L’UE MIRA A METTERE L’UCRAINA NELLA POSIZIONE PIU’ FORTE POSSIBILE- CONCLUSIONI: 26 CAPI DI STATO ECCETTO L’UNGHERIA-A FAVORE DELL’UCRAINA

 

 Approvate le conclusioni sull’Ucraina a 26, senza l’Ungheria che ha mantenuto la propria posizione contraria, come il 6 marzo scorso.

Zelensky al G20: ecco i 10 punti per la pace - la Repubblica

L‘Ue e i suoi Stati membri “contribuiranno al processo di pace, per aiutare ad assicurare una pace giusta e duratura, che sia nell’interesse dell’Ucraina e dell’Europa nel suo insieme”, riportano le conclusioni sull’Ucraina approvate da 26 capi di Stato e di governo su 27, senza l’Ungheria.

Nelle conclusioni del Consiglio Europeo si riporta che i leader hanno discusso dell’Ucraina, che hanno avuto uno scambio di vedute con il presidente Volodymyr Zelensky (in collegamento dalla Norvegia) e che il testo allegato è “fermamente sostenuto” da 26 capi di Stato e di governo dell’Ue.

Nel testo a 26, dopo aver ribadito il sostegno “continuo e incrollabile” a Kiev, si ripete che l’Ue “mantiene il suo approccio ‘pace attraverso la forza’”, che mira a mettere l’Ucraina nella posizione “più forte possibile”, della quale componente “essenziale” sono le sue “robuste capacità militari e di difesa”. Pertanto, l’Ue rimane “impegnata a fornire ulteriore sostegno all’Ucraina e al suo popolo”, affinché possa esercitare il proprio “diritto all’autodifesa”.  E stavolta l’Ucraina potrà difendersi con gli strumenti economici dell’Europa anzichè degli Stati Uniti e del suo superbullo Trump..

Tutti in coro chiedono  il “sostegno ad una pace giusta e completa, basata sui principi della Carta delle Nazioni Unite e sul diritto internazionale” e “accoglie con favore i principi delineati il 6 marzo scorso, che dovrebbero guidare i negoziati di pace”. I leader, si legge poi, “accolgono con favore” la dichiarazione congiunta Usa-Ucraina, “inclusa la proposta di cessate il fuoco”, nonché la ripresa della condivisione delle informazioni di intelligence tra i due Paesi. I leader chiedono poi alla Russia “di mostrare una vera volontà politica di porre fine alla guerra”.

Un percorso “credibile” verso la pace deve includere, tra l’altro, lo “scambio dei prigionieri” e il “ritorno di tutti i bambini ucraini” rapiti e deportati in Russia e Bielorussia. L’Ue resta “pronta ad aumentare la pressione sulla Russia”, anche tramite “ulteriori sanzioni” e il “rafforzamento” delle misure esistenti. I beni della Banca centrale russa rimarranno “immobilizzati” finché Mosca non cesserà la guerra e “risarcirà” l’Ucraina per i danni inflitti con la guerra.

Sulle garanzie di sicurezza, Ue e Stati membri “sono pronti a contribuire”, in particolare “sostenendo la capacità dell’Ucraina di difendersi con efficacia”. Pertanto, gli aiuti a Kiev continueranno: i leader “esortano la Commissione e i Paesi membri ad usare tutte le opzioni dello strumento per l’Ucraina per aumentare il sostegno finanziario” a Kiev. Si richiama l’iniziativa dell’Alta Rappresentante Kaja Kallas, sulla quale sono però freddi grandi Paesi come Spagna e Italia, e si esortano i Paesi ad “aumentare” gli sforzi per aiutare militarmente Kiev.

Si ribadisce l’intenzione di trascinare davanti alla giustizia gli autori di crimini di guerra commessi in Ucraina, ricordando il Tribunale speciale creato ad hoc al Consiglio d’Europa. Si richiama la ricostruzione del Paese, citando esplicitamente la conferenza che verrà tenuta in Italia nel prossimo luglio. L’Ue “intensificherà il sostegno” alle riforme che l’Ucraina deve fare “nel suo percorso verso l’adesione all’Ue” e “sottolinea l’importanza di fare progressi nei negoziati” a questo fine.

Ue ‘deplora’ la ripresa dei combattimenti a Gaza

Nelle conclusioni inoltre il Consiglio Europeo “deplora la rottura del cessate il fuoco a Gaza, che ha causato un gran numero di vittime civili nei recenti attacchi aerei”. Il Consiglio “deplora il rifiuto di Hamas di consegnare gli ostaggi rimasti”. Il Consiglio Europeo “chiede un immediato ritorno alla piena attuazione dell’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Sottolinea la necessità di progredire verso la sua seconda fase, in vista della sua piena attuazione, che porti al rilascio di tutti gli ostaggi e alla fine definitiva delle ostilità”.

Ue, Meloni: “Ventotene non è la mia Europa”. Sospesa due volte la seduta in una Camera ad alta tensione

 

Giorgia Meloni - Fotogramma /Ipa

Toni accesissimi a Montecitorio dopo le critiche della premier al testo di Spinelli, Rossi e Colorni al confino nel 1941. Dai banchi della minoranza le urla: “Si vergogni, no al fascismo”. Via libera della risoluzione della maggioranza sul Consiglio

Toni accesissimi in Aula a Montecitorio dopo l’attacco della premier Giorgia Meloni al Manifesto di Ventotene, il testo per la nuova Europa scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941 confinati dai fascisti presso l’isola delle Pontine. Seduta sospesa due volte e opposizioni sul piede di guerra in una giornata che ha registrato una escalation di tensione alla Camera.

L’Aula della Camera ha votato, inoltre, a favore della risoluzione di maggioranza, presentata dopo le comunicazioni del premier, Giorgia Meloni, in vista della riunione del Consiglio europeo del 20 e 21. Il testo della maggioranza ha incassato 188 voti a favore, no 125 e 9 gli astenuti. Bocciate le altre cinque risoluzioni a firma delle opposizioni: del partito democratico, del M5S, di Avs, Italia Viva e Azione. Alcune di queste sono state votate per parti separate, per richiesta dei gruppi firmatari.

Non mi è chiarissima l’idea d’Europa alla quale si fa riferimento -dice la premier alla fine del suo intervento, dopo aver ribadito la linea che terrà al Consiglio Ue del 20 e 21 marzo – anche in quest’aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene: ora io spero che tutte queste persone in realtà non abbiano mai letto il manifesto di Ventotene perché l’alternativa sarebbe francamente spaventosa…”.

 Parole che arrivano in chiusura del suo intervento alla Camera, che segneranno l’inizio delle tensioni in Aula, con una doppia sospensione dei lavori decisa dal presidente Fontana. Meloni si dilunga sulla disamina di alcune parti del documento, che vuole citare ad una ad una. Tra i brani letti l’Aula ascolta ‘la rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista’, con tanto di chiosa della premier (“e fino a qui vabbè…”) e ancora: ‘La proprietà privata deve essere abolita, limitata…'”. Le opposizioni iniziano a rumoreggiare, si distingue Federico Fornaro, deputato del Pd e autore di un saggio su Matteotti che si fa sentire.

Ma Meloni incalza, citando un nuovo passaggio: ‘La politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria’, è un altro virgolettato citato. Il manifesto, legge sempre Meloni, conclude: ‘Il partito rivoluzionario attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna’ e ancora ‘attraverso questa dittatura del partito si forma il nuovo stato e attorno a esso la nuova democrazia’.

Bagarre alla Camera, ira opposizioni contro la premier: “Si vergogni”

Quanto basta per scatenare la bagarre finale in Aula, con il presidente Fontana costretto a sospendere i lavori, ma la sosta non placa gli animi e le opposizioni, alla ripresa della seduta alla Camera, attaccano a testa bassa.

A prendere la parola per primo, sull’ordine dei lavori, è il vicecapogruppo di Avs, Marco Grimaldi: “Ci sentiamo profondamente offesi e indignati”, inizia il deputato rossoverde, che poi attacca per il “fatto gravissimo”: “Questo Paese, questa democrazia, questa Costituzione è nata anche a Ventotene. Quegli uomini e quelle donne parlavano dal confine, da una dittatura, in questo Paese o eri suddito o eri ribelle. E’ anche grazie a loro se siete e se siamo liberi”.

A Grimaldi fa eco proprio Fornaro: “Quello che è avvenuto lo riteniamo un fatto grave nei confronti del Parlamento, della storia di questo Paese”. Il manifesto di Ventotene, spiega l’esponente dem, non è “l’inno alla dittatura del proletariato, è l’inno dell’Europa federale, contro i nazionalismi che sono stati il cancro che nel Novecento ha prodotto due guerre mondiali”. Per Fornaro, questo è un oltraggio alla “memoria di Altiero Spinelli, considerato il padre dell’Europa, di Ernesto Rossi, di Eugenio Colorni”. “Si inginocchi la presidente del Consiglio davanti a loro, altro che dileggiarli. Vergogna, vergogna, vergogna”, conclude il deputato dem.

Credo che alle gravissime parole che la presidente Meloni, un oltraggio alla nostra democrazia, la risposta migliore sia stata data dal presidente Mattarella“.

E’ l’inizio dell’intervento di Alfonso Colucci, del Movimento 5 stelle, che poi ricorda le parole del capo di Stato direttamente a Ventotene, mettendo l’accento soprattutto sulla parte in cui Mattarella disse che era “il fascismo” ad aver mandato “qui diverse persone per costringerle a non pensare o quantomeno per evitare che seminassero pericolose idee di libertà”. “Quanto abbiamo sentito oggi in quest’aula dalla presidente del Consiglio -ribadisce il deputato pentastellato- è un oltraggio. Non c’è spazio in quest’aula per il fascismo e lei dovrebbe per primo alzarsi da quello scranno. Presidente, si vergogni”, tuona Colucci.

Duro il commento di Elly Schlein: “Giorgia Meloni ha deciso in aula di nascondere le divisioni del suo governo oltraggiando la memoria europea. Noi non accettiamo tentativi di riscrivere la storia”. Scrive Matteo Renzi sui social. “La Meloni non ama Ventotene perché la storia di Ventotene dice il contrario della storia di Giorgia Meloni. Le prossime elezioni saranno un referendum tra chi crede nelle idee di Ventotene e tra chi crede in Giorgia Meloni. Noi non abbiamo dubbi su da che parte stare”.

La premier a Bruxelles

Nella serata di mercoledì la premier è tornata sul tema da Bruxelles. “Ho solo letto un testo,un testo si  puà distribuire ma non leggere? È un simbolo del quale ho riletto i contenuti. Non capisco cosa ci sia di offensivo nel leggere il testo. Non l’ho distorto, l’ho letto testualmente. Ma non per quello che il testo diceva 80 anni fa, ma per il fatto che è stato distribuito sabato scorso. Un testo 80 anni fa aveva la sua contestualità. Se lo distribuisci oggi, io devo leggerlo e chiederti se è quello in cui credi” commerta in conclusionee.

Naufraghi tunisini cadono dal gommone, dieci superstiti a Lampedusa

 

La voce di migranti e rifugiati per un giornalismo di ...

 

Lampedusa,

Alla partenza i naufraghi erano 56 dalla Tunisia,, da Sfax, a bordo di un gommone. Ma mentre erano in acque internazionali decine di loro sarebbero caduti in acqua a causa del maltermpo.

I 10 superstiti in queste ore vengono sentiti dalla Polizia. Si tratta di uomini, tutti giovanissimi. Sono stati portati all’hotspot di Lampedusa.

Oggi, a causa delle condizioni meteomarine particolarmente avverse, le operazioni di ricerca proseguono con il supporto di mezzi aerei, tra cui l’aereo Manta della Guardia costiera e velivoli di Frontex, di forze armate e polizia. Sono stati inoltre allertati i Centri di coordinamento del soccorso marittimo di Malta e della Tunisia per le ricerche nelle rispettive aree Sar di competenza.

“Cristina Palma, vice direttore dell’hotspot di Lampedusa gestito dalla Croce Rossa italiana ha affermato:  “.Ieri abbiamo accolto in hotspot i 10 superstiti del naufragio. L’imbarcazione era partita dalla Tunisia e si tratta di persone provenienti dall’Africa subsahariana. Hanno riposato tutta la notte, sono tutti in buone condizioni di salute e dopo le procedure di identificazione forniremo loro un ulteriore supporto psicologico con la nostra equipe multidisciplinare“.

Una tregua troppo fragile, quella raggiunta telefonicamente tra Trump e Putin che mira ad annullare il valore della libertà in Ucraina- C’è il problema del “controllo effettivo” dei territori

 

 

Trump e Putin   RIPRODUZIONE RISERVATA © ANSA/AFP

 

 

Niente più  aiuti militari e  intelligence da parte dell’Occidente all’Ucraina come requisito ‘chiave’ per la Russia nel corso del colloquio tra Putin e Tramp per porre fine alla guerra. Un colloquio durato circa due ore e definito “produttivo” dal leader Usa, e stop agli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine per un mese. Un primo passo verso la pace, secondo la Casa Bianca.  Un pò debole  come tregua da parte di Putin  …che, forse mira ancora a conquistare  territori di Kiev….

 Zelensky : non c’è la volontà di Putin a porre fine a questa guerra

Il cessate il fuoco parziale accordato dalla Russia, con lo stop degli attacchi alle strutture energetiche per un mese, non dimostrano la volontà di Putin a porre fine a questa guerra. E’ il pensiero del  al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che spera di avere a breve un contatto diretto con Trump. Le condizioni illustrate da Putin “puntano a indebolire l’Ucraina” e “non a mettere fine alla guerra. La Russia non è pronta a porre fine a questa guerra e lo vediamo. Non sono pronti nemmeno per il primo passo, che è un cessate il fuoco”, ha affermato Zelensky , commentando pure che “il gioco di Putin è indebolire l’Ucraina”.

“Dopo aver ricevuto i dettagli dal presidente degli Stati Uniti, da parte americana, daremo la nostra risposta”, ha detto ai giornalisti, aggiungendo che gli Stati Uniti dovrebbero essere “garanti” del cessate il fuoco parziale: “La nostra parte manterrà questa posizione” finché la Russia la rispetterà.

In questo contesto, passano in secondo piano i primi traguardi raggiunti nella telefonata. Mosca e Kiev per ora procederanno allo scambio di 175 prigionieri di guerra ciascuno, secondo l’intesa raggiunta nel colloquio. L’ok allo scambio di prigionieri è “un gesto di buona volontà” da parte di Mosca, ha sottolineato il Cremlino. Oltre ai 175 prigionieri di guerra, la Russia trasferirà in Ucraina anche 23 militari di Kiev rimasti “gravemente feriti”.

La condizione ‘chiave’ di Mosca

E’ stato sottolineato che la condizione chiave per impedire un’escalation del conflitto e lavorare verso la risoluzione con mezzi politici e diplomatici deve essere la completa cessazione dell’assistenza militare e la fornitura di intelligence a Kiev”, recita la nota del Cremlino dopo la telefonata tra Putin e Trump.

Mosca ha poi dato la sua disponibilità ad un cessate il fuoco di 30 giorni sulle infrastrutture, in particolare energetiche, dell’Ucraina, ma ha ribadito i suoi dubbi sul più ampio cessate il fuoco di 30 giorni, senza condizioni, che Stati Uniti e Ucraina avevano concordato e proposto alla Russia.

Nella nota del Cremlino si legge quindi che da parte dei russi sono “stati evidenziati un numero di punti significativi” che richiedono ulteriori considerazioni, compreso quello “del controllo effettivo” su qualsiasi cessate il fuoco sulla linea del conflitto. Inoltre la Russia richiede lo stop della mobilitazione degli ucraini e il riarmo delle sue forze, insieme alla ribadita richiesta, già avanzata nei giorni scorsi da Putin, di “eliminare le radici che hanno provocato la crisi”.

Il leader russo, come riferisce il Cremlino, ha detto al presidente americano di essere in ogni caso “disposto a collaborare con lui per la pace”. Mosca ha spiegato che verranno creati “gruppi esperti americani e russi che lavoreranno per raggiungere un accordo di pace”.

Trump: “Il processo di pace è in pieno svolgimento e, sono certo, ci sarà ” il  cessate il fuoco completo”

Grande ottimismo, intanto, da parte di Trump, che ha parlato di un colloquio telefonico “molto buono e produttivo” su Truth. “Abbiamo concordato un immediato cessate il fuoco su tutta la rete energetica e sulle infrastrutture – ha scritto il tycoon -, con l’intesa che lavoreremo rapidamente per avere un cessate il fuoco completo e, in conclusione, la fine di questa orribile guerra tra Russia e Ucraina. Questa guerra – ha aggiunto – non sarebbe mai iniziata se fossi stato il presidente! Sono stati discussi molti elementi di un accordo di pace, incluso il fatto che migliaia di soldati vengono uccisi. Sia il presidente Putin che il presidente Zelensky vorrebbero vedere la guerra finire. Il processo è ora in pieno svolgimento con efficacia e, si spera, per il bene dell’umanità, porteremo a termine il lavoro”...

Il presidente Trump e il presidente Putin hanno parlato della necessità di pace e di un cessate il fuoco nella guerra in Ucraina. Entrambi i leader – si legge quindi nella nota della Casa Bianca dopo il colloquio tra i leader – hanno concordato che questo conflitto deve concludersi con una pace duratura. Hanno anche sottolineato la necessità di migliorare le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Russia. Il sangue e le risorse che sia l’Ucraina che la Russia hanno versato in questa guerra andrebbero destinati alle esigenze dei rispettivi popoli”.

“Questo conflitto non avrebbe mai dovuto iniziare e avrebbe dovuto concludersi molto tempo fa con sinceri e positivi sforzi per la pace. I leader hanno concordato che l’iter verso la pace inizierà con un cessate il fuoco per le strutture energetiche e per le infrastrutture, nonché con negoziati tecnici sull’attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero, un cessate il fuoco completo e una pace permanente“, prosegue la nota.

Il colloquio è servito anche per concordare l’avvio di negoziati “immediatamente in Medio Oriente. I leader hanno parlato ampiamente del Medio Oriente come regione di potenziale cooperazione per prevenire futuri conflitti. Hanno inoltre discusso della necessità di fermare la proliferazione di armi strategiche e si impegneranno con altri per garantire la più ampia applicazione possibile”.

Infine, “i due leader hanno condiviso l’opinione che l’Iran non dovrebbe mai essere in condizione di distruggere Israele. I due leader hanno concordato che in futuro un miglior rapporto bilaterale tra Stati Uniti e Russia produca enormi vantaggi. Questo comprende rilevanti accordi economici e la stabilità geopolitica quando la pace sarà raggiunta”.

 

 

 

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Catania,

Nell’ambito di complesse attività di indagine coordinate dalla Procura Distrettuale della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito, con il supporto di unità della Compagnia Pronto impiego Catania (“Baschi Verdi” e unità cinofile) nonché del Nucleo PEF di Reggio Calabria e del Gruppo Locri (RC), l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale ha disposto misure cautelari personali nei confronti di 6 persone, ritenute responsabili, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, di un’intensa attività di narcotraffico con importazioni dall’estero e con l’aggravante dell’ingente quantitativo.

Contestualmente, è stata data esecuzione a un decreto d’urgenza emesso dal Pubblico Ministero inquirente che ha disposto il sequestro preventivo di denaro e beni nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di circa 7,7 milioni di euro.

 

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Le investigazioni, svolte da unità specializzate del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Catania – Gruppo Operativo Antidroga del G.I.C.O., anche mediante attività tecniche, acquisizione di dati e notizie tramite banche dati in uso al Corpo, servizi di osservazione e riscontro, hanno riguardato un gruppo criminale dedito all’importazione dal Sudamerica via mare di ingenti partite di cocaina e alla successiva esfiltrazione dal porto etneo, grazie anche a collaudate tecniche di occultamento del narcotico e a consolidati metodi di recupero dello stesso.

All’esito sono state acquisite molteplici evidenze che hanno permesso, per la prima volta, di fare piena luce sulle dinamiche criminali all’interno dello scalo portuale di Catania.

In particolare, è stata individuata la figura di un soggetto gravato da condanna del 2010 per narcotraffico e di suo figlio, entrambi operanti in quell’area in qualità di dipendenti della predetta società.

È stato inoltre appurato che il primo avrebbe avuto rapporti con esponenti di spicco del clan P./P. e in particolare con un soggetto già condannato per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti con sentenza del GIP di Catania del 2007.

Nonostante le plurime cautele adottate quotidianamente dagli indagati, le attività captative e i servizi di pedinamento e di osservazione dei finanzieri etnei avrebbero consentito di accertare, ferma restando la presunzione d’innocenza valevole ora e fino alla condanna definitiva, la sistematica operatività di padre e figlio nel settore del narcotraffico e di individuare gli ulteriori soggetti che li avrebbero coadiuvati, definendone i rispettivi ruoli.

 

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A tal riguardo, sarebbero state acquisite gravi evidenze indiziarie con riferimento ad almeno tre episodi di importazione di ingenti quantitativi di cocaina, per un peso complessivo di oltre 215 kg, oltre ad iniziativa, non concretizzatasi, volta a introdurre una partita di droga di 300 kg.

Il sistema, particolarmente oleato, si sarebbe caratterizzato per l’introduzione nel porto del narcotico mediante il suo occultamento in doppi fondi ricavati all’interno di container utilizzati per l’importazione di frutta dal Sudamerica.

Una volta giunto in porto e scaricato sulla banchina, il container interessato sarebbe stato poi trasportato verso la sede/deposito della società di gestione dei servizi portuali, sita nella zona industriale di Catania, ove sarebbero state effettuate le operazioni di manipolazione necessarie a estrarre il narcotico, da consegnare ai relativi destinatari previo pagamento di una percentuale del 30/40% della quantità importata per il servizio reso.

Sulla scorta di quanto ricostruito dal Nucleo PEF di Catania, il G.I.P. presso il Tribunale etneo, su richiesta della locale Procura, ha ritenuto dunque sussistente un grave quadro indiziario a carico degli indagati disponendo l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di 6 indagati.

Contestualmente, i finanzieri etnei hanno dato esecuzione a un decreto d’urgenza, emesso dal Pubblico Ministero inquirente, di sequestro preventivo, anche per equivalente, del denaro e, in subordine, dei beni mobili e immobili di proprietà o nella disponibilità dei principali indagati fino a concorrenza della somma di 7,7 milioni di euro, corrispondente al profitto o prodotto derivante dal traffico di sostanze stupefacenti.

L’attività investigativa si colloca nel più ampio quadro delle attività poste in essere svolte dalla Procura della Repubblica e dalla Guardia di finanza di Catania volte al contrasto del traffico organizzato e dello spaccio di sostanze stupefacenti, a tutela della cittadinanza e, in particolar modo, delle fasce più deboli della popolazione.

11 persone indagate per reati fallimentari e frodi fiscali Catania – Sequestro preventivo di beni e disponibilità finanziarie per un valore di 4,6 milioni di euro.

 

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Catania,

Nell’ambito di complesse attività di indagine coordinate da questa Procura Distrettuale della Repubblica, i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania, con il supporto dei Comandi Provinciali di Palermo, Trapani, Caltanissetta, Messina, Ragusa e Agrigento, hanno eseguito un decreto del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale etneo con cui è stato disposto il sequestro preventivo delle quote sociali di 6 aziende nonché di denaro, beni mobili e immobili per un ammontare complessivo pari a 4,6 milioni di euro.

Le attività investigative, condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria – Sezione di Polizia Giudiziaria di Catania, avrebbero consentito di far emergere, ferma restando la presunzione d’innocenza valevole ora e fino alla condanna definitiva, una complessa frode fiscale perpetrata mediante la creazione di numerose imprese dedite all’illecita somministrazione di manodopera a favore di una società “capofila”, appaltatrice di servizi di logistica, corrieri espressi e trasporto su strada in tutta la Sicilia.

In particolare, le indagini traggono origine dall’approfondimento della posizione di alcune aziende somministratrici di manodopera, poste in liquidazione giudiziale in quanto gravate da ingenti debiti erariali e previdenziali.

Sarebbe emerso che l’impresa capofila, per l’esecuzione dell’appalto, avrebbe esternalizzato la forza lavoro, ricevendo “servizi di manodopera” dalle suddette società coinvolte nella frode, formalmente autonome, ma in realtà riconducibili a un unico dominus.

In tal modo, queste ultime si sarebbero caricate dei debiti erariali e previdenziali, mai versati, connessi al personale alle loro dipendenze e alla fatturazione dei servizi di manodopera “resi”, mentre la capofila, destinataria delle fatture per operazioni inesistenti, avrebbe potuto operare senza sostenere l’intero peso dei costi di lavoro dipendente, garantendosi inoltre la maturazione di ingenti crediti IVA non spettanti.

Nel complesso, è stato ricostruito un giro di fatture false per un ammontare complessivo di 25,6 milioni di euro in un triennio (2021/2023), un’IVA indebitamente detratta e non spettante per 4,6 milioni di euro e debiti erariali/previdenziali non saldati per 85 milioni di euro.

L’artefice del sistema criminale, destinatario del provvedimento di sequestro, si identificherebbe nel rappresentante legale della società capofila beneficiaria della forza lavoro, il quale sarebbe risultato anche l’amministratore di fatto delle società – in totale 11 – appositamente create per alimentare il sistema di frode, coadiuvato da altri 10 soggetti, tra cui diverse “teste di legno”.

I reati contestati agli indagati sono, a vario titolo, la bancarotta fraudolenta, l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, la presentazione di dichiarazione fiscale infedele.

Contestualmente alle operazioni di sequestro, le Fiamme Gialle hanno altresì eseguito perquisizioni locali e condotto approfondimenti investigativi presso le sedi legali e operative di tutte le società coinvolte, dislocate nelle province di Catania, Palermo, Trapani, Agrigento, Ragusa, Caltanissetta e Messina, acquisendo ulteriori elementi a supporto del quadro indiziario illustrato.

L’attività si inserisce nel più ampio quadro delle azioni svolte da questo Ufficio e dalla Guardia di finanza di Catania a tutela della finanza pubblica, con lo svolgimento di complesse indagini volte, da un lato, a tutelare le imprese sane dalle più insidiose forme di frode fiscale, contrastando fenomeni illegali in grado di distorcere le regole della libera concorrenza, e, dall’altro, a garantire il recupero degli illeciti proventi dell’evasione, da destinare, una volta definitivamente acquisiti alle casse dello Stato, anche a importanti interventi economico e sociali.

Rientrano stasera i cosmonauti fermi nello spazio da oltre nove mesi sulla Stazione spaziale internazionale

Gli astronauti  fermi nello spazio da oltre nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) hanno iniziato il loro viaggio di ritorno sulla Terra. Sono gli statunitensi Suni Williams e Butch Wilmore: erano arrivati lì lo scorso giugno e avrebbero dovuto restare sulla ISS solo per otto giorni ma, a causa dei problemi tecnici della capsula Starliner che ce li aveva portati, la loro missione è durata più di nove mesi. Sono a bordo di una capsula di SpaceX, e il viaggio durerà all’incirca 17 ore.Fra poco saranno sul nostro pianeta

Insieme a Williams e Wilmore torneranno sulla Terra Nick Hague, un altro astronauta della NASA, e Aleksandr Gorbunov, cosmonauta dell’agenzia spaziale russa Roscosmos. Sulla Stazione Spaziale Internazionale rimarranno quattro astronauti che lo scorso fine settimana erano arrivati a dare loro il cambio: le statunitensi Anne McClain e Nichole Ayers, il giapponese Takuya Onishi e il russo Kirill Peskov, che resteranno con una parte dell’equipaggio già a bordo, l’astronauta della NASA Don Pettit e i cosmonauti Alexey Ovchinin e Ivan Vagner.

Cosa era successo? La capsula Starliner con cui a giugno  Williams e Wilmore erano arrivati sulla ISS, prodotta da Boeing, aveva avuto dei problemi ai sistemi di manovra prima di raggiungere la stazione. Successivamente la NASA e Boeing avevano fatto delle valutazioni sulla sicurezza della capsula e l’agenzia spaziale statunitense affermò che fosse meglio farla rientrare sulla Terra senza nessuno a bordo.

 

 

Metro a Catania, da lunedì prossimo – 24 Marzo- aperta dalle ore 6.00 del mattino con partenza da Monte po

 

Catania, 

Da lunedì 24 marzo la Metropolitana inizierà le corse alle ore 6.00 del mattino dei giorni feriali con partenza da Monte Po, come avevano esplicitamente richiesto lo scorso 19 febbraio il sindaco Enrico Trantino e il vicesindaco Paolo La Greca ai vertici di Fce, titolare della concessione governativa, durante una riunione a Palazzo degli Elefanti.

In pratica viene anticipato di un’ora l’orario feriale delle corse, favorendo l’utilizzo del mezzo pubblico rispetto a quello privati per gli spostamenti, legati soprattutto alle esigenze di chi deve recarsi nel posto di lavoro in orari prestabiliti.

“Ringrazio -ha detto il sindaco Trantino- il Commissario del Governo per la Ferrovia Circumetnea Angelo Mautone e il direttore generale Salvo Fiore che hanno tenuto conto della nostra sollecitazione di anticipare alle ore 6 la partenza dei treni  nei giorni feriali e alle ore 7 nei giorni festivi. Un piccolo ma significativo passo in avanti che allinea e la Metro di Catania alla funzionalità di quella di altre grandi città e in qualche misura persino la migliora, tenuto conto che il venerdì e il sabato l’infrastruttura su rotaia funziona fino all’una di notte, anche per agevolare lo svolgimento ordinato della Movida”.

Le frequenze delle corse dei treni della Metro nei giorni feriali sono di dieci minuti dalle ore 6 alle ore 15,30 e di tredici minuti dalle 15,30 alle 22,30.

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Dissesto, da Roma 43 milioni per interventi prioritari in otto comuni siciliani -Vediamo quali sono

 

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Palermo,

Risorse per 43 milioni di euro: è questa la dotazione finanziaria che il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha riconosciuto alla Sicilia per interventi prioritari di mitigazione del rischio idrogeologico.

«Destineremo queste somme – commenta il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, al vertice della Struttura commissariale di contrasto al dissesto idrogeologico – alla realizzazione di opere di particolare urgenza per la messa in sicurezza di territori in otto comuni siciliani, restituendoli alla piena fruibilità delle comunità interessate. Queste risorse sono un importante riconoscimento per il prezioso lavoro di ricognizione e pianificazione svolto dagli uffici. Investire in prevenzione, oltre a salvaguardare la pubblica incolumità, consente di ridurre i costi e di preservare l’integrità dei versanti maggiormente a rischio».

Nel Messinese, con uno stanziamento di 5,6 milioni di euro verrà consolidata l’area urbana Case nuove Russo a Patti; mentre a Galati Mamertino, con 3,1 milioni, verrà messo in sicurezza il centro abitato. Inoltre, 2,1 milioni serviranno, a difesa delle abitazioni,
per il consolidamento del costone roccioso in prossimità del torrente Racinazzi a Scaletta Zanclea.

Nella provincia di Palermo, 7,8 milioni di euro saranno utilizzati per le opere di mitigazione del rischio idrogeologico sul versante del Monte Triona a Bisacquino; a Villabate, invece, è previsto un intervento da 2,6 milioni per sistemare le pareti rocciose sovrastanti via La Torre; mentre a Pollina con 1,4 milioni verrà consolidata la rupe San Pietro.

Gli altri interventi sono previsti a Misterbianco, in provincia di Catania, dove con 17,8 milioni di euro verrà effettuata la regimentazione delle acque meteoriche nell’area produttiva e commerciale di contrada Mezzocampo, mentre nell’Agrigentino, a San Biagio Platani, verrà finanziato con 1,8 milioni il consolidamento del versante su cui sorge il depuratore comunale.

 

Le risorse del Mase saranno gestite dagli uffici di piazza Ignazio Florio, diretti da Sergio Tumminello, che si occuperanno dell’attuazione degli interventi per tutti gli aspetti tecnici e amministrativi, nel rispetto dei cronoprogrammi indicati e attraverso un’interlocuzione costante con il ministero dell’Ambiente, che verrà aggiornato non soltanto sullo stato di avanzamento fisico, procedurale e finanziario dei lavori, ma anche sulle eventuali criticità riscontrate.

Caso referti in ritardo a Trapani, il governatore siciliano Schifani: «Fatti del genere non devono più verificarsi in Sicilia»

 

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Sui ritardi -gravissimi – della consegna dei referti ai pazienti, il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, a Catania ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Sulla vicenda dei referti in ritardo all’Asp di Trapani sento di scusarmi nei confronti di quelle persone che in questi momenti stanno ricevendo i risultati positivi, purtroppo, sulle loro patologie. Non ho responsabilità diretta sulla questione, ma in politica chi sta al vertice deve assumersi responsabilità che non sono sue, facendo propri anche gli errori altrui.

Errori commessi, per i quali saremo estremamente rigorosi. La percentuale di referti positivi è del 5%, quindi sono circa 160-170 i casi. Si stanno raggiungendo in queste ore le famiglie per informarle, in maniera tale che si accelerino i processi di terapia».

Sul piano dell’Asp trapanese in 7 punti per affrontare l’emergenza, Schifani ha commentato evidenziando che «forse se i sette punti si fossero messi in atto prima non staremmo qui a disquisire di questo tristissimo episodio che sta toccando le coscienze non soltanto dei siciliani, ma di tutti gli italiani. Fatti del genere non possono più verificarsi in Sicilia: non possiamo consentirlo, né lo consentiremo».