Mafia Sicilia. Montante condannato pesantemente annuncia ricorso. Il Presidente dell’Antimafia lancia accuse prima del processo. Vibrata polemica con i legali

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Con una condanna a 14 anni di carcere, quasi 4 anni più della pena richiesta, finisce la storia  dell’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante, l’ex presidente degli industriali siciliani accusato di avere ordito un vero e proprio sistema di spionaggio con la complicità di alti funzionari delle forze dell’ordine. La sentenza è stata emessa in serata, dopo quasi due ore di Camera di consiglio, dal gup del tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello nel processo abbreviato.

La Procura aveva richiesto la condanna a 10 anni e sei mesi di carcere. L’ex comandante della Guardia di Finanza di Caltanissetta Gianfranco Ardizzone è stato condannato a 3 anni,  la Procura ne aveva chiesti 4 anni e sei mesi di reclusione. Quattro anni a Marco De Angelis, ex funzionario della Questura di Agrigento per il quale la Dda aveva chiesto sei anni e undici mesi. Ancora: un anno e quattro mesi per il questore di Vibo Valentia Andrea Grassi, assolto per altri due capi, per il quale erano stati chiesti due anni e otto mesi di reclusione. Diego Di Simone, responsabile security di Confindustria ed ex poliziotto è stato condannato a 6 anni e 4 mesi mentre la richiesta era di  sette anni e un mese di carcere. Assoluzione per Alessandro Ferrara, funzionario Regione siciliana.

 

 

Secondo l’accusa, rappresentata dai pm Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, Montante, che dopo avere trascorso quasi un anno in carcere si trova adesso agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, avrebbe cercato di ottenere notizie riservate sui profili di alcune persone di suo interesse. In media, come spiegato dai pm durante la requisitoria, sarebbero stati effettuati nove accessi abusivi ogni tre mesi per un arco di 7 anni per cercare informazioni anche su alcuni collaboratori di giustizia, sull’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero, parte offesa e parte civile, e il magistrato ed ex assessore regionale Nicolò Marino.

Mentre noi lavoravamo di giorno, qualcuno di notte disfaceva le indagini”, aveva denunciato il pm Luciani durante la requisitoria fiume. I difensori, durante le arringhe difensive, gli avvocati Carlo Taormina e Giuseppe Panepinto, avevano detto invece che Montante “ha operato all’insegna dell’antimafia quasi per 10 anni e mezzo e pare che la pubblica accusa si sia ispirata a questo concetto: dieci anni e mezzo hai governato, dieci anni e mezzo stai in galera“. ”Qui c’è anzitutto da prendere atto – ha detto ieri Taormina – che da un punto di vista di implicazioni di carattere mafioso non ce ne sono assolutamente. Si tratta poi di capire se all’interno di questo percorso ci possano essere state delle situazioni che non siano andate secondo quello che avrebbe voluto la legge e questo sarà oggetto di accertamento”.  Antonello Montante resta comunque il simbolo dell’antimafia, conclude Taormina..

Nella foto, Montante amareggiato
Rivendichiamo la titolarità in capo a Montante di essere stato e di essere ancora il vessillo dell’antimafia e chi lo vuole abbattere è il potere mafioso che è riemerso, purtroppo allineato a quello giudiziario che inconsapevolmente sta dando un forte contributo alla sua vittoria”. Prima di concludere le arringhe difensive, c’è stato anche lo spazio per una polemica a distanza tra il difensore di Montante, Giuseppe Panepinto, e il presidente della Commissione nazionale antimafia, Nicola Morra. Panepinto, fuori dall’aula, durante una pausa del processo, ha detto: “E’ semplicemente vergognoso che il presidente della Commissione nazionale antimafia nel momento in cui c’è un processo ancora in corso, venga fuori con esternazioni sulla stampa su vicende che riguardano il processo, perché queste cose possono condizionare il processo”.

Nicola Morra aveva annunciato che la Commissione si occuperà del processo nel quale sono evidenti le trame torbide di interi pezzi di Stato che hanno tradito, e naturalmente sono molto preoccupato che la Procura rimanga isolata, anche perché il ministero dell’Interno non si è costituito parte civile, un segnale grave”.

Ma il difensore di Montante tuona: “La Commissione nazionale antimafia nel rispetto delle istituzioni ha la possibilità di fare tutte le indagini che vuole, ma non può pubblicare due giorni prima della sentenza esternazioni sul processo. Questi sono fatti molto gravi”. Anche in aula, davanti al gup Luparello, Panepinto ha parlato di “pressioni sul processo“. E prima della sentenza, ha detto: “Non mi aspetto niente di buono…”.

Il legale  Giuseppe Panepinto spiega: “I 14 anni sono perfettamente in linea con il clima che si respirava…”. “Considerando che 14 anni con l’abbreviato sono 20 anni di base vale quanto un omicidio…”. E annuncia già ricorso.

– “Il dispositivo della sentenza dà largamente conto della fondatezza dell’accusa e dello straordinario lavoro che l’ufficio della Procura di Caltanissetta ha svolto in questi anni e fa giustizia di alcune affermazioni che ho sentito durante il processo”. E’ quanto ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone. “Non so di cosa parli la difesa di Montante quando parla di pressioni che ci sono state sul processo Montante, certamente l’ufficio di procura si è mosso in condizione di assoluta libertà senza alcun condizionamento. Abbiamo cercato le prove per ricostruire questo sistema che ha trovato riconoscimento nel dispositivo della sentenza”. “La decisione della Commissione antimafia di indagare sul processo Montante non riguarda noi, certamente il sistema che è stato delineato dalle indagini può consentire sul piano della ricerca amministrativa e dei rapporti tra uomini che svolgono attività pubblica e altri soggetti, la necessità di un ulteriore verifica, quindi la Commissione vorrà acquisire ulteriore elementi”.

Un “cerchio magico” costruito attorno ad Antonello Montante, con la partecipazione di alti rappresentanti delle forze dell’ordine e un rapporto stretto con alcuni organi di informazione. Così, la Commissione regionale antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, aveva definito il ‘sistema Montante’. Un lavoro intenso, durato dieci mesi, con 49 audizioni. Una relazione, lunga 121 pagine, approvata all’unanimità dai commissari, frutto di centinaia di ore di audizione e decine di migliaia di pagine acquisite sia dall’autorità giudiziaria che dall’amministrazione regionale. Claudio Fava incontrando i giornalisti aveva definito il sistema come un vero e proprio “governo parallelo” che “per anni ha occupato militarmente le istituzioni regionali e ha spostato fuori dalla politica i luoghi decisionali sulla spesa”. “Abbiamo assistito per anni a una privatizzazione della funzione politica che ha trovato un salvacondotto in una presunta lotta alla mafia. Parlo di sistema non a caso – aveva aggiunto Fava – perché si è andati avanti grazie alla benevolenza, alla complicità e alla solidarietà di personaggi appartenenti ai settori più diversi: da quelli istituzionali, a quelli delle professioni. Un sistema con una sua coesione che si è auto protetto”. “Dopo l’iscrizione di Montante nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa e la diffusione della notizia sui giornali – aveva proseguito il presidente dell’Antimafia – le tutele di cui Montante godeva, invece di venir meno si sono addirittura rafforzate”. L’obiettivo che si è data la relazione è stato quello di comprendere “i meccanismi che hanno reso possibile una lunga stagione di anarchia istituzionale”. “La forzatura delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l’asservimento della funzione pubblica al privilegio privato, l’umiliazione della buona fede di tanti amministratori, l’occupazione fisica dei luoghi di governo, la persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa ‘antimafia’ agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra. Un repertorio di ribalderie spesso esibito come un trofeo: era il segno di un potere che non accettava critiche e non ammetteva limiti”, diceva Claudio Fava. La Commissione antimafia aveva anche raccontato dell’esistenza di accordi per le nomine dei vertici istituzionali regionali: “Abbiamo accertato che alcuni dirigenti regionali sono stati selezionati attraverso dei veri e propri ‘provini’ fatti a casa di Montante che era un privato cittadino. In un caso un dirigente è stato indotto a mettere per iscritto che avrebbe mantenuto fede a certi impegni. Una sorta di scrittura privata usata come garanzia che i ‘desiderata’ di Montante sarebbero stati osservati”. “I dirigenti erano di due tipi – aveva spiegato Fava – quelli fedeli da premiare, sottoposti a forme di quasi vassallaggio, e quelli da cacciare”.

Dopo l’iscrizione di Montante nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa e la diffusione della notizia sui giornali – aveva detto il presidente dell’Antimafia – le tutele di cui Montante godeva, invece di venir meno si sono addirittura rafforzate”. La Commissione antimafia ha ascoltato “tutti i dirigenti che si sono succeduti. Ci sono state due categorie di comportamenti nei loro confronti: quelli da premiare perché disponibili alla benevolenza e alle direttive e quelli che andavano cacciati via. Con liste di proscrizione elaborate a tavolino in cui si decideva quelli che dovevano uscire dagli assessorati”. Fava aveva anche parlato dei “provini che questi dirigenti fossero chiamati a tenere prima di entrare all’assessorato. Provini da fare a casa di Montante. In un caso arrivando anche alla impudenza di fare mettere per iscritto al dirigente che doveva essere indicato dall’assessore, ciò che Montante voleva che facesse. Una scrittura privata totalmente illegittima in triplice copia: una da dare all’Assessore, una a Montante e una al futuro dirigente“.

-“Una spy story dai contorni ancora tutti da definire. Che arriva fino al Quirinale con l’ombra delle intercettazioni distrutte tra l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino. . C’è tutto questo nel ‘Sistema Montante’, così come lo hanno ricostruito gli inquirenti, una vicenda complessa che ha  come protagonista Antonello Montante, fino a poco tempo fa considerato un ‘paladino dell’antimafia’, fatta di spie ed ex amici diventati nemici.

Si apprende anche che , secondo l’accusa, rappresentata dai pm di Caltanissetta Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, l’ex presidente degli industriali Montante, che oggi è agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, avrebbe cercato di ottenere notizie riservate sui profili di alcune persone di suo interesse. In media sarebbero stati effettuati nove accessi abusivi ogni tre mesi per un arco di 7 anni per cercare informazioni anche su alcuni collaboratori di giustizia, sull’ex presidente dell’Irsap Alfonso Cicero, parte offesa e parte civile, e il magistrato ed ex assessore regionale Nicolò Marino. Montante è stato arrestato nel maggio del 2018 a Milano. Un arresto un po’ rocambolesco perché i poliziotti rimasero fuori dalla porta per quasi un’ora in attesa che Montante aprisse. Solo dopo qualche ora si è capito il perché. L’ex paladino dell’antimafia, amico di politici, prefetti e giornalisti, dopo l’arrivo delle forze dell’ordine, avrebbe gettato dal balcone sei sacchetti contenenti diverse pen drive dopo averle distrutte. O meglio, dopo avere tentato di distruggerle. Fino ad oggi, ufficialmente, non si è mai saputo il contenuto delle pen drive”.

Un marito -mostro rinchiuso nel carcere etneo: era arrivato al punto di far avere alla moglie rapporti sessuali con estranei

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Foto Archivio -Sud Libertà-

Su disposizione della Procura etnea un uomo trentaseienne è stato arrestato dai carabinieri per abusi e violenze familiari.

Il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare  attesta  «azioni aberranti» compiute nei confronti della moglie «relegata ad una condizione di “donna oggetto” e privata della propria dignità di consorte e madre».

L’uomo inoltre, sempre in presenza dei tre figli minorenni, dicono gli investigatori, “avrebbe mantenuto un atteggiamento aggressivo, minaccioso e prevaricante nei confronti della moglie, prendendola spesso a calci e pugni in viso e nel corpo, fino ad arrivare a tentare di soffocarla. Ma non solo: diverse volte l’avrebbe costretta, alla sua presenza e in luoghi appartati, ad avere rapporti sessuali con estranei mentre più volte l’avrebbe minacciata di morte. In un’occasione l’avrebbe anche cosparsa di liquido infiammabile dicendole: «Ora ti do fuoco perché devi morire».     L’uomo -mostro adesso è rinchiuso nel carcere di Piazza Lanza di Catania.

 

La Procura di Catania dispone l’arresto del boss esattore Alfio Napoli: “taglieggiava” da tempo una farmacia

Catania, arrestato l'esattore del pizzo del clan mafioso dei Cursoti milanesi

Foto d’Archivio

CATANIA –

Vita dura per gli estorsori di  mestiere. Alfio Napoli, 47 anni,(nella foto sopra) nipote acquisito dello storico capo del clan dei “Cursoti milanesi”, il defunto boss Luigi “Jimmy” Miano, è stato arrestato stanotte dalla polizia a Catania per il reato di  estorsione aggravata dal metodo mafioso. Secondo il Pubblico Ministero, con dei complici, aveva preso di mira da diverso tempo ” il titolare di una farmacia che dal 2009 pagava 200 euro al mese alla cosca “come socio regolatore e protettore. 

Il Gip ha disposto un’ordinanza cautelare su richiesta della Procura etnea.

La polizia comunica che le indagini era state avviate dalla squadra mobile con l’arresto in flagranza di reato, il 10 gennaio scorso, di Vincenzo Piazza, di 43 anni, fermato dopo che aveva incassato il “pizzo”,nascosto tra i farmaci,  dal farmacista per conto del clan dei Cursoti milanesi. 

 

Corruzione e abuso d’ufficio: arrestato assessore del Comune di Erice

Appalti, il vicesindaco di Erice arrestato per corruzione

TRAPANI –

I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, hanno tratto in arresto  Salvatore Angelo Catalano, assessore e Vicesindaco del Comune di Erice (Trapani), accusato di corruzione e abuso d’ufficio. Il provvedimento è stato emesso dal Gip del Tribunale di Trapani su richiesta della Procura delle Repubblica.

Le indagini sull’assessore partono dall’estate dello scorso anno accusato di   reati  commessi tra il 2016 ed il 2017. Si tratta di appalti e affidamenti diretti di opere pubbliche. La Procura sta approfondendo le indagini sulle gare d’appalto.

Questo il comunicato dei Carabinieri:

Alle prime luci dell’alba di questa mattina i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, hanno tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal GIP del Tribunale di Trapani su richiesta della locale Procura delle Repubblica, Salvatore Angelo CATALANO, assessore e Vicesindaco del Comune di Erice (TP), per le ipotesi di reato di corruzione e abuso d’ufficio. Le indagini hanno permesso di accertare, come afferma il GIP nel provvedimento, “una pluralità d’illeciti attuati dal CATALANO, con spregiudicatezza e disprezzo verso l’amministrazione d’appartenenza, derivante dal fatto che, essendo ormai abituato al potere ed a servirsi del proprio ruolo, ha realizzato interessi personali e privati, ritenendosi al di sopra della legge, tanto da non temere verifiche e controlli”. In tali condotte illecite, ricorrendo all’inganno e mettendo in secondo piano il pubblico interesse, in concorso con taluni appartenenti all’amministrazione comunale ericina, nonché alcuni consiglieri comunali, CATALANO manipolava imprenditori che, pur di accaparrarsi appalti per conto dell’amministrazione, distoglievano risorse pubbliche per gli interessi personali del CATALANO o per quelli di taluni consiglieri comunali vicini allo stesso. Le indagini hanno permesso di rilevare, tra l’altro, che taluni imprenditori, a discapito di altri, erano soliti aggiudicarsi direttamente lavori pubblici con assegnazione diretta, giustificata da una situazione di disagio e d’urgenza, artatamente predisposta per l’occasione. In particolare CATALANO, abusando della sua funzione, esercitava pressioni sul dirigente del settore lavori pubblici al fine di far aggiudicare i lavori di manutenzione della rete di illuminazione pubblica ad un’impresa, dallo stesso sponsorizzata, in spregio ai doveri di imparzialità e buona amministrazione e al principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti. In un’altra occasione, CATALANO, su istigazione di un consigliere comunale, violando i suoi doveri d’imparzialità e buona amministrazione ed invadendo la competenza dei dirigenti amministrativi, esercitava poteri che non gli competevano, dando disposizioni ad un imprenditore titolare di un’impresa, che stava eseguendo lavori per l’amministrazione ericina in tutt’altra zona del territorio comunale, di interrompere quei lavori e realizzare opere di abbattimento di una barriera architettonica presente nello spazio di marciapiede antistante il bar di proprietà di un congiunto del predetto consigliere comunale, facendo sostenere l’intero importo al Comune. La contropartita al solerte operato del CATALANO era stata poi determinata dal consigliere comunale che, pur avendo un impedimento fisico, era stato immancabilmente chiamato a votare a favore del “piano rifiuti” predisposto in quel periodo dall’amministrazione comunale. Atto questo di particolare valenza politica per la maggioranza di governo dell’Ente. CATALANO espletate le formalità di rito, è stato sottoposto agli arresti domiciliari, con l’utilizzo del braccialetto elettronico, presso la propria abitazione a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.

 

NAPOLI, CAMORRA.: MONOPOLIO DEL TRASPORTO INFERMI, LATITANTE CHIEDEVA IL PIZZO ALLE AMBULANZE

 

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Latitante affiliato alla camorra chiedeva il pizzo alle ambulanze per il trasporto degli infermi. La ‘tariffa’ era di 3.000 euro al mese per “gli amici del Vomero”.

E’ diffuso  il cancro della Camorra insieme a quello della Mafia siciliana :resta un male difficile da debellare. A confermarlo è il tentativo di un latitante, affiliato al clan Cimmino-Caiazzo di monopolizzare il trasporto dei feriti chiedendo il pizzo alle ambulanze. 

I Carabinieri hanno arrestato un trentaseienne, un latitante che si ritiene possa essere affiliato a uno dei principali clan della camorra, quello dei Cimmino-Caizzo. L’accusa ai danni dell’uomo è di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso -camorristico.

Latitante dallo scorso sedici ottobre, il trentaseienne avrebbe trovato rifugio nel quartiere Pianura, in una delle case popolari. L’uomo ha conservato tuttavia la sua indole malavitosa e, stando a quanto ritenuto dagli inquirenti, avrebbe minacciato il titolare di una delle associazioni che si occupano del trasporto degli infermi.

Il dirigente della società avrebbe dovuto pagare tremila euro al mese di pizzo.  L’uomo sarebbe stato minacciato – anche con una pistola – in almeno tre circostanze.      L’obiettivo mafioso era quello di far  versare la somma da destinare alle casse degli amici del Vomero. I militari dell’Arma, nel corso della perquisizione nella casa dell’individuo, hanno trovato e sequestrato un’ingente somma in contanti e diversi biglietti scritti a mano ritenuti preziosi per ricostruire la rete degli amici dediti a questa attività. L’uomo è stato trasferito su disposizione dell’ Autorità giudiziaria, nel carcere di Secondigliano. 

Catania: -Madre depressa scaraventa a terra il neonato che muore in ospedale

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Aveva la mente sconvolta ed era fortemente depressa. Arrestata una madre di 26 anni dalla polizia a Catania con l’accusa di avere ucciso il proprio figlio di tre mesi, lanciandolo a terra. Si apprende da un comunicato che il neonato è morto in ospedale, lo scorso 15 novembre, il giorno dopo il ricovero per le ferite riportate alla testa. La questura di  Borgo Ognina ha eseguito adesso nei confronti della donna un’ordinanza cautelare in carcere emessa dal Gip, su richiesta della Procura, per omicidio aggravato dall’avere agito contro il discendente. L’omicidio è stato commesso in casa della nonna paterna della 26enne.. E’ stata lei stessa, afferma il suo legale, l’avvocato Luigo Zinno, a chiamare aiuto. Sono arrivati subito sua nonna, che ha 85 anni, e suo padre e a loro ha detto che il piccolo gli era scivolato dalla mani ed era finito a terra.

La Procura ascoltati tutti i soggetti è arrivata alla verità conclusiva  e cioè che  la caduta del bambino non era stata accidentale – come affermato all’inizio alle forze dell’ordine- bensì  era stata la madre, affetta da una forma grave di depressione post-partum o chissà solo Dio lo sa-  a scaraventarlo a terra con forza.

Il neonato è stato portato nel pronto soccorso del Cannizzaro, dove è stato intubato, e poi trasferito nella rianimazione della Neonatologia del Garibaldi-Nesima, dove è deceduto il giorno dopo il ricovero. Le indagini del commissariato di polizia Borgo-Ognina sono state coordinate dal Procuratore Carmelo Zuccaro, dall’aggiunto Ignazio Fonzo, che coordina il dipartimento reati contro le persone, e dal sostituto Fabio Saponara.

 

NAPOLI: IDENTIFICATI ED ARRESTATI DUE GIOVANI MALVIVENTI CHE LANCIARONO IN STRADA LE PISTOLE

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Fine corsa per due giovani malviventi pronti a sparare con le loro armi .La notte del 15 settembre, per evitare il controllo da parte di una pattuglia dei carabinieri, lanciarono da un’automobile in corsa le armi di cui erano in possesso: una Baikal 9×19 e una Beretta FS 9×21. Le abbandonarono, colpo in canna, davanti al teatro San Carlo di Napoli. Con il supporto degli impianti di sorveglianza sono stati identificati i due malviventi : erano due ragazzi, uno dei quali minorenni, oggi sono stati fermati. Fu il personale dell’Asia, addetti alla pulizia, a ritrovare le armi e a chiamare quella notte le forze dell’ordine. Il magistrato vista la pericolosità dei due ragazzi che detenevano le armi col colpo in canna, pronti a sparare, ha emesso ordinanza di custodia cautelare

Video cattura malviventi -Carabinieri di Napoli


 

Ragusa. fermato corriere con droga di ingente valore

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Un corriere della droga che aveva  nascosto nel suo trolley oltre 2,2 kg di cocaina purissima del valore di 300 mila euro, pronto a prendere il pullman,  è stato fermato e subito arrestato dalla Polizia di Stato prima di partire. A Ragusa,  gli uomini della Squadra mobile, diretti da Antonino Ciavola, hanno sorpreso  il corriere della droga. La Squadra Mobile di Ragusa, durante controlli presso i terminal degli autobus della provincia Iblea, si sono insospettiti allorchè il corriere italiano tentava di disfarsi del trolley alla vista dei poliziotti. “Si tratta del sequestro di cocaina più ingente mai operato a Ragusa”, spiegano gli investigatori.Il valore è davvero ingente..”.

Su disposizione della Procura della Repubblica iblea, l’uomo è stato condotto in carcere.

AGRIGENTO: LUCE SULL’OMICIDIO DI SCOPELLITI, ARRESTATO IL COGNATO

Omicidio Scopelliti, fermato il cognato che avrebbe così voluto tutelare la sorella

PALMA DI MONTECHIARO (AGRIGENTO) –

Raimondo Burgio, commerciante di 35 anni, cognato di Ignazio Scopelliti, il bracciante agricolo disoccupato che è stato ucciso stamani a Palma di Montechiaro (Ag), è stato arrestato su provvedimento del Pubblico Ministero dott.ssa Emiliana Busto con l’accusa di omicidio . Burgio, che continua a negare ogni addebito, avrebbe esploso una decina di colpi di pistola calibro 9.L’elemento determinante sarebbe l’arma legalmente detenuta  ritrovata dai carabinieri.

Anche il  movente dell’omicidio per gli investigatori sembra molto chiaro e costituisce una difesa della moglie violentata dallo  Scopelliti  che non si rassegnava alla separazione e non lasciava in pace la donna..

Il padre di Raimondo Burgio, un settantaduenne, è stato denunciato per favoreggiamento ed è stato rilasciato dopo nove ore di interrogatorio. Un altro elemento di prova per i militari è il  filmato di video sorveglianza di una palazzina che avrebbe ripreso gli istanti inerenti l’uccisione dell’uomo

Biancavilla, madre denuncia il figlio che si droga- Arrestato e trasferito nel carcere etneo

madre denuncia figlio biancavilla, Catania, Cronaca

BIANCAVILLA

Non ne poteva più. Una madre ha denunciato il figlio che spacciava stupefacenti. La donna si è rivolta ai carabinieri spiegando la necessità di correggere  il figlio che si  stava rovinando con la droga. Il ragazzo era ormai entrato nella spirale della tossicodipendenza spendendo tutto il suo denaro per pagare gli stupefacenti.

Sulla base della denuncia familiare  i militari hanno seguito i movimenti del  giovane e sono riusciti a identificare   il  fornitore. I carabinieri hanno aspettato che l’uomo tornasse a casa da Adrano, dove aveva acquistato la droga da vendere. Intanto  i carabinieri hanno perquisito l’appartamento di Antonio Gullotta, di 49 anni.

È stato trovato un involucro in cellophane contenente  50 grammi di  eroina, 130 euro in contanti, una bilancia elettronica di precisione e diverso materiale utile al confezionamento della droga. Gullotta è stato pertanto arrestato per detenzione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti e subito, su disposizione della Procura, trasferito nel carcere Piazza Lanza di Catania .