Per la doverosa ricostruzione dei fatti, che in quella sede deve avvenire, sulla vicenda sta indagando la Procura della Repubblica di Crotone.
Attenderemo, pertanto, con fiducia e rispetto l’esito degli accertamenti giudiziari.
Ho già fornito alcuni elementi sul naufragio nei giorni scorsi, sia in occasione delle audizioni presso le Commissioni Affari costituzionali di Senato e Camera sulle linee programmatiche del Ministero dell’interno sia nell’analoga audizione svolta dinanzi al Copasir.
L’informativa odierna, sempre in attesa di quanto emergerà dalle indagini in corso, mi offre l’opportunità di dare risposte alle molte domande che in questi giorni sono state legittimamente rivolte, anche dall’opinione pubblica, con riferimento a quanto accaduto davanti alla costa crotonese.
Veniamo ai fatti, come ricostruiti sulla base degli elementi acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex. A tal proposito va precisato che gli elementi acquisiti dai superstiti, pur restando indicativi del quadro generale dell’evento, richiedono ancora ulteriori accertamenti per la messa a fuoco degli aspetti di dettaglio.
La traversata – raccontano i sopravvissuti – parte da Cesme, in Turchia, intorno alle 3.00 del 22 febbraio in condizioni metereologiche ottimali: condizioni che, tuttavia, dopo 2 o 3 giorni peggiorano. Secondo il loro racconto, a bordo dell’imbarcazione erano presenti circa 180 persone, oltre a 4 scafisti, due turchi e due pakistani.
Tre ore dopo l’inizio della navigazione, un guasto al motore dell’imbarcazione induce due scafisti a contattare, tramite cellulare, un complice. Dopo altre tre ore di attesa, i migranti sono raggiunti da una seconda imbarcazione, pilotata da altri tre scafisti. Dopo il trasbordo dei migranti, la navigazione prosegue verso le coste italiane.
Sempre sulla base del racconto dei sopravvissuti, la barca giunta in sostituzione aveva due motori MAN entro-bordo. I migranti notano che gli scafisti dispongono di telefono satellitare e di un apparecchio che sembrava di tipo “Jammer” ovvero in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio. Inoltre, quando l’imbarcazione incrocia davanti alle coste elleniche, gli scafisti sostituiscono la bandiera turca con quella greca.
Durante la navigazione, sempre stando alla narrazione dei migranti, gli scafisti li costringono a restare sotto coperta, facendoli salire sul ponte solo pochi minuti per prendere aria.
Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine.
Dopo alcune ore, i migranti, lamentandosi della sosta, inducono gli scafisti a mostrar loro, tramite un gps, che la loro posizione era ormai vicina alla costa calabrese, con la rassicurazione che avrebbero ripreso la navigazione, per arrivare intorno alle 01.30 del 26 febbraio.
Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero della giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma.
Sulla base degli elementi acquisiti da guardia di Finanza e guardia costiera, alle 23.03 del 25 febbraio il Centro Situazioni di Varsavia dell’Agenzia Frontex comunica – all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc) – l’avvistamento avvenuto alle 22.26 da parte dell’aereo Frontex “Eagle One”, impegnato in attività di sorveglianza nello Jonio, di un’imbarcazione in buono stato di galleggiabilità con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnalava che l’unità navigava con rotta 2-9-6 a velocità di 6 nodi.
L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante.
Alle 23.37 la guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta l’autorità marittima di Reggio Calabria rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e che vi sarebbe rimasta fino alle 06.00, per attività di polizia sul caso segnalato.
In tale contesto, in base alle relazioni acquisite, il quadro della situazione in possesso della guardia Costiera a quel momento si fondava sui seguenti elementi:
la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar; non erano variate le condizioni meteo-marine.