Sanremo, Roberto Saviano e Zorro

Saviano a Sanremo per parlare di Falcone e Borsellino, è polemica: "Ma cosa  c'entra lui?"

Sanremo 2022: grandi e leggendari cantanti, Gianni Morandi, Massimo Ranieri, per citarne solo alcuni ma Amadeus, in questa edizione,  ha voluto introdurre elementi di attualità, tributare omaggio  ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel trentesimo anniversario del loro assassinio.

Chiama a Sanremo lo scrittore Roberto Saviano- «Sono passati 30 anni dagli attentati dei giudici Falcone e Borsellino – dice lo scrittore – stasera siamo qui a ricordare, parola che viene dal latino recordare che significa rimettere nel cuore, perché per gli antichi era il cuore la sede della memoria. Ricordando Falcone e Borsellino non stiamo semplicemente provando nostalgia ma li stiamo riportando in vita».
«Per tutti noi Falcone e Borsellino sono simboli di coraggio, il coraggio è sempre una scelta tra prendere posizione e lasciar perdere che non significa rimanere neutrali, ma essere complici. “Ogni volta che la società civile e la politica non si occupano di mafia creano un silenzio che finisce per favorire le mafie e ostacolare chi le contrasta”.
La storia di Falcone e Borsellino “è quella di chi sceglie pur sapendo di rischiare», continua Saviano ricordando gli altri morti in quella guerra di mafia: Rocco Chinnici, Cesare Terranova, Pietro Scaglione, Antonino Saetta, Gaetano Costa, Ciaccio Montalto, Alberto Giacomelli, Rosario Livatino.

Sanremo 2022 | Drusilla Zorro | Michele Bravi in rosso | voti ai look della  terza serata
Tema della Giustizia con Saviano e Amedeus rispolvera Zorro ,giustiziere, con Drusilla nella terza sera di Sanremo

 

Saviano  si è pure soffermato sul problema della  “delegittimazione: il miglior alleato del silenzio, un modo per creare diffidenza tra chi era dalla loro parte”. Si arrivò a dire che «la borsa con i candelotti di dinamite all’Addaura Falcone se l’era messa da solo per fare carriera».

 

Roberto Saviano racconta Rita Atria, il monologo sulla strage di Capaci a  Sanremo 2022
Rita Atria nella foto

 

Infine ha ricordato elementi di cronaca poco conosciuti al grande pubblico come la giovane collaboratrice di giustizia Rita Atria, appena 17enne, che si tolse la vita 7 giorni dopo la morte di Paolo Borsellino.

 

Memoria della strage di Via D’Amelio: Mattarella ricorda l’impegno comune per sradicare mafie

 

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«L’attentato di via D’Amelio, ventinove anni or sono, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità. Paolo Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine e la coerenza di uomo delle Istituzioni. Con lui morirono gli agenti della scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale.
Paolo Borsellino, e come lui Giovanni Falcone, sapevano bene che la lotta alla mafia richiede una forte collaborazione tra Istituzioni e società. Per questo si sono spesi con ogni energia. Da magistrati hanno espresso altissime qualità professionali. Hanno intrapreso strade nuove, più efficaci, nelle indagini e nei processi. Hanno testimoniato, da uomini dello Stato, come le mafie possono essere sconfitte, hanno dimostrato che la loro organizzazione, i loro piani possono essere svelati e che i loro capi e i loro sicari possono essere assicurati alla giustizia.
Per questo sono stati uccisi. Non si sono mai rassegnati e si sono battuti per la dignità della nostra vita civile. Sono stati e saranno sempre un esempio per i cittadini e per i giovani. Tanti importanti risultati nella lotta alle mafie si sono ottenuti negli anni grazie al lavoro di Borsellino e Falcone.
La Repubblica è vicina ai familiari di Borsellino e ai familiari dei servitori dello Stato, la cui vita è stata crudelmente spezzata per colpire le libertà di tutti. Onorare quei sacrifici, promuovendo la legalità e la civiltà, è un dovere morale che avvertiamo nelle nostre coscienze».

 

Mattarella: “La Mafia prospera nell’ombra,i giovani i primi a comprendere il sacrificio di Falcone e Borsellino”

 

Progetto “La nave della legalità”, nel 28° anniversario della strage di Capaci

Mattarella a Bergamo, cittadini e commercianti invitati ad esporre ...

Roma

«A ventotto anni dalla strage di Capaci invio un saluto caloroso a tutti i giovani delle scuole coinvolti nel progetto “La nave della legalità”, che ricorda Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E, con loro, Francesca Morvillo e gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Rocco Dicillo, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Claudio Traina.

I due attentati di quel 1992- spiega Mattarella – segnarono il punto più alto della sfida della mafia nei confronti dello Stato e colpirono magistrati di grande prestigio e professionalità che, con coraggio e con determinazione, le avevano inferto durissimi colpi, svelandone organizzazione, legami, attività illecite.

I mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo: quel che avrebbe provocato nella società. Nella loro mentalità criminale, non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi, oltre la loro morte: diffondendosi, trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste.

La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino, come di tanti altri servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e di legalità.

I giovani – ricorda il Capo dello Stato -sono stati tra i primi a comprendere il senso del sacrificio di Falcone e di Borsellino, e ne sono divenuti i depositari, in qualche modo anche gli eredi.

Dal 1992, anno dopo anno, nuove generazioni di giovani si avvicinano a queste figure esemplari e si appassionano alla loro opera e alla dedizione alla giustizia che hanno manifestato.

Cari ragazzi, il significato della vostra partecipazione, in questa giornata, è il passaggio a voi del loro testimone.

Siate fieri del loro esempio e ricordatelo sempre».

 

 

ANTONIO DI PIETRO: “COLLABORAI CON FALCONE E BORSELLINO PER IL CONTROLLO APPALTI IN SICILIA”

 “MANI PULITE”  SI BLOCCO’ PERCHE’ I POLITICI MI AVEVANO DELEGITTIMATO E IO MI DIMISI PER DIFENDERMI”

 

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Antonio Di Pietro, il famoso pm di “Mani Pulite” sentito come teste dalla difesa del generale Mario Mori in merito  all’inchiesta Tangentopoli nel 1992 per i “collegamenti tra affari e politica” rispolvera le polveri di un tempo ed afferma:Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i Cct che gli girò Cirino Pomicino”.. “I soldi di Gardini finirono anche a Salvo Lima”. All’epoca Di Pietro aveva avuto anche dei rapporti di collaborazione con i giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. “Il primo che mi disse ‘dobbiamo fare presto, dobbiamo chiudere il cerchio’ fu Paolo Borsellino”, spiega  Di Pietro sul processo della Trattativa tra Stato e Mafia.

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“L’elemento predominante del collegamento Nord-Sud o affari e mafia, l’ho avuto quando ho avuto il riscontro della destinazione della tangente Enimont da 150 miliardi di lire – dice Di Pietro – e il mio impegno allora era di trovare chi erano i destinatari, perché avevamo trovato la gallina dalle uova d’oro, la cosa che avevamo davanti era la necessitò di trovare i destinatari”. E spiega: Lima incassò tramite Cct. Non potemmo sapere molto perché nel marzo 1992 Lima venne ucciso a Palermo e Gardini si uccise“. “Ma si trattava di vedere chi quella parte di tangente di provvista di 150 miliardi di lire li aveva incassati e abbiamo trovato che 5,2 miliardi li aveva incassati Cirino Pomicino, e fu Cirino Pomicino che diede i Cct a Salvo Lima”.

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“Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio Di Falcone, l’inchiesta ‘Mani pulite’ si allargò e assunse una rilevanza nazionale – dice ancora Antonio Di Pietro nel corso della deposizione rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio -. Io mi confrontai con Giovanni Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”. Di Pietro parlò anche con Paolo Borsellino “degli stessi argomenti”. “Man mano che si sviluppava l’indagine era più opportuno andare a cercare dove si formava la provvista”.

Il suicidio di Raul Gardini, rivela ancora Di Pietro “è il dramma che mi porto dentro…“. Nel luglio del 1993 “l’avvocato di Raul Gardini, che all’epoca era latitante, mi assicurò che il suo cliente si sarebbe consegnato. Io volevo sapere che fine avessero fatto i soldi della maxi tangente Enimont. Ma la notte prima dell’interrogatorio l’imprenditore Gardini tornò nella sua abitazione, che tenevamo sotto controllo. La polizia giudiziaria mi chiese se doveva scattare l’arresto. E io dissi di aspettare”, racconta Di Pietro. Ma la mattina dopo l’imprenditore si uccise con un colpo di pistola. “E’ il dramma che mi porto dentro…”, dice Di Pietro con un filo di voce. Per poi aggiungere: “Ma questo che c’azzecca con la trattativa?…”.

Poi la denuncia dell’ex pm: “L’inchiesta ‘Mani pulite’ è stata fermata quando è arrivata allo stesso punto del rapporto tra mafia e appalti. Sono stato fermato da una delegittimazione gravissima portata avanti in modo abnorme”.

Nei miei confronti sono stati svolti una serie di dossieraggi portati avanti da personaggi su ordine di alcuni politici che hanno portato alle mie dimissioni – dice Di Pietro rispondendo alle domande dell’avvocato Basilio Milio – Da lì a poco sarebbe arrivata non solo una grossa indagine nei miei confronti ma anche una richiesta di arresti e io mi dimisi per potermi difendere. Sono stato prosciolto e ho detto che chi ha indagato su di me non poteva indagare, cioè Fabio Salamone che io denunciai al Csm”.

Il GIUDICE BORSELLINO AVEVA RICHIESTO ANCHE UN SEMPLICE COMPUTER E SOLO DOPO TANTO TEMPO ARRIVO’

LOTTARE DA SOLI CONTRO IL SISTEMA E CIRCONDATO DALLA MAFIA

Il giudice Paolo Borsellino, nell’audizione davanti alla Commissione antimafia desecretata, denunciò di essere senza scorta il pomeriggio e la sera . Sono oltre 1.600 i documenti per la prima volta riordinati in un unico sito, materiali e atti dal 1963 al 2001 de-secretati che diverranno accessibili a tutti.

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“Nonostante la mattina con strombazzamenti il magistrato viene accompagnato in auto, poi il pomeriggio non lo può più fare” dice ancora Borsellino. E davanti al deputato che gli parla di “libertà” di andare con la propria auto replica: “La mia libertà la riacquisto, ma poi sono libero di essere ucciso la sera…”.

– E ancora: “Il computer è finalmente arrivato, purtroppo non sarà operativo se non fra qualche tempo. E’ stato messo in un camerino e stiamo aspettando” dice nell’audizione inedita davanti alla Commissione antimafia il giudice Paolo Borsellino. “E’ un computer della Honeywell ed è diventato indispensabile perché la mole dei dati contenuti anche in un solo processo è tale che non è più possibile usare i sistemi tradizionali delle rubrichette”.

 – In una seduta dalla Commissione nazionale antimafia, prima di essere ucciso, Paolo Borsellino denunciò A Palazzo San Macuto la “gravità dei problemi, soprattutto di natura pratica, che dobbiamo affrontare tutti i giorni”, “sottolineando soprattutto che, con il fenomeno della gestione dei processi di mole incredibile, perché un solo processo è composto da centinaia di volumi e riempie intere stanze, è diventato indispensabile l’uso di attrezzature più moderne di queste rubriche e degli appunti”.

 – Il boss poi pentito Tommaso Buscetta, mentre era latitante, incontrava i capimafia in via Ruggero Settimo a Palermo, strada centralissima del ‘salotto’ della città, in pieno giorno. A raccontarlo alla Commissione nazionale antimafia prima di essere ucciso era stato Paolo Borsellino: a Marsala, dove il giudice lavorava, non c’era una volante “che potesse assicurare l’intero arco delle 24 ore”, raccontava Borsellino. “E siccome ricordavo che Buscetta mi aveva detto che gli era stato presentato il capomafia di Bagheria mentre passeggiava in via Ruggero Settimo e io gli chiesi come faceva a passeggiare e lui mi rispose: “Nel nostro ambiente si sapeva che tra le 14 e 16 c’era la ‘smonta’ delle volanti e noi latitanti ci facevamo la passeggiata”.

A Marsala, quando il Procuratore era Paolo Borsellino, mancava una volante; così il magistrato poi ucciso da cosa nostra fece la proposta di dimezzarsi la scorta: “E così facemmo la volante” raccontava lo stesso Borsellino durante l’audizione davanti alla Commissione antimafia. “Io ero molto stanco e volevo andare e dissi di dimezzarmi la scorta e solo così avemmo la volante”.

– “Il fratello di Riina Salvatore abita a Mazara del Vallo da circa 20 anni e, per una certa situazione riguardante le forze di Polizia, pur sapendo che si recava ogni settimana a Corleone, non era mai stato fatto un pedinamento“. Lo racconta il giudice nell’audizione in Antimafia del 12 maggio 1987. Marsala “sospetto, con la mia esperienza e con quello che posso capire, sia una specie di santuario delle organizzazioni criminali mafiose di Palermo”.

– Il mio ufficio “rimanendo identico sia nei magistrati che nei funzionari che nella cancelleria visto che non è arrivata una sola persona in più, ufficio che si occupava di un flusso annuale di 4mila processi, ha visto ora aumentare tale flusso a 30mila processi l’anno ai quali si sono aggiunti i 60mila processi che gli sono stati scaricati dalle preture del circondario in quanto, non essendo stati incardinati con il vecchio rito, sono stati assegnati alla procura della Repubblica affinché li tratti con il nuovo rito. Attualmente nel mio ufficio giacciono circa 100mila processi”. Lo afferma Paolo Borsellino sentito in commissione parlamentare Antimafia a Trapani nell’89, dove parlava anche dell’impatto del nuovo codice di procedura penale sulle condizioni strutturali degli uffici giudiziari impegnati sul versante della lotta alla criminalità organizzata. Nell’audio, reso accessibile dalla Commissione Antimafia, Borsellino sottolinea: “Io comunque non mi arrendo”, spiegava Borsellino dicendo di aver detto all’allora ministro Vassalli “che non alzerò le braccia. Certo bisognerà vedere quale sarà la resistenza fisica mia e dei miei colleghi”.

 – “A Mazara del Vallo operò per un certo periodo una società dal nome tipicamente massonico, la società “Stella d’Oriente”, il cui factotum era Pino Mandalari, certamente massone, amministratore dei beni di Riina, Provenzano, Bagarella… dei Corleonesi”. Racconta così Borsellino e a Violante che gli chiede se ci fossero magistrati nella loggia, Borsellino rispende: “Non credo: quello che ho sentito è che qualche magistrato frequentasse il circolo, non però che fosse aderente alla loggia”.

– “Con riferimento al mio circondario devo dire che provvedimenti giudiziari, e io devo attenermi a procedimenti giudiziari perché sono giudice e non sociologo, che denotino queste commistioni, connivenze e contiguità tra mafia e politica non vanno oltre qualche indizio di reato che recentemente ha anche toccato dei consiglieri comunali con i provvedimenti che ho emesso nel marzo di quest’anno” dice Borsellino. “Dovunque abbiamo indagato, al di sopra della cupola mafiosa, non abbiamo mai trovato niente – sottolinea ancora – Da tante indagini viene fuori invece la contiguità e i reciproci favori, e senza andare lontano basti vedere il caso Ciancimino e il caso Salvo, e tutto ciò di cui parla uno degli ultimi pentiti, il Marsala, in riferimento all’attività delle organizzazioni mafiose a livello elettorale che permetteva quantomeno di rendere favori elettorali, probabilmente con la speranza di averli resi in altro modo”.

– “Non sono uso fare dichiarazioni sui processi in corso, semmai le faccio dopo. Anzi, al riguardo, vorrei dire che sono stato, insieme ai miei sostituti e collaboratori gravemente minacciato mentre si stavano svolgendo le indagini sul processo per Pantelleria”. Il giudice in una delle audizioni in Antimafia desecretate oggi, in cui poi racconta: E’ arrivata una lettera contenente un proiettile che diceva che altri due erano per il maresciallo Canali, altri tre per il mio sostituto Di Gloria e altri cinque per il sottoscritto e i suoi cari: pertanto la persona che scriveva era perfettamente a conoscenza della composizione dei nuclei familiari mio, del maresciallo e del sostituto”.

 – Gli audio pubblicati on line sono stati desecretati, insieme ad atti e documenti dei lavori della stessa Commissione Antimafia, che ha deciso all’unanimità di desecretare tutto il materiale.

Il presidente Nicola Morra ha illustrato il nuovo sito istituzionale che, anche grazie a un motore di ricerca, permetterà a chiunque di consultare i documenti. “Questo è un segnale di ulteriore democratizzazione del Paese” .

BATTAGLIA NELLE PROCURE SICILIANE: INDAGATI DUE EX PM TRA CUI IL PROCURATORE PETRALIA PER DEPISTAGGIO SULLA STRAGE DI VIA D’AMELIO

Nella foto il Procuratore Carmelo Petralia

 A distanza di 27 anni dall’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, la Procura di Messina ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di calunnia aggravata, almeno due magistrati che indagarono sulle stragi del 1992. I loro nomi sono Annamaria Palma, Avvocato generale dello Stato, e Carmelo Petralia, Procuratore aggiunto di Catania.

I  magistrati coinvolti secondo la Procura di Messina e Maurizio De Lucia che coordina le clamorose indagini, , in concorso con i tre poliziotti sotto processo a Caltanissetta, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, “avrebbero depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio. Un depistaggio che i giudici della sentenza del processo Borsellino quater definirono “clamoroso”. Ai magistrati è stato notificato dalla Procura di Messina, che indaga per il coinvolgimento di un noto magistrato in servizio a Catania,”che si occupa di mafia”,  un avviso di accertamenti tecnici irripetibili notificato anche alle parti lese, cioè Giuseppe La Mattina , Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso, Natale Gambino, ingiustamente accusati nei primi processi.

Nello scorso novembre la Procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato, aveva trasmesso un fascicolo scottante alla Procura di Messina per l’accertamento delle responsabilità dei magistrati. Così la Procura di Messina ha aperto in un primo tempo un fascicolo di atti relativi, una sorta di attività pre-investigativa sfociata adesso in una inchiesta per calunnia aggravata in concorso per due magistrati, che si afferma nell’ambiente giudiziario, il cui numero comunque potrebbe salire

Nel documento inviato dai pm di Caltanissetta a Messina si parla della  sentenza del processo Borsellino quater. Nelle motivazioni della sentenza i giudici della Corte d’assise parlavano di depistaggio delle indagini sull’attentato al magistrato. Depistaggio su cui i pm di Caltanissetta hanno indagato e poi incriminato tre poliziotti del pool che indagò sull’eccidio, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Ma nella sentenza si denunciavano anche gravi omissioni nel coordinamento dell’indagine, costata la condanna all’ergastolo di otto innocenti, coordinamento che spettava ai pm dell’epoca.uno dei quali Carmelo Petralia salito alla carica ora di Procuratore della Repubblica aggiunto.

Preferisco non parlare di indagini ancora in corso…” ha detto pubblicamente alla stampa  Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice Paolo Borsellino. La donna, che ha partecipato a numerose udienze del processo sul depistaggio sulle indagini sulla strage del 19 luglio 1992, dove si è costituita parte civile, più volte ha lamentato il comportamento dei magistrati che indagarono sull’attentato. “Mio padre è stato lasciato solo, sia da vivo che da morto. C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage – ha sempre ripetuto Fiammetta – hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”.

Gli accertamenti tecnici irripetibili disposti dalla Procura di Messina che indaga sul depistaggio dell’indagine sulla strage di via D’Amelio e che ha iscritto nel registro degli indagati gli ex pm Palma e Petralia, vertono sulle “ le cassette con le intercettazioni delle conversazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino registrate durante il periodo in cui quest’ultimo era sottoposto al programma di protezione. Secondo l’accusa il pentito, che proprio nelle scorse udienza, è stato ascoltato nel processo a carico dei tre poliziotti, sarebbe stato indotto, dal pool di poliziotti che indagava sull’attentato a mentire sulla strage incolpando persone innocenti “.

Si tratta di 19 microcassette, cioè supporti magnetici contenenti registrazioni prodotte con vecchie strumentazioni dell’epoca contenenti le parole di Scarantino. Proprio per questo motivo si farà il prossimo 19 giugno un “accertamento tecnico non ripetibile” al Racis di Roma.

Fino a ieri il Procuratore aggiunto Carmelo Petralia aveva aperto un procedimento penale sulla trasmissione “Realiti” per le espressioni giudicate “offensive” sui giudici Falcone e Borsellino. Un modo per distrarre l’opinione pubblica? O una tecnica per consacrarsi pubblicamente giudice “antimafia”.    Sarebbe interessante sentire anche il magistrato catanese. Nelle prossime ore vedremo.