l recente terremoto in Albania e quello, impresso nella nostra memoria, dell’Italia centrale hanno alcuni aspetti opposti e simili. Sono simili in quanto le catene montuose degli Appennini e dei Balcani hanno caratteristiche geologiche simili nella struttura della crosta. Questo si riflette anche in un’analogia nel tipo delle magnitudo: il terremoto in Albania è simile a quello di Norcia, per esempio. Il più forte in quella zona è avvenuto nel 1979 nel Montenegro con una magnitudio di 6.9, simile a quello dell’Irpinia nel 1980. Fra i due terremoti, però, c’è una differenza. L’Appenino si trova sul lato occidentale della placca adriatica, il blocco che c’è al di sotto della pianura padana e che s’infila sotto le Alpi come una sorta di protuberanza dell’Africa che si insinua dentro l’Europa. L’Appennino è posizionato in estensione, cioè la placca adriatica fa sì che la crosta in Italia si estenda. Dall’altro lato dell’Adriatico, invece, c’è un processo opposto, di compressione, che fa avvicinare le due zone, quella balcanica e quella adriatica.
Non sarà certamente il terremoto in Albania a farci cambiare le mappe di pericolosità del nostro Paese, che presenta già una situazione di criticità geologica, fatta di terremoti piccoli quotidiani. Abbiamo a che fare con un territorio geologicamente giovane in continua deformazione, ma è difficile capire se ci può essere un legame tra questi sistemi di faglie. Nel Mediterraneo, inoltre, ci sono tante zone ad alta pericolosità, la Calabria ed altre zone dell’Italia Meridionale, ma una situazione simile si presenta lungo l’arco ellenico, soprattutto in Turchia e nella zona dell’Anatolia, che ha avuto terremoti molto forti.
Il nostro Paese non vivrebbe in uno stato di allerta costante se gli edifici fossero sicuri. Semmai, l’allerta è legata alla paura di vivere in un ambiente fragile e vulnerabile, e questo si supera solamente mettendo in sicurezza gli edifici. Le ricerche che si fanno sulle previsioni dei terremoti sono ancora in una fase sperimentale, non hanno un’applicazione pratica oggi e non ce l’avranno sicuramente per molti anni. Dal punto di vista operativo, la complessità è molto alta e la nostra capacità di accedere ai fenomeni a 1015 km sotto i nostri piedi è molto piccola. L’unica cosa che possiamo fare è prevenire i danni con strutture adeguate.
A. Amato – Responsabile del Centro Allerta Tsunami di origine sismica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia- “Interris”