano del menzionato PEDICONE RICCARDO del clan “CAPPELLO” che, a partire dal 2020, insieme ad altri soggetti ritenuti appartenenti alla stessa organizzazione mafiosa, tra cui SICALI Carmelo, avrebbe spostato nel territorio di Giardini Naxos una parte degli interessi illeciti del gruppo, avviando una fiorente attività nell’ambito del narcotraffico, avvalendosi dei propri canali di rifornimento della città etnea e operando nella commissione di estorsioni.

Proprio dalle intercettazioni delegate dalle DDA ai Carabinieri emergeva come dai vertici del clan “CAPPELLO” di Catania fosse stata imposta la presenza sul territorio di Giardini Naxos di PEDICONE Riccardo, il quale, secondo il linguaggio criptico utilizzato dagli indagati, avrebbe dovuto giocare in quel paese con i bambini, espressione quest’ultima intesa dagli investigatori, secondo una interpretazione condivisa dalle A.G., per indicare i sottoposti nell’ambito del gruppo criminale. Nel ragionare sulle dinamiche interne alla consorteria, gli indagati si sarebbero definiti tutti una cosa, espressione che rafforzava il vincolo associativo e modo per intendere l’unità dell’organizzazione criminale, in un contesto in cui ciascuno poteva contare sul sostegno degli altri sodali anche nel caso in cui qualcuno cascava in galera.

Sarebbe poi emerso che PEDICONE Riccardo, ritenuto sulla base del quadro indiziario acquisito capo dell’organizzazione, nel corso dell’indagine, si fosse trasferito dalla città etnea a Giardini Naxos per organizzare meglio gli affari illeciti e si sarebbe avvalso principalmente di soggetti del posto, al fine di gestire lo smercio di sostanze stupefacenti e le richieste estorsive, esercitando il proprio ascendente, derivante dalla sua appartenenza al clan catanese e agendo con tipiche modalità mafiose, spesso con azioni violente.

Le indagini delegate dalle DDA e condotte dai Carabinieri hanno inoltre documentato l’esistenza e l’operatività, in maniera quasi monopolistica a Giardini Naxos e nelle zone limitrofe, di due distinti gruppi criminali attivi nel narcotraffico, con assetti che avrebbero visto quale medesimo capo il citato PEDICONE Riccardo gravemente indiziato di essere legato al clan “CAPPELLO”, il quale avrebbe operato sul territorio con piena autonomia decisionale.

 

 

Le attività investigative sul traffico di stupefacenti sono state avviate nel febbraio 2020, a seguito di una rapina con l’utilizzo di armi ai danni di una sala giochi di Giardini Naxos, dalle cui prime risultanze, tramite il monitoraggio dei soggetti individuati come indiziati, sarebbero emersi indizi relativi ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti.

In particolare, i due gruppi criminali, con un vertice definito e ruoli suddivisi tra fornitori, corrieri, vedette, gestori delle basi operative e della “cassa”, avrebbero smerciato nel territorio jonico della provincia messinese cocaina, marijuana e hashish, avvalendosi di basi logistiche individuate dapprima in un’officina meccanica e poi in un bar di Giardini Naxos. Lo stupefacente sarebbe stato trasportato a Giardini Naxos dai componenti dei sodalizi, riforniti dal clan “CAPPELLO”, a cui sarebbero stati destinati i proventi dello smercio, vuoi a conferma dell’affermazione del dominio economico e criminale dell’associazione mafiosa sul territorio, che per le necessità di mantenimento economico dei propri esponenti detenuti.

Nel corso delle indagini, sarebbero state inoltre documentate intimidazioni e violenti pestaggi che sarebbero stati messi in atto dagli associati, su ordine di PEDICONE Riccardo, quale capo dei sodalizi nei confronti di pusher, anche intranei ai gruppi, che avevano trattenuto per loro il narcotico, o erano insolventi o ritardavano la consegna delle somme ricavate dallo smercio dello stupefacente.

La struttura dei sodalizi dalle indagini svolte sarebbe risultata definita e caratterizzata da assetti e ruoli che variavano nel corso del tempo, al punto che lo stesso capo promotore dei gruppi sarebbe stato temporaneamente sostituito al vertice dell’organizzazione da altro soggetto, CRIMI Matteo Fortunato Mario, a seguito di un periodo di convalescenza dovuto a un conflitto a fuoco, avvenuto a Catania, in cui era stato ferito.

Nell’ambito dell’attività investigativa delegata dalle DDA ai Carabinieri, sono già state arrestate in flagranza di reato 17 persone, con il sequestro complessivamente di più di 11 kg. di stupefacente, tra marijuana, hashish e cocaina.

L’altro filone investigativo focalizzato sull’area di Taormina, delegato al G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di finanza di Messina, ha consentito di acquisire gravi indizi in ordine all’attività estorsiva posta in essere nei comuni della fascia ionica della provincia di Messina e nelle zone limitrofe dal già menzionato esponente mafioso, PEDICONE Riccardo, per il clan “CAPPELLO”, nonché da referenti dell’articolazione dei “CINTORINO” e del sodalizio mafioso “BRUNETTO-SANTAPAOLA”, in prosecuzione di pregressi accordi spartitori dei proventi estorsivi che sarebbero stati stabiliti anni indietro.

Si è trattato di un’attività investigativa che si pone in continuità con le indagini già condotte dai Finanzieri etnei sotto la direzione della DDA catanese, nell’ambito dell’operazione cd “Isola Bella” nei confronti dell’articolazione “CINTORINO” del clan “CAPPELLO”, per atti estorsivi perpetrati (sino al settembre del 2017) nel settore della gestione di escursioni turistiche nel tratto di mare antistante l’Isola Bella di Taormina e sfociate nell’emissione di misure cautelari personali e reali il 10.06.2019, con successive sentenze di condanna di primo e secondo grado. Le odierne indagini delegate al GICO della Guardia di Finanza di Messina hanno attualizzato le situazioni cristallizzate nel procedimento “Isola Bella”, mettendo in primo piano il ruolo del referente del clan “CAPPELLO”, PEDICONE RICCARDO, cognato di un esponente arrestato nella precedente indagine e protagonista con altri sodali di plurimi episodi di estorsione aggravata.

Le suddette indagini hanno consentito di acquisire gravi indizi in ordine ad una serie di estorsioni, aggravate dalle modalità mafiose, compiute nei comuni della fascia ionica della provincia di Messina, in danno di privati ed imprenditori locali e, soprattutto, di imprese impegnate nel settore delle “Escursioni Turistiche”, svolte con barche da diporto nel tratto di mare antistante la spiaggia di Isola bella di Taormina, col precipuo scopo di agevolare l’associazione mafiosa e, al contempo, di finanziare l’assistenza di soggetti affiliati detenuti in carcere.

Per vincere eventuali resistenze degli estorti, i sodali avrebbero impiegato ogni strumento di persuasione psicologica e minacce (usavano diverse espressioni gergali arrivando anche ad esercitare la violenza fisica nei riguardi un imprenditore che si voleva opporre alle pretese ed apponendo, in un caso, una bottiglia con liquido infiammabile ed accendino sulla porta di un esercizio commerciale. In una particolare circostanza, RANERI Giuseppe avrebbe persino tentato di sfondare la porta di ingresso dell’abitazione di una vittima, in orario notturno, lanciando poi oggetti contundenti contro la finestra della casa per indurre la vittima ad uscire di casa e cedere ai soprusi.

Gli elementi raccolti avrebbero così dimostrato che, dopo una preliminare fase di spartizioni delle aree di influenza, attuata tramite diversi comportamenti estorsivi, una delle compagini, dopo aver cacciato altri affermati imprenditori dalla zona più esclusiva nel settore delle escursioni turistiche e sbaragliato la concorrenza, è riuscita finanche a diventare impresa, gestendo, direttamente, il lauto guadagno generato dall’enorme flusso di turisti che, ogni anno, da marzo a ottobre, visitano una delle spiagge più belle al mondo.

Nelle due ordinanze, i G.I.P. di Messina e Catania si sono riservati di valutare, a seguito di interrogatorio preventivo, l’adozione delle misure cautelari nei confronti, rispettivamente, di ulteriori 13 indagati.

Quanto sopra, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito, nonché tenuto conto dell’interesse pubblico ad una chiara esposizione dei fatti, sia pure nel doveroso riserbo di ulteriori elementi in ragione della attuale fase delle indagini preliminari. Con la precisazione che il procedimento è, allo stato, nella fase delle indagini preliminari, nella quale i soggetti indagati  sono da presumersi innocenti fino alla sentenza irrevocabile che ne accerti le responsabilità con la puntualizzazione che l’eventuale giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti le difese davanti al giudice terzo ed imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di responsabilità in capo agli stessi indagati.

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Scicli, arrestato papà di un bimbo di 4 anni per averlo picchiato brutalmente provocandogli diverse fratture

 

 

Scicli (Ragusa)

Un uomo è stato arrestato a Scicli (Ragusa) con l’accusa di aver brutalmente picchiato il proprio figlioletto di appena quattro anni, procurandogli la frattura di un braccio e di una gamba. Il piccolo è giunto nell’ospedale di Modica grazie all’intervento dei sanitari del 118, che hanno subito compreso la gravità della situazione e hanno allertato le forze dell’ordine.

I sanitari, constatando le lesioni compatibili con i maltrattamenti, hanno segnalato il caso ai carabinieri che hanno immediatamente avviato le indagini per chiarire l’origine delle fratture. L’episodio, che risale al 4 febbraio scorso, è stato reso noto solo oggi. L’uomo sarebbe stato arrestato nella sua casa di Scicli mentre il bambino è stato ricoverato in pediatria. La madre del piccolo avrebbe coperto il compagno con l’affermazione che il bimbo era caduto dal letto. Contraddetta però dalle osservazioni dei medici che avevano dichiarato che “le ferite riportate dal piccolo non fossero accidentali”:

Attenzione ai SMS: alcuni svuotano il conto corrente

 

personaggio del film noir - mafia foto e immagini stock

 

Napoli,

Siamo nel cuore dello storico rione Sanità e i carabinieri della stazione Napoli Stella sono pronti per il blitz.

Nel vicolo coperto dai ciottoli c’è un immobile diroccato. La struttura è disabitata ma su quel terrazzo i carabinieri hanno notato nei giorni scorsi un via vai sospetto di giovani. Si potrebbe pensare a un traffico di droga ma l’irruzione permette di individuare dei locali allestiti come una vera e propria centrale operativa per le truffe online. Un portatile e cinque smartphone vengono sequestrati e quel che appare a prima vista roba di poco conto nasconde in realtà ben altro.

Il pc – attraverso applicativi web – è collegato direttamente agli smartphone che sfornano migliaia di link fraudolenti per poi inviare centinaia e centinaia di SMS. “Gentile cliente, la sua carta è in fase di blocco, per evitare la sospensione, aggiorna i dati. Accedi”. Questo uno dei messaggi che arriva all’ignara vittima, portata a cliccare su quello che sembra essere il link al sito del proprio istituito di credito. Accade anche che l’SMS si inserisca maliziosamente nella cronologia dei messaggi realmente già ricevuti dal proprio istituto di credito.

Fa tutto parte della truffa e la vittima, inseriti i dati personali nei campi obbligatori del sito esca, finisce per essere raggirata. Dai primi accertamenti i carabinieri riescono a documentare cinque truffe già consumate per un importo complessivo di 10mila euro e a sventarne tre. Le perquisizioni permettono di sequestrare anche 44 sim “vergini”. Un 27enne è stato denunciato ma le indagini dei carabinieri proseguono per ricostruire la complessa vicenda.

Palermo, Carabinieri arrestano palermitano, 44 enne,con l’accusa di sparare contro una casa

 

 

fianco sinistro della pistola lock g48 - Armi Magazine

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 Palermo – Carini (PA),
La sicurezza dei cittadini e il contrasto alla criminalità rappresentano da sempre uno degli obiettivi primari dell’Arma dei Carabinieri, impegnata quotidianamente nella prevenzione e repressione di ogni forma di reato. In quest’ottica, i Carabinieri della Stazione di Monreale, supportati dal Nucleo Operativo e Radiomobile di Carini, hanno arrestato un palermitano, 44enne, già noto alle forze dell’ordine con l’accusa di detenzione e porto illegale di arma da fuoco e munizioni, nonché minaccia aggravata.
In particolare, il 44enne, a bordo di un’autovettura guidata da una persona non ancora identificata, si è recato a Carini, presso l’abitazione della sorella e, una volta arrivato innanzi allo stabile di quest’ultima ha richiamato l’attenzione della donna, che è uscita dall’appartamento insieme ai due figli di 18 e 3 anni. Dopo aver chiesto di poter parlare con il marito della sorella, in quel momento assente in casa, l’indagato ha quindi estratto una pistola a tamburo e ha esploso 5 colpi, 2 dei quali ad altezza uomo, che hanno colpito la finestra del bagno al piano terra e la facciata anteriore della casa. Subito dopo, l’uomo si è allontanato in tutta fretta risalendo a bordo della vettura.
I Carabinieri della Compagnia di Carini, sono intervenuti immediatamente ed hanno effettuato i primi rilievi, recuperando le due ogive che avevano colpito l’abitazione. L’attività d’indagine ha coinvolto anche i militari della Stazione di Monreale, ai quali sono state fornite indicazioni utili per l’identificazione e la ricerca del sospettato, che verosimilmente si era allontanato in direzione di Monreale. Grazie a questa tempestiva collaborazione tra le Stazioni di Carini, Monreale, Villagrazia di Carini e il N.O.R.M. della Compagnia di Carini, si è attivata un’intensa attività info-investigativa che ha permesso di rintracciare il 44enne all’interno di un’attività di ristorazione di street food a Monreale
La perquisizione personale e veicolare ha portato al rinvenimento dell’arma con matricola abrasa utilizzata per la sparatoria ed occultata sotto il sedile lato guidatore, nonché di circa 4100 euro in contanti. Successivamente, i militari della Stazione di Monreale, insieme al Nucleo Cinofili di Palermo-Villagrazia, hanno esteso l’attività di ricerca all’appartamento dell’uomo dove, grazie al fiuto del cane Vera, addestrato alla ricerca di armi e munizioni, sono state rinvenute cartucce di vario calibro, illegalmente detenute e occultate nella camera da letto dell’indagato. L’arrestato è stato tradotto presso la Casa Circondariale Pagliarelli di Palermo, in attesa dell’udienza di convalida, come disposto dall’Autorità Giudiziaria.
È obbligo rilevare- informano gli investigatori – che l’odierno indagato è, allo stato, solamente indiziato di delitto, seppur gravemente, e che la sua posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza
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Armi da guerra sigillate e cocaina nascoste sottoterra a Gioia Tauro in una zona difficile da scoprire

Immagine fot.screenshot da video ufficio stampa Carabinieri –

 

I Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, in collaborazione con lo Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria, hanno scoperto un ingente arsenale ed un carico di cocaina, trovati nascosti con estrema cura nel terreno di un’azienda agricola della Piana di Gioia Tauro. L’operazione, coordinata dalla Procura di Palmi diretta da Emanuele Crescenti, ha inflitto un duro colpo alla criminalità organizzata..
Durante le operazioni di perquisizione, i Carabinieri hanno scoperto oltre venti armi da fuoco, tra cui fucili M4 e AK-47, oltre a pistole di vario calibro e circa duemila munizioni. Le armi erano nascoste in bidoni metallici sigillati e sotterrati a più di due metri di profondità, dimostrando la sofisticazione del sistema di occultamento. L’operazione di recupero ha richiesto un’escavatrice per raggiungere i contenitori, posizionati in una zona appositamente scelta difficile da scoprire ed arrivarci.
Oltre all’arsenale, i militari hanno rinvenuto sei panetti di cocaina per un peso complessivo di circa 6 chilogrammi. La droga, che sul mercato nero avrebbe potuto fruttare circa mezzo milione di euro, era occultata con lo stesso livello di attenzione e precisione riservato alle armi. Il sequestro, sottolineano gli inquirenti, ha bloccato un importante flusso di sostanze stupefacenti destinato a finanziare attività illecite nella zona, rafforzando ulteriormente l’impatto dell’operazione contro la criminalità organizzata.
L’individuazione delle armi e della droga si è rivelata particolarmente complessa: i bidoni erano nascosti in una zona impervia, tra fitta vegetazione e canneti, scelta accuratamente per scoraggiare eventuali ricerche. Il proprietario dell’azienda agricola è stato denunciato, per la sua presunta implicazione nel traffico di armi e droga. Gli inquirenti stanno ora lavorando per ricostruire le modalità con cui il materiale è stato occultato e per verificare eventuali collegamenti con organizzazioni criminali attive nel territorio.

Operazione dei Carabinieri contro le truffe ad anziani – Smantellata organizzazione criminale in tutto il territorio nazionale- Le vittime contattate da sedicenti marescialli

 

personaggio del film noir - mafia foto e immagini stock

 

 

Territorio nazionale
Nelle prime ore di questa mattina, a Napoli ed hinterland, Torino e Caserta, i Carabinieri del Comando Provinciale di Genova hanno proceduto ad eseguire un’ordinanza di custodia cautelare (fatta salva la presunzione di innocenza), emessa dal Tribunale di Genova, nei confronti di 29 soggetti, tutti originari del napoletano, per associazione per delinquere finalizzata alle truffe in danno di anziani, di cui 21 in carcere, 5 in detenzione domiciliare e 3 obblighi di presentazione alla P.G..
L’esecuzione di tali misure relative all’indagine denominata “2 OTTOBRE”, in onore della “Festa dei Nonni” ed in considerazione dell’età avanzata delle vittime, è stata effettuata da oltre 150 Carabinieri dei Comandi Provinciali di Genova, Napoli, Torino e Caserta.
Le complesse indagini del Reparto Operativo – Nucleo Investigativo del capoluogo ligure, coordinate dalla Procura della Repubblica genovese, hanno permesso di individuare un sodalizio criminale capeggiato da una coppia con precedenti di polizia anche specifici, strutturato in batterie operative diverse, che operavano su tutto il territorio nazionale, i cui componenti si incontravano e si aiutavano vicendevolmente.
Con riferimento al provvedimento coercitivo, sono state contestati agli indagati complessivamente 54 episodi di truffe pluriaggravate (45 consumate, 9 tentate) perpetrate sull’intero territorio nazionale nel periodo aprile 2022 – marzo 2024, per un conseguito profitto illecito complessivo superiore a 700.000 euro;
Sono state arrestare, nel corso dell’indagine, 20 persone e denunciate 4 per il reato di truffa e tentata truffa aggravata,
Sono stati sventati 13 episodi delittuosi;
E’ stato recuperato il profitto di alcune truffe (denaro e monili in oro) per un valore di circa 90.000 euro.
Il modus operandi segue sempre lo stesso schema: le vittime vengono contattate telefonicamente da sedicenti Marescialli dei carabinieri o avvocati che riferiscono che un prossimo congiunto dell’anziano (generalmente figlio o nipote) ha provocato un incidente stradale in cui è rimasta gravemente ferita la controparte. Per aumentare la pressione psicologica, i truffatori riferiscono alla vittima che, per evitare l’arresto del parente, è necessario pagare immediatamente una cauzione per risarcire il ferito. Acquisita l’intenzione di aiutare il parente in grave difficoltà, il truffatore spinge la vittima a mettere a disposizione il denaro e i gioielli presenti in casa. Il falso Maresciallo/avvocato comunica al truffato che entro un breve lasso di tempo una persona (finto carabiniere o assistente dell’avvocato) l’avrebbe raggiunta nella propria abitazione per ritirare il denaro/preziosi. Il telefonista, fino a quando il “corriere” non avrà ritirato il denaro, continua ininterrottamente a intrattenere al telefono la vittima, rimarcando la gravità dei fatti e il poco tempo disponibile per risolvere la situazione. In questo modo riesce ad avere un controllo totale del truffato dal punto di vista psicologico e delle azioni da lui compiute, evitando così che la vittima possa avere contatti telefonici con amici e/o parenti che, se informati della situazione, potrebbero fare sfumare il ritiro della refurtiva e informare i veri Carabinieri.
La coppia, attraverso i suoi sodali, organizzava nei dettagli le modalità per la realizzazione delle truffe, predisponendo le diverse fasi (logistica, di supporto ed esecutiva): installazione in alcune abitazioni ed in B&B di veri e propri call center da cui effettuare le chiamate, reclutamento dei c.d. “telefonisti” e dei “trasfertisti”, mezzi con i quali raggiungere la zona da colpire e le abitazioni delle vittime, modalità di soggiorno.
Decisa la zona da colpire, individuavano B&B dove far soggiornare i “trasfertisti”, che partivano da Napoli già nel pomeriggio/sera della domenica per poi rimanere fuori città generalmente fino al sabato.
I Carabinieri hanno verificato che, per gli spostamenti, oltre a treni e taxi, i trasfertisti hanno spesso utilizzato autovetture prese a noleggio da agenzie compiacenti dislocate nel napoletano. Il collegamento tra i “telefonisti” che chiamano da Napoli ed i “trasfertisti” avviene attraverso telefoni cellulari dedicati di vecchia generazione, con utenze intestate a cittadini extracomunitari irreperibili, oppure utilizzando smartphone in abbinamento ad utenze intestate a “teste di legno”, comunicando solo mediante social network e chat varie.

La truffa iniziava con “chiamate filtro”, ovvero telefonate di brevissima durata ad utenze fisse della località, che i promotori decidevano di prendere di mira per quella giornata. Tali telefonate, effettuate solitamente da due membri dell’organizzazione, avevano l’unico scopo di individuare preventivamente le utenze in uso ad anziani o quelle ancora attive tra le innumerevoli utenze a disposizione. Queste telefonate sono di brevissima durata, il tempo necessario al truffatore per capire se la voce appartenga ad una persona anziana. Fatta questa scrematura tra le innumerevoli utenze prese come bersaglio, viene valutato se sia opportuno proseguire nell’esecuzione della truffa, dando il numero ad uno dei due promotori che gestiscono la fase successiva fingendosi Maresciallo dei Carabinieri ed Avvocato. Un ulteriore complice fa da connettore tra i “telefonisti” ed il “trasfertista” che già si trova nelle città/paesi scelti quali obiettivi.

I promotori ed i propri sodali usavano, per definire il proprio gruppo strutturato, termini come “squadra”, “paranza” (in gergo criminale afferente un gruppo criminale) o “banda”, i cui capi venivano chiamati rispettivamente “la boss” e “o’ Mast” (il capo).