Il Viminale ha rilevato difformità nelle ordinanze dei governatori sulla problematica coronavirus. E fa scendere in campo i Prefetti per diffidare e modificare con urgenza il loro testo per adeguarlo a quello dettato dal Consiglio dei ministri. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese ,autorità nazionale di Pubblica Sicurezza,ex Prefetto di Milano e consigliere di Stato, ha formulato una direttiva indirizzata a tutti i Prefetti per dare attuazione uniforme e coordinata alle disposizioni varate con Dpcm dell’8 marzo per contenere la diffusione del coronavirus che investono profili di ordine e sicurezza pubblica.
“Pertanto – afferma il Viminale- – ferma restando l’autonomia di ciascun Ente nelle materie di competenza nei limiti della legislazione vigente, non risultano coerenti con il quadro normativo le ordinanze delle Regioni contenenti direttive ai Prefetti, che, in quanto Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza, rispondono unicamente all’Autorità Nazionale”.
Ricorderemo che secondo l’ordinamento attuale il Prefetto rappresenta il potere esecutivo in tutta la provincia; esercita le attribuzioni a lui demandate dalle leggi, e veglia sul mantenimento dei diritti dell’autorità amministrativa elevando, ove occorra, i conflitti di giurisdizione secondo la legge 20 novembre 1859 n. 3780; provvede alla pubblicazione ed alla esecuzione delle leggi; veglia sull’andamento di tutte le Pubbliche Amministrazioni, ed in caso d’urgenza fa i provvedimenti che crede indispensabili nei diversi rami del servizio; sopraintende alla pubblica sicurezza, ha il diritto di disporre della forza pubblica, e di richiedere la forza armata; dipende dal Ministro dell’Interno, e ne esegue le istruzioni“.
La funzione fondamentale del Prefetto è quella di rappresentare il potere esecutivo, in altre parole il Governo nel suo insieme, nella provincia: è questa la pietra angolare dell’istituto sulla quale si fonda il conferimento di innumerevoli attribuzioni. Nel periodo liberale non vi fu legge riguardante l’amministrazione periferica dello Stato che non chiamasse in causa il Prefetto. I compiti più importanti del Prefetto durante il periodo liberale furono il controllo degli Enti Locali e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il Prefetto era nominato con decreto reale, su deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata sulla proposta del Ministro dell’Interno, con lo stesso procedimento era traslocato da una sede all’altra.
Il Governo aveva la più ampia discrezionalità nella scelta dei Prefetti, nessun requisito era prescritto per la nomina. La stessa discrezionalità aveva il Governo nel trasferire i Prefetti da una sede all’altra o nel destituirli. La scelta dei Prefetti avvenne, fino alla fine del secolo, nominando, specialmente nelle città più importanti, eminenti uomini politici, donde la denominazione “prefetti politici” e, nelle sedi minori, funzionari provenienti dalla carriera prefettizia, cioè consiglieri di prefettura o sottoprefetti, denominati “prefetti amministrativi o di carriera”. Dagli inizi del secolo XX, la scelta cadde prevalentemente sui funzionari della carriera prefettizia.
I Prefetti “politici” e quelli “amministrativi” furono però un corpo omogeneo. Il criterio di nomina corrispondeva alla concezione del Prefetto, considerato un amministratore piuttosto che un funzionario. Vittorio Emanuele Orlando mise in evidenza come il sistema misto nella scelta dei Prefetti fosse giustificato perché “la qualità di Prefetto, specialmente nelle grandi città, non richiede solo attitudini strettamente burocratiche, ma una mente vasta e direttiva, capace di intendere e di risolvere questioni d’indole piuttosto politica che amministrativa”.