Trapani, arrestato il killer romeno dei cani che sui social -suscitando l’ira di tanti -postava il filmato del cane-vittima trascinato da un suo furgone

 

 

Crudele fine di un cane: ucciso con proiettili al sale

 

CANE  UCCISO BARBARAMENTE  SENZA  PIETA’

 

 Mazara del Vallo (TP),
Dovrebbero davvero gettare in un pozzo la chiave della cella per il farabutto appena arrestato.E’ il commento unanime della gente Nei giorni appena trascorsi i Carabinieri della Compagnia di Mazara del Vallo hanno tratto in arresto G.D. romeno classe 77, soggetto gravato da precedenti di Polizia e ben conosciuto dai militari operanti, per i reati di uccisione di animali, detenzione illegale di arma, armi clandestine, alterazioni di armi e detenzione abusiva di armi e munizionamento.
Il malvivente si è reso responsabile di atti gravi nei confronti di un animale (un cane precisamente) uccidendolo barbaramente, trascinandolo, legato ad una corda al suo furgone, postando il tutto sui social network. Durante il filmato, inquadrando il povero animale ormai morto, l’uomo commenta il tutto rivolgendosi al proprietario del cane (un vicino di casa) rivendicando il gesto ad un morso che l’animale avrebbe dato alla mano della figlia, e come promesso prima gli ha sparato e poi trascinato legandolo al furgone. 
A seguito della denuncia presentata dalla presidente dell’associazione Nazionale protezione animali ONLUS, vista la reazione che la terribile vicenda ha scatenato su varie piattaforme on line i Carabinieri della Compagnia di Mazara, tramite minuziosa attività di indagine, sono riusciti a risalire proprio al 44enne, quale autore dei gravissimi maltrattamenti, acquisendo tutto il materiale, dallo stesso pubblicato, sui social dove oltre al filmato del cane trascinato da un furgone, risultato a lui in uso, si ritraeva spesso in selfie con in mano pistole e munizionamento vario, suscitando l’ira di tantissime persone che hanno lasciato commenti di ogni tipo.
Per tale motivo scattava nella giornata venerdì appena trascorso la perquisizione domiciliare dove l’uomo veniva trovato in possesso di:  1 arma da fuoco artigianale clandestina;  nr. 80 cartucce a pallettoni calibro 12;  nr. 113 cartucce a “salve” calibro 9  nr. 1 pistola a “salve” calibro 9 modificata “senza tappo rosso”; quanto rinvenuto, è stato posto sotto sequestro. Al termine formalità di rito, su disposizione dell’A.G., l’arrestato è stato tradotto presso la propria abitazione in regime di arresti domiciliari dove è rimasto fino all’udienza di convalida durante la quale è stata disposto l’obbligo di dimora nel comune di Mazara del Vallo e l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria.
Contestualmente è stata sospesa l’erogazione del reddito di cittadinanza. 

Servizio Civile Universale, Aci Sant’Antonio comune associato  con Aci Castello, Trecastagni e Zafferana

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Il Sindaco  Caruso: “Ai giovani è rivolta questa importante iniziativa”

Aci Castello a fare da Comune capofila e Aci Sant’Antonio, Trecastagni e Zafferana a completare la forma associata al fine dell’iscrizione all’Albo degli Enti di Servizio Civile Universale.
Con la Delibera di Giunta 63/2021 di martedì 13 luglio la Città del Carretto Siciliano ha manifestato la volontà di approvare lo schema di impegno che la vede come ente di accoglienza per svolgere azioni comuni e integrare le proprie competenze, nonché garantire un’efficiente gestione degli operatori volontari del servizio civile.
Le spese di gestione saranno integralmente ripartite tra i quattro Comuni coinvolti, secondo quanto emerso dagli incontri ufficiali e indicato nella documentazione scaturita dagli stessi.
Il Servizio civile universale è la scelta volontaria di dedicare alcuni mesi della propria vita al servizio di difesa, non armata e non violenta, della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica italiana, attraverso azioni per le comunità e per il territorio e rappresenta una importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso

 

culturale, sociale ed economico del Paese: sulla scorta di quanto espresso dal Dipartimento per le Politiche Giovanili della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’assessore ai Servizi Sociali, Antonio Scuderi,(nella foto sopra) sottolinea la grande opportunità colta: “Si tratta di un passo di estrema importanza sotto il profilo sociale: mettere insieme le forze per un comune obiettivo volto a migliorare la comunità e il territorio significa moltiplicare i potenziali risultati, con la possibilità di andare anche oltre le previsioni. Allargare l’orizzonte del proprio territorio vuol dire arricchirsi e offrire agli altri pari opportunità di crescita, e questo è già un ottimo risultato”.

 


Il Sindaco, Santo Caruso, mostra vivo apprezzamento: “Si tratta di una importante sinergia, e sono felicissimo di poter condividere questo percorso al fianco dei Comuni di Aci Castello, Trecastagni e Zafferana.
Noi in qualche modo ci troviamo fisicamente al centro di questo gruppo di Enti, e faremo la nostra parte per permettere di avviare un percorso importante che nel tempo potrà dare molto. Una parte importante in questo l’avranno, chiaramente, i giovani: a loro è rivolta l’iniziativa, e per loro è l’investimento, in vista del loro impegno con progetti specifici per il territorio”.

 

Disco verde dell’Ars al completamento e alla sanatoria delle costruzioni realizzate in Sicilia senza autorizzazioni

Abusi edilizi ed i loro effetti

 

Disco verde dell’ assemblea regionale siciliana ad un  emendamento che promuove (solo in Sicilia per intenderci) una sanatoria edilizia per le costruzioni realizzate  senza chiedere-per qualsiasi motivo, spesso anche economico – l’autorizzazione agli enti di governo e controllo del territorio e dove esiste un vincolo di inedificabilità relativa (e non assoluta). Il testo ha avuto l’approvazione con un solo voto di scarto 19 favorevoli e 18 contrari, nonostante una spaccatura nella maggioranza con diversi deputati che non hanno votato e con due voti arrivati dagli ex grillini di Attiva Sicilia Angela Foti e Sergio Tancredi.

La sinistra coalizzata con il M5S  hanno espresso parere contrario       basato sul principio di non edificare nell’isola, si sono invece astenuti la presidente della commissione Ambiente, Giusi Savarino di Diventerà bellissima e Danilo Lo Giudice (Gruppo misto). Prima, a Sala d’Ercole erano state votate altre due “leggine”: una concede la proroga fino al 30 luglio per la possibilità di chiedere il rinnovo fino al 2033 delle concessioni balneari, l’altra modifica la legge sul gioco d’azzardo.

 

Ddl Zan, il Senato respinge le pregiudiziali di costituzionalità e torna in Aula domattina per la discussione

Ora in diretta dal Senato la... - Camera dei deputati
Foto -Camera dei deputati

 

 

“Con 136 voti contrari, 124 a favore e 4 astenuti l’Aula del Senato ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità, avanzate da Lega e Fratelli d’Italia sul ddl Zan. Comunicato l’esito del voto, la presidente Casellati ha chiuso la seduta, con il ddl Zan che torma in Aula domattina per la discussione.

“Sospendo l’Aula e convoco immediatamente la capigruppo”, ha detto la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, al termine di un primo giro di interventi dei senatori sul ddl Zan. La sospensione potrebbe servire anche a rasserenare gli animi, visto il clima acceso che in Aula ha visto contrapporsi le forze del centrodestra, che chiedono di cercare ancora una ipotesi di accordo per le modifiche al testo e Pd-Leu e M5S che chiedono di procedere con il ddl originario.

“Gli europei di calcio li abbiamo già vinti, non voglio un clima da stadio in quest’aula”, aveva detto Casellati rivolgendosi all’aula del Senato dove l’intervento di Francesca Majorino dei 5 Stelle sul ddl Zan è stato interrotto più volte da schiamazzi e fischi. “C’è già un clima incandescente, decido io poi, ora stabilisco l’elenco degli interventi, avevo fatto bene a convocare la capigruppo.

La decisione ultima la prendo io”, ha sottolineato Casellati provando a tenere la calma in Aula.

Martedì 20 luglio alle 12 scade il termine degli emendamenti sul ddl Zan”, ha annunciato la presidente dei senatori Pd, Simona Malpezzi, al termine della capigruppo. La prossima settimana si dovranno fermare i lavori sul ddl Zan per l’approdo in Senato del dl Sostegni bis. “Ci sarà una capigruppo per stabilire la road map”, si spiega al termine della capigruppo al Senato.

Covid Spagna, contagi

 

MAFIA,CLAN TORRETTA IN GINOCCHIO- ARRESTI E CUSTODIE CAUTELARI-LEGAME PALERMO-USA

 

L'analisi di intelligence per il contrasto alle mafie | Osservatorio  Analitico

Archivi Sud Libertà

 

Inginocchiato il Clan  di Torretta nel Palermitano. Su delega della Direzione distrettuale antimafia i carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a 11 misure cautelari, emesse dal gip, a carico di altrettanti indagati, accusati a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Per nove è scattata la custodia cautelare in carcere, uno è finito agli arresti domiciliari mentre per l’undicesimo è scattato l’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Le indagini, condotte dal nucleo Investigativo dei carabinieri di Palermo e coordinate da un pool di magistrati diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, hanno fatto luce sulla struttura e le attività criminali di una storica articolazione di Cosa nostra palermitana, la famiglia mafiosa di Torretta appunto, è  inserita nel mandamento di Passo di Rigano. .

Un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa e punto di collegamento tra Cosa nostra siciliana e l’omologa organizzazione criminale newyorkese, la famiglia mafiosa di Torretta in passato si è distinta, tra l’altro, per il ruolo dei suoi esponenti quali garanti per il rientro in Italia dei malviventi del gruppo  ostracizzata dai corleonesi di Totò Riina al termine della seconda guerra di mafia.

“Afferma il generale Arturo Guarino, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, dopo il blitz.   SI tratta di un’attività investigativa prolungata che ha dimostrato le relazioni tra i mafiosi italiani e quelli degli Stati Uniti, ma anche, ancora una volta, una penetrazione opprimente nel tessuto economico della comunità e un inquinamento delle istituzioni locali”.. “I carabinieri con le indagini cercano di liberare e dare dignità a una comunità che troppe volte e per troppo tempo è stata sotto una pressione di una cappa insopportabile da parte della mafia”

Il controllo delle attività economiche legate soprattutto all’edilizia, all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, ma anche il tentativo di infiltrarsi nell’amministrazione comunale per  controllare la politica locale.Nulla sfuggiva al ‘monopolio’ della famiglia mafiosa di Torretta, colpita all’alba dal blitz dei carabinieri ‘CrysARREtal Tower’. Le indagini, spiegano gli investigatori dell’Arma, hanno consentito di “coglierne la capacità di inserirsi forzatamente nel tessuto economico locale con l’imposizione delle sensalerie nelle compravendite e attraverso il diretto intervento nelle dinamiche di compravendita degli animali e dei terreni”.

. E’ emersa anche “la capillare ingerenza” nelle dinamiche relative alle commesse di lavoro pubbliche e private a Torretta e nei limitrofi comuni di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo. Ricostruiti anche i tentativi di infiltrarsi, prima del commissariamento avvenuto nell’agosto del 2019 nella locale amministrazione comunale, tuttora commissariata, e di indirizzare le relative decisioni amministrative, di modificare l’esito delle elezioni comunali, fornendo, nel corso delle elezioni amministrative del 2018, supporto ai candidati di schieramenti opposti.

L’asse Torretta-Usa era molto stabile. Tra la famiglia mafiosa del Palermitano e gli esponenti di vertice di Cosa nostra statunitense c’era “un persistente e saldo legame”, capace, da un lato, di “condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali torrettesi” e, dall’altro, “essere fonte di tensioni in occasione dell’omicidio del mafioso newyorkese Frank Calì, esponente apicale della famiglia Gambino di New York. L’attività d’indagine ha permesso di ricostruire la missione a Palermo, alla fine del mese di settembre del 2018, di un emissario di Cosa nostra d’Oltreoceano, accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta.

Alla fine di settembre del 2018, infatti, un emissario di Cosa nostra d’Oltreoceano arrivò a Palermo, accolto con tutti gli ‘onori’ dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. “La permanenza dell’uomo – spiegano gli investigatori del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo – è stata garantita, tra gli altri, dai fratelli Puglisi (due imprenditori edili di Torretta, ndr) che, dividendosi i ruoli, si sono occupati di prenderlo in aeroporto e di garantirne il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, dove gli è stato fatto dono di alcuni grammi di cocaina in segno di benvenuto”.

Nel periodo trascorso sull’isola, l’emissario dei boss Usa partecipò, il 3 ottobre del 2018, a una riunione con Raffaele Di Maggio, a capo della famiglia mafiosa di Torretta, nell’abitazione di quest’ultimo a Torretta e a un secondo incontro riservato nella zona di Baucina. Lo stretto legame tra il clan e i boss d’oltreoceano è testimoniato da un altro episodio. Nei giorni successivi all’omicidio di Frank Calì, capo della famiglia dei Gambino, avvenuto a Staten Island (New York) la sera del 13 marzo 2019 il figlio di uno degli indagati partì per gli Stati Uniti. Rientrato dal viaggio, riferì “il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana – dicono ancora gli investigatori dell’Arma -.

Nella famiglia mafiosa di Torretta, storica roccaforte di Cosa nostra, c’era una “costante, sebbene incruenta, conflittualità interna”. E’ quanto emerge dal blitz antimafia ‘Crystal Tower’. Al vertice della famiglia di Torretta, secondo gli investigatori, c’era Raffaele Di Maggio, figlio dello storico boss Giuseppe detto ‘Piddu i Raffaele’ morto nel gennaio 2019, aiutato da Ignazio Antonino Mannino, anche lui con funzioni direttive e organizzative, e da Calogero Badalamenti, affiliato a cui era stata affidata l’area di Bellolampo.

Ma l’attività investigativa ha fatto emergere anche i ruoli di Lorenzo Di Maggio, detto ‘Lorenzino’, scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Carini; Calogero Caruso, detto ‘Merendino’, anziano affiliato e già figura di vertice della famiglia mafiosa di Torretta, sotto il quale si andava accreditando il nipote Filippo Gambino; e Calogero Christian Zito, affiliato alla famiglia monitorato in numerosi spostamenti tra la Sicilia e gli Usa.

Mafia: OPERAZIONE “GEOLJA” 21 indagati e 12 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso

Tutti i reparti speciali dell'Arma dei Carabinieri

 

REGGIO  CALABRIA
Mafia del Clan “Piromalli” in ginocchio.  Oggi  nella provincia di Reggio Calabria ed in quelle di Brescia e Milano, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria e dei Reparti territorialmente competenti, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, dell’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, del Nucleo Carabinieri Cinofili, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo Dott. Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione all’“Ordinanza di applicazione di misure cautelari” emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria – Dott. Valerio Trovato, su richiesta del Procuratore Aggiunto Dott. Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Procuratore Dott.ssa Giulia Pantano – nei confronti di 12 persone ritenute responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e illecita concorrenza con minaccia o violenza con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.
Ventuno in totale il numero degli indagati, di cui dodici soggetti destinatari dei provvedimenti restrittivi, tutti originari della Provincia di Reggio Calabria,
Arma dei Carabinieri - Wikipedia
Stemma Arma Carabinieri
L’operazione, convenzionalmente denominata «Geolja», prende il nome dal primo nucleo abitativo sorto in epoca medievale attorno al quale successivamente si è esteso l’agglomerato urbano dell’odierno centro di Gioia Tauro. L’attività investigativa ha consentito di colpire il sodalizio criminale facente capo alla storica famiglia mafiosa dei «Piromalli» operante a Gioia Tauro, nonché di coinvolgere nell’inchiesta anche alcuni esponenti della cosca «Pesce» di Rosarno. 
L’odierno provvedimento giunge all’esito di una complessa ed articolata attività d’indagine condotta dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento dell’Autorità Giudiziaria Distrettuale, nel periodo compreso tra il mese di agosto 2018 ed il mese di maggio 2020, dove è stato determinante il contributo dell’attività investigativa posta in essere dagli inquirenti, che è stata messa in correlazione con le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia ed altre importanti acquisizioni documentali.
La genesi dell’inchiesta è legata ad un danneggiamento seguito da incendio di un panificio nel Comune di Gioia Tauro, avvenuto nel mese di agosto 2018, quando alcuni soggetti rimasti ignoti, dopo aver manomesso l’impianto di videosorveglianza di un bar limitrofo, si sono introdotti nella parte retrostante del panificio appiccando le fiamme a diverse aree dell’esercizio commerciale, inclusi il punto vendita e i laboratori, nonché parte del deposito attiguo al punto vendita stesso. Solo l’intervento dei Vigili del Fuoco di Palmi e del personale della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro ha permesso di evitare ulteriori conseguenze.
A seguito del grave atto incendiario, gli inquirenti hanno scoperto un complesso contesto delinquenziale nel quale i vari esercizi commerciali venivano ciclicamente taglieggiati e controllati, dalle consorterie mafiose locali, nelle loro scelte di dettaglio e nelle strategie imprenditoriali.
Le cosche di ‘ndrangheta infatti, in virtù della forza intimidatrice derivante dalla loro appartenenza al vincolo associativo, mettevano in atto un vero e proprio controllo del territorio e delle attività commerciali locali, mediante riscossione di somme di denaro, beni e altri prodotti a titolo estorsivo. Pertanto, i commercianti dovevano sottostare alle loro regole ed adeguarsi ai prezzi imposti, ai periodi ed alla lunghezza delle ferie, che dovevano essere concordate con le attività commerciali limitrofe. Una vera e propria morsa che attanagliava i vari esercizi commerciali, al punto da costringere i piccoli imprenditori a voler fuggire dalla realtà locale per cercare fortuna altrove, specialmente verso il Nord Italia.
In merito risulta essere emblematico il commento esternato da alcuni commercianti di Gioia Tauro, i quali definivano il controllo posto in essere da uno dei membri della consorteria mafiosa dei “Piromalli” nei confronti della loro attività commerciale, come “l’occhio bionico”, a significare che gli stessi si sentivano monitorati, o meglio, spiati dalla criminalità organizzata.
La corresponsione dei proventi delle estorsioni garantiva la copertura idonea alle aziende: una sorta di protezione mafiosa per cui le imprese venivano in un certo senso “regolarizzate” ed autorizzate ad esercitare l’attività commerciale.
Alcuni episodi di taglieggiamento sono apparsi singolari nella loro attuazione pratica, come ad esempio l’estorsione posta in essere sotto forma di vendita di blocchetti di biglietti per una presunta lotteria per le festività pasquali, dal cui acquisto i commercianti non si potevano esimere per timore di eventuali ritorsioni mafiose. Altrettanto atipica è risulta essere la modalità di pagamento di una trance estorsiva, effettuata con la consegna ad uno degli esponenti della cosca “Piromalli” di € 500.00 nascosti all’interno di un panino.
Un contesto, quello della Piana di Gioia Tauro, ove la criminalità organizzata la faceva da padrona, imponendo una concorrenza illecita mediante violenza e minaccia e  dove le vittime erano costrette ad allinearsi sui prezzi delle singole merci, sugli orari di apertura, sui periodi di chiusura e persino sui periodi di chiusura. Di fatto un ambito dove era praticamente azzerata la libera concorrenza ed il territorio risultava essere suddiviso tra le singole famiglie della ‘ndrangheta, come confermato anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.
Inoltre, gli inquirenti hanno potuto dimostrare, nel corso delle investigazioni, anche l’intestazione fittizia di alcune attività commerciali, le quali erano effettivamente gestite da rappresentanti delle cosche locali che preferivano però non figurare in qualità di intestatari, allo scopo di eludere i controlli delle Forze di Polizia o aggirare eventuali difficoltà per l’ottenimento di autorizzazioni varie ai fini burocratici.
L’operazione colpisce alcuni dei soggetti vicini alle più potenti cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione e mantenimento del potere mafioso. La volontà di controllare gli esercizi commerciali della zona e di riscuotere il “pizzo”, mediante metodologie che si discostano da quelle classiche, è finalizzata non solo all’arricchimento economico dei membri delle consorterie mafiose, ma soprattutto ad imporre il proprio carisma criminale e non mettere in discussione la forza intimidatrice delle cosche nel mantenimento della pax mafiosa.
Il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno consentito di individuare quelle attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, attraverso le quali le consorterie influenzano le dinamiche economiche dei territori.
Nell’ambito dell’attività d’indagine, infine, L’Autorità giudiziaria distrettuale ha anche emanato un decreto di sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale, nei confronti di 6 aziende di Gioia Tauro, in particolare un panificio, un lido, una concessionaria, un distributore di benzina, un autolavaggio ed un’impresa di rivendita di pietre da costruzione, i quali erano fittiziamente intestati a soggetti di Gioia Tauro, mentre in realtà erano gestiti da membri delle consorterie mafiose, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale e di agevolare la commissione di reati di riciclaggio.

 

Messina, arresti per smercio di sostanze stupefacenti e denunce alla Procura

 

Nel corso dell’ultimo week end, i Carabinieri della Compagnia Messina Centro, supportati dalle pattuglie del Nucleo Radiomobile, hanno intensificato i controlli lungo le fasce costiere del capoluogo, nonché dei comuni di Villafranca Tirrena e Saponara, in particolare sono stati predisposti controlli allo scopo di contrastare lo smercio di sostanze stupefacenti e dei reati predatori in generale.
Nel corso dei servizi, in attuazione di un provvedimento emesso dalla competente Autorità Giudiziaria, i Carabinieri della Stazione di Messina Camaro hanno arrestato il 46enne T.D., già noto alle forze dell’ordine, condannato alla pena residua di 3 anni, 9 mesi e 11 giorni di reclusione per il reato di associazione per delinquere in concorso e maltrattamento di animali. Il 46enne, al termine delle formalità di rito, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria è stato ristretto presso la casa circondariale di Messina Gazzi.

Nel prosieguo delle attività, i Carabinieri della Stazione di Castanea delle furie, hanno deferito, in stato di libertà, alla Procura della Repubblica di Messina, un 31enne, già noto alle forze dell’ordine, per il reato di porto abusivo di oggetti atti ad offendere. L’uomo, nel corso di un controllo alla circolazione stradale sulla litoranea di Mortelle, è stato trovato in possesso di un bastone di 60 cm. di lunghezza, sottoposto a sequestro.
Nel corso dell’attività di controllo, i militari del Nucleo Radiomobile hanno altresì proceduto, segnalandoli alla Procura della Repubblica di Messina, nei confronti di un 24enne ed un 19enne per disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, poiché alla guida dei propri veicoli diffondevano musica ad alto volume, tramite apparato stereofonico di elevata potenza

Infine, durante il servizio, che ha consentito di controllare più di 45 autovetture ed oltre 70 persone, cinque giovani sono stati segnalati alla locale Prefettura quali assuntori di sostanze stupefacenti poiché trovati in possesso, complessivamente, di 20 grammi di marijuana ed hashish , detenuti per uso personale.

CATTURA IN ALTO MARE DEGLI SCAFISTI PER UNO SBARCO DI MIGRANTI UCRAINI SOTTOPOSTI A FERMO DI POLIZIA

 

PALERMO

Nelle prime ore del mattino di sabato 10 luglio, una pattuglia della Polizia di Stato ha sorpreso 32 migranti sulla spiaggia di contrada Marianelli, in provincia di Siracusa; a poca distanza veniva trovato un piccolo gommone con il quale avevano raggiunto la costa, evidentemente sbarcati da un’imbarcazione più grande. Grazie ad un rapido scambio di informazioni tra la Questura di Siracusa ed il Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, si è notato che il gommone poteva essere il tender di un veliero battente bandiera tedesca avvistato e fotografato il giorno prima a 50 miglia ad est delle coste siciliane da un aereo ATR del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza, nel corso di una missione di pattugliamento marittimo nell’ambito dell’operazione “Themis 2021” dell’Agenzia Europea Frontex. E’ stato immediatamente disposta una nuova missione di ricerca aeromarittima del velivolo delle fiamme gialle, che alle ore 10,15 della stessa giornata di sabato ha individuato il veliero 20 miglia a sud di Pozzallo, in navigazione verso Malta; l’imbarcazione sospetta batteva bandiera statunitense e non più tedesca ed era priva del gommone di servizio.

È scattata quindi l’operazione coordinata dalla Centrale Operativa del Comando Generale della Guardia di Finanza in collaborazione con il Comando in Capo della Squadra Navale della Marina Militare. Sono confluiti sull’obiettivo un guardacoste ed una vedetta velocissima del Reparto Operativo Aeronavale di Palermo, già impegnati in missioni di sorveglianza delle acque rispettivamente di Lampedusa e Pozzallo mentre la Marina Militare impiegava il pattugliatore Vega, già in navigazione nel Canale di Sicilia, per fornire una maggiore cornice di sicurezza all’intervento di polizia.

Grazie al costante aggiornamento della posizione del target fornita dall’aereo, alle 13 il veliero è stato raggiunto dalla vedetta delle fiamme gialle a 33 miglia a sud di Pozzallo; i finanzieri hanno effettuato la c.d. “inchiesta di bandiera” per esercitare il “diritto di visita” previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, essendo fondato il sospetto che l’imbarcazione fosse priva di nazionalità. Poiché la barca non ottemperava all’ordine di arrestare il moto, proseguendo sulla sua rotta verso Malta, i finanzieri hanno abbordato ed assunto il controllo del veliero riscontrando la presenza di due soggetti di nazionalità ucraina; a bordo è stata notata la bandiera tedesca issata il giorno prima ed evidenti segni di bivacco di numerose persone; non è stato invece esibito né trovato alcun documento dell’imbarcazione che dunque è stata condotta nel porto di Marzamemi per effettuare ulteriori approfondimenti.

Gli uomini della Squadra Mobile e della Sezione Operativa Navale della Guardia di finanza di Siracusa, coordinati dalla Procura della Repubblica di Siracusa, hanno effettuato minuziosi accertamenti di polizia giudiziaria, acquisendo una quantità di elementi probatori tali da ritenere certo che i migranti rintracciati sulla costa il giorno prima fossero sbarcati proprio da quel veliero catturato in alto mare. I soggetti ucraini sono stati pertanto sottoposti a fermo di polizia giudiziaria e l’imbarcazione è stata sequestrata.

La Corte Costituzionale: “Chi cerca di intimidire (ad es.con minaccia di querele) i Giornalisti che pubblicano verità scomode ,crea un pericolo per la democrazia”

Bilancia Della Giustizia - Foto e Immagini Stock - iStock

ROMA

Cambiano le norme in materia di diffamazione per i giornalisti Le norme vigenti che obbligano il giudice a punire con il carcere il reato di diffamazione a mezzo della stampa o della radiotelevisione, aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato, sono incostituzionali perché contrastano con la libertà di manifestazione del pensiero, riconosciuta tanto dalla Costituzione italiana quanto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La minaccia dell’obbligatoria applicazione del carcere può produrre, infatti, l’effetto di dissuadere i giornalisti dall’esercizio della loro cruciale funzione di controllo dell’operato dei pubblici poteri.

 

Non è di per sé incompatibile con la Costituzione che il giudice applichi la pena del carcere a chi, ad esempio, si sia reso responsabile di «campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi».
«Chi ponga in essere simili condotte – eserciti o meno la professione giornalistica – certo non svolge la funzione di “cane da guardia” della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verità “scomode”; ma, all’opposto, crea un pericolo per la democrazia”, anche per i possibili effetti distorsivi di tali condotte sulle libere competizioni elettorali.
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I termini giuridici sono stati esaminati dai  Tribunali di Salerno e di Bari. In quell’occasione, il Giudice delle leggi aveva deciso, con l’ordinanza n. 132 del 2020, di rinviare di un anno la decisione delle due cause, per dar modo al legislatore di approvare nel frattempo una nuova disciplina della materia, in grado di bilanciare meglio il diritto alla libertà di cronaca e di critica dei giornalisti con la tutela della reputazione individuale.
Poiché, però, l’auspicata riforma della materia non è stata approvata, la Corte ha ora dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948), che prevedeva la necessaria applicazione della reclusione da uno a sei anni per il reato di diffamazione commessa a mezzo della stampa e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato. La sentenza dichiara illegittimo anche l’articolo 30, comma 4, della legge n. 223 del 1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che estendeva le sanzioni previste dall’articolo 13 della legge sulla stampa alla diffamazione commessa per mezzo della radio o della televisione.

La Corte ha, invece, escluso il contrasto con la Costituzione dell’articolo 595, terzo comma, del Codice penale, che prevede, in alternativa fra loro, la pena della reclusione da sei mesi a tre anni ovvero della multa in caso di condanna per diffamazione commessa a mezzo della stampa o di altro mezzo di pubblicità.
Nella motivazione dell’odierna pronuncia viene anzitutto ribadito quanto già sottolineato nell’ordinanza n. 132 del 2020: se è vero che il diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti «costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla dignità della persona». Pertanto, «aggressioni illegittime a tale diritto”» compiute attraverso la stampa, la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e i siti internet in generale, i social media e così via, «possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime»”.
Secondo la Consulta e la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo, non è di per sé incompatibile con la libertà di manifestazione del pensiero una norma che consenta al giudice di applicare la pena della reclusione nel caso in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità, dal punto di vista oggettivo e soggettivo. Perciò l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale è stato considerato compatibile con la Costituzione, purché sia interpretato nel senso che la reclusione può essere applicata dal giudice soltanto in quelle ipotesi. In tutti gli altri casi, resterà invece applicabile soltanto la pena della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, oltre che i rimedi e le sanzioni civili e disciplinari.
«Se circoscritta a casi come quelli appena ipotizzati – ha osservato la Corte – la previsione astratta e la concreta applicazione di sanzioni detentive non possono, ragionevolmente, produrre effetti di indebita intimidazione nei confronti dell’esercizio della professione giornalistica e della sua essenziale funzione per la società democratica. Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai lontani dall’ethos della professione giornalistica, la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione».
La Corte ha, peraltro, sottolineato che il legislatore resta libero, dal punto di vista del diritto costituzionale, di assicurare una tutela effettiva del diritto fondamentale alla reputazione individuale anche rinunciando del tutto alla pena detentiva.
I giudici della Consulta hanno hanno, infine, rivolto un ultimatum al Parlamento, essendo rimasto inascoltato quello di un anno fa contenuto nell’ordinanza n. 132 del 2020, affinché deputati e senatori dopo decenni di discussioni provvedano finalmente ad approvare nuove norme in materia. .

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