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Ergastolo confermato dai giudici della Corte d’assise d’appello di Palermo al boss di spicco Nino Madonia nel processo di appello per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta, Ida Castelluccio, uccisi a colpi di pistola il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini.
Madonia aveva scelto il rito abbreviato e in primo grado, nel 2021, aveva subito eguale condanna L’accusa, rappresentata dai sostituti procuratori Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, aveva sollecitato la conferma della sentenza di primo grado. I giudici della seconda sezione della corte di di assise di appello, presieduta da Angelo Pellino, hanno pronunciato la sentenza alle 16.45 dopo essere entrati in camera di consiglio questa mattina.
. Confermate anche le condanne di risarcimento per le parti civili costituite: i familiari delle vittime, il centro studi Pio La Torre e l’associazione Libera.
La Corte ha escluso l’aggravamento della premeditazione per l’omicidio di Ida Castelluccio. Presenti in aula i sostituti pg Domenico Gozzo e Umberto De Giglio, al loro fianco il capo dell’ufficio, la procuratrice generale Lia Sava. C’era anche il papà di Nino Agostino, Vincenzo, con la figlia Flora, seduto accanto all’avvocato di parte civile Fabio Repici. In questo procedimento, a porte chiuse, l’unico imputato è il boss Nino Madonia che aveva scelto il rito abbreviato ed in primo grado, nel 2021, era stato condannato all’ergastolo.
L’accusa ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado. Prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio, l’imputato in fase di dichiarazioni spontanee si è rivolto al papà della vittima, Vincenzo, dicendo: «Non sono stato io a uccidere suo figlio. Non è giustizia se vengo condannato». Nel processo con il rito ordinario, invece, che si svolge dinanzi alla Corte di assise presieduta da Sergio Gulotta, sono imputati il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.
Alcuni appunti su Agostino. Era un agente in servizio al commissariato San Lorenzo di Palermo componente di un gruppo che collaborava con i Servizi segreti per la cattura dei latitanti mafiosi. Agostino sarebbe stato in possesso di un «prezziario» con una lista di latitanti. Formalmente assegnato alle volanti, Agostino indagava sui grandi latitanti assieme ad Emanuele Piazza, anche lui assassinato, Giovanni Aiello, morto d’infarto 4 anni fa, Guido Paolilli, agente di polizia, e ad altri componenti allora di vertice dei Servizi di sicurezza.
Agostino avrebbe compreso le reali finalità della struttura a cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista per arrivare alla cattura di Salvatore Riina a San Giuseppe Jato) e avrebbe deciso di allontanarsene poco prima del matrimonio. Una scelta che, secondo gli inquirenti, ha pagato con la vita. La Dia ha indagato sui rapporti tra esponenti delle istituzioni e i capimafia Madonia, boss di Resuttana, e Scotto, da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza, e sulla figura di Aiello, noto come «faccia da mostro», un personaggio dalle mille ombre con legami con ambienti dell’eversione nera poi deceduto.
Nino Madonia
Il delitto è rimasto impunito per 32 anni. Dopo una lunga indagine a carico di Madonia, del boss Gaetano Scotto e di Francesco Paolo Rizzuto, un amico della vittima, la Procura di Palermo aveva chiesto l’archiviazione ritenendo che non ci fossero elementi idonei ad andare a processo. L’inchiesta è stata avocata dalla Procura generale che è giunta a conclusioni differenti e ha chiesto il rinvio a giudizio dei tre imputati. Madonia aveva scelto l’abbreviato.
Decisive le dichiarazioni dei pentiti Vito Galatolo, Francesco Marino Mannoia, Giovanni Brusca, Giuseppe Marchese, Francesco Onorato, ma anche di testimoni vicini ad Agostino, come colleghi e familiari. Da notare che da tempo il padre della vittima, sempre intento per la ricerca della verità ha denunciato i depistaggi e le connivenze che hanno protetto i responsabili della morte del figlio chiedendo giustizia.