Truffe anziani, fenomeno del giorno, 10 arresti tra Napoli e Roma

 

 

Ancora truffe ai danni di anziani, ancora una operazione della Polizia a contrastarle.

Una custodia cautelare in carcere nei confronti di 10 persone è il risultato di una intensa attività info-investigativa dei poliziotti della Squadra mobile di Roma e del III Distretto Fidene-Serpentara, in collaborazione coi colleghi di Napoli. I reati contestati sono, a vario titolo, associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe, rapine ed estorsioni ai danni di anziani.

Il modus operandi utilizzato era il solito, quello del “finto nipote”, o del parente in difficoltà. Uno degli indagati effettuava la chiamata all’anziana vittima carpendone la fiducia e la convinceva che, per evitare un imminente pericolo ad un familiare, avrebbe dovuto pagare una somma di denaro o consegnare preziosi al complice, che, pronto a riscuotere, si presentava alla porta del sfortunato anziano spacciandosi per direttore di uffici postali o corriere.

All’interno dell’associazione per delinquere, che aveva base nel capoluogo partenopeo, i ruoli erano tutti ben definiti: dai promotori ed organizzatori delle truffe, ai telefonisti, incaricati di stabilire il contatto con le vittime, fino al ruolo del esattore, con il compito finale di recarsi a casa dell’anziano per riscuotere denaro o gioielli.

Estorsione aggravata dal metodo mafioso del Clan Casalesi, 5 misure cautelari in Campania su richiesta della Direzione Antimafia

Silhouettes and shadows of people on the city street. Crowd walking down on sidewalk, concept of strangers, crime, society, gang or population

 

Napoli – Casal di Principe (CE)
In data odierna i militari della Compagnia Carabinieri di Casal di Principe hanno dato esecuzione un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 5 persone (3 in carcere, 2 agli arresti domiciliari), ritenute responsabili, a vario titolo, di “estorsione aggravata dal metodo mafioso, danneggiamento a seguito di incendio e usura”.
Le indagini, condotte dai militari e coordinate dalla Procura, hanno permesso di fare luce su un episodio estorsivo commesso, da parte di soggetti storicamente legati al clan dei casalesi, ai danni di due soggetti nel periodo ricompreso tra febbraio 2024 e la data odierna. Le vittime sarebbero state oggetto di richiesta di denaro ammontante a circa 100.000,00 euro, derivante da un pregresso debito di circa 45.000,00 euro elargito, a tasso usuraio, da uno degli odierni indagati. Il creditore, unitamente ad elementi appartenenti alla criminalità organizzata, avrebbe organizzato degli incontri per intimare alle vittime di restituire la somma dovuta. Tali riunioni non avrebbero tuttavia sortito l’effetto sperato portando i soggetti destinatari della misura alla decisione di passare all’azione.
Nell’aprile alcuni degli indagati si sarebbero infatti recati nei pressi dell’abitazione di una delle due vittime e avrebbero dato fuoco a delle autovetture, successivamente risultate a loro non riconducibili. L’evento avrebbe sortito l’effetto desiderato portando i creditori a versare, nelle mani dei sodali, l’importo di circa 5.000,00 euro come prima trance di pagamento del debito dovuto.
Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari di essa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Siracusa: violenza sessuale, due arresti

 

 

Siracusa: violenza sessuale, due arresti

 

Siracusa,

Sono stati identificati ed arrestati dai poliziotti della Squadra mobile di Siracusa i due responsabili, un diciottenne e un diciannovenne, entrambi originari della città siciliana, della violenza sessuale su due studentesse americane.

Le ragazze, in vacanza studio, avevano trascorso la serata ad Ortigia e mentre ritornavano a casa sono state avvicinate da due giovani in scooter che, con una banale scusa e approfittando dell’ingenuità e della difficoltà nella comprensione della lingua italiana delle stesse, le hanno indotte a separarsi e a raggiungere due posti diversi che sarebbero stati poi il teatro delle violenze.

Gli investigatori, servendosi delle dichiarazioni delle vittime e di altre persone informate sull’accaduto e, una volta effettuati sopralluoghi indispensabili per la ricostruzione dei fatti, sono riusciti a risalire agli autori del crimine e ad arrestarli.

Operazione “fata verde” producevano sostanze stupefacenti, simulando la coltivazione di canapa sativa

 

Droghe sintetiche (immagine di repertorio)

Archivi -Sud Libertà 

 

Reggio Calabria,

I carabinieri del n.i.p.a.a.f. del gruppo carabinieri forestale di Reggio Calabria, diretti dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, hanno ricostruito, allo stato degli atti, l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di vaste piantagioni di cannabis sul territorio calabrese con conseguente vendita sul mercato illegale della sostanza stupefacente ricavata, all’interno di una consolidata organizzazione costituita da soggetti operanti tra i comuni di Taurianova (rc), san Procopio (rc) e Sant’eufemia di aspromonte (rc).

Le indagini avrebbero consentito di individuare i soggetti che finanziavano e sovraintendevano i lavori di piantagione, riconducibili alle cosche di ‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria ed anche di Catanzaro, nonché gli altri componenti dell’organizzazione, con la definizione delle “quote parte” spettante a ciascuno di essi, in termini di proventi derivanti dalla vendita della sostanza stupefacente sul mercato illegale.

In ausilio ai sodali, operavano ulteriori figure assoldate di volta in volta, che venivano individuate per svolgere compiti di vigilanza e manovalanza, ovvero quali “soggetti sacrificabili”, spesso incensurati, disposti ad assumersi ogni responsabilità nell’ipotesi di un intervento delle forze di polizia.

Dalle conversazioni intercettate emergeva come i partecipi all’organizzazione si mostrassero sicuri in merito ai canali commerciali ai quali destinare la sostanza stupefacente, grazie alle figure garanti dei capi-promotori, già inseriti in un sistema strutturato e consolidato di commercio nel mercato illegale.

Gli odierni arrestati non desistevano neppure a fronte delle periodiche azioni di contrasto alle loro attività poste in essere dalle forze di polizia, tanto da essere capaci di riavviare in tempi rapidi le attività di produzione della sostanza stupefacente nonostante i vari controlli subiti.  peraltro i sodali simulavano la legale sussistenza delle coltivazioni di canapa, con raggiri e stratagemmi atti ad eludere i controlli operati dai carabinieri forestali.

Nel corso di un controllo amministrativo, uno dei titolari dell’attività, già istruito a dovere dai sodali, esibiva ai carabinieri la documentazione comprovante la sussistenza di un’azienda agricola a suo nome, un regolare contratto di affitto del terreno e fatture di acquisto di semi certificati di canapa nei limiti previsti dall’attuale normativa. nello specifico, i militari intervenuti eseguivano ritualmente un campionamento delle piante presenti, con prelievo della coltura, alla presenza del titolare, al quale venivano rilasciati dei campioni in contraddittorio per le eventuali controverifiche. gli esiti delle analisi condotti dal reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, confermavano la sussistenza di un principio attivo – thc nettamente superiore al quantitativo soglia consentito dalla legge, il che certificava la natura di stupefacente delle piante campionate.

Tra le varie attività condotte nel corso dell’indagine, i militari del n.i.p.a.a.f. di Reggio calabria avevano già proceduto all’arresto in flagranza di un soggetto che trasportava ingenti quantitativi di piante di canapa prelevate dalle piantagioni oggetto della presente indagine, nonché di ulteriori quattro soggetti sorpresi nella lavorazione dello stupefacente, con conseguente sequestro di circa 70 kg di marijuana già in stato di essiccazione e pronta per la vendita.

Quest’ultima attività e tutti gli elementi raccolti dagli investigatori hanno portato all’adozione delle odierne misure cautelari, emesse dal g.i.p. di Reggio Calabria.

Le ipotesi di reato contestate vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti, aggravata ai sensi dell’art. 416 bis 1 c.p., a una serie di delitti in materia di stupefacenti.

E’ appena il caso di evidenziare gli effetti deleteri per la salute derivanti dall’uso di tale sostanza stupefacente, quali tra i più gravi l’alterazione della capacità di giudizio.

Per l’odierna operazione sono stati impiegati circa 60 carabinieri forestali provenienti dalle regioni Calabria e Sicilia, unitamente a militari del comando provinciale di Reggio Calabria. tredici le misure cautelari personali eseguite in data odierna, di cui otto in carcere, tre agli arresti domiciliari e due divieti di dimora nel territorio calabrese.

Si precisa che il presente procedimento penale è nella fase delle indagini preliminari per cui ogni valutazione è da considerare allo stato degli atti e fatte salve le successive valutazioni

 

 

Prima nell’antimafia con Falcone, adesso indagato per Mafia l’ex magistrato Natoli.

 

 Natoli, “La verità è un’altra”

L’ex pm Gioacchino Natoli è accusato di favoreggiamento aggravato alla mafia dalla Procura di Caltanissetta, a distanza di oltre 30 anni. Natoli, ex componente del pool di Falcone e Borsellino, si difende promettendo di far emergere la verità.

Una vita nell’antimafia con Falcone, indagato l’ex magistrato Natoli. Lui: "Pronto a far emergere la verità"

Una vita nell’antimafia con Falcone, indagato l’ex magistrato Natoli. 

L’accusa, specie per un magistrato, è la peggiore, tra le più brutte favoreggiamento aggravato alla mafia. È questo il reato che la Procura di Caltanissetta, a oltre 30 anni dalle presunte condotte che sarebbero ampiamente prescritte, contesta all’ex pm Gioacchino Natoli, una vita nell’antimafia, per anni componente del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pubblica accusa al processo Andreotti. In sintesi, secondo i colleghi che gli hanno notificato un invito a comparire per rendere interrogatorio, Natoli per aiutare imprenditori mafiosi avrebbe cercato di insabbiare un filone della cosiddetta inchiesta mafia-appalti, una indagine che, ritengono i familiari del giudice Borsellino, sarebbe poi stata la causa dell’attentato di Via D’Amelio.

Natoli si difende: “Sono un uomo delle istituzioni, farò emergere la verità”.

Napoli, misure cautelari personali e reali nei confronti di boss del clan Contini-Bosti – Sequestro di circa 4 milioni di euro e numerosi orologi di lusso

Napoli,

La Squadra Mobile di Napoli, il Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Napoli, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli e lo S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza hanno rinvenuto e sottoposto a sequestro denaro contante per oltre 4 milioni di euro, in aggiunta a numerosi preziosi, oggetti aurei, diamanti e 48 orologi di lusso il cui valore – ingentissimo e comunque non inferiore a 5 milioni di euro – è in corso di stima.

Il sequestro è stato eseguito nel corso della perquisizione effettuata nei confronti di uno dei quattro destinatari dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione mafiosa, minaccia, induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, riciclaggio e autoriciclaggio, aggravati dalla finalità agevolativa del clan Contini.

La perquisizione effettuata nell’abitazione di uno degli indagati ha permesso di scoprire un caveau abilmente occultato e schermato con lastre in ferro, la cui localizzazione è stata possibile grazie a strumenti tecnologicamente avanzati, al cui interno è stato rinvenuto il “tesoro” sottoposto a sequestro.

Sulla base delle risultanze investigative, il destinatario del sequestro avrebbe riciclato i proventi di truffe perpetrate mediante la rivendita di orologi di lusso in società intestate a soggetti prestanome, operanti nei settori della gestione di rifiuti ferrosi, della telefonia e della locazione di immobili e dedite all’emissione e all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Tre minori ospiti di un Istituto di cura vittime di atti sessuali anche tentati Arrestato l’uomo di 59 anni, aveva i bambini in “custodia”

Archivi-Sud Libertà

 

Si sa fino adesso che sono almeno  tre bambini ospiti di un istituto di cura vittime di una “persona malata” – non può che definirsi così l’autore di questi reati –  dove lavorava da quasi 30 anni. La Squadra mobile di Catania su ordine del gip del Tribunale di Catania che ha accolto la richiesta della Procura Distrettuale etnea, ha arrestato P.A. di 59 anni. L’uomo è accusato di atti sessuali, anche nella forma tentata, nei confronti di tre minori, a lui affidati per ragioni di vigilanza e di custodia.

Le indagini condotte dalla Squadra Mobile provano che P.A. si sia reso responsabile di  comportamenti censurabili ed amorali  nei confronti di minori, affetti da patologie, frequentanti un istituto di cura, nell’hinterland etneo. Le indagini, basate su testimonianze dei tre minori coinvolti, sentiti nella forma dell’audizione protetta, corroborate anche alcune chat rinvenute sui cellulari di due delle persone offese, hanno delineato un quadro – spiega la Procura – particolarmente allarmante. Nel dettaglio l’indagato, in servizio nell’istituto di cura sin dal 1993, avrebbe compiuto atti sessuali con un minore, di soli 13 anni e la denuncia della madre ha fatto scattare la delicata inchiesta.

Gli abusi sessuali e tentativi

Al ragazzino l’indagato si sarebbe approcciato attraverso regali di vario genere (caramelle, patatine, lattine di coca-cola ed un paio di occhiali da sole) nonché tramite la promessa di somme di danaro per l’imminente onomastico e compleanno e con comunicazioni su WhatsApp a chiaro sfondo sessuale. Il tentativo di compimento di atti sessuali è stato accertato nei confronti anche di un altro minore, al quale più volte l’indagato avrebbe elargito somme di danaro tra 15 e 20 euro e doni di vario tipo (caramelle e un bracciale), chiudendosi a chiave da solo con il ragazzo all’interno di stanze della struttura.

Il 13 aprile scorso dopo che il ragazzo aveva cessato di frequentare per motivi di cura l’istituto, P.A. avrebbe posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco al compimento di un rapporto sessuale. Atti sessuali sarebbero stati compiuti anche ai danni di un altro minorenne. P.A., è stato rintracciato a casa sua e posto agli arresti domiciliari. Si è proceduto anche ad una perquisizione personale, locale e informatica, sequestrando il telefono cellulare ed altro materiale informatico in uso all’indagato, i cui contenuti verranno analizzati al fine di individuare ulteriori reati connessi a quelli già ipotizzati dal magistrato.

Oggi, alle 16, 30 i funerali del bimbo precipitato nel pozzo. Sono nove finora le persone indagate e colpite dal provvedimento giudiziario

 

Saranno celebrati alle 16,30, oggio,  a Palazzolo Acreide, nel Siracusano, i funerali di Vincenzo Lantieri,- nella foto sotto-  il bimbo di 10 anni morto giovedì scorso dopo essere precipitato in un pozzo mentre stava giocando. Le esequie si terranno, alle 16.30, nella Basilica di San Sebastiano e la messa sarà celebrata dall’arcivescovo di Siracusa, monsignore Francesco Lomanto.

Vincenzo Lantieri, il bimbo di 10 anni morto giovedì scorso dopo essere precipitato in un pozzo
Il sindaco Salvatore Gallo ha disposto il lutto cittadino “in segno di cordoglio, vicinanza e riflessione” e interpretando “il sentimento dell’intera comunità, profondamente colpita da questo drammatico evento” e che “ha manifestato unanime desiderio di partecipazione al dolore dei familiari”.

Autopsia conferma decesso di Vincenzo per annegamento

Il magistrato che ha disposto l’autopsia sul cadavere ha confermato che Vincenzo è morto per annegamento. Sono al momento nove le persone indagate per omicidio colposo, tra cui il proprietario del terreno in cui si trova il pozzo, che andava sistemato e ben segnalato,  e l’educatrice che ha provato a salvare il bimbo lanciandosi nel pozzo, colpevole probabilmente di averlo perduto di vista..

Camorra Napoli: figlia contesa. Imposizioni intimidatorie e cortei armati del clan De Martino per scortare i nonni paterni durante gli incontri con la piccola. 9 misure cautelari

A Napoli la guerra di camorra è ricominciata. Lo Stato intervenga

Archivi-Sud Libertà

 – Napoli,

Per delega del Procuratore Distrettuale di Napoli, si comunica che i Carabinieri della Compagnia di Torre del Greco hanno eseguito un’ ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 9 persone gravemente indiziate, a vario titolo, dei reati di atti persecutori, lesioni personali e di detenzione e porto in luogo pubblico di armi, delitti aggravati dal metodo mafioso per aver fatto ricorso alla capacità d’intimidazione dell’associazione di tipo camorristico denominata clan “De Martino”, storicamente operante nell’area orientale di Napoli e, in particolare, nel quartiere Ponticelli.
All’esito delle indagini svolte dai Carabinieri della Tenenza di Cercola, è emerso che gli indagati hanno fatto ricorso ad imposizioni, progressivamente divenute più intimidatorie e prevaricatrici, affinché venisse loro garantito l’affidamento, in totale assenza di alcuna regolamentazione giudiziaria, di una bambina nata dalla relazione di una donna con il rampollo – detenuto – di una famiglia storicamente al vertice di una delle fazioni camorristiche che si contendono l’egemonia criminale nella zona del quartiere napoletano Ponticelli.
Le investigazioni hanno consentito, inoltre, di documentare l’esecuzione di veri e propri cortei armati degli affiliati al gruppo camorristico in questione per scortare i nonni paterni  in occasione dei quotidiani prelievi e delle riconsegne della bambina.

Gli arrestati sono stati associati presso la Casa Circondariale di Napoli-Secondigliano nonché presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.

Il provvedimento eseguito è una misura cautelare disposta in sede di indagini preliminari, avverso cui sono ammessi mezzi di impugnazione e i destinatari della stessa sono persone sottoposte alle indagini e, quindi, presunte innocenti fino a sentenza definitiva.

Scomparsa di Denise Pipitone: tre magistrati “giudicano diffamatorie” le affermazioni del giornalista RAI Infante e del direttore della testata online Perrino. Imputazione coatta” disposta dal Gup Salvucci

 

Milo Infante

Ufficio stampa RAI     – Il giornalista Milo Infante

 

MA PERCHE’ I MAGITRATI DI MARSALA SI SENTONO OFFESI DOPO TRE ANNI DALLA TRASMISSIONE SULLA PIPITONE  VISTO CHE ESISTE ANCORA IL PRINCIPIO LEGISLATIVO DELLA “TEMPESTIVITA” DELLA DENUNCIA?             SI SAPEVA GIA’ ALLORA E SI  DIFFONDE ADESSO?  OPPURE SI SONO SVOLTE LE RITUALI INDAGINI PRELIMINARI?

 

di    R.Lanza

 

Guai giudiziari in vista  per due giornalisti , uno della Rai, Milo Infante ,anche conduttore ed autore televisivo,  l’altro della testata Affari italiani.it  Sono Milo Infante e Angelo Maria Perrino   Guai ancora più consistenti perchè mossi da Giudici -una squadra- che non ammettono forse la “fretta” di documentazione e i loro nomi pubblicati con circostanze ritenute “non veritiere od opinabili sotto la propria responsabilità”

Con l’accusa di diffamazione, per avere offeso, il 22 novembre del 2021, nel corso della trasmissione ‘Ore 14’ in onda su Rai 2, la reputazione di tre magistrati di Marsala (Trapani), il Gup di Caltanissetta David Salvucci ha disposto l’imputazione coatta dei due giornalisti

Le parti offese sono l’ex Procuratore di Marsala (Trapani) Vincenzo Pantaleo e i pm Roberto Piscitello e Giuliana Rana, titolari dell’inchiesta sulla scomparsa di Denise Pipitone, la bambina di 4 anni di cui si sono perse le tracce da Mazara del Vallo l’1 settembre del 2004. Per il giudice Salvucci le frasi pronunciate da Perrino nella trasmissione Rai sono “obiettivamente diffamatorie”. Il gup parla di “offese ai tre magistrati”.

Ammettiamo che non abbiamo seguito gli sviluppi della  delicata vicenda della scomparsa di Denise Pipitone, ma la cosa che sorprende oggi è – salvo che non ci è nota una possibile fase interlocutoria dei giornalisti con la Procura, per archiviare l’episodio, è  l’intempestività dell’imputazione o rinvio   a giudizio perchè si sa che il reato di diffamazione sussiste solo per i primi sei mesi. Trattandosi della Rai non è ammessa la non conoscenza tempestiva perchè essa rappresenta la testata più diffusa.
Lesione della reputazione professionale e diffamazione. (Corte di  Cassazione, Sezione Penale n. 7995 del 01.03.2021). - Studio legale  Avvocato Cavalletti, Pisa, Toscana, Italia
Archivi -Sud Libertà

Ma cosa disse il direttore della testata Affaritaliani.t? “Una fonte romana di ‘Affaritaliani’ mi ha detto che la chiave di questo giallo sta nelle intercettazioni che non hanno voluto rendere pubbliche perché sarebbero compromettenti per molti personaggi e quindi, con diversi pretesti, sono state seppellite e rese inutilizzabili

. E Infante, “a fronte della domanda di un altro ospite presente in studio – scrive il Gup – e della dichiarazione di Perrino, che i personaggi citati sono ‘magistrati, politici e credo non solo'”. E così “offendevano -per il Gup – la reputazione dei tre magistrati in quanto gli stessi venivano indirettamente indicati come responsabili dell’occultamento delle intercettazioni telefoniche dal contenuto compromettente e della mancata individuazione degli autori del reato di sequestro di persona commesso nei confronti di Denise Pipitone”.

Infante era stato interrogato dal pm di Caltanissetta e si era difeso affermando di essersi riferito a presunte lacune delle prime indagini sulla scomparsa e non agli attuali titolari dell’inchiesta. Ma il Gup ha respinto la richiesta di archiviazione del pm di Caltanissetta per “incontestabile valenza diffamatoria delle dichiarazioni” e di “consapevolezza dei due giornalisti di ledere la reputazione e di gettare discredito su tutti coloro che avevano avuto occasione di occuparsi delle indagini relative alla scomparsa di Denise”.

Sarebbe stato rispondente a un preciso dovere professionale degli indagati, – scrive il Gup – nel divulgare la notizia di una sì grave violazione di principi etici e doveri professionali da parte di soggetti che avrebbero potuto essere chiamati a risponderne anche innanzi all’autorità giudiziaria penale e in sede disciplinare, circoscrivere la pubblica denuncia dell’illecita collusione a persone o epoche precise e determinate, cosi come Infante ha prontamente fatto soltanto in sede di interrogatorio“.