Due ordinanze dei Giudici per le Indagini preliminari di Catania e Messina: arresti per 39 persone affiliate al Clan mafioso “Cappello- Cintorino”

 

 

 

 

 Catania – Messina – 

In data odierna, su delega delle DDA di Catania e Messina, i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina e i Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina hanno dato esecuzione a due ordinanze, rispettivamente emesse dai Giudici per le Indagini Preliminari di Catania e Messina, con le quali sono state disposte misure cautelari personali nei confronti, complessivamente, di 39 persone, a vario titolo indiziate per associazione per delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori; associazione finalizzata al narcotraffico; numerosi episodi di spaccio di stupefacenti, estorsione, rapina, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti – reati aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale, poiché commessi con metodo mafioso o con il fine di agevolare il clan “CAPPELLO-CINTORINO”.
All’operazione- comunica il Comando – hanno preso parte oltre 260 tra Carabinieri e Finanzieri dei Comandi Provinciali di Catania e Messina, che si sono avvalsi del supporto di: militari dell’Arma dei Carabinieri, segnatamente dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Sicilia”, del Nucleo Cinofili e del 12° Nucleo Elicotteri di Catania; personale della Guardia di Finanza della Compagnia Pronto impiego Catania (“Baschi Verdi” e unità cinofile) e della Sezione Aerea di Manovra di Catania.

Le indagini hanno delineato, nel periodo corrente dal 2020, un quadro aggiornato degli equilibri criminali e della loro evoluzione nella fascia di territorio a cavallo tra le province di Catania e Messina, documentando l’influenza su quell’area del clan catanese “CAPPELLO” di Catania e l’attualità del sodalizio criminale di tipo mafioso, denominato clan “CINTORINO”, costituente articolazione locale della menzionata organizzazione catanese, con cui è risultato storicamente e stabilmente collegato e alleato, attivo in particolare tra Calatabiano (CT), Giardini Naxos (ME), Taormina (ME) e zone limitrofe.

Le due ordinanze sono il risultato della strettissima sinergia investigativa attuata dalle DDA di Catania e di Messina, sotto il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, nonché fra i Carabinieri e la Guardia di Finanza, finalizzata a contrastare più efficacemente le persistenti attività, anche di sfruttamento economico del territorio, proprie dei citati sodalizi nei territori “di confine” dei distretti di Catania e Messina.

In tale contesto, sarebbero state ricostruite molteplici vicende criminali che avrebbero confermato, come ricostruito sulla base di indizi ritenuti gravi, come gli indagati si adoperassero per il mantenimento in vita e il rafforzamento del sodalizio mafioso, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere una serie indeterminata di “reati fine”, tra cui, in particolare, quelli legati ad attività estorsive ed al traffico organizzato e spaccio di sostanze stupefacenti.

Nel dettaglio, le investigazioni delegate dalle DDA ai finanzieri dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria etneo – G.I.C.O. – anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e riscontro, acquisizione di dati e notizie tramite banche dati in uso alla G.d.F., avrebbero permesso di acquisire molteplici evidenze indiziarie fortemente sintomatiche della perpetua operatività del clan CINTORINO quali l’impegno mai scemato degli indagati per il mantenimento in carcere dei vertici storici del clan, il coinvolgimento in attività estorsive, il controllo del territorio, la disponibilità di armi da fuoco e il ricorso a figure apparentemente “pulite” e distanti per la loro custodia, l’uso delle armi nei confronti di altri soggetti, l’attitudine a dirimere controversie attraverso il richiamo alla potenza e alla capacità di intimidazione propria del clan mafioso, e ancora l’attitudine di un’esponente storico a continuare ad impartire direttive dal carcere attraverso apparecchi telefonici a lui clandestinamente procurati dai familiari e comunque da persone vicine ..

Nell’ambito delle indagini dirette dalla DDA di Catania sull’associazione mafiosa, a seguito del coordinamento tra gli Uffici requirenti, sono state valorizzate anche utili risultanze delle attività investigative condotte dai Carabinieri del Comando Provinciale di Messina sotto la direzione della DDA peloritana.

Anche la Guardia di Finanza

La Guardia di Finanza etnea veniva, altresì, delegata dalle DDA ad individuare i soggetti di spicco della predetta associazione, destinatari poi del provvedimento custodiale, ricostruendone le vicende criminali nel periodo investigato.

In particolare, dalle stesse sarebbe risultato che SPINELLA Mariano avrebbe assunto il ruolo di promotore/reggente del clan CINTORINO, mentre PEDICONE Riccardo, braccio destro del boss PACE Mario del clan CAPPELLO, avrebbe rappresentato il referente per tale sodalizio mafioso etneo, affermandosi come organizzatore delle illecite attività sul versante ionico, circostanza questa ultima, specie per il territorio messinese, emersa chiaramente nella indagine condotta anche dai Carabinieri.

Per quanto concerne gli altri partecipi, alle figure storiche di SPINELLA Carmelo (fratello di Mariano) e RANERI Giuseppe, attualmente detenuti, si affiancherebbero soggetti emergenti, come GALASSO Alessandro, MAVILLA Diego, uomo di fiducia di PEDICONE, CINTORINO Christopher Filippo legato a vincoli di sangue con l’esponente di spicco da cui origina la denominazione del clan essendo nipote del boss Antonino. Quest’ultimo, avvalendosi dell’autorità derivante dai legami familiari, si sarebbe imposto sul territorio, primariamente nel settore degli stupefacenti.

I molteplici episodi osservati confermerebbero come il gruppo CINTORINO avrebbe attuato un ramificato controllo del territorio, anche attraverso una metodica attività estorsiva nel comprensorio di Calatabiano e nei comuni limitrofi della fascia ionica etnea e messinese a danno di operatori economici dell’edilizia, dei trasporti e di attività turistico-ricettive. Significativo riscontro della forza d’intimidazione territoriale del clan si desumerebbe inoltre dalle richieste di intervento rivolte al reggente del sodalizio SPINELLA Mariano, per dirimere controversie insorte tra sodali e tra questi ultimi e soggetti esterni all’organizzazione per le questioni più varie, da quelle di carattere economico a quelle sentimentali.

Nel settore degli stupefacenti, l’affiliato CINTORINO Christopher F., imparentato con il capo  storico del sodalizio CINTORINO Antonino avrebbe rivestito un ruolo di primo piano, dirigendo e gestendo un gruppo capace di assicurare in maniera stabile un mercato operativo a “ciclo continuo”, relativo a stupefacenti del tipo cocaina, hashish e marijuana, che avrebbe avuto un nucleo centrale costituito dal predetto sodale, con ruolo direttivo, e da altri tre partecipi GALASSO Alessandro, MOBILIA Carmelo e MURATORE Cinzia, che avrebbero – sulla base degli indizi raccolti –  il ruolo di organizzatori dediti alla contrattazione, al trasporto, al confezionamento e all’occultamento della sostanza stupefacente, affiancato da una rete di spacciatori, stabilmente collegata.

Le indagini tecniche delegate dalle DDA ai Finanzieri etnei avrebbero poi restituito gravi indizi in merito al fiorente business criminale del traffico di stupefacenti, nonostante le cautele adottate dagli indagati, volte a dissimulare l’attività realmente svolta per non attrarre le forze dell’ordine.

Non sarebbero stati rari i tentativi di dissimulare il reale oggetto della conversazione mediante riferimenti all’attività di allevamento canino o a una nota bevanda gassata per la cocaina e sarebbe stato inoltre appurato l’utilizzo di telefoni dedicati e applicazioni di messaggistica non intercettabili con le comuni tecniche, con il verosimile fine di eludere eventuali investigazioni.

Nel corso delle investigazioni delegate dalle DDA alle Fiamme Gialle del Nucleo PEF di Catania, sarebbero, inoltre, stati monitorati diversi episodi di approvvigionamento e di cessione di narcotico, che hanno portato complessivamente, nell’intero corso delle indagini, all’arresto in flagranza di 5 indagati ed al sequestro di circa 13 kg di cocaina, 55 di hashish e 72 di marijuana. Significativo è risultato il ritrovamento e sequestro di 71,5 kg di marijuana tipo SKUNK, quasi 1 kg di hashish e 3 etti di cocaina all’interno del cimitero di Giarre (CT), risultata una delle basi operative e di deposito del gruppo criminale.

Sarebbe stato inoltre accertato, sulla base degli indizi raccolti, come PEDICONE RICCARDO del clan “CAPPELLO” attivo a Giardini Naxos, in occasione delle consultazioni regionali del settembre 2022, si fosse adoperato per supportare la campagna elettorale di un candidato catanese per l’Assemblea Regionale Siciliana. Le risultanze investigative sulla ricerca del sostegno elettorale, seppur non abbiano consentito di configurare a livello di gravità indiziaria il patto idoneo ad integrare il reato di scambio elettorale politico mafioso di cui all’art 416-ter cp, avrebbero consentito, comunque, di acquisire ulteriori elementi indiziari in ordine al riconoscimento mafioso della citata figura di PEDICONE, in quanto sodale influente ed in grado di assicurare l’appoggio elettorale anche in occasione di elezioni di livello regionale.

Grazie alle investigazioni delegate dalle DDA all’Arma dei Carabinieri di Messina sarebbe stato evidenziato, a livello di gravità indiziaria, il ruolo di primo piano del menzionato PEDICONE RICCARDO del clan “CAPPELLO” che, a partire dal 2020, insieme ad altri soggetti ritenuti appartenenti alla stessa organizzazione mafiosa, tra cui SICALI Carmelo, avrebbe spostato nel territorio di Giardini Naxos una parte degli interessi illeciti del gruppo, avviando una fiorente attività nell’ambito del narcotraffico, avvalendosi dei propri canali di rifornimento della città etnea e operando nella commissione di estorsioni.

Proprio dalle intercettazioni delegate dalle DDA ai Carabinieri emergeva come dai vertici del clan “CAPPELLO” di Catania fosse stata imposta la presenza sul territorio di Giardini Naxos di PEDICONE Riccardo, il quale, secondo il linguaggio criptico utilizzato dagli indagati, avrebbe dovuto giocare in quel paese con i bambini, espressione quest’ultima intesa dagli investigatori, secondo una interpretazione condivisa dalle A.G., per indicare i sottoposti nell’ambito del gruppo criminale. Nel ragionare sulle dinamiche interne alla consorteria, gli indagati si sarebbero definiti tutti una cosa, espressione che rafforzava il vincolo associativo e modo per intendere l’unità dell’organizzazione criminale, in un contesto in cui ciascuno poteva contare sul sostegno degli altri sodali anche nel caso in cui qualcuno cascava in galera.

Sarebbe poi emerso che PEDICONE Riccardo, ritenuto sulla base del quadro indiziario acquisito capo dell’organizzazione, nel corso dell’indagine, si fosse trasferito dalla città etnea a Giardini Naxos per organizzare meglio gli affari illeciti e si sarebbe avvalso principalmente di soggetti del posto, al fine di gestire lo smercio di sostanze stupefacenti e le richieste estorsive, esercitando il proprio ascendente, derivante dalla sua appartenenza al clan catanese e agendo con tipiche modalità mafiose, spesso con azioni violente.

Le indagini delegate dalle DDA e condotte dai Carabinieri hanno inoltre documentato l’esistenza e l’operatività, in maniera quasi monopolistica a Giardini Naxos e nelle zone limitrofe, di due distinti gruppi criminali attivi nel narcotraffico, con assetti che avrebbero visto quale medesimo capo il citato PEDICONE Riccardo gravemente indiziato di essere legato al clan “CAPPELLO”, il quale avrebbe operato sul territorio con piena autonomia decisionale.

 

 

Le attività investigative sul traffico di stupefacenti sono state avviate nel febbraio 2020, a seguito di una rapina con l’utilizzo di armi ai danni di una sala giochi di Giardini Naxos, dalle cui prime risultanze, tramite il monitoraggio dei soggetti individuati come indiziati, sarebbero emersi indizi relativi ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti.

In particolare, i due gruppi criminali, con un vertice definito e ruoli suddivisi tra fornitori, corrieri, vedette, gestori delle basi operative e della “cassa”, avrebbero smerciato nel territorio jonico della provincia messinese cocaina, marijuana e hashish, avvalendosi di basi logistiche individuate dapprima in un’officina meccanica e poi in un bar di Giardini Naxos. Lo stupefacente sarebbe stato trasportato a Giardini Naxos dai componenti dei sodalizi, riforniti dal clan “CAPPELLO”, a cui sarebbero stati destinati i proventi dello smercio, vuoi a conferma dell’affermazione del dominio economico e criminale dell’associazione mafiosa sul territorio, che per le necessità di mantenimento economico dei propri esponenti detenuti.

Nel corso delle indagini, sarebbero state inoltre documentate intimidazioni e violenti pestaggi che sarebbero stati messi in atto dagli associati, su ordine di PEDICONE Riccardo, quale capo dei sodalizi nei confronti di pusher, anche intranei ai gruppi, che avevano trattenuto per loro il narcotico, o erano insolventi o ritardavano la consegna delle somme ricavate dallo smercio dello stupefacente.

La struttura dei sodalizi dalle indagini svolte sarebbe risultata definita e caratterizzata da assetti e ruoli che variavano nel corso del tempo, al punto che lo stesso capo promotore dei gruppi sarebbe stato temporaneamente sostituito al vertice dell’organizzazione da altro soggetto, CRIMI Matteo Fortunato Mario, a seguito di un periodo di convalescenza dovuto a un conflitto a fuoco, avvenuto a Catania, in cui era stato ferito.

Nell’ambito dell’attività investigativa delegata dalle DDA ai Carabinieri, sono già state arrestate in flagranza di reato 17 persone, con il sequestro complessivamente di più di 11 kg. di stupefacente, tra marijuana, hashish e cocaina.

L’altro filone investigativo focalizzato sull’area di Taormina, delegato al G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di finanza di Messina, ha consentito di acquisire gravi indizi in ordine all’attività estorsiva posta in essere nei comuni della fascia ionica della provincia di Messina e nelle zone limitrofe dal già menzionato esponente mafioso, PEDICONE Riccardo, per il clan “CAPPELLO”, nonché da referenti dell’articolazione dei “CINTORINO” e del sodalizio mafioso “BRUNETTO-SANTAPAOLA”, in prosecuzione di pregressi accordi spartitori dei proventi estorsivi che sarebbero stati stabiliti anni indietro.

Si è trattato di un’attività investigativa che si pone in continuità con le indagini già condotte dai Finanzieri etnei sotto la direzione della DDA catanese, nell’ambito dell’operazione cd “Isola Bella” nei confronti dell’articolazione “CINTORINO” del clan “CAPPELLO”, per atti estorsivi perpetrati (sino al settembre del 2017) nel settore della gestione di escursioni turistiche nel tratto di mare antistante l’Isola Bella di Taormina e sfociate nell’emissione di misure cautelari personali e reali il 10.06.2019, con successive sentenze di condanna di primo e secondo grado. Le odierne indagini delegate al GICO della Guardia di Finanza di Messina hanno attualizzato le situazioni cristallizzate nel procedimento “Isola Bella”, mettendo in primo piano il ruolo del referente del clan “CAPPELLO”, PEDICONE RICCARDO, cognato di un esponente arrestato nella precedente indagine e protagonista con altri sodali di plurimi episodi di estorsione aggravata.

Le suddette indagini hanno consentito di acquisire gravi indizi in ordine ad una serie di estorsioni, aggravate dalle modalità mafiose, compiute nei comuni della fascia ionica della provincia di Messina, in danno di privati ed imprenditori locali e, soprattutto, di imprese impegnate nel settore delle “Escursioni Turistiche”, svolte con barche da diporto nel tratto di mare antistante la spiaggia di Isola bella di Taormina, col precipuo scopo di agevolare l’associazione mafiosa e, al contempo, di finanziare l’assistenza di soggetti affiliati detenuti in carcere.

Per vincere eventuali resistenze degli estorti, i sodali avrebbero impiegato ogni strumento di persuasione psicologica e minacce (usavano diverse espressioni gergali arrivando anche ad esercitare la violenza fisica nei riguardi un imprenditore che si voleva opporre alle pretese ed apponendo, in un caso, una bottiglia con liquido infiammabile ed accendino sulla porta di un esercizio commerciale. In una particolare circostanza, RANERI Giuseppe avrebbe persino tentato di sfondare la porta di ingresso dell’abitazione di una vittima, in orario notturno, lanciando poi oggetti contundenti contro la finestra della casa per indurre la vittima ad uscire di casa e cedere ai soprusi.

Gli elementi raccolti avrebbero così dimostrato che, dopo una preliminare fase di spartizioni delle aree di influenza, attuata tramite diversi comportamenti estorsivi, una delle compagini, dopo aver cacciato altri affermati imprenditori dalla zona più esclusiva nel settore delle escursioni turistiche e sbaragliato la concorrenza, è riuscita finanche a diventare impresa, gestendo, direttamente, il lauto guadagno generato dall’enorme flusso di turisti che, ogni anno, da marzo a ottobre, visitano una delle spiagge più belle al mondo.

Nelle due ordinanze, i G.I.P. di Messina e Catania si sono riservati di valutare, a seguito di interrogatorio preventivo, l’adozione delle misure cautelari nei confronti, rispettivamente, di ulteriori 13 indagati.

Quanto sopra, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito, nonché tenuto conto dell’interesse pubblico ad una chiara esposizione dei fatti, sia pure nel doveroso riserbo di ulteriori elementi in ragione della attuale fase delle indagini preliminari. Con la precisazione che il procedimento è, allo stato, nella fase delle indagini preliminari, nella quale i soggetti indagati  sono da presumersi innocenti fino alla sentenza irrevocabile che ne accerti le responsabilità con la puntualizzazione che l’eventuale giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti le difese davanti al giudice terzo ed imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di responsabilità in capo agli stessi indagati.

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Operazione “Saracena”. 18 misure cautelari nei confronti di famiglia mafiosa- Procura di Catania, ricostruite le attività illecite del clan Mazzei

 

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Catania,
Su disposizione di questa Procura Distrettuale della Repubblica, i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catania, nei confronti di 18 persone nei confronti delle quali, nell’attuale fase del procedimento e ferma restando la presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva, è stata ritenuta la sussistenza di gravi indizi di reato in ordine ai delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti questi ultimi tutti aggravati dal metodo mafioso e con finalità di agevolare il sodalizio mafioso in riferimento.
L’indagine, condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Randazzo e coordinata da questa Procura Distrettuale della Repubblica, si è sviluppata a partire dalla fin del 2020, permettendo di ricostruire le attività illecite di un’associazione mafiosa legata al clan “Mazzei” di Catania al cui vertice, sulla base degli indizi raccolti, risulterebbe esservi Montagno Bozzone Francesco. Il sodalizio criminale operava nei territori di Bronte, Maniace, Maletto e zone limitrofe, esercitando un controllo capillare sul territorio attraverso estorsioni, traffico di droga ed intimidazioni sistematiche.
Le investigazioni, nell’attuale fase procedimentale, avrebbero permesso di individuare i re ferenti del clan in Spitaleri Eugenio, che avrebbe assunto la direzione dell’organizzazione su Bronte e Maletto, e in Galati Rando Mario, detto “Balilla”, per il territorio di Maniace. Inoltre, risulterebbe documentata l’operatività di un’altra articolazione del clan Mazzei, il gruppo Lo Cicero, attivo tra Adrano e Bronte e diretto da Lo Cicero Cristian.
Le indagini hanno evidenziato come l’assenza dal territorio di Catania Salvatore, arrestato nel novembre 2020 unitamente a Montagno Bozzone Mario – condannato a nove anni di reclusione per un’estorsione ai danni dell’imprenditore e attuale sindaco di Maletto, Giuseppe Capizzi – avrebbe favorito l’ascesa nel sodalizio di Spitaleri Eugenio. Quest’ultimo avrebbe consolidato il proprio ruolo di vertice, intensificando in particolare le attività estorsive ai danni di imprenditori locali ed il traffico di sostanze stupefacenti, anche grazie alla collaborazione con Galati Rando Mario.
Le attività investigative hanno evidenziato a livello di gravità indiziaria come il gruppo criminale operasse con particolari cautele per eludere le indagini, utilizzando nomi in codice, evitando di specificare dettagli nei loro incontri e ricorrendo a telefoni occasionali e SIM intestate a soggetti estranei al sodalizio. Un ruolo fondamentale nei rapporti tra il duo Spitaleri-Galati Rando e il clan Lo Cicero sarebbe stato svolto da due soggetti di Bronte, mentre con compiti prettamente esecutivi avrebbero operato Bontempo Scavo Sebastiano,”, suo fratello Francesco, detto “Ciccio”, Barbagallo Giuseppe, Augusta Renato e Longhitano Biagio. Il gruppo sarebbe legato a Montagno Bozzone Francesco, per il tramite del figlio Montagno Bozzone Santino.
Il clan Lo Cicero, invece, vedeva inizialmente ai vertici i fratelli Agatino e Cristian Lo Cicero, fino alloro arresto nel gennaio 2022, quando la leadership sarebbe passata al fratello Lo Cicero Salvatore. Il gruppo operava con una rete di corrieri e spacciatori, incaricati di garantire la distribuzione della droga sul territorio.
Inoltre, le indagini hanno permesso di accertare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di un altro gruppo criminale, attivo principalmente a Maniace che sarebbe diretto da Conti Taguali Carmelo, detto “Carbuni” con il cOll1pito di garantire i rifornimenti anche da Fiumefreddo di Sicilia. Il gruppo si sarebbe occupato del traffico di sostanze stupefacenti attraverso una rete di giovani spacciatori, inizialmente riforniti, come le indagini sembrerebbero evidenziare, da Galati Rando Mario e da suo figlio Sebastiano, poi collaborati da Parisi Gabriele.
Le investigazioni hanno anche evidenziato a livello di gravità indiziaria, episodi di intimidazione ai danni di giovani spacciatori, nonché estorsioni sistematiche a imprenditori del catanese ed un fiorente traffico di cocaina e marijuana.
Il controllo del territorio esercitato dal sodalizio sulla base delle indagini svolte, sembrerebbe capillare: in diversi episodi, dopo il passaggio delle Forze dell’Ordine, gli affiliati avrebbero chiesto ai residenti informazioni sui motivi della loro presenza, raccogliendo dettagli utili per la loro attività illecita. Le indagini avrebbero inoltre permesso di accertare quattro episodi di estorsione, commessi in particolare da Augusta Renato e Incognito Giuseppe nei confronti di imprenditori locali. Le richieste di denaro avvenivano con minacce esplicite e violenza verbale, accompagnate da riferimenti all’appartenenza al clan, con lo scopo di incutere timore e ottenere ingiusti profitti.
Nel corso delle indagini, a riscontro delle attività investigative, i Carabinieri hanno eseguito sette arresti in flagranza di reato e un deferimento in stato di libertà per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, oltre a segnalare alla Prefettura sette acquirenti. Inoltre, sono stati sequestrati 1 kg di marijuana, 200 grammi di cocaina e 3.500 euro in contanti, ritenuti provento dell’attività illecita.
Il quadro indiziario relativo alla natura mafiosa del sodalizio è stato documentato da specifiche vicende, quali, ad esempio, quella in cui Spitaleri Eugenio avrebbe imposto la propria “protezione” ad un’importante azienda attiva nel commercio delle fragole di Maletto, tentando di estendere tale imposizione ad altri imprenditori del settore attraverso richieste di percentuali sugli incassi.
Gli  elementi raccolti hanno consentito a questa Procura Distrettuale della Repubblica di richiedere ed ottenere dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catania l’emissione dell’odierno provvedimento cautelare nei confronti di 18 indagati, mentre per un ulteriore soggetto la misura sarà valutata dopo l’interrogatorio preventivo previsto dalla legge. Altri 15 indagati riceveranno la notifica dell’a\Tiso di conclusione delle indagini preliminari
A seguito dell’esecuzione della suddetta ordinanza, sarà avviato il contraddittorio procedimentale, nel quale gli indagati potranno fornire durante l’interrogatorio di garanzia la propria versione dei fatti e presentare eventuali prove a loro discolpa.

Il Gup di Palermo condanna a 11 anni Laura Bonafede, la maestra e compagna del Capoboss Messina Denaro

 

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La maestra Laura Bonafede, interdetta ora dai pubblici uffici

Per la donna del superboss Messina Denaro, si aprono le porte del carcere .Il Gup di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa Laura Bonafede, l’insegnante di Campobello di Mazara figlia dello storico padrino del paese, sentimentalmente legata al boss Matteo Messina Denaro. Alla maestra inizialmente era stato contestato il reato di favoreggiamento poi  rettificato in quello  di associazione mafiosa. Secondo la Procura la donna per anni ha convissuto assieme alla figlia con il capomafia allora ricercato, garantendone le comunicazioni con gli uomini d’onore e coprendo la sua latitanza. Il processo è stato celebrato col rito abbreviato.

Lei ha negato tutto: “Non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa – ha detto al giudice -, non ho mai convissuto con alcuno anche perché ho abitato con mia madre fino al 2021, si figuri se potevo dormire fuori casa, vai a trovare una giustificazione. Le volevo dire soltanto, le volevo chiedere di valutare la mia posizione per quella che è e mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare”.

La donna ha raccontato di aver conosciuto da bambina Messina Denaro e di aver ricevuto amicizia e attenzioni da lui, antico conoscente del padre, nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto e la condanna del marito, Salvatore Gentile, all’ergastolo per omicidio.

Mi aveva chiesto che voleva conoscere mia figlia, quella bambina che aveva conosciuto tanti anni prima, e io ho fatto questo errore, perché lo reputo adesso un errore, sono uscita con mia figlia non dicendole niente chiaramente, dove dovevamo andare – ha ricostruito la donna -. Ho lasciato la macchina in una strada di Campobello e poi sono salita nella sua assieme a Martina, le ho detto che lui era un amico del nonno, che era anche un amico di papà e che adesso si trovava in una situazione particolare perché lo volevano arrestare. Lui mi aveva chiesto di conoscerla, di rivederla, perché l’aveva vista in carcere quando era piccola. Ho raccontato questa bugia a mia figlia”.

Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima e mio padre (il boss Leonardo Bonafede ndr) parlava anche a casa dei suoi impegni, quindi sono cresciuta così, abbiamo frequentato anche persone dello stesso ambiente – ha detto ancora la Bonafede -, ma noi figli, e nemmeno mia madre, abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo e non abbiamo mai parte di nessuna associazione mafiosa, anche perché le donne, bambine e adulte, erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni e da certi contesti”..

Lei e il boss, ha ricostruita Bonafede, si sarebbero incontrati negli anni costantemente, ma non avrebbero mai vissuto insieme. “Nel gennaio del 2008, mentre io mi trovavo nella cartoleria Giorgi a Campobello – ha affermato – ho incontrato, per meglio dire Matteo Messina Denaro si è fatto riconoscere: io stavo salendo sulla mia auto e lui era sulla sua, mi ha fatto cenno di seguirlo e io l’ho fatto: l’ho seguito, poi siamo andati in un posto che era una strada un poco più isolata quindi mi ha fatto cenno di scendere e sono salita sulla mia macchina, a quel punto lì ci siamo… abbiamo parlato, era tanto tempo che non ci vedevamo, mi ha raccontato di sua figlia, insomma che aveva avuto una bambina, tante cose di famiglia, ci siamo dati appuntamento per febbraio”.

“….. Sono stata bene, abbiamo parlato, mi sono sentita anche un poco rassicurata, tipo mi sono sentita come appoggiata”.

Il Gup di Palermo ha anche dichiarato l’imputata interdetta dai pubblici uffici. Il giudice ha inoltre applicato alla donna la misura di sicurezza personale della libertà vigilata per tre anni, una volta scontata la pena. Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili.

Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall’imputata al ministero dell’Istruzione e alla presidenza della Regione. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il centro studi Pio Latorre, l’associazione antimafia Caponnetto, l’associazione antiracket di Trapani e l’associazione Codici Sicilia.

Quattro misure cautelari in carcere per associazione mafiosa e “controllo” delle “piazze di spaccio”

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Archivi -Sud Libertà

 Palermo –
Nella mattinata odierna i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo hanno dato esecuzione a 4 misure cautelari in carcere nei confronti di altrettante persone indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, estorsione, lesioni personali e porto abusivo di armi da fuoco.
Il provvedimento, emesso dall’ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, è frutto delle risultanze di una complessa attività d’indagine condotta dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Palermo tra il febbraio 2022 e dicembre 2023, che hanno riscontrato a pieno le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Le investigazioni che vanno a corroborare le risultanze emerse nell’attività che aveva portato alle misure cautelari eseguite nel luglio 2022 nell’ambito della cosiddetta – operazione “Vento”, hanno consentito di delineare gli assetti interni e le attività criminali del mandamento mafioso di Palermo – Porta Nuova, facendo emergere la pericolosità dei personaggi che per suo conto svolgono le attività criminali. Ai destinatari dell’odierno provvedimento viene contestato di aver preso parte a un’associazione che per conto della compagine mafiosa controllava le “piazze di spaccio”, ricorrendo sovente ad atti di violenza e d’intimidazione, anche con l’uso di armi imponendo a chi operava nel commercio al dettaglio, l’acquisto dello stupefacente (prevalentemente cocaina) ad un costo prestabilito (più alto del prezzo di mercato), nonché il pagamento di una somma sui ricavi delle vendite.
L’indole violenta degli indagati emerge in diverse circostanze, e tra queste rilevano un pestaggio commesso ai danni di un uomo nel quartiere Zisa, avvenuto in pieno giorno e a volto scoperto nonché le pesanti minacce esercitate nei confronti di alcuni pusher, sparando nell’occasione contro un muro un colpo di arma da fuoco a scopo intimidatorio, per imporre le regole del sodalizio mafioso in materia di traffico di stupefacenti.
Nel corso delle attività pertanto oltre ai significativi quantitativi di stupefacenti imposti sulle piazze di spaccio emergeva una costante presenza di armi. Durante le perquisizioni delegate dall’autorità giudiziaria, sono state arrestate altre due persone, una donna e un uomo, trovate in possesso di più di mezzo chilo tra hashish e cocaina oltre a un’ingente quantità di denaro in contante.
L’operazione di oggi è il frutto della costante azione di contrasto a cosa nostra, condotta dal Comando Provinciale di Palermo, in coordinazione con la Procura della Repubblica, attraverso l’incessante azione di controllo del territorio e la capillare presenza in città e in provincia. È obbligo rilevare che gli odierni indagati sono, allo stato, solamente indiziati di delitto, seppur gravemente, e che la loro posizione verrà vagliata dall’Autorità Giudiziaria nel corso dell’intero iter processuale e definita solo a seguito dell’eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio ai principi costituzionali di presunzione di innocenza.

Associazione di tipo mafioso ed estorsione: 10 persone arrestate in Sicilia

Bernardo Provenzano

Archivi -Sud Libertà

 – Caltanissetta,

Questa mattina il Nucleo Investigativo di Caltanissetta ha dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, emessa nel corso delle indagini preliminari dal G.I.P. di Caltanissetta su richiesta della locale D.D.A., nei confronti di 10 soggetti (tutti italiani, 1 dei quali allo stato risulta irreperibile e attivamente ricercato), indagati per il reato di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso e dalla disponibilità di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti in concorso.

L’indagine è stata avviata nel mese di ottobre 2022 al fine di poter monitorare i rapporti di frequentazione di Angelo Schillaci dopo la sua scarcerazione, avendo scontato la condanna per il reato di associazione mafiosa. Gli indagati, la maggior parte dei quali presunti appartenenti alla famiglia mafiosa di Campofranco, si  apprende – erano intenti    alla riorganizzazione del sodalizio criminale, con un particolare interesse al reperimento di armi e alla costituzione di una “cassa comune” attraverso i proventi illeciti delle estorsioni e dello spaccio di sostanze stupefacenti.

Accertati quattro tentativi di estorsione ai danni di alcune ditte impegnate in lavori di rifacimento di opere pubbliche nei comuni di Campofranco e Milena (anche attraverso il compimento di atti intimidatori) e di un operatore commerciale di Campofranco, nonché tre estorsioni consumate in danno di imprenditori ed operatori commerciali.

L’ATTUALE  STRUTTURA DEL SODALIZIO

Le indagini hanno permesso di delineare l’attuale struttura di tale sodalizio, di identificare l’attuale capo, e di accertare rapporti di collaborazione con soggetti di Milena e della provincia di Agrigento, funzionali al perseguimento del programma criminoso delineato immediatamente dopo la scarcerazione di Schillaci.

 

Trapani -Disvelato il contesto mafioso del superboss Matteo Messina Denaro, arresti per associazione mafiosa e favoreggiamento della latitanza

 

 Trapani,
Ieri- informa il Comando Carabinieri -il Ros, con il supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri di Trapani, Milano e Monza Brianza, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Palermo, su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, a carico degli indagati Gentile Massimo, Leone Cosimo e Gulotta Leonardo Salvatore.
L’attività, condotta nell’alveo delle investigazioni finalizzate a disvelare il contesto mafioso che ha permesso a Messina Denaro Matteo di sottrarsi alla cattura e ad esercitare il ruolo di capo mafia per circa 30 anni, hanno consentito di raccogliere elementi investigativi che conducono ad ipotizzare che:
a. Gentile Massimo faccia parte dell’associazione mafiosa cosa nostra e che abbia ceduto al fu capo della provincia mafiosa trapanese la propria identità al fine di fargli acquistare un’autovettura e un motociclo, sottoscrivere le relative polizze assicurative, compiere operazioni bancarie ed eludere i controlli delle forze dell’ordine, assicurandogli in tal modo la possibilità di muoversi in stato di latitanza sul territorio e di continuare a dirigere detto sodalizio;
b. Leone Cosimo, al pari di Gentile, faccia parte della medesima associazione mafiosa e che in particolare:
– abbia assicurato al sodalizio le proprie competenze tecnico mediche, relazioni personali e possibilità di movimento all’interno di strutture sanitarie, nella qualità di tecnico sanitario di radiologia medica presso l’ospedale di Mazara del Vallo, ove tra l’altro Messina Denaro Matteo è stato ricoverato, da latitante, dopo l’insorgenza della malattia oncologica;
– abbia consegnato a Messina Denaro Matteo, durante la degenza post-operatoria e dopo averlo ricevuto da Bonafede Andrea cl. 69, un telefono cellulare con una scheda telefonica riservata;
– sia stato, anche per il tramite di Bonafede Andrea cl. 69, un punto di riferimento per il latitante in ordine al percorso terapeutico, iniziato presso l’ospedale di Mazara del Vallo e proseguito poi con la visita oncologica presso l’ospedale di trapani;
c. Gulotta Leonardo salvatore abbia concorso, senza prendervi parte, nell’associazione mafiosa cosa nostra, assicurando a Messina Denaro Matteo dal 2007 al 2017 la disponibilità di un’utenza telefonica necessaria per la gestione dei mezzi di trasporto in uso al fu latitante. L’operazione costituisce la prosecuzione dell’indagine che il 16 gennaio 2023 ha permesso al Ros di catturare a Palermo l’allora latitante Messina Denaro Matteo e di trarre in arresto:
– nella flagranza di reato, il suo accompagnatore Luppino Giovanni Salvatore per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 23 gennaio 2023 Andrea Bonafede cl. 63 per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 7 febbraio 2023 il medico Tumbarello Alfonso e Bonafede Andrea cl. 69, ritenuti responsabili il primo di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico commesso da P.U. aggravato e il secondo di procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 3 marzo 2023 Messina Denaro Rosalia, sorella di Messina Denaro Matteo, per partecipazione ad associazione mafiosa;
– il 16 marzo 2023 i coniugi Bonafede Emanuele e Lanceri Lorena Ninfa per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 aprile 2023 Bonafede Laura per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose;
– il 05 dicembre 2023 Gentile Martina, figlia di Bonafede laura, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose;
– il 13 febbraio 2024 dei fratelli Luppino Antonino e Vincenzo, figli di Giovanni Salvatore, per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dalle modalità mafiose. sono attualmente in corso delle perquisizioni nella provincia di trapani e in Lombardia.

Mafia, truffe all’Ue: i Carabinieri mettono in ginocchio il Clan dei Nebrodi dedito al percepimento fraudolento dei contributi europei

Auto dei carabinieri - Fotogramma

Archivi -Sud Libertà

 

Il clan dei Nebrodi è in ginocchio. Oggi, 6 febbraio, nell’ambito di una vasta operazione contro l’associazione mafiosa di Tortorici (Messina), operativa nell’area dei Nebrodi, 37 persone sono state arrestate con l’accusa, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione dedita alla coltivazione, acquisto, detenzione, cessione e al commercio al minuto di sostanza stupefacente di vario tipo, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in concorso, riciclaggio e autoriciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, malversazioni di erogazioni pubbliche, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e tentata violenza privata.

Le indagini e gli elementi raccolti dagli investigatori hanno posto in luce ancora una volta l’operatività della famiglia mafiosa tortoriciana nelle sue articolazioni dei Bontempo Scavo e dei Batanesi e il forte interesse dell’organizzazione al percepimento fraudolento di ingenti contributi erogati dalla Comunità Europea attraverso la commissione di un elevatissimo numero di truffe.

 

Mafia, Palermo: altra mazzata dei Carabinieri, arrestati 12 soggetti affiliati al Clan di Porta Nuova

Detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti | Cosa fare

 

PALERMO,

Altra mazzata dei Carabinieri  al mandamento di Porta Nuova a Palermo, storico clan di Cosa nostra. Dopo appena dieci 
giorni i  militari  hanno dato seguito all’operazione Vento che aveva portato al fermo di 18 presunti esponenti della famiglia mafiosa.

Un’ordinanza firmata dal gip di Palermo è stata già notificata nei confronti di altri 12 presunti affiliati. Le indagini sono state coordinate dalla Dda  da quando le tensioni erano salite con l’omicidio di Emanuele Burgio, avvenuto a Palermo il 31 maggio del 2021.

I 12 arrestati, quattro in carcere e otto ai domiciliari, sono accusati a vario titolo di reati quali associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, coltivazione e spaccio di stupefacenti, violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo e dalle finalità mafiose.

L’operazione Vento 2 è la prosecuzione di quella messa a segno lo scorso 6 luglio con l’esecuzione di 18 fermi da parte dalla Dda. Un’operazione scattata a pochi giorni dall’omicidio di Giuseppe Incontrera, avvenuto il 30 giugno scorso a Palermo, ritenuto uno dei capi del mandamento che teneva la cassa delle famiglie. Per quel delitto è indagato e reo confesso Salvatore Fernandez, che si è costituito consapevole che i  carabinieri erano sulle sue tracce. L’indagine aveva rivelato che vi erano chiari segnali di una possibile escalation; per questo motivo era stato deciso di anticipare il blitz. 

Il Nucleo Investigativo di Palermo ha raccolto ulteriori elementi di indagine ed intuizioni  che hanno fatto scattare i provvedimenti del Gip richiesti dalla Procura e bloccato, tra l’altro, la scarcerazione di Filippo Burgio, detenuto per altra causa, che doveva tornare in libertà proprio oggi. Secondo gli inquirenti avrebbe manifestato la volontà di punire i responsabili dell’uccisione del figlio Emanuele, avvenuto il 31 maggio 2021 a Palermo nel popolare quartiere della Vucciria. Anche per questo omicidio ci sono già tre indagati.

Nell’operazione Vento 2, che oggi a Palermo ha fatto scattare 12 arresti nei confronti di presunti esponenti del mandamento di Porta Nuova, i reati contestati agli indagati  sono l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti gestita «in tutta la sua filiera». Dalle fasi di approvvigionamento all’ingrosso allo spaccio al minuto sul territorio gestito dai vertici della struttura criminale per alimentare le casse mafiose.

L’associazione avrebbe assunto la gestione diretta di sei piazze di spaccio, localizzate nei centralissimi quartieri del Capo, della Vucciria, di Ballarò e della Zisa (via Cipressi, piazza Ingastone e via Regina Bianca), con a capo uomini ritenuti affiliati a cosa nostra; coltivazione e spaccio di stupefacenti; violenza privata e lesioni personali aggravate dal metodo e dalle finalità mafiose.

‘Ndrangheta, maxi blitz in diverse città italiane : oltre 100 arresti per associazione mafiosa….

Nella Giornata per le vittime di mafia, il messaggio del cardinale Bassetti  a Libera - Vatican News

Archivio -Sud Libertà

La ‘Ndrangheta in ginocchio  in diverse città italiane. Oltre cento misure cautelari emesse dalle Procure distrettuali antimafia di Reggio Calabria, Milano e Firenze, sono state notificate dalla Polizia di  Reggio Calabria con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine  a conclusione di articolate indagini nei confronti di boss di spicco  della   Ndrangheta operanti in stretto accordo tra loro…..

Le investigazioni,, nell’ambito delle quali è stata sequestrata oltre una tonnellata di cocaina importata dal Sudamerica, hanno posto in luce l’attività criminosa di  persone di origine calabrese provenienti dalla Piana di Gioia Tauro, presunti appartenenti alla cosca Molè, attivi anche in Lombardia e in Toscana, e con ramificazioni internazionali.

I reati contestati sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, autoriciclaggio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, produzione, traffico e cessione di sostanze stupefacenti, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione.

Il filone milanese delle indagini è stato condotto dalla Polizia e dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Como.

Corruzione in Sicilia: a processo Montante e l’ex governatore Crocetta

 

Montante, indagato Rosario Crocetta. “Associazione, corruzione e  finanziamento illecito” - la Repubblica

 

L’inchiesta della Procura di Caltanissetta coinvolge 13 persone. Nel mirino le nomine di Vancheri e Lo Bello e i i soldi versati a Il Megafono. I pm: «Presidente asservito a capo di Confiindustria Sicilia»

Adempimenti legali dopo il decesso - Polidori Servizi Funebri

Nel nuovo filone di inchiesta che coinvolge esponenti politici, imprenditori e rappresentanti delle forze dell’ordine ci sono 13 indagati accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione e reato di accesso abusivo a sistema informatico.

Oltre all’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante guai giudiziari per  Rosario Amarù, l’ex commissario dell’Irsap Maria Grazia Brandara, l’imprenditore ed ex presidente di Sicindustria Giuseppe Catanzaro, l’ex governatore siciliano Rosario Crocetta, l’ex capo centro della Dia di Palermo Giuseppe D’Agata, l’ex capo della Dia Arturo De Felice, il capo della sicurezza di Montante Diego Di Simone Perricone, gli ex assessori regionali alle Attività produttive Maria Lo Bello e Linda Vancheri, il vice questore in servizio allo scalo di Fiumicino, Vincenzo Savastano, ex capo centro della Dia di Caltanissetta Gaetano Scillia, l’imprenditore Carmelo Turco.
Reati contestati e motivazioni.A Catanzaro, Crocetta, Vancheri, Lo Bello, Brandara, Savastano, De Felice e Scillia viene contestata l’associazione a delinquere con Antonello Montante e gli altri indagati già coinvolti nel primo processo allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica amministrazione e accedere al sistema informatico delle forze dell’ordine per costruire dossier contro quelli che venivano considerati i «nemici» dell’ex leader di Confindustria.

Crocetta avrebbe scelto per la sua giunta gli assessori Lo Bello e Vancheri indicati da Montante che li avrebbe poi manovrati a suo piacimento. In cambio l’ex presidente della Regione avrebbe ottenuto da Catanzaro e Montante 200 mila euro per finanziare nel 2012 la campagna elettorale del Megafono (il movimento fondato da Crocetta) e l’intervento di Montante per «evitare la diffusione di un video a contenuto sessuale che ritraeva Crocetta».
Catanzaro avrebbe ottenuto favori e consigli per la sua società che si occupa di rifiuti.

A Savastano viene contestato, nella sua qualità di vice questore aggiunto in servizio allo scalo aereo di Fiumicino, di avere consentito «a Montante, e soggetti da lui indicati, anche per il tramite di Diego Di Simone Pirricone, di eludere sistematicamente le disposizioni relative ai controlli di sicurezza cui sottoporre i passeggeri di voli aerei al momento dell’imbarco e dello sbarco». Ad Arturo De Felice, nella sua qualità di direttore della Dia di «avere esercitato le proprie prerogative istituzionali, sia investigative che direttive, in maniera tale da soddisfare gli interessi del Montante e di soggetti allo stesso strettamente collegati anche adottando, su esplicita sollecitazione, iniziative pregiudizievoli nei confronti di soggetti invisi a quest’ultimo». Stessa cosa viene contestata all’ex capocentro della Dia di Caltanissetta Gaetano Scillia».  Insomma cose che l’Antimafia sapeva ed aveva già annotato.

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