CORRUZIONE NELLA REGIONE SICILIA, SCOPERTA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE, E TRUFFE AI DANNI DELL’UE

 

PALERMO

I finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Termini Imerese, su richiesta della Procura Europea (EPPO – European Public Prosecutor’s Office) – sede di Palermo, nei confronti di 22 soggetti, di cui dodici colpiti dagli arresti domiciliari e dieci sottoposti all’obbligo di presentazione alla P.G.

Con il medesimo provvedimento, il G.I.P. ha disposto il sequestro preventivo, anche nella forma per equivalente, di somme e beni per un valore complessivo di circa 2,5 milioni di euro, quale profitto delle condotte delittuose ipotizzate.

I reati contestati, allo stato, sono a vario titolo, associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione, abuso d’ufficio, falso, distruzione e occultamento di atti e rivelazione di segreto d’ufficio.

Le indagini condotte dagli specialisti del Nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo – Gruppo Tutela Spesa Pubblica, che costituiscono un ulteriore filone dell’operazione “Gulasch-Amici Miei” che aveva già portato nel mese di marzo 2020 ad eseguire numerosi provvedimenti cautelari personali e reali, hanno riguardato l’iter di concessione dei finanziamenti in agricoltura, europei e nazionali, nell’ambito del PSR (Programma di Sviluppo Rurale) 2007/2013 e 2014/2020, gestiti dall’I.P.A. (Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura) della Regione Sicilia, ente deputato alla valutazione circa l’ammissibilità delle istanze volte ad ottenere le citate provvidenze.

Gli elementi acquisiti allo stato delle indagini consentono di ipotizzare l’esistenza di un sodalizio criminale, composto da funzionari e professionisti del settore, in grado di condizionare le scelte della Pubblica Amministrazione al fine di consentire l’ammissione al finanziamento pubblico di progetti presentati per il tramite di studi tecnici operanti nel palermitano.

In particolare, sarebbero emersi comportamenti illeciti posti in essere da alcuni funzionari pubblici dell’IPA per favorire, in forza di rapporti privilegiati, studi professionali (agronomi e ingegneri), a beneficio dei quali:

– nella fase istruttoria delle istanze di finanziamento, sarebbe stata effettuata, in violazione di legge, la comunicazione delle anomalie riscontrate, provvedendo, in taluni casi, anche alla materiale sostituzione della documentazione all’interno dei fascicoli, fuori dai termini temporali e dalle modalità previste da bando, così da consentire alle pratiche d’interesse l’inserimento in posizione utile in graduatoria;

– nella fase di rendicontazione, sarebbero state rallentate fraudolentemente le procedure di collaudo e controllo così da evitare l’applicazione di penali, ovvero la decadenza o la revoca dei contributi già erogati.

In tale contesto, sarebbero emerse anche cointeressenze di natura corruttiva tra privati e funzionari pubblici che:

– avrebbero omesso, in qualità di membri della commissione incaricata di verificare la sussistenza dei presupposti per l’ammissione delle domande, di rilevare i vizi della documentazione presentata per il tramite di uno studio tecnico, ricevendo in cambio da quest’ultimo prestazioni professionali a favore di uno stretto familiare;

– sempre nell’ambito di una commissione, accertata la presenza di irregolarità nella documentazione, si sarebbero adoperati per consentirne la sostituzione ricevendo, quale utilità, un impiego a favore di un componente del nucleo familiare.

Sarebbero 18 le pratiche relative a finanziamenti indebitamente percepiti a danno dei bilanci europeo, nazionale e della Regione Siciliana per un ammontare complessivo di 2,5 milioni di euro.

L’odierna operazione di servizio testimonia la stretta sinergia operativa tra la Procura Europea e la Guardia di Finanza a tutela degli interessi economico – finanziari dell’Unione Europea e dei bilanci nazionali, nonché per il contrasto delle gravi forme di reati contro la Pubblica Amministrazione.

 

 

Reggio Calabria: arresti per maltrattamenti e abbandono di persone incapaci

Maltrattamenti nella casa di riposo di Grado, possibili violenze anche da  parte dei parenti
Maltrattamenti ad anziani Archivi Sud Libertà

 

Reggio Calabria
I Carabinieri del Nas di Reggio Calabria a conclusione di un’articolata attività investigativa, denominata “LA SIGNORA”, hanno dato esecuzione, con l’ausilio di militari del Comando Provinciale Carabinieri del capoluogo, ad una Ordinanza, emessa dal GIP presso Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Procura della Repubblica diretta dal Procuratore G. B., di applicazione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari nei confronti di due donne, titolari di una casa di riposo abusiva, e di tre loro dipendenti, gravemente indiziati, secondo l’ipotesi investigativa, dei reati di maltrattamenti verso conviventi e abbandono di persone incapaci, aggravati dall’aver cagionato la morte di un ospite.
Altri 7 soggetti sono stati deferiti in stato di libertà per diversi illeciti penali. Le indagini del NAS condotte da Gennaio a Maggio 2021, supportate da attività tecniche di intercettazioni telefoniche, acquisizioni e analisi di cartelle cliniche e ispezioni igienico sanitarie, nonché da pedinamento e osservazioni, sono originate dalla querela di una donna il cui marito, affetto da malattia neurodegenerativa, era deceduto dopo un periodo di degenza presso la casa di riposo oggetto di indagine. Si ipotizza che l’uomo sarebbe stato vittima di maltrattamenti e abbandono che avrebbero causato un peggioramento irreversibile della sua condizione clinica fino a giungere al decesso. Gli accertamenti investigativi avrebbero permesso di ricostruire, allo stato degli atti e fatte salve le successive valutazioni di merito, che le titolari della struttura, sottoposte agli arresti domiciliari, unitamente ai dipendenti (3 sottoposti a misura cautelare ed altri 6 deferiti in stato di libertà), avrebbero maltrattato 15 ospiti della casa di riposto, tutti affetti da gravi patologie e non autosufficienti, con plurimi atti vessatori che sarebbero consistiti: –
Nel somministrare scarse quantità di cibo, anche scaduto e mal conservato, tali da cagionare deperimento e malnutrizione; Nel tenere gli ospiti senza riscaldamento e di acqua calda, in ambienti privi di abbattimento architettonico; Nel somministrare arbitrariamente medicinali, senza consulto medico, e psicofarmaci, tra cui l’Entumin, per rendere più “gestibili” e sedare gli ospiti, tanto che agli indagati viene contestato anche l’esercizio abusivo della professione sanitaria; Nell’omettere le normali pratiche di igiene personale e degli ambienti, in quanto gli anziani sarebbero stati abbandonati e chiusi nelle stanze per cui, in alcuni casi, sono stati costretti così ad espletare i propri bisogni su sé stessi e sul letto dove dormivano, provocando l’aggravamento delle patologie già in essere e cagionando in alcuni casi anche la malattia della scabbia. Tutti gli ospiti, tra i quali vi erano anche anziani permanentemente allettati, sarebbero stati gestiti da personale assolutamente inidoneo e privo dei requisiti medici specialistici, infermieristici e socio assistenziali richiesti, ed inoltre, soprattutto di notte, alla presenza di un solo operatore, tanto che le vittime in alcuni casi sarebbero state costrette a dormire tra le loro feci e urine rimanendo a lungo fradici e sporchi. Le titolari, in concorso con la cuoca ed altra dipendente, sono indagate anche per il reato di epidemia colposa in quanto con condotte omissive e negligenti avrebbero agevolato il propagarsi di un focolaio Covid tra gli ospiti, cercando in tutti i modi di nascondere i contagi agli altri dipendenti, ai familiari delle vittime, alla Prefettura ed all’ASL reggina, tanto da rendere necessario un immediato intervento del NAS per avviare le previste misure contenitive e di cura e scongiurare ben più gravi conseguenze, interrompendo i tentativi di occultamento dei casi Covid.
Altri due dipendenti sono indagati per sostituzione di persona, in quanto, come avrebbero dimostrato le intercettazioni telefoniche, avrebbero fatto credere ad una anziana signora intenzionata a lasciare la casa di riposo di parlare al telefono con il figlio, che la rassicurava sulla “buona qualità” dell’assistenza e degli operatori che la curavano, mentre, in realtà si trattava di un dipendente. Tra gli indagati, poi, vi è anche una geometra reggina che, unitamente alle titolari, è stata deferita in stato di libertà per il reato di falsità ideologica, poiché avrebbe attestato falsamente la presenza, presso lo stabile in cui vi era la casa di riposo abusiva, di 4 distinte casa – famiglia che rispettavano i requisiti minimi strutturali. Contemporaneamente all’ esecuzione della misura cautelare personale è stato eseguito il sequestro preventivo della casa di riposo, e gli ospiti sono stati trasferiti presso i familiari o altre strutture socio sanitarie individuate dai Carabinieri e dai servizi sociali del Comune di Reggio Calabria. Il procedimento penale è nella fase delle indagini preliminari per cui vanno fatte salve le successive valutazioni di merito.

 

 

I CARABINIERI DI CATANIA E SIRACUSA METTONO IN GINOCCHIO 47 MAFIOSI DEL CLAN SANTAPAOLA-ERCOLANO E DEL CLAN NARDO DI LENTINI

 

PIBBLICA AMMINISTRAZIONE INQUINATA DA DIPENDENTI MAFIOSI CHE FAVORIVANO COSA NOSTRA CREANDO I BANDI SU MISURA

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cARABINIERI IN AZIONE: IN GINOCCHIO I COMPONENTI DEL CLAN SANTAPAOLA-IMMAGINE ARCHIVI SUD LIBERTA’

Catania,

La “famiglia” Santapaola-Ercolano di Catania e il clan Nardo di Lentini (Siracusa) soci nel lavoro, nel traffico di droga e nel controllo del tessuto imprenditoriale, ma avevano anche contrasti economici in settori economici criminali.

La novità:   infiltrazioni  nel settore della pubblica amministrazione. Come nel Comune di Caltagirone dove emergono contatti tra alcuni dipendenti dell’amministrazione che favorivano imprese contigue a Cosa nostra «modellando i bandi» per aziende vicine a Gianfranco La Rocca», figlio dello storico capomafia «Ciccio», deceduto nel dicembre 2020, e indicato come «l’indiscusso capo dell’omonimo clan».

 

L’inchiesta Agorà della Dda etnea basata su indagini dei carabinieri del Ros di Catania e del comando provinciale di Siracusa rivela gli illeciti,l’arresto di 47 persone e la notifica di un’ordinanza non restrittiva per altri nove indagati.

Nell’inchiesta sono indagati anche alcuni dipendenti del Comune di Caltagirone, nei confronti dei quali- informano i Carabinieri – saranno notificati degli avvisi di garanzia. Militari dell’Arma hanno sequestrato nove società attive nei settori dell’edilizia, della logistica e dei servizi cimiteriali per un valore stimato dagli investigatori in circa 10 milioni di euro. Scoperto anche un traffico di droga che, durante le indagini, ha portato al sequestro di 108 chili di marijuana, 2,6 kg di cocaina e 57 kg di hashish.

L’inchiesta riassume insomma una situazione di diversi anni  delle “famiglie” di Cosa nostra tra Catania e Siracusa. Gli arrestati sono gravemente indiziati, con 26 diversi capi d’imputazione contestati dalla Dda, di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni pluriaggravate, illecita concorrenza, turbata libertà degli incanti e trasferimento fraudolento di beni. 

 

Foto Carabinieri

 

Catania, lotta ai Clan mafiosi Santapaola-Ercolano e arresti per 18 soggetti

operazione antidroga
Foto Stampa Polizia

 

Catania,

Operazione antimafia della Squadra MOBILE di Catania e del commissariato di Acireale che-informa un comunicato – hanno arrestato 17 persone, mentre ad un’altra è stato applicato l’obbligo di dimora, per i reati di associazione mafiosa, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, usura, violazione della normativa sul controllo delle armi.

L’indagine, iniziata nel 2019, ha consentito di documentare l’attività criminale degli indagati legati al clan mafioso “Santapaola – Ercolano” che da decenni opera nei territori di Acireale e Aci Catena, cercando di condizionarne le attività e le dinamiche socio-economiche.

I poliziotti della questura, attraverso intercettazioni telefoniche e con il contributo dei collaboratori di giustizia, hanno ricostruito l’organigramma del clan e le loro attività illecite che venivano riorganizzate in maniera più incisiva con il ritorno al comando di esponenti storici, subito dopo l’uscita dal carcere.

La riunificazione degli storici vertici criminali, non soltanto consentiva di rimodulare l’assetto dell’associazione in termini gerarchici e funzionali, ma permetteva l’immediata possibilità di riproporre sul territorio una serie indeterminata di attività criminose.

Nel dicembre 2021 sono stati arrestati due appartenenti alla famiglia mafiosa per aver preteso da un commerciante, durante una fiera, 2mila euro per comprare i panettoni per gli affiliati, a dimostrazione della forza intimidatrice del clan.

Durante l’attività investigativa gli agenti hanno sequestrato anche un’attività di autonoleggio (comprensiva dei mezzi e dei conti correnti) utilizzata dal gruppo come base logistica per le riunioni associative.

In proposito il direttore Centrale anticrimine della Polizia di Stato Francesco Messina, ha commentato: “Gli arresti eseguiti oggi dalla Polizia di Stato hanno consentito di disvelare la piena operatività di una famiglia mafiosa da tempo dominante nei territori di Acireale e Aci Catena e tradizionalmente collegata al c.d. clan Santapaola. Questo sodalizio criminale era dedito al controllo del territorio massivo, soprattutto attraverso l’imposizione di estorsioni e il prestito di somme di denaro dietro corresponsione di pesanti interessi usurari. Nessuna delle ipotesi estorsive accertate dall’indagine- ha dichiarato il Prefetto –  ha formato oggetto di denuncia alle Forze dell’ordine da parte degli estorti, il che dimostra che i tempi di una presa di coscienza civica della pervasività del fenomeno mafioso nei territori oggetto di indagine appaiono purtroppo ancora lontani”.

Truffa dello specchietto

Offende la polizia sui social: 'Maiali'. Denunciato dai carabinieri - La  Provincia - LaPressa.it
Archivi -SUD LIBERTA’
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Roma
Nella tarda serata di ieri, i Carabinieri della Stazione di Roma Parioli, coordinati dalla Procura della Repubblica di Roma, hanno arrestato due uomini di 31 e 36 anni, già noti per analoghi reati, gravemente indiziati di aver tentato di compiere la cosiddetta truffa dello specchietto ai danni di un anziano romano. 
A seguito della segnalazione al 112, da parte del portiere di un palazzo dove la vittima risiede, i militari sono riusciti a bloccare i due indiziati mentre stavano per ricevere la somma contante di 250 euro dalla vittima, un pensionato romano di 79 anni. La vittima completamente ignara stava pagando quello che gli era stato ingiustamente addebitato come un danno all’auto dei due uomini.
E’ stato il custode dello stabile ad accorgersi che qualcosa non andava ed ha subito dato l’allarme al 112. Grazie al tempestivo intervento della pattuglia dei Carabinieri i due sono stati bloccati qualche istante prima di ricevere la somma contante pattuita per il presunto incidente. Per entrambi l’arresto è stato convalidato ed è stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di dimora. 

Scoperto a Napoli un opificio clandestino di sigarette

Napoli,

Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, in collaborazione con il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Milano, ha scoperto, nel comune di Bernate Ticino (MI), un opificio clandestino adibito alla produzione illecita di sigarette, e sequestrato 400 kg di sigarette contraffatte, nonché oltre 10 tonnellate di tabacco trinciato.

Sono due le persone tratte in arresto e otto quelle denunciate dagli specialisti del G.I.C.O. di Napoli che da tempo stavano seguendo l’organizzazione criminale, registrando, negli ultimi mesi, frequenti “trasferte” effettuate da alcuni soggetti partenopei, con precedenti per fatti di contrabbando, alla volta dell’area bernatese, al confine occidentale della città metropolitana di Milano, a ridosso della provincia di Novara.

I due arrestati sono entrambi campani, direttamente responsabili della illecita attività, mentre gli otto denunciati sono 2 cittadini bulgari e 6 cittadini serbi, trovati al lavoro dentro la fabbrica.

L’analisi degli spostamenti e le attività di osservazione svolte sul territorio hanno portato alla individuazione della “meta” di quei viaggi: un capannone allocato all’interno dell’area industriale del Comune di Bernate Ticino (MI), formalmente in disuso da oltre 24 mesi, tuttavia recentemente rivitalizzato da “attività lavorative” che si protraevano anche in orari notturni.

Al momento dell’intervento, le Fiamme Gialle partenopee si sono avvalse della preziosa collaborazione della Guardia di finanza del capoluogo lombardo, ed in particolare, della Compagnia di Magenta e dei “Baschi Verdi” del Pronto Impiego Milano e hanno sottoposto a sequestro una linea industriale completa, composta da sofisticati macchinari e attrezzature, adibita alla produzione di sigarette riproducenti i marchi contraffatti Chesterfield e Winston.

Sono state così complessivamente sequestrate 10 tonnellate di tabacco sfuso, trinciato ed essiccato, 4 quintali di sigarette contraffatte con marchio “Chesterfield e Winston” già confezionate, 1 milione di pacchetti per il confezionamento delle sigarette, 5 milioni di filtri.

La capacità produttiva dell’intera filiera è stimata in oltre 2 tonnellate di sigarette al giorno.

L’odierno sequestro conferma le recenti evidenze investigative che attestano la scelta strategica delle storiche organizzazioni contrabbandiere napoletane di ramificarsi nelle Regioni del Nord Italia per adattare e sfruttare opifici per la produzione autonoma delle sigarette di contrabbando, riducendo così i rischi legati ai trasferimenti su strada o via mare da paesi esteri, frequentemente e storicamente bersagliati dai sequestri delle Fiamme Gialle.

Catania,: rinvenuto un vero arsenale da guerra a disposizione di gruppi e Clan mafiosi

 

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Foto Fucile d’alta precisione- Archivi Sud Libertà
Catania,
Nell’ultimo bimestre, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale etneo hanno intensificato le attività finalizzate a contrastare le organizzazioni malavitose nel territorio urbano con mirati servizi di controllo e perquisizioni, tesi soprattutto alla ricerca di armi e droga nel quartiere di San Cristoforo.
L’efficace attività info investigativa ha consentito il rinvenimento di esplosivi e di numerose armi da fuoco, comuni e da guerra.
Nella zona più isolata di un’area adibita a parcheggio di un centro commerciale, i militari hanno notato la presenza di alcuni sacchi contenenti rifiuti non organici che erano stati in tal modo sovrapposti per occultare un beauty case al cui interno hanno rinvenuto una pistola Benelli Army cal. 9 sprovvista di matricola, nonché circa 300 cartucce di vario calibro.
All’interno di un’abitazione di via Bianchi, apparentemente in stato d’abbandono, i militari, dopo aver raggiunto attraverso scale strette il piano superiore, hanno riscontrato la presenza di due borsoni contenenti una pistola Benelli Army cal. 9 sprovvista di matricola, 2 fucili mitragliatori (specificamente un AK 47 Kalasnikov cal. 7,62 ed un “MP brasilien” cal. 9 munito di silenziatore), 1 fucile lanciagranate con 6 proietti e 757 cartucce di vario calibro, oltre ad un passamontagna con un giubbotto antiproiettile e 9 ordigni esplosivi che, per la loro estrema pericolosità, hanno richiesto l’intervento specializzato della Squadra Artificieri del Comando Provinciale.
Nel prosieguo dell’attività, alcuni giorni dopo, nelle adiacenze di un edificio scolastico ubicato nel medesimo quartiere è stato rinvenuto un altro borsone anche questo contenente un ulteriore mitra AK 47 Kalashnikov, un fucile a pompa, una pistola a tamburo cal. 38 con matricola abrasa, 68 cartucce di vario calibro ed un puntatore laser e, anche in questo caso, 3 ordigni esplosivi di tipo artigianale.
Nel contesto del medesimo servizio coordinato sono stati altresì arrestati un catanese 43enne ritenuto gravemente indiziato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio perché, bloccato nei pressi della propria abitazione di via Campisano, è stato trovato in possesso di quasi 400 grammi di cocaina in pietra e di 2800 euro e, inoltre, un 36enne di Catania perché destinatario di un ordine di espiazione di pena detentiva emesso dalla Procura Generale presso la Corte d’Appello etnea.
Quest’ultimo in particolare, ritenuto essere un affiliato di spicco del gruppo mafioso dei “Nizza” e già precedentemente sottrattosi all’esecuzione del provvedimento, per il quale doveva scontare la pena di 11 mesi e 4 giorni di reclusione, è stato localizzato e bloccato all’interno di un’abitazione allo stesso in uso in via Cave di Villarà, dove aveva trovato rifugio. La perquisizione dell’uomo ha consentito di rinvenire e sequestrare una pistola Beretta cal. 7,65 con matricola abrasa avente 12 cartucce nel serbatoio, circa 230 grammi di marijuana e la somma di circa 11.000 euro.
Gli arrestati sono stati successivamente tradotti nelle carceri catanesi di Piazza Lanza e di Bicocca. Nell’ultimo bimestre, in sintesi, l’efficace azione di contrasto dei Carabinieri del Reparto Operativo di Catania ha consentito di sottrare alla criminalità organizzata le sottonotate armi, ordigni artigianali e munizionamento vario, riconducibili al gruppo mafioso “Nizza” della famiglia di Cosa Nostra etnea “Santapaola Ercolano:  – n. 9, tra pistole, fucili mitragliatori e un fucile lanciagranate, efficienti e in ottimo stato di conservazione; – n. 12 ordigni artigianali improvvisati (tra flash bang e cd. “pipe bomb”), contenenti esplosivo/bulloni e atti ad offendere; – n. 837 tra proiettili e cartucce vari calibri e marchi.
Le armi sono state versate al R.I.S. di Messina per lo svolgimento degli accertamenti tecnici tesi a verificarne l’eventuale utilizzo in episodi delittuosi.

 

 

Scoperto l’omicidio del 2019,Carlo ucciso perchè la moglie aveva una relazione con il suo “miglior amico”

 

Accertamenti investigativi e sviluppi giudiziari dopo il dicembre del 2019 che vede l’omicidio dell’agricoltore di Termini Imerese scomparso nel Palermitano.   Si accerta oggi che Carlo Domenico La Duca, 37 anni sarebbe stato ucciso per soldi e perché  la moglie aveva una relazione  con il suo migliore amico. C’è infatti infatti il movente economico oltre a quello sentimentale .

In stato di fermo giudiziario  la moglie Luana Cammalleri di 36 anni e il migliore amico della vittima, Pietro Ferrara di 57 anni.  In questi anni il corpo dell’uomo non è mai stato trovato. 

Anche la vittima aveva una nuova compagna e il giorno della scomparsa, dopo essere andato all’assessorato regionale all’Agricoltura per chiedere dei contributi, si sarebbe dovuto incontrare proprio con la nuova compagna.

 

 

Della scomparsa di La Duca si è  occupata la trasmissione “Chi l’ha visto”, che ha raccontato che nei mesi precedenti all’omicidio qualcuno aveva ucciso i suoi cani. L’uomo inoltre avrebbe rivelato ad amici il timore che si fosse trattato di una intimidazione nei suoi confronti

.I carabinieri del Reparto territoriale di Termini Imerese, hanno notificato l’arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Palermo. Luana e Pietro sono accusati di omicidio e soppressione di cadavere

Le indagini – coordinate dalla Procura di Palermo – sono state effettuate con intercettazioni, analisi dei tabulati, analisi immagini dei sistemi di videosorveglianza, assunzione di informazioni e acquisizioni informatiche e documentali, iniziate sin dalla scomparsa di La Duca avvenuta il 31 gennaio 2019.

 

Secondo gli inquirenti  i due assassini hanno attirato la vittima a Palermo nel terreno di proprietà dell’arrestato e lo hanno ucciso. Successivamente hanno portato la sua autovettura a circa 12 chilometri di distanza dal luogo del delitto per depistare le indagini. 

Un delitto che ha scosso Termini Imerese e che richiama un analogo caso sempre accaduto a Termini Imerese: pochi giorni fa è stata condannata a 30 anni di carcere Loredana Graziano, 36 anni, per avere avvelenato il marito, Sebastiano Rosella Musico, un pizzaiolo di 40 anni, somministrandogli cibi con dentro cianuro. 

 Anche questo omicidio – stranezza del destino -risale al gennaio del 2019, lo stesso mese in cui è stato ucciso l’agricoltore Domenico Carlo La Duca.

Luana Cammalleri, la donna arrestata oggi insieme all’amante in passato era stata indagata per minacce nei confronti della suocera. Durante una lite le aveva stretto attorno al collo il filo del telefono di casa e la vittima l’aveva denunciata. Il giorno prima che La Duca sparisse si era celebrata l’udienza per minacce a carico della Cammalleri in cui la suocera si era costituita parte civile. Prima che se ne perdessero le tracce l’indagata e il marito si stavano separando, ma continuavano a vivere insieme in un casolare a Cerda, vicino all’azienda agricola di famiglia. La suocera e il figlio abitavano al piano superiore, la Cammalleri e i figli in quello di sotto.

 

 

Nel terreno di proprietà dell’agricoltore e in alcuni campi che appartengono all’amante della indagata, Pietro Ferrara, i carabinieri hanno scavato alla ricerca del cadavere di Lo Duca. Ferrara, che era il miglior amico della vittima e viveva con la sua compagna, lavorava come agricoltore proprio nell’azienda di Lo Duca.

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Arrestata banda di malfattori

 

Cittadino di Lugnano dona all'Arma dei Carabinieri un'opera d'arte -  Tuttoggi

 

I Carabinieri della Stazione di Buseto Palizzolo hanno dato esecuzione a due distinte ordinanze di custodia cautelare nei confronti di cinque persone ritenute responsabili, a vario titolo, di rapina, ricettazione, lesioni, danneggiamento, minaccia e violenza privata. I provvedimenti scaturiscono dalle indagini condotte dai Carabinieri a seguito di due distinti episodi di rapina in danno di minori, verificatisi entrambi a Buseto Palizzolo nel settembre 2021 e la notte di Capodanno 2022.

Le escussioni testimoniali e la minuziosa analisi dei sistemi di videosorveglianza- informano i militari – hanno permesso di individuarne i presunti autori. Sebbene la prima rapina fosse stata perpetrata da quattro soggetti, mentre la seconda solo da due, gli investigatori avevano immediatamente ipotizzato che ci fosse un collegamento tra i due episodi. Le modalità esecutive erano risultate molto simili: i malfattori, in entrambi i casi, dopo aver individuato la vittima a bordo di uno scooter, avevano occupato la carreggiata per costringerlo a fermarsi. Poi, approfittando della minore età e ricorrendo a percosse, gli avevano sottratto lo scooter, dandosi alla fuga.

Le indagini hanno permesso di ricostruire che, poco prima della rapina di settembre, i presunti autori avevano anche lanciato delle pietre in direzione di alcune autovetture in transito sulla strada provinciale che collega Buseto Palizzolo a Valderice. Nell’occorso avevano mandato in frantumi il vetro posteriore di un veicolo causando lesioni ad un bambino che era sul sedile della macchina.

Quattro le persone arrestate (tre in carcere e uno agli arresti domiciliari), mentre una quinta è stata sottoposta all’obbligo di dimora a Buseto Palizzolo. I veicoli oggetto di rapina, in entrambi i casi, sono stati rinvenuti dai Carabinieri e restituiti ai legittimi proprietari.

Procura Antimafia di Messina: arresti per 86 persone per disarticolare l’operatività della famiglia mafiosa dei “barcellonesi”

 

Infarto dopo la cocaina: assolti i due pusher
spaccio di stupefacenti

Messina,

Dalle prime luci dell’alba di oggi, in Sicilia e Calabria, i Carabinieri del Comando Provinciale di Messina-informano- stanno dando esecuzione a ordinanze di custodia cautelare emesse, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Messina, dal G.I.P. del locale Tribunale, nei confronti di 86 persone, sul cui conto il GIP ha riscontrato gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti – a vario titolo – di associazione di tipo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico mafioso, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di armi, incendio, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, con l’aggravante del metodo mafioso. 

L’attività investigativa è il risultato di una più ampia, progressiva e strutturata manovra – condotta dal 2018 ad oggi e coordinata dalla Procura Distrettuale di Messina e finalizzata a disarticolare l’attuale operatività della famiglia mafiosa “dei barcellonesi”, storicamente radicata nel comune di  Barcellona Pozzo di Gotto (ME), capace di esercitare un costante tentativo di infiltrazione in attività imprenditoriali e di economia lecita, sia nel settore della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli (attraverso l’acquisizione di imprese fittiziamente intestate ovvero imponendone, con metodo mafioso, la fornitura dei prodotti), sia nella conduzione del business dei locali notturni e ricreativi del litorale tirrenico nell’area di Milazzo, in cui, oltre a imporre i servizi di sicurezza mediante l’utilizzo di metodi coercitivi e intimidatori, l’associazione mafiosa è sovente intervenuta per condizionare i titolari nell’attività gestionale.